SMARGIASSO E DINTORNI
Smargiasso è un'altra parola (come guaglione, guappo, sfogliatella, scugnizzo, camorra, vongola etc. ) partita dal lessico partenopeo e approdata in quello nazionale nel significato di gradasso, spaccone, millantatore. I medesimi significati si riferiscono allo smargiasso nei vocabolarî napoletani dove nello stesso senso si usano favone, grannezzuso, rodamunno, sbardellone, sbafante, spacca-e-mmette-ô-sole, squarcione; mentre il millantatore parolaio, supponente e saccente è soprattutto indicato con il termine spallettone. L'origine napoletana di smargiasso è dimostrata da due fatti: la parola è formata da smargi con l'aggiunta del suffisso dispregiativo asso, suffisso di pretta matrice meridionale-napoletano; in italiano si usa accio o talvolta, mutuandolo dal napoletano azzo. Scartata l'ipotesi di una derivazione dallo spagnolo majo (spaccone), penso che la voce smargiasso derivi dal greco màrgos=protervo, arrogante o da smaragízein = risuonare, rimbombare. È pur vero che manca l'intermedio del latino, ma se fosse esistito tale intermedio, la parola sarebbe potuta nascere in un punto qualsiasi dello Stivale, atteso che è abbondantemente riconosciuto e provato che fu il tardo latino la madre di tutti i linguaggi regionali d’Italia. Dunque, mancando l’intermedio latino, nel caso che ci occupa è la voce greca la lingua di riferimento ed il greco si parlò nell’Italia meridionale (Magna Grecia) non altrove. Abbiamo dunque:
gradasso: vanaglorioso, chi si vanta di fare cose eccezionali, senza averne la capacità, derivato dal nome di Gradasso, vanaglorioso personaggio dell'"Orlando innamorato" di Boiardo e dell’Orlando furioso" di Ariosto.
Spaccone, dal significato simile al precedente gradasso , è un evidente accrescitivo derivato di spaccare: spezzare, dividere in piú parti; dal longobardo spahàn, fendere.
Millantatore indica chi si vanti o vanti qualità o meriti che non à ed è un deverbale di millantare id est: accrescere millanta volte.
Sbruffone è chi si attribuisce meriti grandiosi o qualità eccezionali che non possiede o imprese esagerate; da sbruffare, voce onomatopeica che indica l'emettere dalla bocca e/o dal naso spruzzi di liquidi fisiologici, come può accadere a chi apra continuamente la bocca.
Favone è il gran millantatore, vanesio chiacchierone oltre che saccente; piú che a fabulari=raccontar sciocchezze, si può collegare al latino favonius che indica un vento, come semanticamente al vento si posson appaiare le vuote parole.
Grannezzuso è altezzoso, altero e per estensione vanaglorioso, millantatore; da granne (grande).
Rodamunno è chi si vanta con arroganza di imprese straordinarie o veramente affronta rischi ma solo per ostentare forza e bravura.Quanto all’etimo la voce a margine è l’adattamento locale del nome di Rodomonte, personaggio dell'«Orlando Furioso» di L. Ariosto (1474-1533), dotato di straordinaria forza e audacia
Sbafante: vanitoso, vanaglorioso, aduso alla spacconeria; l’etimo è da ricercarsi in una serie onomatopeica ba... fa... da collegarsi all'espirazione ed all'apertura di bocca per vantarsi.
Sbardellone: il grande vanesio ciarlatore, aduso a eccedere, in linea con il suo etimo da bardellare= porre la bardella (piccola sella), con la protesi della esse che qui non è intensiva, ma distrattiva, per significare proprio il debordamento delle ciarle dello sbardellone.
Spacca-e-mmette-ô-sole: indicherebbe di per sé l'azione di quei contadini che, raccolti i pomidoro li spaccano e li pongono al sole perché si secchino, ma va da sé che per ampliamento semantico, con la voce a margine ci si riferisca a chi si comporta in maniera di dar gran rilievo alle proprie azioni, quali che siano, esponendole a tutti e magnificandone ipotetiche positività (in realtà inesistenti) anche quando tali azioni non siano meritevoli di lode e/o di attenzione.
Squarcione vale spaccone: da squarcià, dal latino volgare ex-quarciare, variante di ex-quartiare: dividere in quattro.
Spallettone: colui che fu definito mastrisso, ironica corruzione del latino magister.Si tratta di colui che vuol dimostrare d'essere onnisciente, di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie di quelli degli altri, senza farsi mai coinvolgere ma solo dispensando consigli che non poggiano né su scienza né su esperienza, ma son frutto di saccenteria. Non v'è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato. L'economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L'educazione dei figli altrui, mai dei propri? A chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli. Per ciò che riguarda l'etimologia non vi sono certezze essendo il vocabolo sconosciuto ai compilatori di vocabolarî della parlata napoletana, adusi a pescare le parole negli scritti degli autori classici e, spesso, a tenere in non cale il vivo, corrente idioma popolare. Non posso allora che proporre un'ipotesi, non supportata da riscontri storico-letterarî ma che mi pare tranquillamente perseguibile: essendo il sostrato dello spallettone la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi: a mio avviso spallettone si è formato sul verbo parlettià (ciarlare) con la classica protesi della esse intensiva partenopea, l'assimilazione regressiva della erre alla elle e l'aggiunta del suffisso accrescitivo one secondo il percorso seguente: parlettià →sparlettià→sparlettone→spallettone.
Rammenterò in chiusura che tutte le voci elencate, con la sola eccezione di spallettone possono essere usate, con cambio di suffisso, al femminile ad es.: grannezzuso/grannezzosa – favone /favona – squarcione/squarciona - sbardellone/sbardellona etc. Solo per spallettone il napoletano à coniato un corrispondente specifico per femminile che è cciaccessa derivato dal verbo ciarlare secondo il seguente percorso morfologico ciarl(are) + essa→ciarlessa da cui per il fenomeno dell’assimilazione ciaccessa e raddoppiamento espressivo della c d’avvio → cciaccessa.
Raffaele BRACALE
lunedì 30 novembre 2009
CUNTRORA
CUNTRORA
Ecco un altro vocabolo che, squisitamente partenopeo, partito dai vocabolarî della parlata napoletana, è approdato in quelli della lingua nazionale,(sebbene nella forma di controra) mantenendo inalterati i significati estensivi di siesta ( che è forse da un lat.: hora sexta), riposo pomeridiano, ciò che, per intenderci, nell’italiano mediatico (mutuato dal romanesco) si dice: pennichella (etimologicamente forse da un basso latino: pendicare).
Nel suo significato attuale la parola partenopea cuntrora (che etimologicamente viene dal latino: contra hora id est: ora contraria, avversa nel senso di inadatta al lavoro, all’applicazione e quindi da destinarsi al riposo) indica quel lasso di tempo a ridosso dell’ora meridiana, quando – specie in estate – il sole picchia piú forte e le ore sono piú calde; poiché nel meridione si è soliti pranzare intorno al suddetto orario meridiano e far seguire al pranzo il riposo, la siesta, che si fanno proprio nelle ore piú calde e meno adatte al lavoro, ecco che il termine cuntrora è passato ad indicare non più solo un certo lasso di tempo, quanto la confortevole stasi cui si è soliti dedicarsi in quel lasso di tempo: la siesta, il riposo cioè ed in tale accezione ‘a cuntrora, addolcita in controra è approdata nella lingua nazionale. In coda a tutto quanto detto rammento che la voce cuntrora (controra) fu voce antica già in uso a far tempo dalla seconda metà del seicento e mai desueta e che anticamente indicò qualcosa di leggermente diverso dalla siesta (stasi, interruzione cioè) e fu addirittura codificata e stabilita nella sua durata in riferimento soprattutto al lavoro svolto da gli operai alle dipendenze; al proposito infatti rammento che esistettero durante la giornata due controre cioè due ben precisi lassi di tempo duranti i quali gli operai dismettevano temporaneamente il lavoro per prendersi un po’ di riposo e/o rifocillarsi; l’inizio di tali controre era annunciato da nove tocchi di campane; ora premesso che anticamente il lavoro de gli operai alle dipendenze d’ un si’ masto (signor maestro/padrone) o di operaie alle dipendenze d’ una sié maesta (signora maestra/padrona) si svolgeva quotidianamente nei giorni tra la festa di san Giuseppe ed il primo lunedí di ottobre dalle sei del mattino sino alla mezzanotte, mentre negli altri mesi veniva svolto sino a due ore dopo la mezzanotte, ciò premesso dirò che la prima delle due codificate controre, quella riservata ad un breve riposo ed un modico asciolvere,si protraeva tra le ore 14 e le 16 o tra le 17 ed un’ora dopo il tramonto; la cuntrora piú lunga era quella che si protraeva tra le due ore di notte (corrispondenti alle ore 23.00) ed il mattino successivo (ore 6.00) durante la quale gli/le operai/e prendevano l’unico sostanzioso pasto della giornata ed il meritato riposo. In seguito il riposo notturno perdette il nome di cuntrora che fu mantenuto per indicare la prima stasi nel lavoro quotidiano e successivamente fu attribuito al generico riposo postprandiale, non solo a quello che si prendevano gli/le operai/e per sbocconcellare una loro merenda.
Raffaele Bracale
Ecco un altro vocabolo che, squisitamente partenopeo, partito dai vocabolarî della parlata napoletana, è approdato in quelli della lingua nazionale,(sebbene nella forma di controra) mantenendo inalterati i significati estensivi di siesta ( che è forse da un lat.: hora sexta), riposo pomeridiano, ciò che, per intenderci, nell’italiano mediatico (mutuato dal romanesco) si dice: pennichella (etimologicamente forse da un basso latino: pendicare).
Nel suo significato attuale la parola partenopea cuntrora (che etimologicamente viene dal latino: contra hora id est: ora contraria, avversa nel senso di inadatta al lavoro, all’applicazione e quindi da destinarsi al riposo) indica quel lasso di tempo a ridosso dell’ora meridiana, quando – specie in estate – il sole picchia piú forte e le ore sono piú calde; poiché nel meridione si è soliti pranzare intorno al suddetto orario meridiano e far seguire al pranzo il riposo, la siesta, che si fanno proprio nelle ore piú calde e meno adatte al lavoro, ecco che il termine cuntrora è passato ad indicare non più solo un certo lasso di tempo, quanto la confortevole stasi cui si è soliti dedicarsi in quel lasso di tempo: la siesta, il riposo cioè ed in tale accezione ‘a cuntrora, addolcita in controra è approdata nella lingua nazionale. In coda a tutto quanto detto rammento che la voce cuntrora (controra) fu voce antica già in uso a far tempo dalla seconda metà del seicento e mai desueta e che anticamente indicò qualcosa di leggermente diverso dalla siesta (stasi, interruzione cioè) e fu addirittura codificata e stabilita nella sua durata in riferimento soprattutto al lavoro svolto da gli operai alle dipendenze; al proposito infatti rammento che esistettero durante la giornata due controre cioè due ben precisi lassi di tempo duranti i quali gli operai dismettevano temporaneamente il lavoro per prendersi un po’ di riposo e/o rifocillarsi; l’inizio di tali controre era annunciato da nove tocchi di campane; ora premesso che anticamente il lavoro de gli operai alle dipendenze d’ un si’ masto (signor maestro/padrone) o di operaie alle dipendenze d’ una sié maesta (signora maestra/padrona) si svolgeva quotidianamente nei giorni tra la festa di san Giuseppe ed il primo lunedí di ottobre dalle sei del mattino sino alla mezzanotte, mentre negli altri mesi veniva svolto sino a due ore dopo la mezzanotte, ciò premesso dirò che la prima delle due codificate controre, quella riservata ad un breve riposo ed un modico asciolvere,si protraeva tra le ore 14 e le 16 o tra le 17 ed un’ora dopo il tramonto; la cuntrora piú lunga era quella che si protraeva tra le due ore di notte (corrispondenti alle ore 23.00) ed il mattino successivo (ore 6.00) durante la quale gli/le operai/e prendevano l’unico sostanzioso pasto della giornata ed il meritato riposo. In seguito il riposo notturno perdette il nome di cuntrora che fu mantenuto per indicare la prima stasi nel lavoro quotidiano e successivamente fu attribuito al generico riposo postprandiale, non solo a quello che si prendevano gli/le operai/e per sbocconcellare una loro merenda.
Raffaele Bracale
ERRORE, CANTONATA, ABBAGLIO, FESSERÍA GRANCHIO; LAPSUS & DINTORNI
ERRORE, CANTONATA, ABBAGLIO, FESSERÍA GRANCHIO; LAPSUS & DINTORNI
L’amico F.P. (al solito, mi limito ad indicare le iniziali non avendo ricevuto autorizzazione a fare per esteso nome e cognome...) si è detto molto soddisfatto di ciò che – su sua richiesta – scrissi sul termine diavolo & dintorni ed allora mi lancia una nuova sfida chiedendomi di dilungarmi sulla voce errore ed affini nonché sulle corrispondenti voci del napoletano.
Fino a che me ne sentirò capace non mi sottrarrò ad una sfida! Cominciamo; in italiano la voce piú comune usata per indicare l'allontanarsi dalla verità, dal giusto o dalla norma convenuta,o per indicare lo sbaglio, lo sproposito, nonché, in senso morale, un fallo, una colpa, un peccato, la voce piú comune – dicevo – è errore che può avere un nutrito ventaglio di riferimenti; ricorderò ad es.: errore di giudizio, di valutazione; errore di calcolo, di misura; errore di lingua, di grammatica, di stampa; fare, commettere un errore; essere, cadere, incorrere, indurre in errore; correggere gli errori | salvo errore che sta per: a meno che non vi sia qualche sbaglio involontario | per errore, per sbaglio, spec. di distrazione; in senso morale: scontare i propri errori; errori di gioventú ; nelle scienze sperimentali poi, l’errore è la differenza fra il valore vero e quello osservato: errore sistematico, quello che ricorre in tutti i casi osservati in quanto dovuto allo strumento usato, al metodo o ad imperizia; errore accidentale, casuale che è quello che dipende dal caso.
Nel diritto l’errore è la mancata o imprecisa conoscenza di un fatto o di una disposizione di legge: errore di fatto, di diritto | errore giudiziario: in un processo penale, erronea ricostruzione o interpretazione dei fatti che porta alla condanna di un innocente.
L’etimo di errore è dal lat. errore(m), deriv. di errare 'vagare, smarrirsi, sbagliarsi'.
Per la voce errore non esistono moltissimi sinonimi usati con eccezione di quelli indicati in epigrafe;ce ne sono però abbastanza usati in quanto tropi della voce errore: esamino qui di sèguito sia gli autentici sinonimi sia i tropi che però indicherò con un asterisco iniziale :
- abbaglio s. m. letteralmente (quale deverbale di abbagliare connesso con bagliore) indica
l’abbagliamento (offesa della vista per luce troppo viva) e per traslato figurato l’errore, la svista: prendere un abbaglio; cadere in un abbaglio.
- *baggianata s.f. che letteralmente sta per sciocchezza, stupidaggine, comportamento da baggiano,sciocco, credulone; va da sé che tutto ciò induca o possa indurre nello sbaglio ed ecco che la voce a margine, per tropo (qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal significato suo proprio a un altro figurato; traslato), viene usata come sinonimo di errore, sbaglio.
Etimologicamente la voce baggianata è ricavata come il termine baggiano sul s.vo baggiana= fandonia che è dal lat. baiana(m) '(fava) di Baia', città della Campania
- *balordaggine s.f. che letteralmente sta per détto o atto da balordo; sciocchezza, insensatezza che in quanto tali inducono o possono indurre nello sbaglio; anche in questo caso ci troviamo ad avere a che fare con un sinonimo ottenuto per traslazione metonimica; quanto all’etimo la voce balordaggine è ricavata marcandola sulla voce balordo= 1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante);
- cantonata s. f. . è un denominale di canto( che è dal lat. tardo canthu(m), derivato dal gr. kanthós 'angolo dell'occhio') indica l’angolo formato all'esterno, da due muri che s'incontrano e dunque indica appunto l’angolo formato dai muri esterni di una casa fra una strada e un'altra (per l’incotro interno di due muri s’usa la voce canto oppure angolo; mettiti in quel canto e sta’ fermo! | nell’espressione prendere una cantonata,quest’ultima figuratamente vale grosso errore, e tutta l’espressione sta per prendere un abbaglio, incorrere in un colpevole sbaglio quale quello (donde trasse l’espressione) di chi facesse urtare una ruota del proprio carro contro l'angolo della via, nel prendere una curva troppo stretta.
*cretinata s.f. che letteralmente sta per 1 frase o azione da cretino; 2 cosa da nulla, di poco valore, facilissima. L’accezione sub 1 come le precedenti baggianata,balordaggine à dato luogo al tropo che ci occupa per cui cretinata à finito per indicare un errore, uno sbaglio tanto piú grave in quanto originato da una cosa da nulla, di poco valore, facilissima; quanto all’etimo cretinata è ricavata marcandola sulla voce cretino= 1 persona sciocca o stupida (dal franco-provenz. crétin, propr. 'cristiano', che, usato dapprima nel significato di 'povero cristiano, poveraccio', à poi assunto valore spregiativo);
*corbellería s.f. che letteralmente sta per stupidaggine, sproposito, poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole; quanto all’etimo corbellería è ricavata marcandola sulla voce corbello che (quale diminutivo del lat. corba(m)) indica in primis un cesto rotondo di vimini o di strisce di legno intrecciate; anche, quanto in esso è contenuto: un corbello di fichi, ma poi per traslato gergale e/o furbesco usato al plurale (i corbelli) indica i testicoli ed è questa accezione che à dato luogo al tropo che ci occupa.
- fessería s.f. sciocchezza, quisquilia, errore da poco,scusabile stupidaggine voce marcata (vedi oltre) sia pure con un insulso aggiustamento sul napoletano fessaría.
- granchio s. m. derivato da una lettura metatetica del lat. cancer –cri con sostituzione di comodo della occlusiva velare sonora g al posto della piú aspra e dura occlusiva velare sorda c; è voce che à varie accezioni:
- 1) (zool.) Nome delle circa 4500 specie di crostacei decapodi brachiuri, diffusi in tutto il mondo, per lo piú marini ma anche dulcacquicoli e terrestri, di dimensioni variabili da pochi cm a oltre 3,50 m, con addome corto e ripiegato sotto il carapace e chele robuste: g. comune (Carcinus maenas), diffuso sulle coste italiane; g. di fiume (Potamon fluviatile), delle acque dolci dell'Italia e dei Balcani.
- 2) ( per estens., tecn.)
a) il cuneo bipenne opposto a quello battente del martello da falegname, cuneo bipenne usato per estrarre chiodi. b) Ferro conficcato sul banco del falegname, contro il quale si tiene fermo il legno da piallare.
- 3) ed è l’accezione che ci occupa (fig., fam.) Errore, sbaglio causato da un equivoco: prendere un granchio.
- 4) (ant.) La costellazione del Cancro.
- 5) usato impropriamente (pop.) quale sinonimo di crampo.
*idiozia s.f. che letteralmente sta per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da idiota, stupidaggine, sproposito, comportamento da idiota e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole; quanto all’etimo idiozia è ricavata marcandola sulla voce idiota = stupido, deficiente, rozzo, incolto, voce che è dal lat. idiota(m) 'ignorante', che è dal gr. idiótís, deriv. di ídios, nel sign. di '(uomo) privato', che come tale è considerato 'incompetente, inesperto' rispetto a chi riveste incarichi pubblici
- lapsus s. m. invar. errore involontario verbale o di scrittura propr. "inceppamento, caduta", derivato dal lat. labi "scivolare", part. pass. lapsus – Si tratta cioè di un piccolo sbaglio non volontario, verbale o di scrittura, consistente nel sostituire un suono o una parola intera o scrivere una lettera invece di un'altra, nella fusione di due o piú parole in una sola, ecc., al quale, per S. Freud e la psicanalisi, bisogna attribuire un significato inconscio: scusa, è stato un lapsus! Espressioni usate: lapsus calami (lett. errore di penna= errore di scrittura), lapsus linguae letteralmente "errore di lingua= del parlato) che designano appunto il lapsus nello scrivere e nel parlare; infine lapsus freudiano: quello dovuto a motivi inconsci.
*scemenza s.f. che letteralmente sta per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da scemo, banalità, stupidaggine, sproposito, comportamento da scemo e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole in quanto generato da una banalità; quanto all’etimo scemenza è ricavata marcandola ovviamente sulla voce scemo = che à o denota poco senno; sciocco, insulso, che è privo di senso, stupido, voce che è deverbale del lat. volg. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'; anche per le successive tre voci ci troviamo difronte a tre s.vi f.le che letteralmente stanno per stupidità, imbecillità; azioni rispettivamente da sciocco, da stupido o da stolto , banalità, stupidaggini, spropositi, comportamenti sciocchi, ottusi, cretini etc. tali da poter – per traslato – esser détti errori, sbagli gravi e colpevoli in quanto generati da insulsaggini, insipidezze, scipitezze comportamentali; rispettivamente quanto a gli etimi
*sciocchezza è marcato sul s.vo sciocco = poco intelligente (dal lat. exsuccu(m) 'privo di sugo', comp. di ex-, con valore privativo, e succus 'sugo, sapore'),*stupidaggine è marcato sul s.vo stupido =tardo nel comprendere, ottuso di mente, deficiente, idiota, imbecille (dal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire') ed infine*stoltezza è marcato sul s.vo stolto = persona, che dimostra poca intelligenza; sciocco, stupido (dal lat. stultu(m)).
Esaurite ad un dipresso le voci dell’italiano, passiamo alle piú numerose voci del napoletano dove abbiamo:
-fessaría s. f. che letteralmente vale errore di poco conto, ed estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione insulsa tipica dello sciocco; la voce a margine deriva forse da fesso con il suff. arius→aro + il suff. astratto tonico ía; epperò non gli dovrebbe essere comunque estranea, come reputo e morfologicamente piú vicina la voce fessa (l’organo sessuale femminile esterno) ( part. pass. del verbo latino findere) dalla fessaría (da fessa+ aría da arius) sciocchezza, stupidata, deriva la toscana fessería di significato analogo).In chiusura faccio notare la solita incomprensibile, stupida mutazione che opera il toscano trasformando una A etimologica (da fessa→ fessaría) per adottare una piú chiusa E (fessaría vien cioè trasformata in fessería) forse nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?!) lingua di Alighieri Dante…
In ogni caso con la voce fesso (dell’italiano e del napoletano) derivato attraverso il sign. del femm. fessa dell'Italia merid., pop. si indica l’imbecille, lo sciocco quello cioè capace di errori di poco o molto conto, ed ancóra estensivamente sciocchezze, stupidaggini, azioni insulse etc. Rammento talune espressioni popolari in uso sia nella lingua nazionale che nel napoletano: fare fesso, m’hê fatto fesso : riferito a persona, ingannarla: mi vuoi proprio fare fesso? fam., fare il fesso/ fà ‘o fesso, fare lo spiritoso, o anche il temerario. Dim. fessacchiotto, scherz si indica lo sciocco,il balordo , voce in ogni caso da far risalire al lat. fissu(m), part. pass. di findere 'fendere').
-marrone s. m. . che letteralmente vale grosso errore, sbaglio di gran conto, ed estensivamente addirittura sproposito; la voce a margine è presente pure nell’italiano con un ampio ventaglio di significati che sono:
1)Bestia che guida il branco,
2) (equit.) Cavallo anziano che deve servire di esempio al puledro da ammansire,
3) (ant.) Guida alpina.,
4)(bot.) Nome di una varietà pregiata del frutto di castagno (Castanea sativa), generalm. piú grande della castagna comune,
5) volgarmente testicolo,
6) Il colore tipico, bruno rossiccio, del guscio delle castagne 7) come per il napoletano (e forse da esso mutuato), ma d’uso rarissimo e solo letterario errore grave, sproposito.
Non di facilissima comprensione le strade semantiche seguíte nell’italiano per approdare a tanti significati diversi, né semplicissimo indicare un eventuale etimo della voce italiana (esercizio forse inutile atteso che a mio avviso il marrone dell’italiano è mutuato (vedi oltre) sul napoletano); ad ogni buon conto dirò che per il marrone dell’italiano qualcuno propose il tardo greco *màraon, altri vi vedono una voce indigena usata pure come nome proprio Virgilio Marone altri ancóra vi leggono una radice celtica mar= grande, grosso che forse ben si può attagliare al cavallo piú vecchio e/o grande che guida il branco o a quello piú capace usato a mo’ d’esempio nell’addestramento dei puledri, alla castagna piú grande .
Quanto al marrone napoletano, atteso che la reputo una voce affatto originaria e non mutuata dall’italiano,anzi voce che al contrario, l’italiano à preso in prestito dal napoletano (rammenterò al proposito che l’italiano à l’espressione cogliere in castagna per indicare cogliere in errore espressione dalla quale si evince l’esistenza del duplice significato di marrone che vale in italiano e nel napoletano grossa castagna ed errore marchiano); ripeto che quanto al marrone napoletano penso che etimologicamente sia da collegarsi all’ant. francese marrir= confondersi, smarrirsi o piú ancóra allo spagnolo marrar= errare, attraverso il sost. marro= errore addizionato del suff. accrescitivo one.
-nguacchio/nquacchio s.m. La parola a margine ,(si tratta infatti di un solo termine, reso con due diverse grafie: una volta con l'occlusiva velare sonora(g) ed una volta con l’occlusiva velare sorda (q)), nel suo significato primo di bruttura, lordura, sudiciume e poi in quello estensivo di piccolo involontario errore risulta essere – quanto al suo etimo – un deverbale di nguacchià/nquacchià voci tutte di origini onomatopeiche; i verbi ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola in epigrafe fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e/o macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni, divenne desueta anche la parola nguacchio/nquacchio ed essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quindi l’involontario errore, quanto quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la parola napoletana nguacchio o nquacchio oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni di pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú corredati vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio; ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/nquacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro, fatti che sostanziano in ogni caso un errore (ovunque e sempre occorrono misura e moderazione, secondo il détto: l’esagerazione è difetto!); molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionarî della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana e di taluni soloni linguisti che la fanno, i quali considerano (cfr. Treccani – Garzanti etc.) il verbo inguacchiare napoletano, ma fanno italiana la voce inguacchio che è derivata di inguacchiare!
Proseguiamo e troviamo
-pistacchiata s.f. letteralmente la pistacchiata è una sorta di untuosa cremina ad uso di pasticceria ricavata dalla pestatura di pistacchi sgusciati e tostati, ma - prendendo a prestito l’immagine di questa crema - si indicarono i contenuti errori presenti sui quaderni dei bambini della scuola primaria, errori spesso accompagnati da una qualche macchia d’inchiostro (cfr. la voce precedente); per traslato ed ampliamento semantico la voce a margine vale sbaglio, strafalcione ed anche sproposito, svarione; quanto all’etimo la voce pistacchiata è da collegarsi alla voce pistacchio dal lat. pistaciu(m), che è dal gr. pistákion. A margine di questa voce rammenterò che essa voce nel parlar becero, quando non addirittura triviale, di talune zone della città bassa, sulla bocca del popolino, sia pure nei medesimi significati, veniva e talora ancóra viene corrotta in picchiaccata o pucchiaccata voci derivate dritto per dritto da pucchiacca/ purchiacca che (con etimo dal greco pýr+k(o)leacca←*cljacca) sta per fodero di fuoco ed è uno dei modi piú volgari, ma icastici usati per indicare l’organo sessuale esterno della riproduzione femminile.E non faccia meraviglia l’accostamento divertente tra le voci pucchiacca/ purchiacca→picchiaccata o pucchiaccata ed un tipo di errore; in fondo è il medesimo accostamento che corre tra un piccolo errore e la parola fessaria che è da fessa.
-rancefellone s m. eccoci ad un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un grande sbaglio, un colpevole strafalcione ed anche un’ azione o parola inopportuna, fatta o detta a sproposito, uno svarione volontario ; letteralmente infatti con la voce a margine si indica un tipo di granchio, détto granciporro e semanticamente la connessione tra il colpevole sbaglio e questo granchio grosso, è da cercarsi nel fatto che questo granchio-traditore (vedi oltre) se toccato,può diventare pericoloso e procurare lesioni dolorose alla medesima stregua d’un colpevole sbaglio che può lasciare il segno! Quanto all’etimo rancefellone risulta essere l’agglutinazione della voce rance (da una lettura metatetica del lat. cànceru(m)→*(c)rance(um) + la voce fellone= traditore con molta probabilità da un antico franco félon ma forse piú probabilmente dall’antico sassone félen odonde un lat. med. fello/fellonis→fellone(m) (Du Cange).
-rapata s.f. voce che vale corbelleria, insulsaggine, banalità sciocchezza e come tale usata per indicare gli i piccoli, perdonabili errori comportamentamentali degli adolescenti e dei ragazzi; la voce a margine è un derivato di rapa voce che è dal lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi inteso f. sing. e che indica, nel linguaggio figurato una persona non ancóra matura, di scarsa intelligenza, tale da mettere in essere corbellerie, insulsaggini, banalità e sciocchezze.
-sbalanzone s.m. un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un eccezionale sbaglio, un colpevole grande strafalcione un grave sproposito, un importate svarione volontario tutti errori capaci di procurar danno ; letteralmente con la voce a margine si indica uno spintone un urtone operato in danno di persona anziana che da detta spinta e/o urto può subire conseguenze dannose.
Son proprie queste conseguenze dannose il trait d’union logico e semantico tra lo sbalanzone-urto e lo sbalanzone-sproposito. Etimologicamente la voce a margine è un derivato dalla voce valanza (dal lat. bislanx=dal doppio piatto) addizionata della tipica s qui distrattiva e del suff. accrescitivo one; ò parlato di s distrattiva che qui vale quasi ex in quanto in origine con la voce sbalanzone si indicò quel tipico colpo assestato ad uno dei piatti della bilancia per scuoter via un po’ delle granaglie eccedenti il peso voluto.
-sbarione s. m. cretinata, errore stupido dovuto a vaneggiamento, innocente grulleria da attribuirsi ad improvviso delirare, incolpevole idiozia dovuta forse ad uno stato febbrile; la voce a margine risulta un deverbale di sbarià verbo intran.vo che vale: vaneggiare, farneticare, delirare (cfr. sbarià cu ‘a capa!= applicarsi ad altro, eludere pensieri serî etc.) sbarià con la consueta alternanza b/v è dal lat. *s +variare, deriv. di varius 'vario'.
-scemaría s.f. che letteralmente sta per per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da scemo, banalità, stupidaggine, sproposito, comportamento da scemo e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole in quanto generato da una banalità; quanto all’etimo scemaría è ricavata marcandola ovviamente sulla voce scemo = che à o denota poco senno; sciocco, insulso, che è privo di senso, stupido, voce che è deverbale del lat. volg. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'; anche per le successive tre voci ci troviamo difronte a tre s.vi f.le che letteralmente stanno per stupidità, imbecillità; azioni rispettivamente da sciocco, da stupido o da stolto , banalità, stupidaggini, spropositi, comportamenti sciocchi, ottusi, cretini etc. tali da poter – per traslato – esser détti errori, sbagli gravi e colpevoli in quanto generati da insulsaggini, insipidezze, scipitezze comportamentali; rammento al proposito che fino alla fine degli anni ’50 del 1900 nel parlato popolare della città bassa la voce scemaría indicò oltre che un errore, uno sproposito, una sciocchezza anche una casa di cura (Scemaría ‘e Miano?) dove venivano ricoverati gli adolescenti con gravi problemi di apprendimento e/o comportamentali;
-scunnietto s. m. che indica una grossa idiozia,un involontario sbaglio, una minchioneria volgarmente détta anche cazzata dovuti però ad improvvisi e transeunti stati di non raziocinio,di dissociazione mentale e pertanto scusabili, se non perdonabili; la voce a margine è etimologicamente un deverbale di scunnettïà esatto opposto di cunnettïà = unire, associare, legare, correlare con la protesi di una s, qui distrattiva, che ne inverte il significato e pertanto scunnettïà vale disunire, dissociare, slegare, non cogliere le correlazioni tra cose e/o tra cause ed effetti. A margine rammenterò che per traslato e/o ampliamento semantico la voce a margine in talune occasioni sta per oscenità, parola oscena. Ad un dipresso ciò che accade per la voce seguente che in primis valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato ebbe altri significati.
-scuntrufo/scuntrufolo s.m. in doppia morfologia leggermente variata: nella seconda è leggibile il suffisso diminutivo olus→olo ma sostanzialmente la parola è la medesima ed in primis (cosí come attestato nel D’Ambra e nell’Andreoli valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato errore irrispettoso, caso, combinazione erronei, scontro forse con riferimento all’etimologia che è da cercare in un deverbale di scuntrà= urtare, mettersi all’opposto di, cozzare violentemente contro qualcosa, verbo che è derivato da ‘ncuntrà con cambio di prefisso; al verbo scuntrà per ottenere le voci a marigine sono stati aggiunti rispettivamente i suffissi ufo o il suff. dim. ufolo suffissi sui quali – prima o poi cercherò d’essere piú preciso; per ora mi sono arreso non avendone trovato riscontro nel Rohlfs (libro sacro dei suffissi!),
-smuccaría/ smucchezza s.f. che letteralmente sta per
-stracchimpacchio s.m. grossa melensaggine,errore marchiano, enorme goffaggine dovuti a comportamenti abborracciati, precipitosi e/o raffazzonati e non accompagnati da attenzione, raziocinio e/o misura; quanto al suo etimo (atteso che nessuno dei calepini etimologici della parlata napoletana ne prende conto) non posso che formulare la mia ipotesi per la quale la voce a margine m’appare ragionevolmente costruita quale deverbale (mpacchio = errore, svarione, ma anche imbroglio, sudiciume,inganno) derivato di nguacchià/nquacchià adattati in mpacchià con protesi di un (e)xtra→stra + una sillaba cchi sillaba d’allungamento espressivo, voci tutte di origini onomatopeiche costruite su di un suono: nguacc/nquacc (faccio notare che la enne d’avvio del suono suddetto à valore eufonico e non è il residuo di un in illativo, per cui non necessita di un segno diacritico d’avvio e correttamente si dovrà scrivere nguacchio/nquacchio o nguacchià/nquacchià e poi mpacchià e non ‘nguacchio/’nquacchio/’mpacchio o ‘nguacchià/’nquacchià e poi ‘mpacchià) ; i verbi nguacchià/nquacchià ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola nguacchio/nquacchio fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni,divenne desueta anche la parola nguacchio/nquacchio essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quando quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la voce mpacchio s’ebbe in primis il significato di imbroglio, sudiciume,inganno e successivamente valse errore, svarione che divennero grandi attraverso la prostesi di stra→stracchimpacchio) rammento altresí che tali sgorbi un tempo s’ebbero il nome alternativo di cerefuoglio voce dal lat. caere(folium) che indica oltre che la pianta delle ombrellifere anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta e ancóra i vezzi, le moine le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson ricondursi altresí alle bizzarríe,alle stranezze bizzose che, sia detto per incidens, vengono ricordate con la voce cerenfrúscolo s.m. voce ormai desueta, ma registrata da tutti calepini d’antan nel significato primo di bagattella, minuzia, sciocchezza ed in quello (per estensione ed ampliamento semantico) di bizzarria, stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio;torniamo ad occuparci della parola napoletana nguacchio o nquacchio che oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine la deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú cospicui vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio incorrendo però nell’errore di ricostruire in modo abborracciato una voce leggendo nella enne d’attacco del napoletano nguacchio il residuo di un inesistente in (illativo); ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/nquacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro; molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionarî della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana!
-straverio/streverio s. m. antica voce attestata passim in ambedue le morfologie nel significato primo di cosa eccedente la realtà, sproposito e quindi grosso errore, marchiana fanfaluca, madornale ciancia, spropositata frottola, grossolana sciocchezza, assurdità colossale; l’etimo, checché ne abbia détto il fu D’Ascoli che fantasiosamente ipotizzò un deverbale di stravedé/straveré (ma fu lui ad ipotizzare la faccenda? In effetti non penso che fosse farina del suo sacco,bensí il parto di uno dei tanti negri che lo aiutavano a stendere i suoi numerosi libri ai quali – complice la senescenza – egli non potette dare tutta la cura e l’attenzione di cui abbisognavano... lasciando correre molte inesattezze e/o fantasie!) l’etimo – dicevo – a mio avviso è dal lat. extra-verum→straveru(m)→straverio;
-stroppola s.f. che letteralmente sta per filastrocca ed estensivamente baggianata, sciocchezza, errore dovuto a stupidità, idiozia, imbecillità, cretineria, stoltezza, scempiaggine; l’etimo è un diminutivo (cfr. il suff. ola) del llat. tardo stropha(m), che è dal gr. strophé, propr. 'voltata, evoluzione (del coro intorno alla timele)', deriv. di stréphein 'volgersi’ ma anche cavillo, pretesto, imbroglio;
-stupetezza s.f. che letteralmente sta per
-trummunata s.f. che letteralmente sta per trombonata, spacconata, smargiassata. e per traslato ed ampliamento semantico vale sesquipedale sproposito, immane sciocchezza, enorme cretinata, fesseria spropositata stupidaggine madornale il tutto in linea con la parole da cui deriva che non è il trombone strumento a fiato di ottone, simile alla tromba ma di maggiori dimensioni e tonalità piú bassa, normalmente dotato di pistoni o di coulisse, strumento che quantunque piú grosso della tromba, non raggiunge misure tali da esser presa a modello per tutti i significati surriportati; la voce da cui deriva trummunata è trummone che in napoletano indica sí il trombone strumento a fiato, ma indica altresí una grossa botticella lignea cilindrica, bordata di metallo,dotata di zipolo, incerneriata su i due lati opposti della circonferenza centrale, per poter comodamente ondeggiare basculando; in tale contenitore di grande capacità veniva conservata la caretteristica acqua zuffregna/zurfegna= acqua sulfurea e la capicità del trummone era ben maggiore di quella delle cosiddette mmummare in cui pure si conservava l’acqua per la vendita al minuto; il trummone era agganciato sul ripiano laterale delle cosiddette banche ‘e ll’acqua= banchetti di mescita di acqua ed altre bevande)
La voce mmummara s.vo f.le = grande vaso di creta per acqua o vino viene dal neutro pl. greco bombýlia poi fem.le sg. con cambio di suffisso e dissimilazione *bommara→mmommera→mmummera mentre la voce zuffregna/zurfegna trae da un acc.vo lat. aqua(m)sulphurínea(m)→suphrínja→surphínja→ surfegna→zurfegna con raddoppiamento espressivo della fricativa labiodentale sorda e metatesi della liquida zuffregna;
per trummone da cui trummunata, occorre pensare forse ad un lemma onomatopeico con riferimento ad un’iniziale tromma + un suff. accrescitivo, benché la voce a margine non abbia nulla a che spartire – come ò detto - con gli strumenti musicali a fiato tromba e trombone quantunque (per la sua forma panciutamente cilindrica) ‘o trummone ‘e ll’acqua è simile al grosso bombardino strumento a fiato di ottone, usato nelle bande; flicorno baritono, impropriamente détto trombone→trummone.
-zzarro svarione, errore non segnatamente volontario dovuto ad un improvviso, quanto imprevisto impedimento (cfr. l’espressione piglià 'nu -zzarro che vale errare, prendere un abbaglio,incorrere in un impedimento, inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; per l’etimo la voce zzarro deriva dall'arabo zahr (dado- sasso sporgente).
E qui penso di poter far punto avendo – a mio avviso – esaurito l’argomento, nella speranza d’avere accontentato, o - quanto meno - interessato l’amico F.P. e chi altro dovesse leggermi. Satis est.
Raffaele Bracale
L’amico F.P. (al solito, mi limito ad indicare le iniziali non avendo ricevuto autorizzazione a fare per esteso nome e cognome...) si è detto molto soddisfatto di ciò che – su sua richiesta – scrissi sul termine diavolo & dintorni ed allora mi lancia una nuova sfida chiedendomi di dilungarmi sulla voce errore ed affini nonché sulle corrispondenti voci del napoletano.
Fino a che me ne sentirò capace non mi sottrarrò ad una sfida! Cominciamo; in italiano la voce piú comune usata per indicare l'allontanarsi dalla verità, dal giusto o dalla norma convenuta,o per indicare lo sbaglio, lo sproposito, nonché, in senso morale, un fallo, una colpa, un peccato, la voce piú comune – dicevo – è errore che può avere un nutrito ventaglio di riferimenti; ricorderò ad es.: errore di giudizio, di valutazione; errore di calcolo, di misura; errore di lingua, di grammatica, di stampa; fare, commettere un errore; essere, cadere, incorrere, indurre in errore; correggere gli errori | salvo errore che sta per: a meno che non vi sia qualche sbaglio involontario | per errore, per sbaglio, spec. di distrazione; in senso morale: scontare i propri errori; errori di gioventú ; nelle scienze sperimentali poi, l’errore è la differenza fra il valore vero e quello osservato: errore sistematico, quello che ricorre in tutti i casi osservati in quanto dovuto allo strumento usato, al metodo o ad imperizia; errore accidentale, casuale che è quello che dipende dal caso.
Nel diritto l’errore è la mancata o imprecisa conoscenza di un fatto o di una disposizione di legge: errore di fatto, di diritto | errore giudiziario: in un processo penale, erronea ricostruzione o interpretazione dei fatti che porta alla condanna di un innocente.
L’etimo di errore è dal lat. errore(m), deriv. di errare 'vagare, smarrirsi, sbagliarsi'.
Per la voce errore non esistono moltissimi sinonimi usati con eccezione di quelli indicati in epigrafe;ce ne sono però abbastanza usati in quanto tropi della voce errore: esamino qui di sèguito sia gli autentici sinonimi sia i tropi che però indicherò con un asterisco iniziale :
- abbaglio s. m. letteralmente (quale deverbale di abbagliare connesso con bagliore) indica
l’abbagliamento (offesa della vista per luce troppo viva) e per traslato figurato l’errore, la svista: prendere un abbaglio; cadere in un abbaglio.
- *baggianata s.f. che letteralmente sta per sciocchezza, stupidaggine, comportamento da baggiano,sciocco, credulone; va da sé che tutto ciò induca o possa indurre nello sbaglio ed ecco che la voce a margine, per tropo (qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal significato suo proprio a un altro figurato; traslato), viene usata come sinonimo di errore, sbaglio.
Etimologicamente la voce baggianata è ricavata come il termine baggiano sul s.vo baggiana= fandonia che è dal lat. baiana(m) '(fava) di Baia', città della Campania
- *balordaggine s.f. che letteralmente sta per détto o atto da balordo; sciocchezza, insensatezza che in quanto tali inducono o possono indurre nello sbaglio; anche in questo caso ci troviamo ad avere a che fare con un sinonimo ottenuto per traslazione metonimica; quanto all’etimo la voce balordaggine è ricavata marcandola sulla voce balordo= 1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante);
- cantonata s. f. . è un denominale di canto( che è dal lat. tardo canthu(m), derivato dal gr. kanthós 'angolo dell'occhio') indica l’angolo formato all'esterno, da due muri che s'incontrano e dunque indica appunto l’angolo formato dai muri esterni di una casa fra una strada e un'altra (per l’incotro interno di due muri s’usa la voce canto oppure angolo; mettiti in quel canto e sta’ fermo! | nell’espressione prendere una cantonata,quest’ultima figuratamente vale grosso errore, e tutta l’espressione sta per prendere un abbaglio, incorrere in un colpevole sbaglio quale quello (donde trasse l’espressione) di chi facesse urtare una ruota del proprio carro contro l'angolo della via, nel prendere una curva troppo stretta.
*cretinata s.f. che letteralmente sta per 1 frase o azione da cretino; 2 cosa da nulla, di poco valore, facilissima. L’accezione sub 1 come le precedenti baggianata,balordaggine à dato luogo al tropo che ci occupa per cui cretinata à finito per indicare un errore, uno sbaglio tanto piú grave in quanto originato da una cosa da nulla, di poco valore, facilissima; quanto all’etimo cretinata è ricavata marcandola sulla voce cretino= 1 persona sciocca o stupida (dal franco-provenz. crétin, propr. 'cristiano', che, usato dapprima nel significato di 'povero cristiano, poveraccio', à poi assunto valore spregiativo);
*corbellería s.f. che letteralmente sta per stupidaggine, sproposito, poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole; quanto all’etimo corbellería è ricavata marcandola sulla voce corbello che (quale diminutivo del lat. corba(m)) indica in primis un cesto rotondo di vimini o di strisce di legno intrecciate; anche, quanto in esso è contenuto: un corbello di fichi, ma poi per traslato gergale e/o furbesco usato al plurale (i corbelli) indica i testicoli ed è questa accezione che à dato luogo al tropo che ci occupa.
- fessería s.f. sciocchezza, quisquilia, errore da poco,scusabile stupidaggine voce marcata (vedi oltre) sia pure con un insulso aggiustamento sul napoletano fessaría.
- granchio s. m. derivato da una lettura metatetica del lat. cancer –cri con sostituzione di comodo della occlusiva velare sonora g al posto della piú aspra e dura occlusiva velare sorda c; è voce che à varie accezioni:
- 1) (zool.) Nome delle circa 4500 specie di crostacei decapodi brachiuri, diffusi in tutto il mondo, per lo piú marini ma anche dulcacquicoli e terrestri, di dimensioni variabili da pochi cm a oltre 3,50 m, con addome corto e ripiegato sotto il carapace e chele robuste: g. comune (Carcinus maenas), diffuso sulle coste italiane; g. di fiume (Potamon fluviatile), delle acque dolci dell'Italia e dei Balcani.
- 2) ( per estens., tecn.)
a) il cuneo bipenne opposto a quello battente del martello da falegname, cuneo bipenne usato per estrarre chiodi. b) Ferro conficcato sul banco del falegname, contro il quale si tiene fermo il legno da piallare.
- 3) ed è l’accezione che ci occupa (fig., fam.) Errore, sbaglio causato da un equivoco: prendere un granchio.
- 4) (ant.) La costellazione del Cancro.
- 5) usato impropriamente (pop.) quale sinonimo di crampo.
*idiozia s.f. che letteralmente sta per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da idiota, stupidaggine, sproposito, comportamento da idiota e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole; quanto all’etimo idiozia è ricavata marcandola sulla voce idiota = stupido, deficiente, rozzo, incolto, voce che è dal lat. idiota(m) 'ignorante', che è dal gr. idiótís, deriv. di ídios, nel sign. di '(uomo) privato', che come tale è considerato 'incompetente, inesperto' rispetto a chi riveste incarichi pubblici
- lapsus s. m. invar. errore involontario verbale o di scrittura propr. "inceppamento, caduta", derivato dal lat. labi "scivolare", part. pass. lapsus – Si tratta cioè di un piccolo sbaglio non volontario, verbale o di scrittura, consistente nel sostituire un suono o una parola intera o scrivere una lettera invece di un'altra, nella fusione di due o piú parole in una sola, ecc., al quale, per S. Freud e la psicanalisi, bisogna attribuire un significato inconscio: scusa, è stato un lapsus! Espressioni usate: lapsus calami (lett. errore di penna= errore di scrittura), lapsus linguae letteralmente "errore di lingua= del parlato) che designano appunto il lapsus nello scrivere e nel parlare; infine lapsus freudiano: quello dovuto a motivi inconsci.
*scemenza s.f. che letteralmente sta per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da scemo, banalità, stupidaggine, sproposito, comportamento da scemo e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole in quanto generato da una banalità; quanto all’etimo scemenza è ricavata marcandola ovviamente sulla voce scemo = che à o denota poco senno; sciocco, insulso, che è privo di senso, stupido, voce che è deverbale del lat. volg. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'; anche per le successive tre voci ci troviamo difronte a tre s.vi f.le che letteralmente stanno per stupidità, imbecillità; azioni rispettivamente da sciocco, da stupido o da stolto , banalità, stupidaggini, spropositi, comportamenti sciocchi, ottusi, cretini etc. tali da poter – per traslato – esser détti errori, sbagli gravi e colpevoli in quanto generati da insulsaggini, insipidezze, scipitezze comportamentali; rispettivamente quanto a gli etimi
*sciocchezza è marcato sul s.vo sciocco = poco intelligente (dal lat. exsuccu(m) 'privo di sugo', comp. di ex-, con valore privativo, e succus 'sugo, sapore'),*stupidaggine è marcato sul s.vo stupido =tardo nel comprendere, ottuso di mente, deficiente, idiota, imbecille (dal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire') ed infine*stoltezza è marcato sul s.vo stolto = persona, che dimostra poca intelligenza; sciocco, stupido (dal lat. stultu(m)).
Esaurite ad un dipresso le voci dell’italiano, passiamo alle piú numerose voci del napoletano dove abbiamo:
-fessaría s. f. che letteralmente vale errore di poco conto, ed estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione insulsa tipica dello sciocco; la voce a margine deriva forse da fesso con il suff. arius→aro + il suff. astratto tonico ía; epperò non gli dovrebbe essere comunque estranea, come reputo e morfologicamente piú vicina la voce fessa (l’organo sessuale femminile esterno) ( part. pass. del verbo latino findere) dalla fessaría (da fessa+ aría da arius) sciocchezza, stupidata, deriva la toscana fessería di significato analogo).In chiusura faccio notare la solita incomprensibile, stupida mutazione che opera il toscano trasformando una A etimologica (da fessa→ fessaría) per adottare una piú chiusa E (fessaría vien cioè trasformata in fessería) forse nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?!) lingua di Alighieri Dante…
In ogni caso con la voce fesso (dell’italiano e del napoletano) derivato attraverso il sign. del femm. fessa dell'Italia merid., pop. si indica l’imbecille, lo sciocco quello cioè capace di errori di poco o molto conto, ed ancóra estensivamente sciocchezze, stupidaggini, azioni insulse etc. Rammento talune espressioni popolari in uso sia nella lingua nazionale che nel napoletano: fare fesso, m’hê fatto fesso : riferito a persona, ingannarla: mi vuoi proprio fare fesso? fam., fare il fesso/ fà ‘o fesso, fare lo spiritoso, o anche il temerario. Dim. fessacchiotto, scherz si indica lo sciocco,il balordo , voce in ogni caso da far risalire al lat. fissu(m), part. pass. di findere 'fendere').
-marrone s. m. . che letteralmente vale grosso errore, sbaglio di gran conto, ed estensivamente addirittura sproposito; la voce a margine è presente pure nell’italiano con un ampio ventaglio di significati che sono:
1)Bestia che guida il branco,
2) (equit.) Cavallo anziano che deve servire di esempio al puledro da ammansire,
3) (ant.) Guida alpina.,
4)(bot.) Nome di una varietà pregiata del frutto di castagno (Castanea sativa), generalm. piú grande della castagna comune,
5) volgarmente testicolo,
6) Il colore tipico, bruno rossiccio, del guscio delle castagne 7) come per il napoletano (e forse da esso mutuato), ma d’uso rarissimo e solo letterario errore grave, sproposito.
Non di facilissima comprensione le strade semantiche seguíte nell’italiano per approdare a tanti significati diversi, né semplicissimo indicare un eventuale etimo della voce italiana (esercizio forse inutile atteso che a mio avviso il marrone dell’italiano è mutuato (vedi oltre) sul napoletano); ad ogni buon conto dirò che per il marrone dell’italiano qualcuno propose il tardo greco *màraon, altri vi vedono una voce indigena usata pure come nome proprio Virgilio Marone altri ancóra vi leggono una radice celtica mar= grande, grosso che forse ben si può attagliare al cavallo piú vecchio e/o grande che guida il branco o a quello piú capace usato a mo’ d’esempio nell’addestramento dei puledri, alla castagna piú grande .
Quanto al marrone napoletano, atteso che la reputo una voce affatto originaria e non mutuata dall’italiano,anzi voce che al contrario, l’italiano à preso in prestito dal napoletano (rammenterò al proposito che l’italiano à l’espressione cogliere in castagna per indicare cogliere in errore espressione dalla quale si evince l’esistenza del duplice significato di marrone che vale in italiano e nel napoletano grossa castagna ed errore marchiano); ripeto che quanto al marrone napoletano penso che etimologicamente sia da collegarsi all’ant. francese marrir= confondersi, smarrirsi o piú ancóra allo spagnolo marrar= errare, attraverso il sost. marro= errore addizionato del suff. accrescitivo one.
-nguacchio/nquacchio s.m. La parola a margine ,(si tratta infatti di un solo termine, reso con due diverse grafie: una volta con l'occlusiva velare sonora(g) ed una volta con l’occlusiva velare sorda (q)), nel suo significato primo di bruttura, lordura, sudiciume e poi in quello estensivo di piccolo involontario errore risulta essere – quanto al suo etimo – un deverbale di nguacchià/nquacchià voci tutte di origini onomatopeiche; i verbi ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola in epigrafe fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e/o macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni, divenne desueta anche la parola nguacchio/nquacchio ed essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quindi l’involontario errore, quanto quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la parola napoletana nguacchio o nquacchio oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni di pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú corredati vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio; ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/nquacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro, fatti che sostanziano in ogni caso un errore (ovunque e sempre occorrono misura e moderazione, secondo il détto: l’esagerazione è difetto!); molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionarî della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana e di taluni soloni linguisti che la fanno, i quali considerano (cfr. Treccani – Garzanti etc.) il verbo inguacchiare napoletano, ma fanno italiana la voce inguacchio che è derivata di inguacchiare!
Proseguiamo e troviamo
-pistacchiata s.f. letteralmente la pistacchiata è una sorta di untuosa cremina ad uso di pasticceria ricavata dalla pestatura di pistacchi sgusciati e tostati, ma - prendendo a prestito l’immagine di questa crema - si indicarono i contenuti errori presenti sui quaderni dei bambini della scuola primaria, errori spesso accompagnati da una qualche macchia d’inchiostro (cfr. la voce precedente); per traslato ed ampliamento semantico la voce a margine vale sbaglio, strafalcione ed anche sproposito, svarione; quanto all’etimo la voce pistacchiata è da collegarsi alla voce pistacchio dal lat. pistaciu(m), che è dal gr. pistákion. A margine di questa voce rammenterò che essa voce nel parlar becero, quando non addirittura triviale, di talune zone della città bassa, sulla bocca del popolino, sia pure nei medesimi significati, veniva e talora ancóra viene corrotta in picchiaccata o pucchiaccata voci derivate dritto per dritto da pucchiacca/ purchiacca che (con etimo dal greco pýr+k(o)leacca←*cljacca) sta per fodero di fuoco ed è uno dei modi piú volgari, ma icastici usati per indicare l’organo sessuale esterno della riproduzione femminile.E non faccia meraviglia l’accostamento divertente tra le voci pucchiacca/ purchiacca→picchiaccata o pucchiaccata ed un tipo di errore; in fondo è il medesimo accostamento che corre tra un piccolo errore e la parola fessaria che è da fessa.
-rancefellone s m. eccoci ad un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un grande sbaglio, un colpevole strafalcione ed anche un’ azione o parola inopportuna, fatta o detta a sproposito, uno svarione volontario ; letteralmente infatti con la voce a margine si indica un tipo di granchio, détto granciporro e semanticamente la connessione tra il colpevole sbaglio e questo granchio grosso, è da cercarsi nel fatto che questo granchio-traditore (vedi oltre) se toccato,può diventare pericoloso e procurare lesioni dolorose alla medesima stregua d’un colpevole sbaglio che può lasciare il segno! Quanto all’etimo rancefellone risulta essere l’agglutinazione della voce rance (da una lettura metatetica del lat. cànceru(m)→*(c)rance(um) + la voce fellone= traditore con molta probabilità da un antico franco félon ma forse piú probabilmente dall’antico sassone félen odonde un lat. med. fello/fellonis→fellone(m) (Du Cange).
-rapata s.f. voce che vale corbelleria, insulsaggine, banalità sciocchezza e come tale usata per indicare gli i piccoli, perdonabili errori comportamentamentali degli adolescenti e dei ragazzi; la voce a margine è un derivato di rapa voce che è dal lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi inteso f. sing. e che indica, nel linguaggio figurato una persona non ancóra matura, di scarsa intelligenza, tale da mettere in essere corbellerie, insulsaggini, banalità e sciocchezze.
-sbalanzone s.m. un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un eccezionale sbaglio, un colpevole grande strafalcione un grave sproposito, un importate svarione volontario tutti errori capaci di procurar danno ; letteralmente con la voce a margine si indica uno spintone un urtone operato in danno di persona anziana che da detta spinta e/o urto può subire conseguenze dannose.
Son proprie queste conseguenze dannose il trait d’union logico e semantico tra lo sbalanzone-urto e lo sbalanzone-sproposito. Etimologicamente la voce a margine è un derivato dalla voce valanza (dal lat. bislanx=dal doppio piatto) addizionata della tipica s qui distrattiva e del suff. accrescitivo one; ò parlato di s distrattiva che qui vale quasi ex in quanto in origine con la voce sbalanzone si indicò quel tipico colpo assestato ad uno dei piatti della bilancia per scuoter via un po’ delle granaglie eccedenti il peso voluto.
-sbarione s. m. cretinata, errore stupido dovuto a vaneggiamento, innocente grulleria da attribuirsi ad improvviso delirare, incolpevole idiozia dovuta forse ad uno stato febbrile; la voce a margine risulta un deverbale di sbarià verbo intran.vo che vale: vaneggiare, farneticare, delirare (cfr. sbarià cu ‘a capa!= applicarsi ad altro, eludere pensieri serî etc.) sbarià con la consueta alternanza b/v è dal lat. *s +variare, deriv. di varius 'vario'.
-scemaría s.f. che letteralmente sta per per sta per stupidità, imbecillità; azione, frase da scemo, banalità, stupidaggine, sproposito, comportamento da scemo e poi – per traslato – errore, sbaglio grave e colpevole in quanto generato da una banalità; quanto all’etimo scemaría è ricavata marcandola ovviamente sulla voce scemo = che à o denota poco senno; sciocco, insulso, che è privo di senso, stupido, voce che è deverbale del lat. volg. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'; anche per le successive tre voci ci troviamo difronte a tre s.vi f.le che letteralmente stanno per stupidità, imbecillità; azioni rispettivamente da sciocco, da stupido o da stolto , banalità, stupidaggini, spropositi, comportamenti sciocchi, ottusi, cretini etc. tali da poter – per traslato – esser détti errori, sbagli gravi e colpevoli in quanto generati da insulsaggini, insipidezze, scipitezze comportamentali; rammento al proposito che fino alla fine degli anni ’50 del 1900 nel parlato popolare della città bassa la voce scemaría indicò oltre che un errore, uno sproposito, una sciocchezza anche una casa di cura (Scemaría ‘e Miano?) dove venivano ricoverati gli adolescenti con gravi problemi di apprendimento e/o comportamentali;
-scunnietto s. m. che indica una grossa idiozia,un involontario sbaglio, una minchioneria volgarmente détta anche cazzata dovuti però ad improvvisi e transeunti stati di non raziocinio,di dissociazione mentale e pertanto scusabili, se non perdonabili; la voce a margine è etimologicamente un deverbale di scunnettïà esatto opposto di cunnettïà = unire, associare, legare, correlare con la protesi di una s, qui distrattiva, che ne inverte il significato e pertanto scunnettïà vale disunire, dissociare, slegare, non cogliere le correlazioni tra cose e/o tra cause ed effetti. A margine rammenterò che per traslato e/o ampliamento semantico la voce a margine in talune occasioni sta per oscenità, parola oscena. Ad un dipresso ciò che accade per la voce seguente che in primis valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato ebbe altri significati.
-scuntrufo/scuntrufolo s.m. in doppia morfologia leggermente variata: nella seconda è leggibile il suffisso diminutivo olus→olo ma sostanzialmente la parola è la medesima ed in primis (cosí come attestato nel D’Ambra e nell’Andreoli valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato errore irrispettoso, caso, combinazione erronei, scontro forse con riferimento all’etimologia che è da cercare in un deverbale di scuntrà= urtare, mettersi all’opposto di, cozzare violentemente contro qualcosa, verbo che è derivato da ‘ncuntrà con cambio di prefisso; al verbo scuntrà per ottenere le voci a marigine sono stati aggiunti rispettivamente i suffissi ufo o il suff. dim. ufolo suffissi sui quali – prima o poi cercherò d’essere piú preciso; per ora mi sono arreso non avendone trovato riscontro nel Rohlfs (libro sacro dei suffissi!),
-smuccaría/ smucchezza s.f. che letteralmente sta per
-stracchimpacchio s.m. grossa melensaggine,errore marchiano, enorme goffaggine dovuti a comportamenti abborracciati, precipitosi e/o raffazzonati e non accompagnati da attenzione, raziocinio e/o misura; quanto al suo etimo (atteso che nessuno dei calepini etimologici della parlata napoletana ne prende conto) non posso che formulare la mia ipotesi per la quale la voce a margine m’appare ragionevolmente costruita quale deverbale (mpacchio = errore, svarione, ma anche imbroglio, sudiciume,inganno) derivato di nguacchià/nquacchià adattati in mpacchià con protesi di un (e)xtra→stra + una sillaba cchi sillaba d’allungamento espressivo, voci tutte di origini onomatopeiche costruite su di un suono: nguacc/nquacc (faccio notare che la enne d’avvio del suono suddetto à valore eufonico e non è il residuo di un in illativo, per cui non necessita di un segno diacritico d’avvio e correttamente si dovrà scrivere nguacchio/nquacchio o nguacchià/nquacchià e poi mpacchià e non ‘nguacchio/’nquacchio/’mpacchio o ‘nguacchià/’nquacchià e poi ‘mpacchià) ; i verbi nguacchià/nquacchià ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola nguacchio/nquacchio fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni,divenne desueta anche la parola nguacchio/nquacchio essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quando quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la voce mpacchio s’ebbe in primis il significato di imbroglio, sudiciume,inganno e successivamente valse errore, svarione che divennero grandi attraverso la prostesi di stra→stracchimpacchio) rammento altresí che tali sgorbi un tempo s’ebbero il nome alternativo di cerefuoglio voce dal lat. caere(folium) che indica oltre che la pianta delle ombrellifere anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta e ancóra i vezzi, le moine le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson ricondursi altresí alle bizzarríe,alle stranezze bizzose che, sia detto per incidens, vengono ricordate con la voce cerenfrúscolo s.m. voce ormai desueta, ma registrata da tutti calepini d’antan nel significato primo di bagattella, minuzia, sciocchezza ed in quello (per estensione ed ampliamento semantico) di bizzarria, stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio;torniamo ad occuparci della parola napoletana nguacchio o nquacchio che oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine la deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú cospicui vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio incorrendo però nell’errore di ricostruire in modo abborracciato una voce leggendo nella enne d’attacco del napoletano nguacchio il residuo di un inesistente in (illativo); ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/nquacchià che nella parlata napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro; molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionarî della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana!
-straverio/streverio s. m. antica voce attestata passim in ambedue le morfologie nel significato primo di cosa eccedente la realtà, sproposito e quindi grosso errore, marchiana fanfaluca, madornale ciancia, spropositata frottola, grossolana sciocchezza, assurdità colossale; l’etimo, checché ne abbia détto il fu D’Ascoli che fantasiosamente ipotizzò un deverbale di stravedé/straveré (ma fu lui ad ipotizzare la faccenda? In effetti non penso che fosse farina del suo sacco,bensí il parto di uno dei tanti negri che lo aiutavano a stendere i suoi numerosi libri ai quali – complice la senescenza – egli non potette dare tutta la cura e l’attenzione di cui abbisognavano... lasciando correre molte inesattezze e/o fantasie!) l’etimo – dicevo – a mio avviso è dal lat. extra-verum→straveru(m)→straverio;
-stroppola s.f. che letteralmente sta per filastrocca ed estensivamente baggianata, sciocchezza, errore dovuto a stupidità, idiozia, imbecillità, cretineria, stoltezza, scempiaggine; l’etimo è un diminutivo (cfr. il suff. ola) del llat. tardo stropha(m), che è dal gr. strophé, propr. 'voltata, evoluzione (del coro intorno alla timele)', deriv. di stréphein 'volgersi’ ma anche cavillo, pretesto, imbroglio;
-stupetezza s.f. che letteralmente sta per
-trummunata s.f. che letteralmente sta per trombonata, spacconata, smargiassata. e per traslato ed ampliamento semantico vale sesquipedale sproposito, immane sciocchezza, enorme cretinata, fesseria spropositata stupidaggine madornale il tutto in linea con la parole da cui deriva che non è il trombone strumento a fiato di ottone, simile alla tromba ma di maggiori dimensioni e tonalità piú bassa, normalmente dotato di pistoni o di coulisse, strumento che quantunque piú grosso della tromba, non raggiunge misure tali da esser presa a modello per tutti i significati surriportati; la voce da cui deriva trummunata è trummone che in napoletano indica sí il trombone strumento a fiato, ma indica altresí una grossa botticella lignea cilindrica, bordata di metallo,dotata di zipolo, incerneriata su i due lati opposti della circonferenza centrale, per poter comodamente ondeggiare basculando; in tale contenitore di grande capacità veniva conservata la caretteristica acqua zuffregna/zurfegna= acqua sulfurea e la capicità del trummone era ben maggiore di quella delle cosiddette mmummare in cui pure si conservava l’acqua per la vendita al minuto; il trummone era agganciato sul ripiano laterale delle cosiddette banche ‘e ll’acqua= banchetti di mescita di acqua ed altre bevande)
La voce mmummara s.vo f.le = grande vaso di creta per acqua o vino viene dal neutro pl. greco bombýlia poi fem.le sg. con cambio di suffisso e dissimilazione *bommara→mmommera→mmummera mentre la voce zuffregna/zurfegna trae da un acc.vo lat. aqua(m)sulphurínea(m)→suphrínja→surphínja→ surfegna→zurfegna con raddoppiamento espressivo della fricativa labiodentale sorda e metatesi della liquida zuffregna;
per trummone da cui trummunata, occorre pensare forse ad un lemma onomatopeico con riferimento ad un’iniziale tromma + un suff. accrescitivo, benché la voce a margine non abbia nulla a che spartire – come ò detto - con gli strumenti musicali a fiato tromba e trombone quantunque (per la sua forma panciutamente cilindrica) ‘o trummone ‘e ll’acqua è simile al grosso bombardino strumento a fiato di ottone, usato nelle bande; flicorno baritono, impropriamente détto trombone→trummone.
-zzarro svarione, errore non segnatamente volontario dovuto ad un improvviso, quanto imprevisto impedimento (cfr. l’espressione piglià 'nu -zzarro che vale errare, prendere un abbaglio,incorrere in un impedimento, inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; per l’etimo la voce zzarro deriva dall'arabo zahr (dado- sasso sporgente).
E qui penso di poter far punto avendo – a mio avviso – esaurito l’argomento, nella speranza d’avere accontentato, o - quanto meno - interessato l’amico F.P. e chi altro dovesse leggermi. Satis est.
Raffaele Bracale
VARIE 471
1 - Paré 'a gatta appesa ô llardo
Ad litteram:sembrare la gatta attaccata al lardo Icastica similitudine riferita a due persone che incedano di conserva di cui una si mantenga saldamente legata al braccio dell'altra; di solito si tratta di una anziana donna che si accompagni ad un baldo giovane e su di lui faccia affidamento per un incedere sicuro.
2 -Parè 'a palata e 'a jonta
Ad litteram:sembrareil filone di pane e la giunta La similitudine riguarda sempre due persone che incedano di conserva, ma diversamente dall'espressione precedente qui si tratta di due persone di cui l'una sia longilinea e prestante e l'altra piccola e piuttosto in carne per modo da essere paragonati ad un filone di pane ed alla giunta che il fornaio soleva accordare al compratore, per aggiustare il peso del filone di pane spesso inferiore al previsto kilogrammo della pezzatura.
3 -Paré 'a lampa d''o Sacramento.
Ad litteram: sembrare la lampada del Sacramento Id est: essere così smunto e macilento da potersi paragonare al piccolo cero che arde davanti la custodia del SS. Sacramento nelle chiese cattoliche.
4 -Paré ll'aseno 'mmiezo ê suone
Ad litteram: sembrare l'asino fra i suoni Così si usa dire di chi di natura distratto, insicuro e dubbioso, si mostri frastornato e confuso in ogni rapporto interpersonale tanto da farsi appaiare ad un asino che in un contesto fragoroso e rumoroso perda quasi il senso d'orientamento .
5 -Pare brutto.
Ad litteram: sembra brutto. Così usa dire chi voglia consigliare qualcuno di non tenere un certo comportamento, ma non sappia o voglia addurre seri motivi acciocchè non si agisca in quel modo e si limita perciò ad indicarlo come erroneo ed inopportuno, ma senza alcun preciso e documentato motivo, solo in ragione di una sciocca ipocrisia che fa ritenere inopportuno il comportamento in quanto esso potrebbe sembrare agli altri scorretto se non riprovevole .
6 -Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Ad litteram:sembra che adesso ti vedrò vestito da orso Locuzione ironica da intendersi in senso antifrastico, id est: mai ti vedrò vestito da orso, locuzione che si rivolge a mo' di canzonatura davanti alle risibili imprese dei saccenti e supponenti che si imbarcano privi delle necessarie forze fisiche e/o intellettive, in avventure ben superiori alle loro scarse possibilità a causa delle quali le imprese son destinate a fallire miseramente; il nascosto protagonista della locuzione si dispone a catturare un orso per vestirsene della pelle, ma sciocco ed incapace non vi potrà mai riuscire.
7 -Pare ca mo 'o vveco
Ad litteram:sembra che adesso lo vedrò Locuzione di portata molto simile alla precedente, ma di valore più generico che si usa in presenza di una generica previsione di un risultato fallimentare cui è destinata l' azione intrapresa da chi è ritenuto incapace ed inadatto a sostenere un impegno qualsiasi e perciò a raggiungere un risultato.
8 - Pare ca 'o culo ll'arrobba 'a cammisa o ‘a pettola.
Ad litteram:sembra che il sedere gli ruba la camicia o la falda della medesima.
Icastica e divertente espressione che si usa per bollare l'estrema avarizia e taccagneria di un individuo così malfidato e timoroso da paventare che il sedere lo possa defraudare della propria camicia, la cui falda (pettola) è a contatto col medesimo sedere.
9 - Paré mill'anne
Ad litteram:sembrare mille anni Così iperbolicissimamente si suole affermare nell'attesa di desiderati avvenimenti che tardino a realizzarsi .
10 -Paré 'na pupata 'e ficusecche
Ad litteram:sembrare una pupattola di fichi secchi Antica locuzione, ora quasi desueta che si soleva un tempo riferire soprattutto alle attempate signorine che andavano in giro con il volto cosparso di molta cipria o più economica farina, nel vano tentativo di nascondere i danni del tempo; tali signorine erano paragonate alle pupattole che i venditori di frutta secca inalberavano sulle loro mostre durante le festività natalizie: le pupattole erano fatte con un congruo numero di fichi secchi imbiancati di glassa zuccherina ed infilzati su sottili stecchi di vimini.
11 - Paré n'auciello 'e malaurio
Ad litteram:sembrare un uccello del malaugurio Detto di chi pessimista di natura profetizzi per sé e per gli altri,guai e disgrazie continuate; costui a cui spesso il malaugurio si legge in volto viene assomigliato a quegli uccelli notturni quali gufi e civette ritenuti apportatori di disgrazie.
12 -Paré 'na ùfera
Ad litteram:sembrare una bufala Detto di chi, incollerito ed irato si lascia assalire da una violenta crisi nervosa al punto da poter essere paragonato ad una bufala che imbestialita carichi collericamente.
13 -Paré 'nu píreto annasprato
Ad litteram:sembrare un peto inzuccherato Fantasiosa ed irreale locuzione con la quale viene indicato chi saccente, supponente e vanesio si dà l'arie di valente superuomo, ma essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtù può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene inzuccherato, rimane pur sempre la stomachevole, fetida cosa che è.
Píreto s.vo m.le = peto, emissione rumorosa di gas dagli intestini. (dal lat. pēditu(m), deriv. di pedere 'fare peti' con alternanza osco mediterranea di d→r onde pēditu(m)→piritu(m)→píreto);
annasprato/a agg.vo m.le o f.le =coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sing. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca: la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dal francese gâteau (de) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a proporre una mia ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo (peraltro accolta con un sí convinto dall’amico prof. Carlo Iandolo) è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros.
14 -Paré 'nu píreto ‘ncantarato o con riferimento ad una donna paré 'na pereta ‘ncantarata Letteralmente: Sembrare un peto esploso in un pitale, cioè sembrare un rumorosissimo peto che esploso in un pitale (che gli fa da cassa di risonanza) risulta fragorosissimo. Anche in questo caso con l’espressione a margine ci si intende riferire ad una donna o – piú spesso - ad un uomo saccente, supponente e vanesio che si dia l'arie di valente superuomo, parli a sproposito ed a vanvera, dia consigli non richiesti, ed essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtù, mancante com’è di scienza o conoscenza può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene risuonante, rimane pur sempre la stomachevole, fetida cosa che è.
Per píreto vedi sub 13; pereta ne è il metafonetico femminile
‘ncantarato/a agg.vo m.le o f.le = letteralmente = contenuto in un càntaro (pitale) voce formata come se fosse una verbale quale part. pass. masch./f.le sing. aggettivato di un inesistente ’infinito *incantarà = contenere in càntaro;in pratica si ipotizza l’esistenza d’un verbo denominale di càntaro con prostesi di un in→’n illativo; a sua volta càntaro o càntero è un s.vo m.le che indica un alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
15 -Paré 'nu sorece 'nfuso 'a ll' uoglio
Ad litteram:sembrare un topolino bagnato dall'olio. Icastica espressione normalmente riferita a quei ragazzi che se ne andavano e se ne vanno in giro con il capo abbondantemente cosparso, una volta di brillantina ed oggi di gelatina e risultano avere i capelli così unti da poter essere facilmente appaiati ad un topolino che completamente unto venga fuori da un contenitore di olio nel quale - essendone ghiotto - s'era completamente immerso.
16 - Paré 'nu Cristo schiuvato
Ad litteram:sembrare un Cristo schiodato (e deposto dalla croce). Icastica locuzione con la quale si suole indicare chi sia così smunto, pallido e mal ridotto al segno di poter essere paragonato, non irriverentemente, al Cristo morto e deposto dalla croce.
17 - Paré 'o diavulo e ll'acqua santa
Ad litteram:sembrare il diavolo e l'acqua santa. Locuzione che si usa per indicare due persone caratterialmente agli antipodi e dunque in perenne lotta, attesa la incociliabilità dei rispettivi intendimenti operativi ed i conseguenziali modi di agire.
18 - Paré don Titta e 'o cane
Ad litteram:sembrare don Titta ed il cane Locuzione usata per fotografare la situazione che veda due individui che procedano indissolubilmente legati fra di loro al segno che quasi l'uno non possa fare a meno dell'altro e viceversa. Chiarisco qui che il don Titta della locuzione non à riferimenti né storici, né letterarî con alcun personaggio esistito o di fantasia; è usato nella locuzione per un malinteso senso di rispetto, al posto di san Rocco, originario protagonista della locuzione; ed in effetti il santo, nella iconografia tradizionale è rappresentato accompagnato sempre da un cane; in seguito, per una sorta di bigottismo, al nome del santo fu sostituito quello di un non meglio codificato don Titta, che non è -sia chiaro!- il boia pontificio, personaggio mai entrato nella cultura partenopea che aveva in un mastro Austino il boia di sua pertinenza.
brak
Ad litteram:sembrare la gatta attaccata al lardo Icastica similitudine riferita a due persone che incedano di conserva di cui una si mantenga saldamente legata al braccio dell'altra; di solito si tratta di una anziana donna che si accompagni ad un baldo giovane e su di lui faccia affidamento per un incedere sicuro.
2 -Parè 'a palata e 'a jonta
Ad litteram:sembrareil filone di pane e la giunta La similitudine riguarda sempre due persone che incedano di conserva, ma diversamente dall'espressione precedente qui si tratta di due persone di cui l'una sia longilinea e prestante e l'altra piccola e piuttosto in carne per modo da essere paragonati ad un filone di pane ed alla giunta che il fornaio soleva accordare al compratore, per aggiustare il peso del filone di pane spesso inferiore al previsto kilogrammo della pezzatura.
3 -Paré 'a lampa d''o Sacramento.
Ad litteram: sembrare la lampada del Sacramento Id est: essere così smunto e macilento da potersi paragonare al piccolo cero che arde davanti la custodia del SS. Sacramento nelle chiese cattoliche.
4 -Paré ll'aseno 'mmiezo ê suone
Ad litteram: sembrare l'asino fra i suoni Così si usa dire di chi di natura distratto, insicuro e dubbioso, si mostri frastornato e confuso in ogni rapporto interpersonale tanto da farsi appaiare ad un asino che in un contesto fragoroso e rumoroso perda quasi il senso d'orientamento .
5 -Pare brutto.
Ad litteram: sembra brutto. Così usa dire chi voglia consigliare qualcuno di non tenere un certo comportamento, ma non sappia o voglia addurre seri motivi acciocchè non si agisca in quel modo e si limita perciò ad indicarlo come erroneo ed inopportuno, ma senza alcun preciso e documentato motivo, solo in ragione di una sciocca ipocrisia che fa ritenere inopportuno il comportamento in quanto esso potrebbe sembrare agli altri scorretto se non riprovevole .
6 -Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Ad litteram:sembra che adesso ti vedrò vestito da orso Locuzione ironica da intendersi in senso antifrastico, id est: mai ti vedrò vestito da orso, locuzione che si rivolge a mo' di canzonatura davanti alle risibili imprese dei saccenti e supponenti che si imbarcano privi delle necessarie forze fisiche e/o intellettive, in avventure ben superiori alle loro scarse possibilità a causa delle quali le imprese son destinate a fallire miseramente; il nascosto protagonista della locuzione si dispone a catturare un orso per vestirsene della pelle, ma sciocco ed incapace non vi potrà mai riuscire.
7 -Pare ca mo 'o vveco
Ad litteram:sembra che adesso lo vedrò Locuzione di portata molto simile alla precedente, ma di valore più generico che si usa in presenza di una generica previsione di un risultato fallimentare cui è destinata l' azione intrapresa da chi è ritenuto incapace ed inadatto a sostenere un impegno qualsiasi e perciò a raggiungere un risultato.
8 - Pare ca 'o culo ll'arrobba 'a cammisa o ‘a pettola.
Ad litteram:sembra che il sedere gli ruba la camicia o la falda della medesima.
Icastica e divertente espressione che si usa per bollare l'estrema avarizia e taccagneria di un individuo così malfidato e timoroso da paventare che il sedere lo possa defraudare della propria camicia, la cui falda (pettola) è a contatto col medesimo sedere.
9 - Paré mill'anne
Ad litteram:sembrare mille anni Così iperbolicissimamente si suole affermare nell'attesa di desiderati avvenimenti che tardino a realizzarsi .
10 -Paré 'na pupata 'e ficusecche
Ad litteram:sembrare una pupattola di fichi secchi Antica locuzione, ora quasi desueta che si soleva un tempo riferire soprattutto alle attempate signorine che andavano in giro con il volto cosparso di molta cipria o più economica farina, nel vano tentativo di nascondere i danni del tempo; tali signorine erano paragonate alle pupattole che i venditori di frutta secca inalberavano sulle loro mostre durante le festività natalizie: le pupattole erano fatte con un congruo numero di fichi secchi imbiancati di glassa zuccherina ed infilzati su sottili stecchi di vimini.
11 - Paré n'auciello 'e malaurio
Ad litteram:sembrare un uccello del malaugurio Detto di chi pessimista di natura profetizzi per sé e per gli altri,guai e disgrazie continuate; costui a cui spesso il malaugurio si legge in volto viene assomigliato a quegli uccelli notturni quali gufi e civette ritenuti apportatori di disgrazie.
12 -Paré 'na ùfera
Ad litteram:sembrare una bufala Detto di chi, incollerito ed irato si lascia assalire da una violenta crisi nervosa al punto da poter essere paragonato ad una bufala che imbestialita carichi collericamente.
13 -Paré 'nu píreto annasprato
Ad litteram:sembrare un peto inzuccherato Fantasiosa ed irreale locuzione con la quale viene indicato chi saccente, supponente e vanesio si dà l'arie di valente superuomo, ma essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtù può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene inzuccherato, rimane pur sempre la stomachevole, fetida cosa che è.
Píreto s.vo m.le = peto, emissione rumorosa di gas dagli intestini. (dal lat. pēditu(m), deriv. di pedere 'fare peti' con alternanza osco mediterranea di d→r onde pēditu(m)→piritu(m)→píreto);
annasprato/a agg.vo m.le o f.le =coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sing. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca: la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dal francese gâteau (de) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a proporre una mia ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo (peraltro accolta con un sí convinto dall’amico prof. Carlo Iandolo) è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros.
14 -Paré 'nu píreto ‘ncantarato o con riferimento ad una donna paré 'na pereta ‘ncantarata Letteralmente: Sembrare un peto esploso in un pitale, cioè sembrare un rumorosissimo peto che esploso in un pitale (che gli fa da cassa di risonanza) risulta fragorosissimo. Anche in questo caso con l’espressione a margine ci si intende riferire ad una donna o – piú spesso - ad un uomo saccente, supponente e vanesio che si dia l'arie di valente superuomo, parli a sproposito ed a vanvera, dia consigli non richiesti, ed essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtù, mancante com’è di scienza o conoscenza può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene risuonante, rimane pur sempre la stomachevole, fetida cosa che è.
Per píreto vedi sub 13; pereta ne è il metafonetico femminile
‘ncantarato/a agg.vo m.le o f.le = letteralmente = contenuto in un càntaro (pitale) voce formata come se fosse una verbale quale part. pass. masch./f.le sing. aggettivato di un inesistente ’infinito *incantarà = contenere in càntaro;in pratica si ipotizza l’esistenza d’un verbo denominale di càntaro con prostesi di un in→’n illativo; a sua volta càntaro o càntero è un s.vo m.le che indica un alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
15 -Paré 'nu sorece 'nfuso 'a ll' uoglio
Ad litteram:sembrare un topolino bagnato dall'olio. Icastica espressione normalmente riferita a quei ragazzi che se ne andavano e se ne vanno in giro con il capo abbondantemente cosparso, una volta di brillantina ed oggi di gelatina e risultano avere i capelli così unti da poter essere facilmente appaiati ad un topolino che completamente unto venga fuori da un contenitore di olio nel quale - essendone ghiotto - s'era completamente immerso.
16 - Paré 'nu Cristo schiuvato
Ad litteram:sembrare un Cristo schiodato (e deposto dalla croce). Icastica locuzione con la quale si suole indicare chi sia così smunto, pallido e mal ridotto al segno di poter essere paragonato, non irriverentemente, al Cristo morto e deposto dalla croce.
17 - Paré 'o diavulo e ll'acqua santa
Ad litteram:sembrare il diavolo e l'acqua santa. Locuzione che si usa per indicare due persone caratterialmente agli antipodi e dunque in perenne lotta, attesa la incociliabilità dei rispettivi intendimenti operativi ed i conseguenziali modi di agire.
18 - Paré don Titta e 'o cane
Ad litteram:sembrare don Titta ed il cane Locuzione usata per fotografare la situazione che veda due individui che procedano indissolubilmente legati fra di loro al segno che quasi l'uno non possa fare a meno dell'altro e viceversa. Chiarisco qui che il don Titta della locuzione non à riferimenti né storici, né letterarî con alcun personaggio esistito o di fantasia; è usato nella locuzione per un malinteso senso di rispetto, al posto di san Rocco, originario protagonista della locuzione; ed in effetti il santo, nella iconografia tradizionale è rappresentato accompagnato sempre da un cane; in seguito, per una sorta di bigottismo, al nome del santo fu sostituito quello di un non meglio codificato don Titta, che non è -sia chiaro!- il boia pontificio, personaggio mai entrato nella cultura partenopea che aveva in un mastro Austino il boia di sua pertinenza.
brak
BIZZA – CAPRICCIO – STRAVAGANZA - IMPUNTATURA etc.
BIZZA – CAPRICCIO – STRAVAGANZA - IMPUNTATURA etc.
Questa volta per contentar l’amico Edoardo C. ( peraltro dettosi molto soddisfatto di quanto, su suo invito, ò spesso scritto) per contentar, dicevo, l’amico Edoardo C. che me ne à richiesto,autorizzandomi a fre il suo nome,ma non il cognome cercherò di illustrare le voci in epigrafe e quelle corrispondenti del napoletano; cominciamo dunque con
bizza s.vo f.le
1.Breve stizza, Capriccio stizzoso, ma di breve durata, senza serio motivo, anche fig.: il bimbo fa le bizze; il motore fa le bizze.
2.(per ampliamento semantico)impuntatura, ira, collera; Etimologicamente molti dizionarii registrano la voce come d’etimo incerto, il D.E.I. ipotizza (ma a mio avviso poco convincentemente)una derivazione dal lat. vitiosus per il tramite dell’aggettivo bizz(i)oso; semanticamente non trovo molta corrispondenza tra il vizio(che in latino vale errore, mancanza) ed il capriccio o l’ira che son proprii della bizza; migliore m’appare la proposta di Ottorino Pianigiani che legge bizza come forma varia ed intensiva di izza battezzando ambedue come provenienti dall’antico sassone hittja→hizza = ardore): trovo l’ardore semanticamente molto piú vicino del vizio alla collera, ira o anche solo ad una breve stizza!
capriccio s.vo m.le
1 voglia improvvisa e stravagante; desiderio bizzarro, ghiribizzo; la cosa cosí desiderata: avere, levarsi un capriccio; agire a, per capriccio | bizza improvvisa caratteristica dei bambini: fare i capricci.
2 manifestazione, avvenimento stravagante, fuori del comune: i capricci della natura, della fortuna
3 (per traslato) amore leggero e incostante
Quanto all’etimo si sospetta (D.E.I.- GARZANTI) una derivazione da cap(o)riccio = capo con i capelli rizzati per la paura, quindi manifestazione stravagante; trovo però migliore un’adattamento del fr. caprice.
stravaganza s.vo f.le
1 atto che esce dai limiti prefissati o consueti | rime stravaganti, rimaste fuori dalla raccolta curata dall'autore
2. Atto, comportamento o discorso eccentrico, strano, bizzarro ...
3 (estens.) cosa fuori del comune, strana, bizzarra: uomo, discorso stravagante; idee stravaganti | tempo stravagante, instabilità, capricciosità ..
Quanto all’etimo è voce ricostruita sull’agg.vo stravagante che è dal lat. med. (e)xtravagante(m).
Impuntatura s.vo f.le
1 L'impuntarsi, l'ostinarsi caparbiamente in qualcosa: prendere un'impuntatura.
2 ostinazione improvvisa e duratura
3 Il rimanere nella propria idea con testardaggine e caparbietà: impuntarsi in, su un'opinione; si è impuntato a dire di no
Quanto all’etimo è voce ricostruita attraverso il verbo impuntare sul sostantivo punta (che è dal tardo lat.. puncta(m)) con la prostesi di un in illativo.
Esaminate le voci dell’italiano passiamo a quelle del napoletano che le rendono; in napoletano abbiamo numerosissime voci con significazioni per un verso simili alle pregresse dell’italiano, per altro piú estese e circostanziate. Premesso che molte delle voci che esaminerò, ànno in primis un significato affatto diverso e solo per traslato son riconducibili ai significati che si attagliano alle voci in epigrafe, abbiamo:
cerenfrúscolo s.vo m.le voce desueta, ma registrata da tutti i calepini d’antan nel significato primo di bagattella, minuzia, sciocchezza e per estensione ed ampliamento semantico, in quello di bizzarría, stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio; il cerfoglio in nap. cerefuoglio indica oltre che la pianta delle ombrellifere anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta ed ancóra i vezzi, le moine, le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson ricondursi alle bizzarríe,alle stranezze bizzose.
Fantasía s.f. desiderio improvviso, voglia, capriccio, ma anche immaginazione non rispondente alla realtà; fantasticheria,atto e facoltà della mente umana di creare e crearsi immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no ad una realtà: jirsene ‘e fantasia o jirsene ‘nfantasia = perdersi col pensiero dietro immagini o rappresentazioni di cose e fatti spesso irreali o irrealizzabili; altre volte eccitarsi sessualmente col solo pensiero. Quanto all’etimo, voce derivata piú che dal lat. phantasia(m), direttamente dal gr. phantasía ('apparizione, immaginazione', da phantázein 'far vedere') di cui conserva il suffisso tonico.
Marruójete/merruójete s.m.pl. (il sg.marruójeto/merruójeto è disusato perciò non registrato nei calepini) in primis emorroidi e per traslato capricci fastidiosi; semanticamente il traslato è spiegato con il fatto che chi è affetto da infiammazione delle emorroidi malvolentieri siede agitandosi in continuazione con pretestuose richieste, bislacche bizzaríe tendenti a trovare un refrigerio al proprio dolere che (per ragioni di pudore) si evita di esternare ai terzi lasciandoli nella convinzione che quelle pretestuose richieste, quelle bislacche bizzaríe siano da addebitarsi ad instabilità umorale o di carattere. Etimologicamente voci da ritenere un adattamento metaplasmatico dal gr.(hai)morroís -ídos, comp. di hâima 'sangue' e rhêin 'scorrere';
Míngria/míncria s.f. doppia morfologia di un medesimo sostantivo che vale capriccio, ghiribizzo, desiderio improvviso e bizzarro, impuntatura capricciosa accompagnata da pianti e/o lamenti tali da provocare in chi ne è vittima, sensazioni spiacevoli comportanti addirittura emicrania; etimologicamente adattamento del lat. tardo hemicrania(m), dal gr. hímikranía, comp. di hími- 'mezzo' e kraníon 'cranio'; questo il percorso morfologico: hemicrania(m)→(he)micrania→micrània→mincrania, donde con con ritrazione d’accento míncr(an)ia o míngr(an)ia per emicrania;
‘nzíria/zírria/zirra s.f. (Si tratta del medesimo sostantivo rappresentato con tre morfologie alquanto diverse di cui in uso solo la prima che è piú moderna (prima metà del 1900) ed anche, a mio avviso, piú bella delle altre due che affondano le origini nel ‘600 e sono disusatissime.
1 capriccio, bizza, testarda impuntatura, reiterato insistere in richieste sciocche e pretestuose, atteggiamenti tenuti quasi esclusivamente da parte dei bambini;
2 prolungato, lamentoso pianto, apparentemente non supportato da cause facilmente riscontrabili o riconoscibili; tale lamentoso piagnucolare è, ovviamente, costume dei bambini e segnatamente degli infanti, ai quali – impossibilitati a rispondere – sarebbe vano o sciocco chieder ragione del loro pianto; spesso di tali piccoli bambini che, all’approssimarsi dell’ora del riposo notturno, comincino a piagnucolare lamentosamente se ne suole commentare l’atteggiamento con l’espressione:Lassa ‘o stà… è ‘nziria ‘e suonno… (lascialo stare, è bizza dovuta al sonno… per cui bisogna aver pazienza!). Rammento ancóra che anticamente, come ò accennato, accanto alla forma ‘nziria, vi furono anche, con medesimo significato:zírria, zirra ;per quanto riguarda l’etimologia del vocabolo ‘nziria (da cui gli aggettivi ‘nzeriuso/’nzeriosa che connotano i bambini/e che si abbandonano ai capricci ed alle bizze) scartata l’ipotesi che provenga da un in + ira: troppo distanti mi appaiono infatti l’idea di ira e di bizza dal comportamento fastidioso sí, ma non grave tenuto dai bambini assonnati o desiderosi di un giocattolo e/o altro; non mi sento neppure di aderire a ciò che fu proposto dall’amico avv.to Renato de Falco nel suo Alfabeto napoletano e cioè che la parola ‘nziria potesse discender dal greco sun-eris = con dissidio stante quasi il contrasto che si verrebbe a creare tra il bambino in preda alla ‘nziria e l’adulto che dovrebbe dar corso alle richieste, in quanto reputo l’eventuale contrasto solo un effetto della ‘nziria, non il suo sostrato; penso che sia molto piú probabile una discendenza dal latino insidiae a sua volta da un in + sideo = sto sopra, mi fermo su, che ben mi pare possa rappresentare semanticamente l’impuntatura che è tipica della imberbe ‘nziria.
Puntiglio s.m
1 ostinazione caparbia di chi sostiene un'idea o compie un'azione piú per orgoglio che per vera convinzione: cuntinuà ’a discussione sulo pe puntiglio: prolungare la discussione per puro puntiglio.
2 grande impegno e volontà: metterse ‘e puntiglio: mettersi di puntiglio studià, faticà cu puntiglio: studiare, lavorare con puntiglio.
Quanto all’etimo voce derivata dallo spagnolo puntillo dim. di punto (de honor) 'punto (d'onore)'; trattasi di voce napoletana poi accolta anche nella lingua nazionale.
Prurito s.m.
In primis 1 sensazione molesta di irritazione cutanea che induce a grattarsi: sèntere/sentí prurito;
2 (figuratamente) voglia improvvisa e intensa, stimolo improvviso, capriccio: ll’ è venuto ‘o prurito ‘e se jí a ffà ‘nu viaggio: : gli è venuta la voglia di andare a fare un viaggio. Quanto all’etimo voce derivata dal lat. pruritu(m), deriv. di prurire 'prudere';
Riscenziello s.m. piú spesso usato al pl. riscenzielle
Inprimis deliquo,convulsione,mancamento; poi,per traslato,isterico e falso comportamento di chi, si lascia andare a piccole strane convulsioni condite di sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamento tipico tenuto dalle donne o dai bambini quando vogliono forzare la mano a qualcuno per ottenere ciò che, adducendo normali ragioni o pretesti, non potrebbero raggiungere. Etimologicamente la voce a margine è rotacizzazione del piú classico discenziello derivati dal latino descensus, col significato di deliquio. ed è usato nel linguaggio popolare oltre che per significare quanto qui sopra illustrato, anche per indicare quei brevi deliqui , piú esattamente eclampsie cui talora vanno soggetti i neonati o i bambini molto piccoli.
Sbòria s.f.
in primis sfuriata, manifestazione di furia collerica; aspro e violento rimbrotto; poi, per traslato, capriccio, puntiglio, ostinazione, fisima, bizza (spec. di bambini); la voce (riferita invece ad adulti dal comportamento stravagante) vale stramberia, bizzarría, stranezza, originalità, singolarità. Etimologicamente la voce a margine è formata dalla parola boria (che è dal lat. borea(m) 'vento di tramontana', da cui 'aria (d'importanza)' addizionata in posizione protetica di una S intensiva;
schiribbizzo s.m. trovata bizzarra, stolto capriccio, stramberia,ticchio pretestuoso, idea improvvisa e stravagante; etimologicamente m’ appare voce da collegare ad una voce dell’ant. tedesco: chrepiz ( e ciò sulle orme del Pianigiani, e quantunque il D.E.I., che pilatescamente parla di etimo incerto,non trovi colleganze semantiche (ch’io invece trovo) tra il significato della voce tedesca ch’indica il granchio e la stravaganza dello schiribizzo: il granchio è abbastanza stravagante per forma e comportamento!...)dicevo da collegare ad una voce dell’ant. tedesco chrepiz con protesi di una s intensiva, raddoppiamento espressivo della consonante finale e paragoge della evanescente di chiusura atteso che il napoletano aborre parole terminanti per consonanti (cfr. alibi tramme←tram, bisse←bis, bbarre←bar,gasse←gas, autobbusso←autobus con la sola eccezione della negazione nun talvolta attesta però come nune);
schirchio s.m. di per sé in primis privazione dei cerchi contentivi con riferimento alla sconnessione delle botti che vengon disfatte privandole innanzi tutto dei cerchi di ferro che stringono le doghe; per traslato con riferimento all’atteggiamento di persona (piú spesso uomo giovane o adulto che donna) che fosse priva di ipotetici cerchi contentivi della testa, e farebbe follie dando luogo a manifestazioni strane, strambe, a bizzarrie, a capricci, a bizze lunatiche e quindi bislacche, se non addirittura folli; etimologicamente deverbale di schirchià/schierchià = privar dei cerchi derivato da una s(distrattiva) + lat. tardo circulare deriv. di circulus, dim. di circus 'cerchio'; questa la strada morfologica:
s + circulare→s+ circlare→scirchiare con il tipico passaggio di cl a chi come ad es. clausu(m)→chiuso e successiva assimilazione regressiva del ci di sci al successivo chi fino a pervenire da scirchiare a schirchiare/schirchià;
sfizzio(correttamente scritto in napoletano con due zeta); tale voce, partendo dalla parlata napoletana, è approdata in quella nazionale seppure accolto e scritto con la z scempia: sfizio ma mantenendo il medesimo significato di: capriccio, voglia: togliersi uno sfizio; levarsi lo sfizio di fare qualcosa | per sfizio, per puro capriccio, per divertimento portandosi dietro molte voci derivate, come:il sostantivo sfiziosità (cosa sfiziosa; in partic., ricercatezza alimentare), l’aggettivo sfizioso (che soddisfa una voglia, un capriccio; che piace, attrae,perchéoriginale)nonché l’avverbio:sfiziosamente e (per sfizio). Di non facile lettura l’etimologia di sfizzio; la maggioranza dei dizionarî in uso (persino il D.E.I.!), si trincera, procurandomi attacchi d’orticaria!..., dietro il solito pilatesco: etimo incerto/etimo oscuro; qualcuno, un po’ forse fantasiosamente, propende per una culla latina da un (sati)s -facio di cui lo sfizzio conserverebbe il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza. Qualche altro, ancor piú fantasiosamente (vedi C. Jandolo) ipotizza un latino ex+ vitium nella pretesa che lo sfizzio configuri una sorta di stravizio.
Non manca infine, per fortuna!, chi propende -e forse non a torto, piú correttamente - per un’etimologia greca da un fuxis/feuxis(fuga, evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità;
Stengíne/stencíne s.m. in primis contorcimenti e poi, per traslato, sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamenti che tuttavia non son tipici(come invece quelli, che abbiamo esaminato, in cui si parla di riscenzielle) delle donne o dei bambini, ma son d’uso anche tra gli uomini fatti che davanti a situazioni od accadimenti che non ritengono di loro gradimento, sogliono pretestuosamente reagire con comportamenti di pretestuosa ripulsa, di fastidiosi dinieghi, cadendo in quei figurati contorcimenti coi quali tentano di allontanare quelle situazioni e/o quegli accadimenti ritenuti sgradevoli o sgraditi. Molto particolare l’etimologia di stengine o altrove stencine che sono innanzi tutto il plurale di stingino o altrove stincino e risultano essere un deverbale del verbo stingenà/stincinà = storcere, allontanare da una normale linea dritta ; tale verbo che a sua volta è un denominale di stenca= stinco, osso che va dal ginocchio alla caviglia ( e che è derivato dal longobardo skenka); tento di chiarire il percorso semantico per giungere alle convulsioni e/o contorcimenti indicati dalle voci stingino/stincino partendo dalle azioni indicate dal verbo stingenà/stincinà; in effetti, un improvviso, proditorio colpo che sia assestato allo stinco può ingenerare con il dolore che ne provoca, un innaturale, procurato storcimento della gamba se non di tutto il corpo, un’andatura irregolare, una sorta di zoppía; segnalo ancòra che il verbo stingenà/stincinà à oltre i rammentati significati di storcere, allontanare da una normale linea dritta, soprattutto se coniugato al part. passato (stingenato/a-stencenato/a) anche quelli traslati ed estensivi di storcere/storcersi donde storto/a ed anche il significato di spaventarsi soprattutto se addizionato della causa efficiente specificativa ‘e paura = dalla paura donde stingenato/a-stencenato/a ‘e paura cioè a dire: tanto impaurito da torcersene.
Sturzillo s.m. in primis convulsione, contorcimento di natura epilettica (frequenti nei bambini) poi, per traslato, bizza, capriccio improvviso e/o dispettoso a cui si possono abbandonare solitamente i bambini, ma pure gli adulti immaturi; etimologicamente deverbale di sturzellà= deformare, storcere, flettere, sviare,deviare, che potrebbe apparire (D’Ascoli) essere una forma ampliata, ma non chiarita nel suo percorso morfologico!, di storcere. Piú chiaro e preciso risulta essere l’amico prof. C. Iandolo che parla di una s intensiva + un lat. volg. *torsellare (iterativo del classico torquére);
tirrepetirro s.m. voce usata quasi sempre al plurale ‘e tirrepetirre che sono le bizze, gli improvvisi pretestuosi capricci squisitamente femminili e piú corposi che non la imberbe 'nziria o il velleitario verrizzo (vedi ultra) di cui sopravanzano il vuoto isterismo , pur configurandosi in comportamenti nevrotici tali da degenerare in forme convulsionanti tenendo presenti le quali si giunge all'etimologia della parola che non deriva come proposto da qualcuno dallo spagnolo tirria che denota invece la semplice antipatia che non à nulla a che vedere con il capriccio o la bizza; 'e tirrepetirre promanano a mio giudizio invece per adattamento delle voci greche tiros(spasmo) + pitulos(convulsione) manifestazioni tipiche della cocciutagine dispettosa che attiene al tirrepetirro.
verrizzo s.m. Con questa antica voce a margine (peraltro nota ormai quasi solamente ai napoletani piú anziani, essendosi irrimediabilmente depauperato il lessico d’antan),voce che al plurale fa verrizze/verrizzi, nella parlata napoletana vengono indicati le bizze, i capricci stizzosi,le stravaganze, le voglie irrazionali ed estensivamente anche quelle lussuriose, libidinose; chi ne va soggetto è detto verruto/a, ma pure verrezzuso/osa.
Annoto innanzi tutto che ‘e verrizze son quasi sempre riferiti nel loro significato primo di bizze, capricci,stranezze, voglie irrazionali o ai bambini o alle donne, nella presunzione che un uomo fatto, difficilmente possa lasciarsi prendere da bizze o capricci, di talché i termini verruto o verrezzuso, riferiti ad un uomo fatto, starebbero ad indicare un soggetto proclive alla lussuria o libidine, cosí come dal significato estensivo di verrizzo.
Quanto all’etimologia del termine in epigrafe, la questione non è di poco conto; la maggior parte dei compilatori di dizionarî, che accolgono il termine se la sbrigano con un’annotazione pilatesca: etimo incerto/etimo oscuro.
Qualche altro, lasciandosi però chiaramente trasportare dal significato estensivo della parola, propone una timida paretimologia, legando la parola verrizzo, al termine verro che è il porco non castrato atto alla riproduzione, nella pretesa idea che il verro sia portato, almeno nell’immaginario comune, a pratiche libidinose, ma la proposta paretimologia poco mi convince.
A mio sommesso parere, penso che la parola in epigrafe possa tranquillamente derivare dall’unione del verbo velle rotacizzato in verre con il sostantivo izza agganciandosi semanticamente ad un comportamento originariamente iracondo, stizzoso e poi capriccioso, stravagante,strano; la voce izza è piú nota nella forma varia ed intensiva bizza (ma sia izza che bizza provengono dall’antico sassone hittja/hizza = ardore).
Partendo da vell(e)+izza si può pervenire a verrizzo con tipica alternanza della liquida L→R, successivo affievolimento della piena e tonica mutatasi nella evanescente e e maschilizzazione del termine passato da verrizza a verrizzo adattamento resosi necessario per indicare un difetto (che comunque comportando una manifestazione d’ardore si intende maschile).
Vertécena s. f. in primis sbalordimento, turbamento o esaltazione di fronte a qualcosa di eccezionale o sconvolgente, poi per ampliamento semantico, comportamento bizzoso , stizzoso e poi capriccioso, stravagante,strano che da quello sbalordimento, turbamento etc. posson derivare; per l’etimo è voce derivata dal lat. vertigine(m), deriv. di vertere 'volgere, girare' con sostituzione, propiziata dal tipo di parola sdrucciola della l'occlusiva velare sonora g con la corrispondente affricata palatale sorda c ed apertura espressiva delle i→e;
Vezzaría s.f. improvvisa bizza,capricciosa stravaganza,comportamento insolito, singolare, che desta perplessità, stupore,manifestazioni tutte tipicamente femminili; quanto all’etimo la voce a margine è un denominale derivato come bizzarro da bizza (s. f. breve stizza, capriccio; forma intensiva di izza che è dall’antico sass. hitze/hizza = collera).
Satis est.
Raffaele Bracale
Questa volta per contentar l’amico Edoardo C. ( peraltro dettosi molto soddisfatto di quanto, su suo invito, ò spesso scritto) per contentar, dicevo, l’amico Edoardo C. che me ne à richiesto,autorizzandomi a fre il suo nome,ma non il cognome cercherò di illustrare le voci in epigrafe e quelle corrispondenti del napoletano; cominciamo dunque con
bizza s.vo f.le
1.Breve stizza, Capriccio stizzoso, ma di breve durata, senza serio motivo, anche fig.: il bimbo fa le bizze; il motore fa le bizze.
2.(per ampliamento semantico)impuntatura, ira, collera; Etimologicamente molti dizionarii registrano la voce come d’etimo incerto, il D.E.I. ipotizza (ma a mio avviso poco convincentemente)una derivazione dal lat. vitiosus per il tramite dell’aggettivo bizz(i)oso; semanticamente non trovo molta corrispondenza tra il vizio(che in latino vale errore, mancanza) ed il capriccio o l’ira che son proprii della bizza; migliore m’appare la proposta di Ottorino Pianigiani che legge bizza come forma varia ed intensiva di izza battezzando ambedue come provenienti dall’antico sassone hittja→hizza = ardore): trovo l’ardore semanticamente molto piú vicino del vizio alla collera, ira o anche solo ad una breve stizza!
capriccio s.vo m.le
1 voglia improvvisa e stravagante; desiderio bizzarro, ghiribizzo; la cosa cosí desiderata: avere, levarsi un capriccio; agire a, per capriccio | bizza improvvisa caratteristica dei bambini: fare i capricci.
2 manifestazione, avvenimento stravagante, fuori del comune: i capricci della natura, della fortuna
3 (per traslato) amore leggero e incostante
Quanto all’etimo si sospetta (D.E.I.- GARZANTI) una derivazione da cap(o)riccio = capo con i capelli rizzati per la paura, quindi manifestazione stravagante; trovo però migliore un’adattamento del fr. caprice.
stravaganza s.vo f.le
1 atto che esce dai limiti prefissati o consueti | rime stravaganti, rimaste fuori dalla raccolta curata dall'autore
2. Atto, comportamento o discorso eccentrico, strano, bizzarro ...
3 (estens.) cosa fuori del comune, strana, bizzarra: uomo, discorso stravagante; idee stravaganti | tempo stravagante, instabilità, capricciosità ..
Quanto all’etimo è voce ricostruita sull’agg.vo stravagante che è dal lat. med. (e)xtravagante(m).
Impuntatura s.vo f.le
1 L'impuntarsi, l'ostinarsi caparbiamente in qualcosa: prendere un'impuntatura.
2 ostinazione improvvisa e duratura
3 Il rimanere nella propria idea con testardaggine e caparbietà: impuntarsi in, su un'opinione; si è impuntato a dire di no
Quanto all’etimo è voce ricostruita attraverso il verbo impuntare sul sostantivo punta (che è dal tardo lat.. puncta(m)) con la prostesi di un in illativo.
Esaminate le voci dell’italiano passiamo a quelle del napoletano che le rendono; in napoletano abbiamo numerosissime voci con significazioni per un verso simili alle pregresse dell’italiano, per altro piú estese e circostanziate. Premesso che molte delle voci che esaminerò, ànno in primis un significato affatto diverso e solo per traslato son riconducibili ai significati che si attagliano alle voci in epigrafe, abbiamo:
cerenfrúscolo s.vo m.le voce desueta, ma registrata da tutti i calepini d’antan nel significato primo di bagattella, minuzia, sciocchezza e per estensione ed ampliamento semantico, in quello di bizzarría, stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio; il cerfoglio in nap. cerefuoglio indica oltre che la pianta delle ombrellifere anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta ed ancóra i vezzi, le moine, le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson ricondursi alle bizzarríe,alle stranezze bizzose.
Fantasía s.f. desiderio improvviso, voglia, capriccio, ma anche immaginazione non rispondente alla realtà; fantasticheria,atto e facoltà della mente umana di creare e crearsi immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no ad una realtà: jirsene ‘e fantasia o jirsene ‘nfantasia = perdersi col pensiero dietro immagini o rappresentazioni di cose e fatti spesso irreali o irrealizzabili; altre volte eccitarsi sessualmente col solo pensiero. Quanto all’etimo, voce derivata piú che dal lat. phantasia(m), direttamente dal gr. phantasía ('apparizione, immaginazione', da phantázein 'far vedere') di cui conserva il suffisso tonico.
Marruójete/merruójete s.m.pl. (il sg.marruójeto/merruójeto è disusato perciò non registrato nei calepini) in primis emorroidi e per traslato capricci fastidiosi; semanticamente il traslato è spiegato con il fatto che chi è affetto da infiammazione delle emorroidi malvolentieri siede agitandosi in continuazione con pretestuose richieste, bislacche bizzaríe tendenti a trovare un refrigerio al proprio dolere che (per ragioni di pudore) si evita di esternare ai terzi lasciandoli nella convinzione che quelle pretestuose richieste, quelle bislacche bizzaríe siano da addebitarsi ad instabilità umorale o di carattere. Etimologicamente voci da ritenere un adattamento metaplasmatico dal gr.(hai)morroís -ídos, comp. di hâima 'sangue' e rhêin 'scorrere';
Míngria/míncria s.f. doppia morfologia di un medesimo sostantivo che vale capriccio, ghiribizzo, desiderio improvviso e bizzarro, impuntatura capricciosa accompagnata da pianti e/o lamenti tali da provocare in chi ne è vittima, sensazioni spiacevoli comportanti addirittura emicrania; etimologicamente adattamento del lat. tardo hemicrania(m), dal gr. hímikranía, comp. di hími- 'mezzo' e kraníon 'cranio'; questo il percorso morfologico: hemicrania(m)→(he)micrania→micrània→mincrania, donde con con ritrazione d’accento míncr(an)ia o míngr(an)ia per emicrania;
‘nzíria/zírria/zirra s.f. (Si tratta del medesimo sostantivo rappresentato con tre morfologie alquanto diverse di cui in uso solo la prima che è piú moderna (prima metà del 1900) ed anche, a mio avviso, piú bella delle altre due che affondano le origini nel ‘600 e sono disusatissime.
1 capriccio, bizza, testarda impuntatura, reiterato insistere in richieste sciocche e pretestuose, atteggiamenti tenuti quasi esclusivamente da parte dei bambini;
2 prolungato, lamentoso pianto, apparentemente non supportato da cause facilmente riscontrabili o riconoscibili; tale lamentoso piagnucolare è, ovviamente, costume dei bambini e segnatamente degli infanti, ai quali – impossibilitati a rispondere – sarebbe vano o sciocco chieder ragione del loro pianto; spesso di tali piccoli bambini che, all’approssimarsi dell’ora del riposo notturno, comincino a piagnucolare lamentosamente se ne suole commentare l’atteggiamento con l’espressione:Lassa ‘o stà… è ‘nziria ‘e suonno… (lascialo stare, è bizza dovuta al sonno… per cui bisogna aver pazienza!). Rammento ancóra che anticamente, come ò accennato, accanto alla forma ‘nziria, vi furono anche, con medesimo significato:zírria, zirra ;per quanto riguarda l’etimologia del vocabolo ‘nziria (da cui gli aggettivi ‘nzeriuso/’nzeriosa che connotano i bambini/e che si abbandonano ai capricci ed alle bizze) scartata l’ipotesi che provenga da un in + ira: troppo distanti mi appaiono infatti l’idea di ira e di bizza dal comportamento fastidioso sí, ma non grave tenuto dai bambini assonnati o desiderosi di un giocattolo e/o altro; non mi sento neppure di aderire a ciò che fu proposto dall’amico avv.to Renato de Falco nel suo Alfabeto napoletano e cioè che la parola ‘nziria potesse discender dal greco sun-eris = con dissidio stante quasi il contrasto che si verrebbe a creare tra il bambino in preda alla ‘nziria e l’adulto che dovrebbe dar corso alle richieste, in quanto reputo l’eventuale contrasto solo un effetto della ‘nziria, non il suo sostrato; penso che sia molto piú probabile una discendenza dal latino insidiae a sua volta da un in + sideo = sto sopra, mi fermo su, che ben mi pare possa rappresentare semanticamente l’impuntatura che è tipica della imberbe ‘nziria.
Puntiglio s.m
1 ostinazione caparbia di chi sostiene un'idea o compie un'azione piú per orgoglio che per vera convinzione: cuntinuà ’a discussione sulo pe puntiglio: prolungare la discussione per puro puntiglio.
2 grande impegno e volontà: metterse ‘e puntiglio: mettersi di puntiglio studià, faticà cu puntiglio: studiare, lavorare con puntiglio.
Quanto all’etimo voce derivata dallo spagnolo puntillo dim. di punto (de honor) 'punto (d'onore)'; trattasi di voce napoletana poi accolta anche nella lingua nazionale.
Prurito s.m.
In primis 1 sensazione molesta di irritazione cutanea che induce a grattarsi: sèntere/sentí prurito;
2 (figuratamente) voglia improvvisa e intensa, stimolo improvviso, capriccio: ll’ è venuto ‘o prurito ‘e se jí a ffà ‘nu viaggio: : gli è venuta la voglia di andare a fare un viaggio. Quanto all’etimo voce derivata dal lat. pruritu(m), deriv. di prurire 'prudere';
Riscenziello s.m. piú spesso usato al pl. riscenzielle
Inprimis deliquo,convulsione,mancamento; poi,per traslato,isterico e falso comportamento di chi, si lascia andare a piccole strane convulsioni condite di sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamento tipico tenuto dalle donne o dai bambini quando vogliono forzare la mano a qualcuno per ottenere ciò che, adducendo normali ragioni o pretesti, non potrebbero raggiungere. Etimologicamente la voce a margine è rotacizzazione del piú classico discenziello derivati dal latino descensus, col significato di deliquio. ed è usato nel linguaggio popolare oltre che per significare quanto qui sopra illustrato, anche per indicare quei brevi deliqui , piú esattamente eclampsie cui talora vanno soggetti i neonati o i bambini molto piccoli.
Sbòria s.f.
in primis sfuriata, manifestazione di furia collerica; aspro e violento rimbrotto; poi, per traslato, capriccio, puntiglio, ostinazione, fisima, bizza (spec. di bambini); la voce (riferita invece ad adulti dal comportamento stravagante) vale stramberia, bizzarría, stranezza, originalità, singolarità. Etimologicamente la voce a margine è formata dalla parola boria (che è dal lat. borea(m) 'vento di tramontana', da cui 'aria (d'importanza)' addizionata in posizione protetica di una S intensiva;
schiribbizzo s.m. trovata bizzarra, stolto capriccio, stramberia,ticchio pretestuoso, idea improvvisa e stravagante; etimologicamente m’ appare voce da collegare ad una voce dell’ant. tedesco: chrepiz ( e ciò sulle orme del Pianigiani, e quantunque il D.E.I., che pilatescamente parla di etimo incerto,non trovi colleganze semantiche (ch’io invece trovo) tra il significato della voce tedesca ch’indica il granchio e la stravaganza dello schiribizzo: il granchio è abbastanza stravagante per forma e comportamento!...)dicevo da collegare ad una voce dell’ant. tedesco chrepiz con protesi di una s intensiva, raddoppiamento espressivo della consonante finale e paragoge della evanescente di chiusura atteso che il napoletano aborre parole terminanti per consonanti (cfr. alibi tramme←tram, bisse←bis, bbarre←bar,gasse←gas, autobbusso←autobus con la sola eccezione della negazione nun talvolta attesta però come nune);
schirchio s.m. di per sé in primis privazione dei cerchi contentivi con riferimento alla sconnessione delle botti che vengon disfatte privandole innanzi tutto dei cerchi di ferro che stringono le doghe; per traslato con riferimento all’atteggiamento di persona (piú spesso uomo giovane o adulto che donna) che fosse priva di ipotetici cerchi contentivi della testa, e farebbe follie dando luogo a manifestazioni strane, strambe, a bizzarrie, a capricci, a bizze lunatiche e quindi bislacche, se non addirittura folli; etimologicamente deverbale di schirchià/schierchià = privar dei cerchi derivato da una s(distrattiva) + lat. tardo circulare deriv. di circulus, dim. di circus 'cerchio'; questa la strada morfologica:
s + circulare→s+ circlare→scirchiare con il tipico passaggio di cl a chi come ad es. clausu(m)→chiuso e successiva assimilazione regressiva del ci di sci al successivo chi fino a pervenire da scirchiare a schirchiare/schirchià;
sfizzio(correttamente scritto in napoletano con due zeta); tale voce, partendo dalla parlata napoletana, è approdata in quella nazionale seppure accolto e scritto con la z scempia: sfizio ma mantenendo il medesimo significato di: capriccio, voglia: togliersi uno sfizio; levarsi lo sfizio di fare qualcosa | per sfizio, per puro capriccio, per divertimento portandosi dietro molte voci derivate, come:il sostantivo sfiziosità (cosa sfiziosa; in partic., ricercatezza alimentare), l’aggettivo sfizioso (che soddisfa una voglia, un capriccio; che piace, attrae,perchéoriginale)nonché l’avverbio:sfiziosamente e (per sfizio). Di non facile lettura l’etimologia di sfizzio; la maggioranza dei dizionarî in uso (persino il D.E.I.!), si trincera, procurandomi attacchi d’orticaria!..., dietro il solito pilatesco: etimo incerto/etimo oscuro; qualcuno, un po’ forse fantasiosamente, propende per una culla latina da un (sati)s -facio di cui lo sfizzio conserverebbe il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza. Qualche altro, ancor piú fantasiosamente (vedi C. Jandolo) ipotizza un latino ex+ vitium nella pretesa che lo sfizzio configuri una sorta di stravizio.
Non manca infine, per fortuna!, chi propende -e forse non a torto, piú correttamente - per un’etimologia greca da un fuxis/feuxis(fuga, evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità;
Stengíne/stencíne s.m. in primis contorcimenti e poi, per traslato, sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamenti che tuttavia non son tipici(come invece quelli, che abbiamo esaminato, in cui si parla di riscenzielle) delle donne o dei bambini, ma son d’uso anche tra gli uomini fatti che davanti a situazioni od accadimenti che non ritengono di loro gradimento, sogliono pretestuosamente reagire con comportamenti di pretestuosa ripulsa, di fastidiosi dinieghi, cadendo in quei figurati contorcimenti coi quali tentano di allontanare quelle situazioni e/o quegli accadimenti ritenuti sgradevoli o sgraditi. Molto particolare l’etimologia di stengine o altrove stencine che sono innanzi tutto il plurale di stingino o altrove stincino e risultano essere un deverbale del verbo stingenà/stincinà = storcere, allontanare da una normale linea dritta ; tale verbo che a sua volta è un denominale di stenca= stinco, osso che va dal ginocchio alla caviglia ( e che è derivato dal longobardo skenka); tento di chiarire il percorso semantico per giungere alle convulsioni e/o contorcimenti indicati dalle voci stingino/stincino partendo dalle azioni indicate dal verbo stingenà/stincinà; in effetti, un improvviso, proditorio colpo che sia assestato allo stinco può ingenerare con il dolore che ne provoca, un innaturale, procurato storcimento della gamba se non di tutto il corpo, un’andatura irregolare, una sorta di zoppía; segnalo ancòra che il verbo stingenà/stincinà à oltre i rammentati significati di storcere, allontanare da una normale linea dritta, soprattutto se coniugato al part. passato (stingenato/a-stencenato/a) anche quelli traslati ed estensivi di storcere/storcersi donde storto/a ed anche il significato di spaventarsi soprattutto se addizionato della causa efficiente specificativa ‘e paura = dalla paura donde stingenato/a-stencenato/a ‘e paura cioè a dire: tanto impaurito da torcersene.
Sturzillo s.m. in primis convulsione, contorcimento di natura epilettica (frequenti nei bambini) poi, per traslato, bizza, capriccio improvviso e/o dispettoso a cui si possono abbandonare solitamente i bambini, ma pure gli adulti immaturi; etimologicamente deverbale di sturzellà= deformare, storcere, flettere, sviare,deviare, che potrebbe apparire (D’Ascoli) essere una forma ampliata, ma non chiarita nel suo percorso morfologico!, di storcere. Piú chiaro e preciso risulta essere l’amico prof. C. Iandolo che parla di una s intensiva + un lat. volg. *torsellare (iterativo del classico torquére);
tirrepetirro s.m. voce usata quasi sempre al plurale ‘e tirrepetirre che sono le bizze, gli improvvisi pretestuosi capricci squisitamente femminili e piú corposi che non la imberbe 'nziria o il velleitario verrizzo (vedi ultra) di cui sopravanzano il vuoto isterismo , pur configurandosi in comportamenti nevrotici tali da degenerare in forme convulsionanti tenendo presenti le quali si giunge all'etimologia della parola che non deriva come proposto da qualcuno dallo spagnolo tirria che denota invece la semplice antipatia che non à nulla a che vedere con il capriccio o la bizza; 'e tirrepetirre promanano a mio giudizio invece per adattamento delle voci greche tiros(spasmo) + pitulos(convulsione) manifestazioni tipiche della cocciutagine dispettosa che attiene al tirrepetirro.
verrizzo s.m. Con questa antica voce a margine (peraltro nota ormai quasi solamente ai napoletani piú anziani, essendosi irrimediabilmente depauperato il lessico d’antan),voce che al plurale fa verrizze/verrizzi, nella parlata napoletana vengono indicati le bizze, i capricci stizzosi,le stravaganze, le voglie irrazionali ed estensivamente anche quelle lussuriose, libidinose; chi ne va soggetto è detto verruto/a, ma pure verrezzuso/osa.
Annoto innanzi tutto che ‘e verrizze son quasi sempre riferiti nel loro significato primo di bizze, capricci,stranezze, voglie irrazionali o ai bambini o alle donne, nella presunzione che un uomo fatto, difficilmente possa lasciarsi prendere da bizze o capricci, di talché i termini verruto o verrezzuso, riferiti ad un uomo fatto, starebbero ad indicare un soggetto proclive alla lussuria o libidine, cosí come dal significato estensivo di verrizzo.
Quanto all’etimologia del termine in epigrafe, la questione non è di poco conto; la maggior parte dei compilatori di dizionarî, che accolgono il termine se la sbrigano con un’annotazione pilatesca: etimo incerto/etimo oscuro.
Qualche altro, lasciandosi però chiaramente trasportare dal significato estensivo della parola, propone una timida paretimologia, legando la parola verrizzo, al termine verro che è il porco non castrato atto alla riproduzione, nella pretesa idea che il verro sia portato, almeno nell’immaginario comune, a pratiche libidinose, ma la proposta paretimologia poco mi convince.
A mio sommesso parere, penso che la parola in epigrafe possa tranquillamente derivare dall’unione del verbo velle rotacizzato in verre con il sostantivo izza agganciandosi semanticamente ad un comportamento originariamente iracondo, stizzoso e poi capriccioso, stravagante,strano; la voce izza è piú nota nella forma varia ed intensiva bizza (ma sia izza che bizza provengono dall’antico sassone hittja/hizza = ardore).
Partendo da vell(e)+izza si può pervenire a verrizzo con tipica alternanza della liquida L→R, successivo affievolimento della piena e tonica mutatasi nella evanescente e e maschilizzazione del termine passato da verrizza a verrizzo adattamento resosi necessario per indicare un difetto (che comunque comportando una manifestazione d’ardore si intende maschile).
Vertécena s. f. in primis sbalordimento, turbamento o esaltazione di fronte a qualcosa di eccezionale o sconvolgente, poi per ampliamento semantico, comportamento bizzoso , stizzoso e poi capriccioso, stravagante,strano che da quello sbalordimento, turbamento etc. posson derivare; per l’etimo è voce derivata dal lat. vertigine(m), deriv. di vertere 'volgere, girare' con sostituzione, propiziata dal tipo di parola sdrucciola della l'occlusiva velare sonora g con la corrispondente affricata palatale sorda c ed apertura espressiva delle i→e;
Vezzaría s.f. improvvisa bizza,capricciosa stravaganza,comportamento insolito, singolare, che desta perplessità, stupore,manifestazioni tutte tipicamente femminili; quanto all’etimo la voce a margine è un denominale derivato come bizzarro da bizza (s. f. breve stizza, capriccio; forma intensiva di izza che è dall’antico sass. hitze/hizza = collera).
Satis est.
Raffaele Bracale
domenica 29 novembre 2009
LA PARLATA NAPOLETANA ETC
LA PARLATA NAPOLETANA e la costruzione delle espressioni con dentro, sopra, sotto ed altri avverbi/ preposizioni improprie del toscano.
Premesso che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre il pensiero, sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta della preposizione articolata alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) e così via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati vocabolarî (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
RaffaeleBracale
Premesso che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre il pensiero, sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta della preposizione articolata alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) e così via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati vocabolarî (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
RaffaeleBracale
LAGNA – LAMENTO & DINTORNI
LAGNA – LAMENTO & DINTORNI
Questa volta è stato il caro amico G. G. (i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi di illustrare le eventuali differenze tra le voci in epigrafe e di indicargli le voci dell’idioma partenopeo che le rendono . Accontento lui e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,entrando súbito in argomento.
Lagna s.vo f.le
1– Lamento insistente e noioso: finiscila con quella lagna!; per estens., di discorso o faccenda lunghi, interminabili, noiosi: che lagna questa conferenza!; protesta o lamento ripetuto, insistente | (estens.) testo, discorso, brano musicale lento, prolisso, noioso;
fig. anche riferito a persona lagnosa: quella l. di mio marito; sei proprio una lagna!
2 -anche cosa molesta, che dia motivo di lagnarsi: Lèvati quinci e non mi dar più lagna (Dante).
Quanto all’etimo è un deverbale del lat. lania(re) 'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli in segno di dolore.
Lamento s.vo m.le
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso di dolore di un animale: emettere, mandare, levare un lamento; un lamento straziante; il lamento di un cane ferito | lamento funebre, (etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere sordo ai lamenti altrui
4 componimento in versi, per lo piú di carattere popolare, in cui si esprime il dolore per la morte di una persona, diffuso soprattutto nel medioevo;
5 (mus.) composizione vocale che commemora un personaggio illustre; nell'opera, aria in cui il personaggio esprime la sua disperazione per la morte della persona amata.
Quanto all’etimo è dal lat. lamentu(m);
Gemito s.vo m.le
grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.): i gemiti dei feriti; il gemito del vento; il gemito del popolo oppresso. Quanto all’etimo è voce dal lat. gemitu(m)derivato da gemere;
guaito s.vo m.le
1 in primis verso acuto, breve e lamentoso emesso da animali, e spec. dal cane quando prova dolore
2 (estens.) lamento | (spreg.) stonatura nel canto, forzatura della voce.
Quanto all’etimo è voce deverbale di guaire che è dal lat. vagire 'vagire', con gu- iniziale di orig. germ.; cfr. ad es. guado;
lamentela s.vo f.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza: è una lamentela generale; si sentono lamentele sul suo conto.
Quanto all’etimo è voce derivata da lamentu(m) con suff. durativo ela come per querela, cautela ecc.
E passiamo alle voci napoletane che rendono quelle dell’italiano:
addiasillo s.vo m.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza, piagnisteo, querimonia; etimologicamente è voce ricavata corrompendo ed agglutinando in un sol termine l’espressione latina: dies irae, dies ille (giorno dell’ira, quel dí) inizio d’una sequenza della liturgia dei defunti del religioso francescano, poeta e scrittore Tommaso da Celano (Celano, circa 1200 – †Val dei Varri, circa 1270) autore appunto dell'inno Dies irae di due vitae di san Francesco d'Assisi, di una vita di santa Chiara, ed almeno due lodi del Poverello.
diasilla s.vo m.le
, mugolio, piagnucolio, lamento, pianto, querimonia, lamentazione, lagno; etimologicamente è voce derivata, come dalla precedente dalla corruzione ed agglutinazione in un sol termine della sola parte finale dell’espressione latina: (dies irae,) dies ille→diasilla (giorno dell’ira, quel dí)
gnagnera s.vo f.le piagnucolio, lamento insistente, fastidioso e non motivato di donna querula; quanto all’etimolo è voce, come attestato nella stragrande maggioranza dei maggiori dizionarii in uso (D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri) palesemente onomatopeica, presente in varie altre parlate regionali con significati analoghi; fa eccezione il solo D’Ascoli che fantasiosamente si inventò una derivazione da un non attestato spagnolo ñaña (lèggi gnagna )(escremento) in un suo bizzarro significato estensivo di fastidio.Dissento dal D’Ascoli toto corde e mi accodo ai D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri.
catalajo s.vo m.le voce antica ed ormai desueta; tuttavia talora la si ritrova, sulla bocca di vecchi partenopei della città bassa, corrotta in cantaguaje riferita a persona che sia solita lamentarsi di sue vere o piú spesso presunte sventure, avversità, traversie; di per sé invece la corretta voce a margine vale lamento, gemito dolente, voce meste e dolorose espresso ad alta voce mesta se non dolorosa ed è etimologicamente costruita sul s.vo lajo (che è dal fr. lais=suono, canto) con protesi di un catà rafforzativo; rammento che il sostantivo lajo/laio è presente anche nella lingua italiana ed indicò in origine, con riferimento alla poesia francese medievale, un componimento lirico di argomento amoroso o fantastico, recitato o cantato con accompagnamento musicale; successivamente il medesimo s.vo anche nel linguaggio poetico della lingua italiana (usato però esclusivam. al plur. lai),indicò voci meste e dolorose, lamenti.
iumisso anzi jumisso s.vo m.le
Voce antica, ma desueta ed assente, purtroppo per me che l’ò cercata, in tutti i repertorii in mio possesso;corrisponde però all’italiano gemito in tutti i suoi significati: grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.); in mancanza di possibilità di confronti, ò dovuto far da solo e reputo, a mio modo di vedere, che l’etimo sia un adattamento locale (ge→ju) dal francese gemisse(ment)= gemito; per il passaggio della g palatale ad j cfr. ad es.: jennero che è da generu(m); non meraviglia altresí il passaggio di e ad u cosa normale in sillaba iniziale atona (cfr. perócchio ma purucchiuso, tellína→tunninola etc.);
lagno s.vo m.le nel suo significato primo la voce a margine vale: fossato con acqua, acquitrinio fangoso ma, per traslato vale lamento fastidioso o lagnanza insistente e noiosa, l’uno e l’altra semanticamente vicini al fastidio d’un acquitrinio fangoso ed appiccicaticcio; per quanto riguarda l’ etimo della voce preferisco accodarmi all’idea dell’amico prof. Carlo Iandolo che lègge in questo lagno un agg.vo amnius da amnis=fiume con successiva agglutinazione dell’art. l→ *l-amnius ed esito finale lagnu(s)→lagno , come somniu(m)→sogno, piuttosto che ritener la voce (considerato il suo significato primo) un deverbale di di lagnarsi che, come ò già detto, è dal lat. laniare 'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli in segno di dolore.
lamiénto s.vo m.le s. m.
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso di dolore di un animale:fa unu lamiento (si lamenta in continuazione);’nu lamientestrazziante (un lamento straziante); ‘o lamiento ‘e ‘nu cane feruto(il lamento di un cane ferito) | ‘o lamiento d’’o funnarale( il lamento funebre), (etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere sordo ai lamenti altrui
per quanto riguarda l’ etimo la voce è dal lat. lamentu(m);
lòteno s.vo m.le è propriamente un litigio lungo, noioso,ripetitivo che spesso si ripropone a scadenze continue; di tale lòteno la caretteristica precipua è appunto quella d’essere noiosamente ripetitivo ( donde il fastidio affine a quello del pregresso lagno) e quasi appiccicaticcio; etimologicamente lòteno è da collegarsi a lota = fango (dal lat. lutum a sua volta dalla medesima radice di luere=lavare, bagnare; partendo da lota(fango, terra bagnata) si va a lotulum (fangoso, melmoso, appiccicaticcio) donde con dissimilazione l→n il nostro lòteno;
‘nzíria s.vo f.le è il fastidioso, lamentoso capriccio proprio del bambino piccolo, d''o criaturo, capriccio accompagnato spesso dal piagnucolare senza motivo apparente e per ciò indica estensivamente indica anche un prolungato, lamentoso pianto, apparentemente non supportato da cause facilmente riscontrabili o riconoscibili; tale lamentoso piagnucolare è, ovviamente, costume dei bambini e segnatamente degli infanti, ai quali – impossibilitati a rispondere – sarebbe vano o sciocco chieder ragione del loro pianto; spesso di tali piccoli bambini che, all’approssimarsi dell’ora del riposo notturno, comincino a piagnucolare lamentosamente se ne suole commentare l’atteggiamento con l’espressione:Lassa ‘o stà… è ‘nziria ‘e suonno… (lascialo stare,non curartene, non preoccuparti: è bizza dovuta al sonno… per cui bisogna aver pazienza!).
Rommento ancóra che un tempo accanto alla forma ‘nziria, vi furono anche, con medesimo significato:zírria, zirra .
Per quanto riguarda l’etimologia del vocabolo ‘nziria (da cui gli aggettivi ‘nzeriuso/’nzeriosa che connotano i bambini/e che si abbandonano ai capricci ed alle bizze) scartata l’ipotesi che provenga da un in + ira: troppo distanti sono infatti l’idea di ira da quelle di bizza, capriccio, non mi sento neppure di aderire a ciò che fu proposto dall’amico avv.to Renato de Falco nel suo, peraltro informato Alfabeto napolitano vol. 1° e cioè che la parola ‘nziria potesse discender dal greco sun-eris = con dissidio, stante quasi il contrasto che si viene a creare tra il bambino in preda alla ‘nziria e l’adulto che dovrebbe dar corso alle richieste, in quanto reputo l’eventuale contrasto solo un effetto della ‘nziria, non il suo sostrato; penso che sia molto piú probabile una discendenza da un latino insidiae; a sua volta da un in + sedeo = sto sopra, mi fermo su,insisto che ben mi pare possa rappresentare semanticamente l’impuntatura fanciullesca che è tipica della ‘nziria.
parafísema attestato (Basile) anche come parafísemo s.vo m.le voce antica e desueta che vale: protesta o lamento ripetuto, insistente fissazione ingiustificata; capriccio irragionevole, poco meno che físema = fisima; quanto all’etimo è voce costruita partendo da un’alterazione del gr. (só)phisma, (deriv. di sophízesthai 'divenire saggio' (da sophía 'sapienza'), poi 'cavillare,reiterare i concetti, valersi di sottili argomentazioni’, tutte cose semanticamente vicine al lamento ripetuto ed insistente), con prostesi della cong. parà = circa, quasi ottenendosi paraphisma e successivo paraphisema mediante l’anaptissi eufonica di una e tra ph= f e s;
píccio s.vo m.le piagnucolío, piagnisteo, lamento prolungato e noioso, tipici di bambini o di donne immature; quanto all’etimo è voce da un lat. volg. *pipiu(m) connesso al verbo pipiare = piagnucolare; per il passaggio della seconda sillaba pi a cci cfr. accio←apium, saccio←sapio etc.
pívulo s.vo m.le letteralmente in primis pigolío, poi per estensione e traslato piagnucolío, piagnisteo etc. come la voce precedente; etimologicamente è voce deverbale di piulà/pivulà che è dal Lat. volg. *piulare→*pivulare (con epentesi di una v eufonica), per il class. pipilare, di orig. onomatopeica;
règnula s.vo f.le lamento a denti stretti, provocatorio, piagnucolío dispettoso, provocatorio e molesto;
quanto all’etimo è voce deverbale da un lat. volg. *ringulare ( da ringi = digrignare i denti) che ebbe anche una forma frequentativa; *ringuljare che per metatesi diede regnuljare = piagnucolare; règnula è però un diretto derivato metatetico di *ringulare→rengulare→regnulare senza transitare per il frequentativo *ringuljare.
riépeto o liépeto s.vo m.le vedi oltre sub taluorno;
sciabbàcco s.vo m.le in primis vale: fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto e poi per estensione e/o traslato lamento, lamentela, reclamo, protesta, querela, piagnisteo (che non possono mancare in una baraonda);etimologicamente è voce dall’arabo šábak= trambusto;
sizia – sizia o siziasizia s.vo m.le lamento querulo e reiterato; la voce viene usata quasi sempre nell’icastica espressione che suona: fa unu sizia-sizia.
letteralmente: fa un sitio- sitio, cioè si lamenta continuamente riferito di solito ad inopportuni bambini o a fastidiose donne che assillano con richieste pressanti ed irritanti richiedere tese ad ottenere qualcosa richiesta appunto con ossessiva petulanza. La voce e la locuzione son ricavate prendendo spunto da un episodio dei Vangeli quello relativo al “Sitio!”(ò sete), una delle sette parole pronunciate da Cristo sulla croce.Rammento che alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli da bere dell'aceto misto ad acqua e ciò non per ulteriormente vilipenderlo, ma solo perché un misto d’acqua ed aceto è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
taluórno s.vo m.le lamento reiterato, ripetizione noiosa, canto fastidioso; etimologicamente taluorno non deriva come improvvidamente e fantasiosamente pensò qualcuno (D’Ascoli) da un inesistente latino: tal-urnus: ripetizione; in realtà il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente esclusa (manca persino nel Pianegiani!) nei correnti ed accreditati vocabolarî della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una tipica dittongazione regionale della sillaba to (forse intesa breve) la voce latorno divenne latuorno sia in area calabro-lucana che in area pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f.le dell'agg. praeficus 'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché la prefica era preposta al gruppo delle ancelle che piangevano; in effetti essa prefica fu la donna che, presso gli antichi romani, veniva pagata per piangere e lamentarsi durante le cerimonie funebri; l'usanza ancóra sopravvive in alcune aree mediterranee europee; scherzosamente la voce prefica è usata poi anche per indicare una persona che si lamenti per nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche riépeto/liépeto che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi.
riépeto o liépeto s.vo m.le sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza/dissimilazione partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente atto noioso e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il fantasioso tal – urnus del D’Ascoli, si possa tranquillamente intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno.
trívulo s.vo m.le s. in primis la voce a margine è
1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.) pruno, rovo, sterpo:
2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare l'avanzata della cavalleria;
3 (fig. ed è il caso che ci occupa ) tormento,fastidio preoccupazione, angustia che generano pianto, lamentele, rimostranze, proteste :’na vita ‘ntrivule e ‘ntempesta (una vita fra triboli e tempeste); l’etimo è dal lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino'; normale nel napoletano l’alternanza b/v cfr. barca→varca, bocca→vocca, bótte→vótte etc.
zinfunía s.vo f.le , piagnucolio reiterato , accordo discordante di suoni, lamento continuo ed immotivato , pianto, querimonia, lamentazione, lagno tutti espressi, spesso coralmente ed a gran volume di voce da bambini o donne immature ; etimologicamente è voce derivata dal gr. symphonía , comp. di sy/n- 'sin-' e un deriv. di phoné 'suono'; comune nel napoletano il passaggio della s a z
ziteresélla s.vo f.le voce antichissima, popolaresca, ma desueta nata nella città bassa al tempo(fine 1800 principi 1900) in cui ancóra alcune popolane esercitavano il mestiere di capera (pettinatrice girovaga, ciarliera e pettegola; la voce è dal lat.parlato capa(m)+ il suffisso di attinenza era f.le di iere cfr. salumera ma salumiere etc. );la voce a margine ziteresélla in primis valse cantafera,cantilena, tiritera, querimonia lunga e tediosa ed estensivamente lamento, lagnanza con riferimento alle noiose tiritere, farcite di lamenti e lagnanze con cui le logorroiche pettinatrici a domicilio solevano condire il loro lavoro errabondo; in effetti etimologicamente la voce è formata dall’agglutinazione del sostantivo zi’ ( che è l’ apocope di zia) usato in luogo d’un corretto sié con il nome proprio Teresella (ipocoristico di Teresa) degradato semanticamente a nome comune.Sarebbe vano andare alla ricerca di quella Teresella che – con ogni probabilità – fu una conosciuta ciarliera, lamentosa capera che svolgeva la sua attività nei bassi, fonfaci o case della città bassa inondando di lamenti, lagnanze e querimonie le povere clienti che ipso facto servendosi del nome della pettinatrice coniarono il termine ziteresélla per indicare unacantilena,una tiritera,una querimonia lunga e tediosa ed estensivamente unlamento,una lagnanza; rammento comunque che a Napoli piú che il semplice ipocoristico Teresella ,di Teresa è in uso dapprima il diminutivo Teresina e poi il suo vezzeggiativo Teresenella.
Faccio ora un passo indietro e chiarisco la faccenda della voce zi’ usata in luogo di sié , ricordando che spesso nel napoletano una voce che nella prima sillaba à la consonante esse, quest’ultima viene letta zeta determinando una confusione tra voci diverse ed inducendo in errore, come capita ad es. con i sostantivi signore e signora che apocopati rispettivamente in si’= si(gnore) e sié = signora (sié è apocope ricostruita di signora dalla voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-(gneuse); per errore tali si’ e sié vengon letti zi’ e zié→zi’ che sono invece l’apocope di zio e zia che sono dal lat. thiu(m)/thia(m) e dunque voci affatto diverse da signore e signora che son voci di rispetto, ma generiche rispetto a zio/zia che indicano un chiaro rapporto parentale che di norma manca nel rapporto interpersonale dei soggetti indicati come signore o signora; rammento al proposito l’espressione essere ‘o si’ nisciuno che ad litteram è : essere il signor nessuno. Espressione usata nei confronti di chi sia ritenuto un’autentica nullità, un essere di nessuna valenza e/o importanza un autentico signor nessuno.Rammento che spesso anche tra napoletani di vecchio conio la locuzione in epigrafe suona, per la ragione ricordata come: essere ‘o zi’ nisciuno sostituendo la sibilante S con una piú dura, ma inesatta Z e persino il grandissimo don Peppino Marotta,si lasciò confondere ed incolse nell’errore di tradurre l’espressione in maniera errata: essere lo zio nessuno , laddove la parola esatta da usarsi nella locuzione è: si’ che comporta la traduzione in signore. In effetti usando lo scorretto zi’ nisciuno ci troveremmo ad avere a che fare con la parola zi’ forma apocopata della voce zio(zio) che è dal lat. thiu(m) e l’espressione in un certo senso si snaturerebbe del suo significato giacché usando zi’ nisciuno (zio nessuno) non si raggiungerebbe l’icastica espressività che è contenuta nell’esatta locuzione che prevede l’uso di si’ nisciuno (signor nessuno) dove si’ è la forma apocopata della parola si(gnore).
Giunto a questo punto potrei anche ritenermi soddisfatto e reputare d’aver contentato l’amico G.G. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,mettendo un punto fermo; ma prima di farlo mi piace ricordare a vol d’uccello qualche verbo o espressione che si collegano alle voci esaminate:
allamentarse = lamentarsi, lagnarsi; reclamare, protestare, rimostrare;
fà unu sizia-sizia ne ò già détto antea sub sizia-sizia;
lepetà/repetà/ repetïàre/ ïà
dolersi, pianger lamentosamente durante i funerali e/o le veglie funebri. cfr. antea sub taluorno;
Piccïàre/ ïà cfr. antea sub píccio;
regnulïàre/ ïà cfr. antea sub regnula;
sciabbacchïàre/ïà cfr. antea sub sciabbacco
Faccio notare in coda a quest’ultimo elenco che in napoletano tutti i verbi in ïare/ïà comportano una sillaba in piú rispetto ai verbi in iare/à cosa che esige una coniugazione diversa; ad esempio in napoletano esistono i verbi cacciare/à e cacc ïare/ïà; il primo (trisillabo) con etimo dal lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere' vale: 1 mandare via con la forza o sgarbatamente; scacciare (anche fig.): caccià ‘e casa malamente (cacciare di casa, in malo modo); caccià ‘e cattive penziere(scacciare i cattivi pensieri)
2 (fam.) tirar fuori, cavare, estrarre: caccià ‘na cosa ‘e sorde(tirar fuori del danaro)
ed à una normale coniugazione dei verbi di prima cng.che ad es. all’ind. presente è i’ caccio/tu cacce/isse caccia/nuje cacciàmmo/vuje cacciàte/lloro càcciano
Affatto diverso è il quadrisillabo caccïare/ïà che a malgrado abbia il medesimo etimo dal lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere', vale: dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o catturarlo e non segue la normale coniugazione dei verbi di prima cng ma una che tiene conto della sillaba in piú, per cui ad es. all’ind. presente è i’caccéjo/tu caccíje/isso caccéja/nuje caccíjammo/
vuje caccíjate/lloro caccéjano
Sulla falsariga della coniugazione ora indicata si comportano tutti i verbi in ïare/ïà anche se non esistono loro similari in are/à, per cui i sunnotati verbi in ïare/ïà si adeguano tutti alla medesima coniugazione di caccïare/ïà e non a quella di cacciare/à.
Demumque penso proprio di poter metter ora il mio consueto satis est.
Raffaele Bracale
Questa volta è stato il caro amico G. G. (i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi di illustrare le eventuali differenze tra le voci in epigrafe e di indicargli le voci dell’idioma partenopeo che le rendono . Accontento lui e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,entrando súbito in argomento.
Lagna s.vo f.le
1– Lamento insistente e noioso: finiscila con quella lagna!; per estens., di discorso o faccenda lunghi, interminabili, noiosi: che lagna questa conferenza!; protesta o lamento ripetuto, insistente | (estens.) testo, discorso, brano musicale lento, prolisso, noioso;
fig. anche riferito a persona lagnosa: quella l. di mio marito; sei proprio una lagna!
2 -anche cosa molesta, che dia motivo di lagnarsi: Lèvati quinci e non mi dar più lagna (Dante).
Quanto all’etimo è un deverbale del lat. lania(re) 'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli in segno di dolore.
Lamento s.vo m.le
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso di dolore di un animale: emettere, mandare, levare un lamento; un lamento straziante; il lamento di un cane ferito | lamento funebre, (etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere sordo ai lamenti altrui
4 componimento in versi, per lo piú di carattere popolare, in cui si esprime il dolore per la morte di una persona, diffuso soprattutto nel medioevo;
5 (mus.) composizione vocale che commemora un personaggio illustre; nell'opera, aria in cui il personaggio esprime la sua disperazione per la morte della persona amata.
Quanto all’etimo è dal lat. lamentu(m);
Gemito s.vo m.le
grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.): i gemiti dei feriti; il gemito del vento; il gemito del popolo oppresso. Quanto all’etimo è voce dal lat. gemitu(m)derivato da gemere;
guaito s.vo m.le
1 in primis verso acuto, breve e lamentoso emesso da animali, e spec. dal cane quando prova dolore
2 (estens.) lamento | (spreg.) stonatura nel canto, forzatura della voce.
Quanto all’etimo è voce deverbale di guaire che è dal lat. vagire 'vagire', con gu- iniziale di orig. germ.; cfr. ad es. guado;
lamentela s.vo f.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza: è una lamentela generale; si sentono lamentele sul suo conto.
Quanto all’etimo è voce derivata da lamentu(m) con suff. durativo ela come per querela, cautela ecc.
E passiamo alle voci napoletane che rendono quelle dell’italiano:
addiasillo s.vo m.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza, piagnisteo, querimonia; etimologicamente è voce ricavata corrompendo ed agglutinando in un sol termine l’espressione latina: dies irae, dies ille (giorno dell’ira, quel dí) inizio d’una sequenza della liturgia dei defunti del religioso francescano, poeta e scrittore Tommaso da Celano (Celano, circa 1200 – †Val dei Varri, circa 1270) autore appunto dell'inno Dies irae di due vitae di san Francesco d'Assisi, di una vita di santa Chiara, ed almeno due lodi del Poverello.
diasilla s.vo m.le
, mugolio, piagnucolio, lamento, pianto, querimonia, lamentazione, lagno; etimologicamente è voce derivata, come dalla precedente dalla corruzione ed agglutinazione in un sol termine della sola parte finale dell’espressione latina: (dies irae,) dies ille→diasilla (giorno dell’ira, quel dí)
gnagnera s.vo f.le piagnucolio, lamento insistente, fastidioso e non motivato di donna querula; quanto all’etimolo è voce, come attestato nella stragrande maggioranza dei maggiori dizionarii in uso (D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri) palesemente onomatopeica, presente in varie altre parlate regionali con significati analoghi; fa eccezione il solo D’Ascoli che fantasiosamente si inventò una derivazione da un non attestato spagnolo ñaña (lèggi gnagna )(escremento) in un suo bizzarro significato estensivo di fastidio.Dissento dal D’Ascoli toto corde e mi accodo ai D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri.
catalajo s.vo m.le voce antica ed ormai desueta; tuttavia talora la si ritrova, sulla bocca di vecchi partenopei della città bassa, corrotta in cantaguaje riferita a persona che sia solita lamentarsi di sue vere o piú spesso presunte sventure, avversità, traversie; di per sé invece la corretta voce a margine vale lamento, gemito dolente, voce meste e dolorose espresso ad alta voce mesta se non dolorosa ed è etimologicamente costruita sul s.vo lajo (che è dal fr. lais=suono, canto) con protesi di un catà rafforzativo; rammento che il sostantivo lajo/laio è presente anche nella lingua italiana ed indicò in origine, con riferimento alla poesia francese medievale, un componimento lirico di argomento amoroso o fantastico, recitato o cantato con accompagnamento musicale; successivamente il medesimo s.vo anche nel linguaggio poetico della lingua italiana (usato però esclusivam. al plur. lai),indicò voci meste e dolorose, lamenti.
iumisso anzi jumisso s.vo m.le
Voce antica, ma desueta ed assente, purtroppo per me che l’ò cercata, in tutti i repertorii in mio possesso;corrisponde però all’italiano gemito in tutti i suoi significati: grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.); in mancanza di possibilità di confronti, ò dovuto far da solo e reputo, a mio modo di vedere, che l’etimo sia un adattamento locale (ge→ju) dal francese gemisse(ment)= gemito; per il passaggio della g palatale ad j cfr. ad es.: jennero che è da generu(m); non meraviglia altresí il passaggio di e ad u cosa normale in sillaba iniziale atona (cfr. perócchio ma purucchiuso, tellína→tunninola etc.);
lagno s.vo m.le nel suo significato primo la voce a margine vale: fossato con acqua, acquitrinio fangoso ma, per traslato vale lamento fastidioso o lagnanza insistente e noiosa, l’uno e l’altra semanticamente vicini al fastidio d’un acquitrinio fangoso ed appiccicaticcio; per quanto riguarda l’ etimo della voce preferisco accodarmi all’idea dell’amico prof. Carlo Iandolo che lègge in questo lagno un agg.vo amnius da amnis=fiume con successiva agglutinazione dell’art. l→ *l-amnius ed esito finale lagnu(s)→lagno , come somniu(m)→sogno, piuttosto che ritener la voce (considerato il suo significato primo) un deverbale di di lagnarsi che, come ò già detto, è dal lat. laniare 'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli in segno di dolore.
lamiénto s.vo m.le s. m.
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso di dolore di un animale:fa unu lamiento (si lamenta in continuazione);’nu lamientestrazziante (un lamento straziante); ‘o lamiento ‘e ‘nu cane feruto(il lamento di un cane ferito) | ‘o lamiento d’’o funnarale( il lamento funebre), (etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere sordo ai lamenti altrui
per quanto riguarda l’ etimo la voce è dal lat. lamentu(m);
lòteno s.vo m.le è propriamente un litigio lungo, noioso,ripetitivo che spesso si ripropone a scadenze continue; di tale lòteno la caretteristica precipua è appunto quella d’essere noiosamente ripetitivo ( donde il fastidio affine a quello del pregresso lagno) e quasi appiccicaticcio; etimologicamente lòteno è da collegarsi a lota = fango (dal lat. lutum a sua volta dalla medesima radice di luere=lavare, bagnare; partendo da lota(fango, terra bagnata) si va a lotulum (fangoso, melmoso, appiccicaticcio) donde con dissimilazione l→n il nostro lòteno;
‘nzíria s.vo f.le è il fastidioso, lamentoso capriccio proprio del bambino piccolo, d''o criaturo, capriccio accompagnato spesso dal piagnucolare senza motivo apparente e per ciò indica estensivamente indica anche un prolungato, lamentoso pianto, apparentemente non supportato da cause facilmente riscontrabili o riconoscibili; tale lamentoso piagnucolare è, ovviamente, costume dei bambini e segnatamente degli infanti, ai quali – impossibilitati a rispondere – sarebbe vano o sciocco chieder ragione del loro pianto; spesso di tali piccoli bambini che, all’approssimarsi dell’ora del riposo notturno, comincino a piagnucolare lamentosamente se ne suole commentare l’atteggiamento con l’espressione:Lassa ‘o stà… è ‘nziria ‘e suonno… (lascialo stare,non curartene, non preoccuparti: è bizza dovuta al sonno… per cui bisogna aver pazienza!).
Rommento ancóra che un tempo accanto alla forma ‘nziria, vi furono anche, con medesimo significato:zírria, zirra .
Per quanto riguarda l’etimologia del vocabolo ‘nziria (da cui gli aggettivi ‘nzeriuso/’nzeriosa che connotano i bambini/e che si abbandonano ai capricci ed alle bizze) scartata l’ipotesi che provenga da un in + ira: troppo distanti sono infatti l’idea di ira da quelle di bizza, capriccio, non mi sento neppure di aderire a ciò che fu proposto dall’amico avv.to Renato de Falco nel suo, peraltro informato Alfabeto napolitano vol. 1° e cioè che la parola ‘nziria potesse discender dal greco sun-eris = con dissidio, stante quasi il contrasto che si viene a creare tra il bambino in preda alla ‘nziria e l’adulto che dovrebbe dar corso alle richieste, in quanto reputo l’eventuale contrasto solo un effetto della ‘nziria, non il suo sostrato; penso che sia molto piú probabile una discendenza da un latino insidiae; a sua volta da un in + sedeo = sto sopra, mi fermo su,insisto che ben mi pare possa rappresentare semanticamente l’impuntatura fanciullesca che è tipica della ‘nziria.
parafísema attestato (Basile) anche come parafísemo s.vo m.le voce antica e desueta che vale: protesta o lamento ripetuto, insistente fissazione ingiustificata; capriccio irragionevole, poco meno che físema = fisima; quanto all’etimo è voce costruita partendo da un’alterazione del gr. (só)phisma, (deriv. di sophízesthai 'divenire saggio' (da sophía 'sapienza'), poi 'cavillare,reiterare i concetti, valersi di sottili argomentazioni’, tutte cose semanticamente vicine al lamento ripetuto ed insistente), con prostesi della cong. parà = circa, quasi ottenendosi paraphisma e successivo paraphisema mediante l’anaptissi eufonica di una e tra ph= f e s;
píccio s.vo m.le piagnucolío, piagnisteo, lamento prolungato e noioso, tipici di bambini o di donne immature; quanto all’etimo è voce da un lat. volg. *pipiu(m) connesso al verbo pipiare = piagnucolare; per il passaggio della seconda sillaba pi a cci cfr. accio←apium, saccio←sapio etc.
pívulo s.vo m.le letteralmente in primis pigolío, poi per estensione e traslato piagnucolío, piagnisteo etc. come la voce precedente; etimologicamente è voce deverbale di piulà/pivulà che è dal Lat. volg. *piulare→*pivulare (con epentesi di una v eufonica), per il class. pipilare, di orig. onomatopeica;
règnula s.vo f.le lamento a denti stretti, provocatorio, piagnucolío dispettoso, provocatorio e molesto;
quanto all’etimo è voce deverbale da un lat. volg. *ringulare ( da ringi = digrignare i denti) che ebbe anche una forma frequentativa; *ringuljare che per metatesi diede regnuljare = piagnucolare; règnula è però un diretto derivato metatetico di *ringulare→rengulare→regnulare senza transitare per il frequentativo *ringuljare.
riépeto o liépeto s.vo m.le vedi oltre sub taluorno;
sciabbàcco s.vo m.le in primis vale: fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto e poi per estensione e/o traslato lamento, lamentela, reclamo, protesta, querela, piagnisteo (che non possono mancare in una baraonda);etimologicamente è voce dall’arabo šábak= trambusto;
sizia – sizia o siziasizia s.vo m.le lamento querulo e reiterato; la voce viene usata quasi sempre nell’icastica espressione che suona: fa unu sizia-sizia.
letteralmente: fa un sitio- sitio, cioè si lamenta continuamente riferito di solito ad inopportuni bambini o a fastidiose donne che assillano con richieste pressanti ed irritanti richiedere tese ad ottenere qualcosa richiesta appunto con ossessiva petulanza. La voce e la locuzione son ricavate prendendo spunto da un episodio dei Vangeli quello relativo al “Sitio!”(ò sete), una delle sette parole pronunciate da Cristo sulla croce.Rammento che alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli da bere dell'aceto misto ad acqua e ciò non per ulteriormente vilipenderlo, ma solo perché un misto d’acqua ed aceto è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
taluórno s.vo m.le lamento reiterato, ripetizione noiosa, canto fastidioso; etimologicamente taluorno non deriva come improvvidamente e fantasiosamente pensò qualcuno (D’Ascoli) da un inesistente latino: tal-urnus: ripetizione; in realtà il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente esclusa (manca persino nel Pianegiani!) nei correnti ed accreditati vocabolarî della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una tipica dittongazione regionale della sillaba to (forse intesa breve) la voce latorno divenne latuorno sia in area calabro-lucana che in area pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f.le dell'agg. praeficus 'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché la prefica era preposta al gruppo delle ancelle che piangevano; in effetti essa prefica fu la donna che, presso gli antichi romani, veniva pagata per piangere e lamentarsi durante le cerimonie funebri; l'usanza ancóra sopravvive in alcune aree mediterranee europee; scherzosamente la voce prefica è usata poi anche per indicare una persona che si lamenti per nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche riépeto/liépeto che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi.
riépeto o liépeto s.vo m.le sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza/dissimilazione partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente atto noioso e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il fantasioso tal – urnus del D’Ascoli, si possa tranquillamente intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno.
trívulo s.vo m.le s. in primis la voce a margine è
1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.) pruno, rovo, sterpo:
2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare l'avanzata della cavalleria;
3 (fig. ed è il caso che ci occupa ) tormento,fastidio preoccupazione, angustia che generano pianto, lamentele, rimostranze, proteste :’na vita ‘ntrivule e ‘ntempesta (una vita fra triboli e tempeste); l’etimo è dal lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino'; normale nel napoletano l’alternanza b/v cfr. barca→varca, bocca→vocca, bótte→vótte etc.
zinfunía s.vo f.le , piagnucolio reiterato , accordo discordante di suoni, lamento continuo ed immotivato , pianto, querimonia, lamentazione, lagno tutti espressi, spesso coralmente ed a gran volume di voce da bambini o donne immature ; etimologicamente è voce derivata dal gr. symphonía , comp. di sy/n- 'sin-' e un deriv. di phoné 'suono'; comune nel napoletano il passaggio della s a z
ziteresélla s.vo f.le voce antichissima, popolaresca, ma desueta nata nella città bassa al tempo(fine 1800 principi 1900) in cui ancóra alcune popolane esercitavano il mestiere di capera (pettinatrice girovaga, ciarliera e pettegola; la voce è dal lat.parlato capa(m)+ il suffisso di attinenza era f.le di iere cfr. salumera ma salumiere etc. );la voce a margine ziteresélla in primis valse cantafera,cantilena, tiritera, querimonia lunga e tediosa ed estensivamente lamento, lagnanza con riferimento alle noiose tiritere, farcite di lamenti e lagnanze con cui le logorroiche pettinatrici a domicilio solevano condire il loro lavoro errabondo; in effetti etimologicamente la voce è formata dall’agglutinazione del sostantivo zi’ ( che è l’ apocope di zia) usato in luogo d’un corretto sié con il nome proprio Teresella (ipocoristico di Teresa) degradato semanticamente a nome comune.Sarebbe vano andare alla ricerca di quella Teresella che – con ogni probabilità – fu una conosciuta ciarliera, lamentosa capera che svolgeva la sua attività nei bassi, fonfaci o case della città bassa inondando di lamenti, lagnanze e querimonie le povere clienti che ipso facto servendosi del nome della pettinatrice coniarono il termine ziteresélla per indicare unacantilena,una tiritera,una querimonia lunga e tediosa ed estensivamente unlamento,una lagnanza; rammento comunque che a Napoli piú che il semplice ipocoristico Teresella ,di Teresa è in uso dapprima il diminutivo Teresina e poi il suo vezzeggiativo Teresenella.
Faccio ora un passo indietro e chiarisco la faccenda della voce zi’ usata in luogo di sié , ricordando che spesso nel napoletano una voce che nella prima sillaba à la consonante esse, quest’ultima viene letta zeta determinando una confusione tra voci diverse ed inducendo in errore, come capita ad es. con i sostantivi signore e signora che apocopati rispettivamente in si’= si(gnore) e sié = signora (sié è apocope ricostruita di signora dalla voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-(gneuse); per errore tali si’ e sié vengon letti zi’ e zié→zi’ che sono invece l’apocope di zio e zia che sono dal lat. thiu(m)/thia(m) e dunque voci affatto diverse da signore e signora che son voci di rispetto, ma generiche rispetto a zio/zia che indicano un chiaro rapporto parentale che di norma manca nel rapporto interpersonale dei soggetti indicati come signore o signora; rammento al proposito l’espressione essere ‘o si’ nisciuno che ad litteram è : essere il signor nessuno. Espressione usata nei confronti di chi sia ritenuto un’autentica nullità, un essere di nessuna valenza e/o importanza un autentico signor nessuno.Rammento che spesso anche tra napoletani di vecchio conio la locuzione in epigrafe suona, per la ragione ricordata come: essere ‘o zi’ nisciuno sostituendo la sibilante S con una piú dura, ma inesatta Z e persino il grandissimo don Peppino Marotta,si lasciò confondere ed incolse nell’errore di tradurre l’espressione in maniera errata: essere lo zio nessuno , laddove la parola esatta da usarsi nella locuzione è: si’ che comporta la traduzione in signore. In effetti usando lo scorretto zi’ nisciuno ci troveremmo ad avere a che fare con la parola zi’ forma apocopata della voce zio(zio) che è dal lat. thiu(m) e l’espressione in un certo senso si snaturerebbe del suo significato giacché usando zi’ nisciuno (zio nessuno) non si raggiungerebbe l’icastica espressività che è contenuta nell’esatta locuzione che prevede l’uso di si’ nisciuno (signor nessuno) dove si’ è la forma apocopata della parola si(gnore).
Giunto a questo punto potrei anche ritenermi soddisfatto e reputare d’aver contentato l’amico G.G. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,mettendo un punto fermo; ma prima di farlo mi piace ricordare a vol d’uccello qualche verbo o espressione che si collegano alle voci esaminate:
allamentarse = lamentarsi, lagnarsi; reclamare, protestare, rimostrare;
fà unu sizia-sizia ne ò già détto antea sub sizia-sizia;
lepetà/repetà/ repetïàre/ ïà
dolersi, pianger lamentosamente durante i funerali e/o le veglie funebri. cfr. antea sub taluorno;
Piccïàre/ ïà cfr. antea sub píccio;
regnulïàre/ ïà cfr. antea sub regnula;
sciabbacchïàre/ïà cfr. antea sub sciabbacco
Faccio notare in coda a quest’ultimo elenco che in napoletano tutti i verbi in ïare/ïà comportano una sillaba in piú rispetto ai verbi in iare/à cosa che esige una coniugazione diversa; ad esempio in napoletano esistono i verbi cacciare/à e cacc ïare/ïà; il primo (trisillabo) con etimo dal lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere' vale: 1 mandare via con la forza o sgarbatamente; scacciare (anche fig.): caccià ‘e casa malamente (cacciare di casa, in malo modo); caccià ‘e cattive penziere(scacciare i cattivi pensieri)
2 (fam.) tirar fuori, cavare, estrarre: caccià ‘na cosa ‘e sorde(tirar fuori del danaro)
ed à una normale coniugazione dei verbi di prima cng.che ad es. all’ind. presente è i’ caccio/tu cacce/isse caccia/nuje cacciàmmo/vuje cacciàte/lloro càcciano
Affatto diverso è il quadrisillabo caccïare/ïà che a malgrado abbia il medesimo etimo dal lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere', vale: dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o catturarlo e non segue la normale coniugazione dei verbi di prima cng ma una che tiene conto della sillaba in piú, per cui ad es. all’ind. presente è i’caccéjo/tu caccíje/isso caccéja/nuje caccíjammo/
vuje caccíjate/lloro caccéjano
Sulla falsariga della coniugazione ora indicata si comportano tutti i verbi in ïare/ïà anche se non esistono loro similari in are/à, per cui i sunnotati verbi in ïare/ïà si adeguano tutti alla medesima coniugazione di caccïare/ïà e non a quella di cacciare/à.
Demumque penso proprio di poter metter ora il mio consueto satis est.
Raffaele Bracale
LEMME LEMME
LEMME LEMME
La locuzione avverbiale italiana in epigrafe lemme lemme è usata nel significato di pian piano, con studiata lentezza, quasi con circospezione (spec. riferito ad andatura): camminare, avviarsi lemme lemme;estensivamente vale: tranquillamente, senza scosse.
Per ciò che riguarda l’etimo la scuola di pensiero piú seguíta( D.E.I. – Treccani – Garzanti) vi vede alla base un lat. (sol)lemne(m)→lemme 'solenne' con aferesi della sillaba d’avvio ed assimilazione progressiva mn→mm, etimo spiegato semanticamente col fatto che un’andatura solenne quale quella degli ecclesiasti durante le funzioni religiose, è un’ andatura lenta, a passi misurati, quasi circospetta.
Altra scuola di pensiero reputa che l’etimo dell’italiano lemme lemme si possa piú opportunamente ricondurre, sia morfologicamente che semanticamente, ad un antico tedesco lam→lahme= zoppo, storpio la cui andatura claudicante richiama il piano, piano, con studiata lentezza , quasi con circospezione che son nel significato della loc. avv.le in epigrafe.Ultima ipotesi (in ordine di tempo) quella dell’amico prf. Carlo Iandolo che ipotizza si possa partire dal nome proprio “Matusalemme”, già ridotto
dallo spezzettamento anteriore alla forma “matusa” (quindi con transito dall’uso
proprio a quello comune, col valore di “anziano, vecchio”); è probabile– continua Iandolo - che anche la
seconda parte del sostantivo sia stata sfruttata proprio in considerazione del notevole
percorso di vita del personaggio biblico, protrattasi per ben 969 anni, cosicché egli è
diventato simbolico sinonimo di vetustà, con conseguente attribuzione d’un incedere
tardigrado: ecco “lemme lemme”, propiziato anche dalla vicinanza del suono iniziale
e dal concetto peculiari dell’omosemantico aggettivo “lento lento”
Per quel che mi riguarda (discostandomi da un po’ tutte le cennate idee,anche da quella recentissima dell’amico Iandolo a cui chiedo venia…) ipotizzo che, quanto all’etimologia, lemme lemme possa ricondursi al greco (ph)légma→lemma→lemme, deriv. di phlégein la stessa voce che diede flemma nel significato figurato di tranquillità, calma eccessiva; lentezza esasperante che son proprie sia della flemma che del lemme lemme.
E passiamo ai modi partenopei di rendere il lemme lemme dell’italiano dell’epigrafe.
Abbiamo:
1) cuóveto - cuóveto
2) cuccio – cuccio
3) gnèmme-gnèmme
4) muchio-muchio
5) ruglio-ruglio
6) sciacquo-sciacquo
7) sòpio-sòpio.
Tutte le locuzioni avv.li napoletane sono formate con l’iterazione di un aggettivo di grado positivo, iterazione che di solito serve a formare il superlativo di un aggettivo. Esaminiamo le singole locuzioni:
- cuóveto – cuóveto = tranquillamente, silenziosamente (per prudenza, paura etc.)chiotto chiotto; locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo cuóveto che di per sé quale part. pass. di cogliere( dal lat. colligere, comp. di cum 'con' e legere 'raccogliere') varrebbe còlto, colpito, preso alla sprovvista e perciò costretto a comportamento tranquillo, silenzioso, prudente e timoroso.
- cuccio – cuccio = umilmente, dimessamente, con circospezione;
locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo cuccio che di per sé quale deverbale di cuccià vale umile, tranquillo, tal quale un cane che una volta che sia entrato nella sua cuccia (deverbale del francese coucher= mettersi a letto) si cheta e si mette tranquillo.
- gnèmme-gnèmme = con estrema lentezza, con circospezione esagerata, ma anche con studiata leziosità quasi femminea; locuzione formata non con l’iterazione di un aggettivo, ma di una voce espressiva, marcata su l’aggettivo gnagnolla= lenta che à affinità con la voce lucchese gnègnora e la genovese gnagna tutte: la genovese, la lucchese e la napoletana da riferire allo spagnolo ñoño= lento, impacciato.
- muchio-muchio = mogio mogio, piano piano, quatto quatto, silenziosamente; locuzione il cui etimo è molto controverso, andando da una provenienza veneta però non meglio spiegata, ad una emiliana dove un muci(che è dal serbo-crato muci) vale zitto legato a muk= silenzio; atteso però che - a meno di clamorosi errori – non mi risultano frequentazioni partenopee con veneti o emiliani o serbo-croati, frequentazioni tali da generare derivazioni linguistiche, preferisco collegare la locuzione a margine alla voce mucio = gatto che risente dell’influenza dello spagnolo mucho collegamento che spiegherebbe anche in chiave semantica la locuzione ove si pensi che è proprio del gatto il muoversi piano piano, quatto quatto, silenziosamente.
A margine ricorderò che in napoletano esiste anche la voce muchiosurdo che non indica come si potrebbe erroneamente pensare (e qualcuno lo pensa!...) il sordomuto, ma viene riferita a persona che agisca furbescamente, con circospezione e fare sornione (tal quale un gatto che ad abundantiam, si avvalga di una eventuale... sordità per tenere un comportamento coperto e dissimulato).
ruglio-ruglio = mogio mogio, piano piano,ovvero lentamente, quasi contando i passi, come chi sia pieno, zeppo, stipato di cibo e dunque sia costretto a muoversi lentamente, mogio mogio. Vale la pena di ricordare che l’espressione ruglio ruglio, nella sua reiterazione dell’aggettivo di grado positivo ne sostanzia il superlativo che, al solito, in napoletano non à la forma del suffisso in issimo, ma usa reiterare l’aggettivo di grado positivo come avviene p. es. con chiatto chiatto o luongo luongo o ancora curto curto che rispettivamente stanno per grassissimo,altissimo (o lunghissimo), bassissimo etc. e dunque ruglio ruglio sta per pienissimo, ma vale la loc. avv.le piano piano, lentamente; etimologicamente la parola ruglio è un chiaro deverbale forgiato sul verbo latino: turgulare frequentativo di turgere: inturgidire;
E, a mo’ di completamento rammenterò che sia in calabrese che in napoletano d’antan esiste il verbo ‘ntrugliare = ingrossare forgiato ugualmente sui verbi latini di cui sopra.
sciacquo-sciacquo = lento lento, molle molle, senza vigore o decisione; locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo sciacquo aggettivo che deverbale di sciacquà= sciacquare (dal tardo lat. (e)xacquare per il classico (e)xaquare è usato per significareimpotenza, difettosità come nel caso che riferito ad es. ad un uovo non del tutto sviluppato, ne indica la incompletezza e dunque sia un uovo lento, molle e senza vigore; alla medesima stregua l’aggettivo sciacquo riferito ad un uomo lo significa difettoso, impotente, privo di vigore tal quale un vino allungato con troppa acqua, e come tale costretto ad un’azione lenta, molle, senza vigore e/o decisione.
sòpio-sòpio o anche sòpia-sòpia = lentissimamente, senza vigore, con indecisione, circospettamente ; locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo sòpio aggettivo che nella locuzione è usato anche declinato al femminile (forse perché la mancanza di vigore, l’indecisione, la circospezione sono di quasi esclusiva pertinenza femminile...) etimologicamente la voce sòpio è da ricondursi ad un olandese so(m)pe che però puó forsi collegarsi ad un tardo latino zoppus= zoppo; la zoppÍa spiegherebbe semantimente un’andatura lentissima, senza vigore, indecisa e circospetta quella indicata con la locuzione sòpio-sòpio o anche sòpia-sòpia.
raffaele bracale
P.S.
A margine di tutto annoto che ò ricevuto una mail dall’amico prof. Iandolo che cosí testualmente si esprime circa la mia ipotesi etimologica di lemme lemme: “Quanto a "lemme", la possibilità d'una derivazione dal greco e poi dal tardo latino "phlegma" sorpassa la difficoltà semantica iniziale, che parte dal freddo (uno dei quattro umori nella dottrina di Ippocrate), poi dal concetto di "infiammazione" e poi, fin dal sec. XIV già in Italia in Giordano da Pisa, è attestato col valore di "flemma, calma", con normale assimilazione regressiva (al posto dell'insolitissima assimilazione progressiva connessa a "so-llemne-m"). la Sua ipotesi mi pare non da scartare, anzi da prendere in considerazione, anche se va integrata con la supposizione (peraltro poco convincente) del Beccaria, secondo cui l'evoluzione semantica pervenuta al concetto di "calma, lentezza" vada attribuita ad un influsso spagnolo. Saluti benauguranti - Carlo Iandolo”
La locuzione avverbiale italiana in epigrafe lemme lemme è usata nel significato di pian piano, con studiata lentezza, quasi con circospezione (spec. riferito ad andatura): camminare, avviarsi lemme lemme;estensivamente vale: tranquillamente, senza scosse.
Per ciò che riguarda l’etimo la scuola di pensiero piú seguíta( D.E.I. – Treccani – Garzanti) vi vede alla base un lat. (sol)lemne(m)→lemme 'solenne' con aferesi della sillaba d’avvio ed assimilazione progressiva mn→mm, etimo spiegato semanticamente col fatto che un’andatura solenne quale quella degli ecclesiasti durante le funzioni religiose, è un’ andatura lenta, a passi misurati, quasi circospetta.
Altra scuola di pensiero reputa che l’etimo dell’italiano lemme lemme si possa piú opportunamente ricondurre, sia morfologicamente che semanticamente, ad un antico tedesco lam→lahme= zoppo, storpio la cui andatura claudicante richiama il piano, piano, con studiata lentezza , quasi con circospezione che son nel significato della loc. avv.le in epigrafe.Ultima ipotesi (in ordine di tempo) quella dell’amico prf. Carlo Iandolo che ipotizza si possa partire dal nome proprio “Matusalemme”, già ridotto
dallo spezzettamento anteriore alla forma “matusa” (quindi con transito dall’uso
proprio a quello comune, col valore di “anziano, vecchio”); è probabile– continua Iandolo - che anche la
seconda parte del sostantivo sia stata sfruttata proprio in considerazione del notevole
percorso di vita del personaggio biblico, protrattasi per ben 969 anni, cosicché egli è
diventato simbolico sinonimo di vetustà, con conseguente attribuzione d’un incedere
tardigrado: ecco “lemme lemme”, propiziato anche dalla vicinanza del suono iniziale
e dal concetto peculiari dell’omosemantico aggettivo “lento lento”
Per quel che mi riguarda (discostandomi da un po’ tutte le cennate idee,anche da quella recentissima dell’amico Iandolo a cui chiedo venia…) ipotizzo che, quanto all’etimologia, lemme lemme possa ricondursi al greco (ph)légma→lemma→lemme, deriv. di phlégein la stessa voce che diede flemma nel significato figurato di tranquillità, calma eccessiva; lentezza esasperante che son proprie sia della flemma che del lemme lemme.
E passiamo ai modi partenopei di rendere il lemme lemme dell’italiano dell’epigrafe.
Abbiamo:
1) cuóveto - cuóveto
2) cuccio – cuccio
3) gnèmme-gnèmme
4) muchio-muchio
5) ruglio-ruglio
6) sciacquo-sciacquo
7) sòpio-sòpio.
Tutte le locuzioni avv.li napoletane sono formate con l’iterazione di un aggettivo di grado positivo, iterazione che di solito serve a formare il superlativo di un aggettivo. Esaminiamo le singole locuzioni:
- cuóveto – cuóveto = tranquillamente, silenziosamente (per prudenza, paura etc.)chiotto chiotto; locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo cuóveto che di per sé quale part. pass. di cogliere( dal lat. colligere, comp. di cum 'con' e legere 'raccogliere') varrebbe còlto, colpito, preso alla sprovvista e perciò costretto a comportamento tranquillo, silenzioso, prudente e timoroso.
- cuccio – cuccio = umilmente, dimessamente, con circospezione;
locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo cuccio che di per sé quale deverbale di cuccià vale umile, tranquillo, tal quale un cane che una volta che sia entrato nella sua cuccia (deverbale del francese coucher= mettersi a letto) si cheta e si mette tranquillo.
- gnèmme-gnèmme = con estrema lentezza, con circospezione esagerata, ma anche con studiata leziosità quasi femminea; locuzione formata non con l’iterazione di un aggettivo, ma di una voce espressiva, marcata su l’aggettivo gnagnolla= lenta che à affinità con la voce lucchese gnègnora e la genovese gnagna tutte: la genovese, la lucchese e la napoletana da riferire allo spagnolo ñoño= lento, impacciato.
- muchio-muchio = mogio mogio, piano piano, quatto quatto, silenziosamente; locuzione il cui etimo è molto controverso, andando da una provenienza veneta però non meglio spiegata, ad una emiliana dove un muci(che è dal serbo-crato muci) vale zitto legato a muk= silenzio; atteso però che - a meno di clamorosi errori – non mi risultano frequentazioni partenopee con veneti o emiliani o serbo-croati, frequentazioni tali da generare derivazioni linguistiche, preferisco collegare la locuzione a margine alla voce mucio = gatto che risente dell’influenza dello spagnolo mucho collegamento che spiegherebbe anche in chiave semantica la locuzione ove si pensi che è proprio del gatto il muoversi piano piano, quatto quatto, silenziosamente.
A margine ricorderò che in napoletano esiste anche la voce muchiosurdo che non indica come si potrebbe erroneamente pensare (e qualcuno lo pensa!...) il sordomuto, ma viene riferita a persona che agisca furbescamente, con circospezione e fare sornione (tal quale un gatto che ad abundantiam, si avvalga di una eventuale... sordità per tenere un comportamento coperto e dissimulato).
ruglio-ruglio = mogio mogio, piano piano,ovvero lentamente, quasi contando i passi, come chi sia pieno, zeppo, stipato di cibo e dunque sia costretto a muoversi lentamente, mogio mogio. Vale la pena di ricordare che l’espressione ruglio ruglio, nella sua reiterazione dell’aggettivo di grado positivo ne sostanzia il superlativo che, al solito, in napoletano non à la forma del suffisso in issimo, ma usa reiterare l’aggettivo di grado positivo come avviene p. es. con chiatto chiatto o luongo luongo o ancora curto curto che rispettivamente stanno per grassissimo,altissimo (o lunghissimo), bassissimo etc. e dunque ruglio ruglio sta per pienissimo, ma vale la loc. avv.le piano piano, lentamente; etimologicamente la parola ruglio è un chiaro deverbale forgiato sul verbo latino: turgulare frequentativo di turgere: inturgidire;
E, a mo’ di completamento rammenterò che sia in calabrese che in napoletano d’antan esiste il verbo ‘ntrugliare = ingrossare forgiato ugualmente sui verbi latini di cui sopra.
sciacquo-sciacquo = lento lento, molle molle, senza vigore o decisione; locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo sciacquo aggettivo che deverbale di sciacquà= sciacquare (dal tardo lat. (e)xacquare per il classico (e)xaquare è usato per significareimpotenza, difettosità come nel caso che riferito ad es. ad un uovo non del tutto sviluppato, ne indica la incompletezza e dunque sia un uovo lento, molle e senza vigore; alla medesima stregua l’aggettivo sciacquo riferito ad un uomo lo significa difettoso, impotente, privo di vigore tal quale un vino allungato con troppa acqua, e come tale costretto ad un’azione lenta, molle, senza vigore e/o decisione.
sòpio-sòpio o anche sòpia-sòpia = lentissimamente, senza vigore, con indecisione, circospettamente ; locuzione formata con l’iterazione dell’aggettivo sòpio aggettivo che nella locuzione è usato anche declinato al femminile (forse perché la mancanza di vigore, l’indecisione, la circospezione sono di quasi esclusiva pertinenza femminile...) etimologicamente la voce sòpio è da ricondursi ad un olandese so(m)pe che però puó forsi collegarsi ad un tardo latino zoppus= zoppo; la zoppÍa spiegherebbe semantimente un’andatura lentissima, senza vigore, indecisa e circospetta quella indicata con la locuzione sòpio-sòpio o anche sòpia-sòpia.
raffaele bracale
P.S.
A margine di tutto annoto che ò ricevuto una mail dall’amico prof. Iandolo che cosí testualmente si esprime circa la mia ipotesi etimologica di lemme lemme: “Quanto a "lemme", la possibilità d'una derivazione dal greco e poi dal tardo latino "phlegma" sorpassa la difficoltà semantica iniziale, che parte dal freddo (uno dei quattro umori nella dottrina di Ippocrate), poi dal concetto di "infiammazione" e poi, fin dal sec. XIV già in Italia in Giordano da Pisa, è attestato col valore di "flemma, calma", con normale assimilazione regressiva (al posto dell'insolitissima assimilazione progressiva connessa a "so-llemne-m"). la Sua ipotesi mi pare non da scartare, anzi da prendere in considerazione, anche se va integrata con la supposizione (peraltro poco convincente) del Beccaria, secondo cui l'evoluzione semantica pervenuta al concetto di "calma, lentezza" vada attribuita ad un influsso spagnolo. Saluti benauguranti - Carlo Iandolo”