1.ADDURMIRSE CU ‘A ZIZZA ‘MMOCCA
Ad litteram: Addormentarsi con la tetta in bocca Détto a mo’ di dileggio soprattutto dei tontoloni, dei creduloni che si mostrano nel loro agire irresoluti ed eccessivamente tranquilli, quasi fossero dei piccoli ragazzi cui basta offrire una mammella da succhiare, per farli tranquillamente e repentinamente addormentare.
2. BBELLO E BBUONO
Ad litteram: Bello e buono id est: all’improvviso, d’un tratto, inopinatamente quasi sottointendendo che l’avvenimento di cui si tratta sia peggiorativo rispetto a quello (bello e buono) cui à fatto seguito o in cui si è insinuato; quasi uno dicesse: la situazione era propizia e d’un tratto è mutata in peggio; per meglio intendere la locuzione vedi alibi l’espressione â’ntrasatta - che, come significato, è di portata simile.
3. BONANOTTE Ê SUNATURE oppure Ê SANTE
Ad litteram: buona notte ai sonatori oppure ai santi ; espressioni che si usano con senso di profondo cruccio, ad amaro commento di situazioni che si sono concluse, ma in maniera molto negativa di talché verrebbe fatto di pensare che non resti da o congedare sbrigativamente i sonatori o salutare deferentemente i santi atteso che né gli uni, né gli altri possano o abbiano potuto far qualcosa per migliorare la situazione de qua.
4. BBRUTTO CU ‘O TÈ, CU ‘O NÈ, ‘O PIRIPISSO E ‘O NAIANÀ
Locuzione ( intraducibile ad litteram), con cui si suole indicare il massimo grado di bruttezza che venga raggiunto da qualcuno che sia brutto oltre ogni ragionevole dubbio; l’espressione, che può essere usata indifferentemente nei riguardi di una donna o di un uomo, compendia in quattro quid non meglio identificati (e che sarebbe vano tentare di riconoscere,o peggio ancóra,indicarne l’etimo) i parametri negativi in presenza dei quali si può essere certi di trovarsi davanti a persona decisamente brutta; è vero pure però il ragionamento inverso: quando si pensa di avere a che fare con persona decisamente brutta, la si accredita di quei quattro parametri di cui in epigrafe anche se non li si spiega o identifica né si possa identificarli apertamente e chiaramente in qualche cosa di certo ed individuabile .
5. BARBA, CAPILLE E PPALLUCCELLA ‘MMOCCA specialmente nell’espressione SERVÍ ‘E BBARBA etc.
Ad litteram: barba, capelli e pallina in bocca specialmente nell’espressione servir di barba etc. Cosí, un tempo, veniva indicato il “servizio” completo offerto dai barbitonsori girovaghi, che per pochi soldi servivano il cliente di rasatura di barba e taglio di capelli, offrendo per sopramercato al cliente una piccola sfera che inserita in bocca e trattenuta tra denti e guancia, consentiva a questa di tendersi in maniera da favorire la rasatura; la sfera offerta, naturalmente monouso, era costituita o da una piccolissima mela che, terminata la rasatura veniva mangiata, o da un congruo confetto, (ricoperto da una friabilissima glassa zuccherina),prodotto in quel di Sulmona, confetto che, assolta la sua funzione, veniva mangiato.
Oggi l’espressione in epigrafe è usata da chi voglia significare che il suo comportamento, nei riguardi del destinario della locuzione, non è suscettibile di miglioramento in quanto è un comportamento pieno e completo in ogni sua parte o manifestazione.
6. BBUONO PE SCERIÀ ‘A RAMMA
Ad litteram: buono per soffregare le stoviglie di rame
Un tempo, quando la chimica non aveva ancóra prodotto tutti i detergenti o detersivi che, aiutando la massaia, inquinano il mondo, e quando l’acciaio 18/10
non era entrato ancóra in cucina sotto forma di stoviglie, queste erano di lucente rame opportunamente, per le parti che venivano a contatto con il cibo, ricoperte di stagno .Per procedere alla pulizia delle stoviglie di rame si usavano due ingredienti naturali: sabbia ‘e vitrera (sabbia da vetrai, ricca di silice) e limoni ; orbene quegli agrumi non edibili perché o di sapore eccessivamente aspro o perché carenti di succo, erano destinati allo scopo di pulire e rendere luccicanti le stoviglie; per cui di essi frutti si diceva che erano bbuone pe scerià ‘a ramma. Per traslato, oggi di chi, uomo o cosa, manchi alla sua primaria destinazione, si dice ironicamente che è buono etc. il verbo scerià id est: soffregare, nettare, lucidare viene da un tardo latino: flicare da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià tutti con il significato di soffregare.
7. ACCUNCIARSE QUATT' OVE DINTO A 'NU PIATTO.
Ad litteram:Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...tutte quelle che eccedono sono state sottratte ad altri).
8. BBUONO P’APARÀ ‘O MASTRILLO
Ad litteram: buono per armare la trappolina id est: appena sufficiente a predisporre l’esca di una trappolina. La locuzione si usa nei confronti di qualcosa, soprattutto edibile, che sia cosí parva res da non poter soddisfare un sia pur modesto appetito, ma appena appena sufficiente a far da esca; per traslato la locuzione è usata nei confronti di tutto ciò che sia palesemente piccolo e/o modesto.
9. BBBUONO ‘NSALUTE E SCARZO A DDENARE
Ad litteram:Bene in salute, ma poco provvisto di danaro.
Spesso alla semplice, spontanea domanda : “Come state?” fatta da un conoscente incontrato per caso, a Napoli si suole rispondere con la locuzione in epigrafe con la quale ci si vuol mettere al riparo da eventuali sorprese, volendo quasi dire: “Se la tua domanda è stata fatta con la semplice intenzione di informarti sul mio stato di salute, sappi che sto bene; ma se la domanda era propedeutica ad una richiesta di prestito, sappi allora che le mie condizioni economiche attuali, non mi permettono di fare prestiti o elargizioni; evita perciò di farmene richiesta!”La locuzione è divenuta col tempo, quasi una frase idiomatica e viene usata sempre in risposta alla domanda de quo, indipendentemente se esistano o meno condizioni economiche precarie.
10. CACCIÀ ‘E CCARTE
Ad litteram: tirar fuori le carte Non si tratta però, chiaramente di tra fuori da un cassetto le 40 carte di cui è formato il mazzo napoletano di carte da giuoco per principiare una partita.
Si tratta, invece, di procurarsi le necessarie documentazioni burocratiche per avviare una certa pratica o per portarla a compimento.In particolare la locuzione in epigrafe è usata dai promessi sposi che, intendendo contrarre il loro matrimonio, devono sobbarcarsi all’impresa di procurarsi presso uffici pubblici e/o luoghi di culto le prescritte documentazioni, dette in maniera onnicomprensiva: carte, senza le quali, non è possibile pervenire alla celebrazione delle nozze. Va da sè che quasi tutti i negozi giuridici necessitano di ineludibili carte da procacciare e ciò à dato modo a taluni napoletani, disperatamente senza lavoro, di inventarsi un mestiere: quello di procacciatore di carte; questo utilissimo individuo, per poche lire si accolla l’onere di fare lunghissime file davanti agli sportelli degli uffici dell’anagrafe pubblica, o si accolla la fatica di raggiungere posti lontani e impervi da raggiungere per procurare al richiedente le carte necessarie.
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martedì 31 maggio 2011
VARIE 1197
1. PISCIÀ ACQUA SANTA P''O VELLICULO.
Letteralmente: orinare acqua santa dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa.
2. Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE
Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane.
3. ARRETÍRATE, PIRETO!
Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua sede vi possa rientrare a comando...
4. A 'NU PARMO D''O CULO MIO, FOTTE CHI PO’.
Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si diverta chi puó. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi arrechiate danno!
5. DICETTE 'O MIEDECO 'E NOLA: CHESTA È 'A RICETTA E CA DDIO T''A MANNA BBONA...
Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi.
6. FÀ 'NU QUATTO 'E MAGGIO.
Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4, da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto.
7. S'À DDA ÒGNERE L'ASSO.
Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua, bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti.
8. PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO.
Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuo flatus ventris.
9. L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE.
Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia.
10. CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE CA LL'ASSOLVE.
Letteralmente: Chi à comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato cosí grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore.
11. QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê SEMMENZELLE?
Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa.
12. 'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA.
Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola.
13. SENZA ‘E FESSE NUN CAMPANO 'E DERITTE.
Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare.
14. 'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
15. DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, sia pure metaforicamente, sulle orecchie per fargliele abbassare.
16. N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri per intero nella ipotetica pentola destinata all'uso della bollitura. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri per pensiero e/o azione, cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti della ipotetica pentola in cui dovrebbe esser bollito.
17. TANTE GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente? Parlano in tanti... come si vuole che giungano ad una conclusione pratica
18. SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non potrà avvenire, nè avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
19. MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!
Letteralmente: Madonna mia reggi l'acqua. Id est: fa’ che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti.
20. OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
Brak
Letteralmente: orinare acqua santa dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa.
2. Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE
Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane.
3. ARRETÍRATE, PIRETO!
Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua sede vi possa rientrare a comando...
4. A 'NU PARMO D''O CULO MIO, FOTTE CHI PO’.
Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si diverta chi puó. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi arrechiate danno!
5. DICETTE 'O MIEDECO 'E NOLA: CHESTA È 'A RICETTA E CA DDIO T''A MANNA BBONA...
Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi.
6. FÀ 'NU QUATTO 'E MAGGIO.
Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4, da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto.
7. S'À DDA ÒGNERE L'ASSO.
Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua, bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti.
8. PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO.
Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuo flatus ventris.
9. L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE.
Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia.
10. CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE CA LL'ASSOLVE.
Letteralmente: Chi à comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato cosí grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore.
11. QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê SEMMENZELLE?
Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa.
12. 'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA.
Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola.
13. SENZA ‘E FESSE NUN CAMPANO 'E DERITTE.
Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare.
14. 'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
15. DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, sia pure metaforicamente, sulle orecchie per fargliele abbassare.
16. N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri per intero nella ipotetica pentola destinata all'uso della bollitura. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri per pensiero e/o azione, cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti della ipotetica pentola in cui dovrebbe esser bollito.
17. TANTE GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente? Parlano in tanti... come si vuole che giungano ad una conclusione pratica
18. SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non potrà avvenire, nè avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
19. MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!
Letteralmente: Madonna mia reggi l'acqua. Id est: fa’ che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti.
20. OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
Brak
VARIE 1196
1.CHIJARSELA A LIBBRETTA.
Letteralmente:piegarsela a libretto. È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non lo si possa fare stando comodamente seduti al tavolo servendosi di piatto e posate e si sia costretti a mangiare stando in piedi. In tal caso si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento. L’espressione in senso traslato vale accettare obtorto collo, far per necessità buon viso a cattivo gioco.
2.VENNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO.
Letteralmente:Vendere una grossa insalatiera presentandola come un secchiello.Figuratamente e sarcasticamente la locuzione viene adoperata nei confronti di chi decanti la nettezza dei costumi di una donna che invece è stata notoriamente conosciuta biblicamente da parecchi.
3.'E SÀBBATO, 'E SÚBBETO E SENZA PREVETE!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
4.A PPESIELLE NE PARLAMMO.
Letteralmente: Parliamone al tempo dei piselli -(quando cioè avremo incassato i proventi della raccolta e potremo permetterci nuove spese...) Id est: Rimandiamo tutto a tempi migliori.
5.JÍ CERCANNO OVA 'E LUPO E PIETTENE 'E QUINNICE.
Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose introvabili o impossibili; nulla quaestio per le uova di lupo che è un mammifero per ciò che concerne i pettini bisogna sapere che un tempo i piú conosciuti nel popolo, oltre quelli usati per ravviarsi i capelli, erano i pettini dei cardalana e tali attrezzi non contavano mai piú di tredici denti...
6.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, TÈNE BBONI CCOSCE...
Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli conseguenti del proprio cattivo intendere.
7.METTERE 'O PPEPE 'NCULO Â ZÒCCOLA.
Letteralmente:introdurre pepe nel deretano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora si navigava, capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci solcassero i mari grossi topi, che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie, poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa, gode ad attizzare il fuoco della discussione...
8.PURE 'E PULICE TENONO 'A TOSSE...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere.
9.DICE BBUONO 'O DITTO 'E VASCIO QUANNO PARLA DELLA DONNA: UNA BBONA CE NE STEVA E 'A FACETTERO MADONNA...
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile e da cui guardarsi. - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'Mparaviso del grande poeta Ferdinando Russo
10.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi.
11.JAMMO, CA MO S'AIZA!
Muoviamoci, ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per un avviso generico sull'imminenza di una qualsiasi attività.
12.CHELLO È BBELLO 'O PRUTUSINO, VA 'A GATTA E CE PISCIA A COPPA...
Ad litteram: Il prezzemolo è bello, poi la gatta vi minge su; espressione ironica da intendersi:Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...L’espressione cosí come formulata con l’aggettivo bello, parrebbe sostanziare un fatto o dote positiva, ma trattandosi di un’espressione ironica se non sarcastica essa deve essere lètta in senso antifrastico cioè negativo di talché il bello va inteso brutto
13.QUANNO VIDE 'O FFUOCO Â CASA 'E LL'ATE, CURRE CU LL'ACQUA Â CASA TOJA...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura, che potrebbe colpirti nello stesso momento.
14.GIORGIO SE NE VO’ JÍ E 'O VESCOVO N' 'O VO’ CACCIÀ.
Giorgio intende andar via ed il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione mutuata da una farsa pulcinellesca fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
15.FA MMIRIA Ô TRE 'E BASTONE.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio.
Brak
Letteralmente:piegarsela a libretto. È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non lo si possa fare stando comodamente seduti al tavolo servendosi di piatto e posate e si sia costretti a mangiare stando in piedi. In tal caso si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento. L’espressione in senso traslato vale accettare obtorto collo, far per necessità buon viso a cattivo gioco.
2.VENNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO.
Letteralmente:Vendere una grossa insalatiera presentandola come un secchiello.Figuratamente e sarcasticamente la locuzione viene adoperata nei confronti di chi decanti la nettezza dei costumi di una donna che invece è stata notoriamente conosciuta biblicamente da parecchi.
3.'E SÀBBATO, 'E SÚBBETO E SENZA PREVETE!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
4.A PPESIELLE NE PARLAMMO.
Letteralmente: Parliamone al tempo dei piselli -(quando cioè avremo incassato i proventi della raccolta e potremo permetterci nuove spese...) Id est: Rimandiamo tutto a tempi migliori.
5.JÍ CERCANNO OVA 'E LUPO E PIETTENE 'E QUINNICE.
Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose introvabili o impossibili; nulla quaestio per le uova di lupo che è un mammifero per ciò che concerne i pettini bisogna sapere che un tempo i piú conosciuti nel popolo, oltre quelli usati per ravviarsi i capelli, erano i pettini dei cardalana e tali attrezzi non contavano mai piú di tredici denti...
6.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, TÈNE BBONI CCOSCE...
Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli conseguenti del proprio cattivo intendere.
7.METTERE 'O PPEPE 'NCULO Â ZÒCCOLA.
Letteralmente:introdurre pepe nel deretano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora si navigava, capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci solcassero i mari grossi topi, che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie, poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa, gode ad attizzare il fuoco della discussione...
8.PURE 'E PULICE TENONO 'A TOSSE...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere.
9.DICE BBUONO 'O DITTO 'E VASCIO QUANNO PARLA DELLA DONNA: UNA BBONA CE NE STEVA E 'A FACETTERO MADONNA...
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile e da cui guardarsi. - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'Mparaviso del grande poeta Ferdinando Russo
10.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi.
11.JAMMO, CA MO S'AIZA!
Muoviamoci, ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per un avviso generico sull'imminenza di una qualsiasi attività.
12.CHELLO È BBELLO 'O PRUTUSINO, VA 'A GATTA E CE PISCIA A COPPA...
Ad litteram: Il prezzemolo è bello, poi la gatta vi minge su; espressione ironica da intendersi:Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...L’espressione cosí come formulata con l’aggettivo bello, parrebbe sostanziare un fatto o dote positiva, ma trattandosi di un’espressione ironica se non sarcastica essa deve essere lètta in senso antifrastico cioè negativo di talché il bello va inteso brutto
13.QUANNO VIDE 'O FFUOCO Â CASA 'E LL'ATE, CURRE CU LL'ACQUA Â CASA TOJA...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura, che potrebbe colpirti nello stesso momento.
14.GIORGIO SE NE VO’ JÍ E 'O VESCOVO N' 'O VO’ CACCIÀ.
Giorgio intende andar via ed il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione mutuata da una farsa pulcinellesca fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
15.FA MMIRIA Ô TRE 'E BASTONE.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio.
Brak
VARIE 1195
1.SI 'A FATICA FOSSE BBONA, 'A FACESSERO 'E PRIEVETE.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente). Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
2.AVIMMO CASSATO N' ATU RIGO 'A SOTT' Ô SUNETTO.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni già di per sè non abbondanti...
3.HÊ VIPPETO VINO A UNA RECCHIA.
Ài bevuto vino ad una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare, nell’inteso comune che il vino buono sia quello che faccia reclinare la testa in avanti. L’espressione è usata per sottolineare i pessimi risultati di chi à agito dopo di aver bevuto vino scadente.
4.PURTÀ 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
5.'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE ‘NU PURTONE O 'NA FENESTA.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portone o una finestra - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
6.NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E SFOTTERE Ô BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si erge ad ipercritico e spaccone.
7.È GGHIUTO 'O CASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
8.À FATTO MARENNA A SARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
9.FÀ LL'ARTE 'E MICHELASSO: MAGNÀ, VEVERE E GGHÍ A SPASSO.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
10.SO' GGHIUTE 'E PRIEVETE 'NCOPP'Ô CAMPO
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:i preti erano costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...e determinando un procedere caotico. L’Icastica espressione è usata a commento di situazioni in cui regnino disordine, baraonda, scompiglio, soqquadro.
11.NUN VULÈ NÈ TTIRÀ, NÈ SCURTECÀ...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità,rifuggere da ogni impegno come accadeva con taluni operai conciatori di pelle quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla loro scuoiatura.
12.ACCUNCIARSE QUATT' OVE DINTO A 'NU PIATTO.
Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...).
13.FARSE 'NU PURPETIELLO.
Bagnarsi fino alle ossa come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
14.JÍ A PPÈRE 'E CHIUMMO.
Andare con i piedi di piombo - Cioè: con attenzione e cautela.
15.TENÉ'A SCIORTA 'E MARIA VRENNA.
Avere la sorte di Maria di Brienne - Cioè:perder tutti propri beni ed autorità come accadde a Maria di Brienne sfortunata consorte di Ladislao di Durazzo, ridotta alla miseria alla morte del coniuge (1414) dalla di lui sorella Giovanna II che,succedutagli sul trono, si impossessò di tutti i beni, anche di quelli personali della vedova di Ladislao la quale fu esautorata in tutto, privandola del prestigio, della stima, del credito,della considerazione prestigio,nonché delle competenze precedentemente esercitate.
Brak
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente). Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
2.AVIMMO CASSATO N' ATU RIGO 'A SOTT' Ô SUNETTO.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni già di per sè non abbondanti...
3.HÊ VIPPETO VINO A UNA RECCHIA.
Ài bevuto vino ad una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare, nell’inteso comune che il vino buono sia quello che faccia reclinare la testa in avanti. L’espressione è usata per sottolineare i pessimi risultati di chi à agito dopo di aver bevuto vino scadente.
4.PURTÀ 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
5.'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE ‘NU PURTONE O 'NA FENESTA.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portone o una finestra - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
6.NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E SFOTTERE Ô BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si erge ad ipercritico e spaccone.
7.È GGHIUTO 'O CASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
8.À FATTO MARENNA A SARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
9.FÀ LL'ARTE 'E MICHELASSO: MAGNÀ, VEVERE E GGHÍ A SPASSO.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
10.SO' GGHIUTE 'E PRIEVETE 'NCOPP'Ô CAMPO
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:i preti erano costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...e determinando un procedere caotico. L’Icastica espressione è usata a commento di situazioni in cui regnino disordine, baraonda, scompiglio, soqquadro.
11.NUN VULÈ NÈ TTIRÀ, NÈ SCURTECÀ...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità,rifuggere da ogni impegno come accadeva con taluni operai conciatori di pelle quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla loro scuoiatura.
12.ACCUNCIARSE QUATT' OVE DINTO A 'NU PIATTO.
Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...).
13.FARSE 'NU PURPETIELLO.
Bagnarsi fino alle ossa come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
14.JÍ A PPÈRE 'E CHIUMMO.
Andare con i piedi di piombo - Cioè: con attenzione e cautela.
15.TENÉ'A SCIORTA 'E MARIA VRENNA.
Avere la sorte di Maria di Brienne - Cioè:perder tutti propri beni ed autorità come accadde a Maria di Brienne sfortunata consorte di Ladislao di Durazzo, ridotta alla miseria alla morte del coniuge (1414) dalla di lui sorella Giovanna II che,succedutagli sul trono, si impossessò di tutti i beni, anche di quelli personali della vedova di Ladislao la quale fu esautorata in tutto, privandola del prestigio, della stima, del credito,della considerazione prestigio,nonché delle competenze precedentemente esercitate.
Brak
VARIE 1194
1.JÍ Ô BATTESIMO, SENZA CRIATURA.
Recarsi a battezzare un bimbo senza portarlo... - Cioè comportarsi in maniera decisamente errata, mettendosi nella situazione massimamente avversa all'opera che si vorrebbe intraprendere.
2.PARE CA S''O ZUCANO 'E SCARRAFUNE...
Sembra che se lo succhino gli scarafaggi.- È detto di persona cosí smunta e rinsecchita da sembrar che abbia perduto la propria linfa vitale preda degli scarafaggi, notoriamente avidi di liquidi.
3.ABBRUSCIÀ 'O PAGLIONE...
Incendiare il pagliericcio - Cioè darsi alla fuga, alla latitanza, lasciando dietro di sé terra bruciata, dandosi alla fuga come facevano le truppe sconfitte che incendiavano i propri accampamenti, distruggendoli per non lasciare alcunché nelle mani dei sopravvenienti eserciti vittoriosi..L’espressione in senso più ampio è usata infatti per significare: procurare un danno definitivo.
4.OGNE SCARRAFONE È BBELLO A MMAMMA SOJA...
Ogni blatta(per schifosa che sia)è bella per la sua genitrice - Ossia: per ogni autore la sua opera è bella e meritevole di considerazione.
5.S’È AUNITO, ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO A TIRITEPPE…
Si sono uniti lo spago corto e la trottolina scentrata - Cioè si è verificata l'unione di elementi negativi che compromettono la riuscita di un'azione... Tale espressione è usata quando si voglia fotografare una situazione nella quale concorrano due iatture, come ad esempio nel caso di una persona incapace ed al contempo sfaticata o di un artigiano poco valente fornito, per giunta, di ferri del mestiere inadeguati, rammentando un famoso modo di dire che afferma che sono i ferri ca fanno ‘o masto e cioè che un buono aretiere è quello che posside buoni ferri...o magari – per concludere quando concorrono un professore eccessivamente severo ed un alunno parimenti svogliato.
6.CHI SAGLIE ‘NCOPP’Ê CCORNA ‘E CHILLO, PO’ DÀ ‘A MANO Ô PATATERNO.
Chi si inerpica sulle corna di quello, può stringer la mano al Signore -(tanto sono alte...)- Espressione iperbolica usata con riferimento ad un uomo molto tradito dalla moglie.
7.QUANNO 'O DIAVULO TUĴO JEVA Â SCOLA, 'O MIO ERA MASTO ‘E SCOLA.
Quando il tuo diavolo era scolaro, il mio era maestro - Cioè: non credere di essermi superiore in intelligenza e/o perspicacia perché ti sopravanzo e nell’una e nell’altra!
8.'O CANE MOZZECA Ô STRACCIATO.
Il cane morde l’individuo che vesta dimesso - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
9.TRE SONGO 'E PUTIENTE:'O PAPA, 'O RRE E CHI NUN TÈNE NIENTE...
Tre sono i potenti della terra:il papa, il re e chi non possiede nulla. In effetti il papa è la massima autorità in campo religioso/morale, il re lo è in campo politico/amministrativo ed il nullatenente che non può avere richieste di aiuti né può temere d’essere derubato lo è nel campo sociale.
10.'A FESSA È GGHIUTA 'MMANO Ê CRIATURE, 'A CARTA 'E MUSICA 'MMANO Ê BBARBIERE, 'A LANTERNA 'MMANO Ê CECATE...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
11.S' À DDA JÍ A DD' 'O PATUTO, NO A DD' 'O MIEDECO.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi à patito una malattia(e ne à esperienza) non dal medico - Cioè:la pratica val piú della grammatica.
12.AÚRIO SENZA CANISTO, FA' VEDÉ CA NUN L'HÊ VISTO.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre accompagnare i fatti.
13.Ô PIRCHIO PARE CA 'O CULO LL'ARROBBA 'A PETTULA...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
14.CHI FATICA'NA SARÀCA, CHI NUN FATICA, 'NA SARÀCA E MMEZA.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
15.'A MAMMA D''E FESSE È SEMPE INCINTA.
L a mamma degli sciocchi è sempre incinta - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
Brak
Recarsi a battezzare un bimbo senza portarlo... - Cioè comportarsi in maniera decisamente errata, mettendosi nella situazione massimamente avversa all'opera che si vorrebbe intraprendere.
2.PARE CA S''O ZUCANO 'E SCARRAFUNE...
Sembra che se lo succhino gli scarafaggi.- È detto di persona cosí smunta e rinsecchita da sembrar che abbia perduto la propria linfa vitale preda degli scarafaggi, notoriamente avidi di liquidi.
3.ABBRUSCIÀ 'O PAGLIONE...
Incendiare il pagliericcio - Cioè darsi alla fuga, alla latitanza, lasciando dietro di sé terra bruciata, dandosi alla fuga come facevano le truppe sconfitte che incendiavano i propri accampamenti, distruggendoli per non lasciare alcunché nelle mani dei sopravvenienti eserciti vittoriosi..L’espressione in senso più ampio è usata infatti per significare: procurare un danno definitivo.
4.OGNE SCARRAFONE È BBELLO A MMAMMA SOJA...
Ogni blatta(per schifosa che sia)è bella per la sua genitrice - Ossia: per ogni autore la sua opera è bella e meritevole di considerazione.
5.S’È AUNITO, ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO A TIRITEPPE…
Si sono uniti lo spago corto e la trottolina scentrata - Cioè si è verificata l'unione di elementi negativi che compromettono la riuscita di un'azione... Tale espressione è usata quando si voglia fotografare una situazione nella quale concorrano due iatture, come ad esempio nel caso di una persona incapace ed al contempo sfaticata o di un artigiano poco valente fornito, per giunta, di ferri del mestiere inadeguati, rammentando un famoso modo di dire che afferma che sono i ferri ca fanno ‘o masto e cioè che un buono aretiere è quello che posside buoni ferri...o magari – per concludere quando concorrono un professore eccessivamente severo ed un alunno parimenti svogliato.
6.CHI SAGLIE ‘NCOPP’Ê CCORNA ‘E CHILLO, PO’ DÀ ‘A MANO Ô PATATERNO.
Chi si inerpica sulle corna di quello, può stringer la mano al Signore -(tanto sono alte...)- Espressione iperbolica usata con riferimento ad un uomo molto tradito dalla moglie.
7.QUANNO 'O DIAVULO TUĴO JEVA Â SCOLA, 'O MIO ERA MASTO ‘E SCOLA.
Quando il tuo diavolo era scolaro, il mio era maestro - Cioè: non credere di essermi superiore in intelligenza e/o perspicacia perché ti sopravanzo e nell’una e nell’altra!
8.'O CANE MOZZECA Ô STRACCIATO.
Il cane morde l’individuo che vesta dimesso - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
9.TRE SONGO 'E PUTIENTE:'O PAPA, 'O RRE E CHI NUN TÈNE NIENTE...
Tre sono i potenti della terra:il papa, il re e chi non possiede nulla. In effetti il papa è la massima autorità in campo religioso/morale, il re lo è in campo politico/amministrativo ed il nullatenente che non può avere richieste di aiuti né può temere d’essere derubato lo è nel campo sociale.
10.'A FESSA È GGHIUTA 'MMANO Ê CRIATURE, 'A CARTA 'E MUSICA 'MMANO Ê BBARBIERE, 'A LANTERNA 'MMANO Ê CECATE...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
11.S' À DDA JÍ A DD' 'O PATUTO, NO A DD' 'O MIEDECO.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi à patito una malattia(e ne à esperienza) non dal medico - Cioè:la pratica val piú della grammatica.
12.AÚRIO SENZA CANISTO, FA' VEDÉ CA NUN L'HÊ VISTO.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre accompagnare i fatti.
13.Ô PIRCHIO PARE CA 'O CULO LL'ARROBBA 'A PETTULA...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
14.CHI FATICA'NA SARÀCA, CHI NUN FATICA, 'NA SARÀCA E MMEZA.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
15.'A MAMMA D''E FESSE È SEMPE INCINTA.
L a mamma degli sciocchi è sempre incinta - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
Brak
lunedì 30 maggio 2011
VARIE 1193
1) CRAVÚGNOLO GRAVUOGNOLO o CRAVUONCHIO Cosí nel napoletano vengono indicati foruncoli, bitorzoli, sporgenze, pustolette presenti in genere sul volto di persone il piú delle volte giovani, foruncoli, bitorzoli, sporgenze, pustolette talora lividi o di colore bruno; à/ànno derivazione da carbunculus diminutivo di carbo/onis; debbo ritenere quindi che “graungelo” o “gravungelo”attestate in Castelvolturno nei medesimi significati siano adattamenti locali delle voci che ò indicato.
2)CURNUTO E MAZZIATO
Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú icastica e cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse.
curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta
1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni
2 (lett.) che à forma di corno o di corna.
3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge;
quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno'
mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastonr, randello;
sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto) etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo;
piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora
etimologicamente da un lat. volg. *pĕcoru(m)→piecoro;
nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci;
murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori
scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola;
voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva.
Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la più cruda curnuto e scannato.
Raffaele Bracale
3)INQIETARE, IMPORTUNARE, INFASTIDIRE & dintorni
Questa volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, per parlare delle voci italiane in epigrafe ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano. Entriamo súbito in medias res e troviamo:
inquietare v. tr.
1 rendere inquieto; turbare, preoccupare: pensieri che inquietano l'animo
2 (ant.) vessare, perseguitare, irritare, spazientire inquietarsi v. intr. pron.
1 (non comune) mettersi in ansia per qualcosa; preoccuparsi
2 irritarsi, spazientirsi: si inquieta con tutti per un nonnulla.
Quanto all’etimo è un verbo derivato dal lat. inquietare, deriv. di inquietus 'inquieto';
importunare v. tr.
dar fastidio, disturbare, recare molestia:
specialmente con richieste ripetute: importunare una donna, infastidirla con un eccesso di galanteria o con apprezzamenti sconvenienti | in formule di cortesia: scusi se la importuno; non vorrei importunarla.
Quanto all’etimo è un verbo derivato dall’aggettivo importuno che è dal lat. importunu(m), comp. di in- 'non' e (op)portunus 'opportuno';
infastidire v. tr.
dar fastidio, disturbare, recare molestia:
1 recare noia a qualcuno: infastidire gli altri con le proprie lamentele
2 (ant.) provare ripugnanza per qualcosa; avere a noia ||| infastidirsi v. intr. pron. seccarsi, perdere la pazienza: s'infastidisce per cose da nulla. Etimologicamente è verbo derivato dal sostantivo fastidio con il prefisso di un in illativo; fastidio è dal lat. fastidiu(m) 'ripugnanza, disdegno', probibile contaminazione di fastus 'orgoglio' e taedium 'noia, disgusto'.
I limitati verbi dell’italiano or ora illustrati trovano nel napoletano numerosissimi e forse piú precisi alleati che sono:
abbafà v. intr. che in primis vale: inaridire, alidire, insecchire, riardere per effetto dell’eccessivo calore; per traslato vale: tediare, seccare, importunare che è del comportamento tipico delle persone fastidiose che si appiccicano addosso tal quale un’aria greve e calda; quanto all’etimo si tratta d’un denominale del sostantivo d’àmbito laziale e romano bafa collaterale di afa = calore eccessivo, alidore fastidioso;
fruscià v. intr. e trans. che in primis vale fluire, scorrere copiosamente; per traslato vale: molestare, contristare, importunare (che è del comportamento tipico delle persone fastidiose) ed ancóra dissipare, sciupare; nella forma riflessiva frusciarse vale: affannarsi, affaccendarsi, pavoneggiarsi, darsi importanza (che è del comportamento tipico delle persone che affaccendate a fare alcunché, non ànno voglia e tempo di accorgersi degli altri ritenuti inferiori;) quanto all’etimo si tratta d’un derivato del lat. frustiare;
‘ncuità v. trans. in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: beffeggiare, fare, giocare una beffa a qualcuno, canzonare, deridere; la forma riflessiva ‘ncuitarse vale adirarsi, irritarsi; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n distrattivo + il lat. quietus=quieto, tranquillo e cioè incuitare/’ncuità sta per toglier la quiete, la tranquillità;
‘nfanfarí v. trans. che in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: frastornare,stordire, intontire; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro/’nfanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare;
‘nfardà v. trans. che in primis vale:Insozzare,sporcare e poi anche ripiegare e cioè dare luogo all’operazione detta infaldatura, operazione finale nella produzione dei tessuti, consistente nel piegare in falde sovrapposte la pezza del tessuto; quest’ultima accezione che compendia un’azione lunga, noiosa e fastidiosa, spiega semanticamente il passaggio del verbo a margine al significato di infastidire, dar fastidio; il verbo ‘nfardà deve il suo significato primo di insozzare, sporcare al fatto che etimologicamente è verbo ricavato da un in→’n (illativo) + il s.vo farda che in napoletano con etimo dall’ ant. francone fard vale escremento, sterco; il passaggio ad infaldatura è dovuto invece alla confusione popolare del s.vo farda →fard con farda (falda) che è dal gotico falda= piega
‘nfettà v. trans. che in primis vale:Infettare, contaminare; e poi annoiare, infastidire; etimologicamente è verbo dal lat. infectare 'avvelenare, turbare', deriv. di infectus; il passaggio semantico tra primo e successivi significati si spiega intuitivamente: ogni contaminazione, ogni infezione procura noia e fastidio…;
scuccià v. trans. e riflessivo che vale: dar noia, fastidio ed esattamente rompere la testa; scocciarsi v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi; etimologicamente è verbo da un ex + coccia (cranio, testa) derivato da un lat. reg. cocia→coccia per cochlea= guscio della conchiglia concavo come il capo;
sfastedià v. trans. e riflessivo che vale: infastidire, disturbare, importunare sfastediarse v. intr. pron. annoiarsi; etimologicamente è un denominale del lat. fastidiu(m)= noia, tedio addizionato in posizione protetica di una s intensiva;
sfruculià verbo trans. infastidire, stuzzicare, punzecchiare tediosamente. Si tratta di un verbo della parlata napoletana, pervenuto poi nell’italiano,stranamente senza alcun adattamento (di solito i napoletanismi (cfr. ad es. scustumato→scostumato)mutano le chiuse u nelle piú aperte o ) nel significato di tediare, infastidire, punzecchiare, stuzzicare e simili. Illustro qui di seguito la piú famosa locuzione partenopea costruita con il verbo a margine:
Sfruculià 'a mazzarella 'e san Giuseppe
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante, quasi sbreccandone dei pezzetti.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un attento e severo servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto, durante un suo soggiorno veneziano da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi ( 1700 ca), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo tenore il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque il bastone in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire;
stunà v. trans. e riflessivo che vale in primis:stordire con logorrea e/o eccessivo volume di voce, poi turbare, sconcertare ed infine rintronare,tramortire colpendo alla testa con un colpo;va da sé che lo stordire o il turbare comportino l’annoiare, il seccare, l’infastidire; stunarse v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi;con altra valenza piú restrittiva il verbo stunà vale stonare, fare stecche (nella musica o nel canto).Etimologicamente il verbo a margine è un derivato del fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extona¯re; mentre per la valenza relativa al canto si può accettare una derivazione dal s.vo tono con la protesi di una esse distrattiva: perdere il tono;
stuzzecà v.tr.
1 toccare, frugare qua e là, spec. con un oggetto sottile e appuntito; toccare insistentemente, provocando irritazione, dolore;
2 (fig.) eccitare, stimolare;
3(fig.ed è il caso che ci occupa) molestare, irritare, punzecchiare;
3 (fig.) eccitare, stimolare; Per nulla tranquilla la questione etimologica del verbo a margine: per alcuni sbrigativamente si tratta di una voce onomatopeica, ma nessuno si perita di chiarire donde deriverebbe tale gratuita,supposta onomatopea, per cui mi pare che questa che parla d’onomatopea, sia idea da scartare; come pure mi pare da scartare l’idea che chiama in causa un non attestato lat. *tudiare (da tudes= martello) con una sovrapposizione di un longobardo stuzzian (=?): troppo arzigogolata e poco dimostrabile!...Come arzigogolata o troppo fantasiosa e poco dimostrabile o significativa è una ipotizzata derivazione dall’ a.a. tedesco stôzen(=?); ugualmente è – a mio avviso – da dirsi troppo arzigogolata e poco dimostrabile, oltre che molto fantasiosa quella che propose il Caix che pensò a non attestati *stoccicare/*stozzicare che ipotizzò derivati da stocco=arma bianca piú corta della spada, con lama piú stretta e a sezione triangolare, per ferire di punta. Tutto sommato, a mio avviso, se si vuole evitare di arrendersi ad un etimo sconosciuto lavandosene le mani, meglio mettersi sulle orme del D.E.I. e pensare a questo stuzzecà come ad un iterativo di tuzzà = urtare, sbattere contro etc.(derivato da un *tuccjare→tuzzà con cj→zz come alibi per allazzà – curazza etc.) iterativo rafforzato da una esse durativa in posizione protetica: da tuzzà→tuzzecà e poi stuzzecà nel significato di urtare ripetutamente e dunque molestare, irritare, punzecchiare;
zucà v. trans. in primis vale: succhiare, suggere, poppare per traslato sta per seccare, infastidire, tediare; quanto all’etimo di questo verbo (per il quale è facilmente intuibile il collegamento semantico tra i primi significati e quelli traslati,) tutti concordemente parlano di una derivazione da un *sucare (denominale di sucus che diede anche un suculare donde succhiare).
E penso di poter mettere un punto fermo: satis est.
Raffaele Bracale
2)CURNUTO E MAZZIATO
Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú icastica e cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse.
curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta
1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni
2 (lett.) che à forma di corno o di corna.
3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge;
quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno'
mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastonr, randello;
sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto) etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo;
piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora
etimologicamente da un lat. volg. *pĕcoru(m)→piecoro;
nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci;
murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori
scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola;
voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva.
Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la più cruda curnuto e scannato.
Raffaele Bracale
3)INQIETARE, IMPORTUNARE, INFASTIDIRE & dintorni
Questa volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, per parlare delle voci italiane in epigrafe ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano. Entriamo súbito in medias res e troviamo:
inquietare v. tr.
1 rendere inquieto; turbare, preoccupare: pensieri che inquietano l'animo
2 (ant.) vessare, perseguitare, irritare, spazientire inquietarsi v. intr. pron.
1 (non comune) mettersi in ansia per qualcosa; preoccuparsi
2 irritarsi, spazientirsi: si inquieta con tutti per un nonnulla.
Quanto all’etimo è un verbo derivato dal lat. inquietare, deriv. di inquietus 'inquieto';
importunare v. tr.
dar fastidio, disturbare, recare molestia:
specialmente con richieste ripetute: importunare una donna, infastidirla con un eccesso di galanteria o con apprezzamenti sconvenienti | in formule di cortesia: scusi se la importuno; non vorrei importunarla.
Quanto all’etimo è un verbo derivato dall’aggettivo importuno che è dal lat. importunu(m), comp. di in- 'non' e (op)portunus 'opportuno';
infastidire v. tr.
dar fastidio, disturbare, recare molestia:
1 recare noia a qualcuno: infastidire gli altri con le proprie lamentele
2 (ant.) provare ripugnanza per qualcosa; avere a noia ||| infastidirsi v. intr. pron. seccarsi, perdere la pazienza: s'infastidisce per cose da nulla. Etimologicamente è verbo derivato dal sostantivo fastidio con il prefisso di un in illativo; fastidio è dal lat. fastidiu(m) 'ripugnanza, disdegno', probibile contaminazione di fastus 'orgoglio' e taedium 'noia, disgusto'.
I limitati verbi dell’italiano or ora illustrati trovano nel napoletano numerosissimi e forse piú precisi alleati che sono:
abbafà v. intr. che in primis vale: inaridire, alidire, insecchire, riardere per effetto dell’eccessivo calore; per traslato vale: tediare, seccare, importunare che è del comportamento tipico delle persone fastidiose che si appiccicano addosso tal quale un’aria greve e calda; quanto all’etimo si tratta d’un denominale del sostantivo d’àmbito laziale e romano bafa collaterale di afa = calore eccessivo, alidore fastidioso;
fruscià v. intr. e trans. che in primis vale fluire, scorrere copiosamente; per traslato vale: molestare, contristare, importunare (che è del comportamento tipico delle persone fastidiose) ed ancóra dissipare, sciupare; nella forma riflessiva frusciarse vale: affannarsi, affaccendarsi, pavoneggiarsi, darsi importanza (che è del comportamento tipico delle persone che affaccendate a fare alcunché, non ànno voglia e tempo di accorgersi degli altri ritenuti inferiori;) quanto all’etimo si tratta d’un derivato del lat. frustiare;
‘ncuità v. trans. in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: beffeggiare, fare, giocare una beffa a qualcuno, canzonare, deridere; la forma riflessiva ‘ncuitarse vale adirarsi, irritarsi; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n distrattivo + il lat. quietus=quieto, tranquillo e cioè incuitare/’ncuità sta per toglier la quiete, la tranquillità;
‘nfanfarí v. trans. che in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: frastornare,stordire, intontire; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro/’nfanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare;
‘nfardà v. trans. che in primis vale:Insozzare,sporcare e poi anche ripiegare e cioè dare luogo all’operazione detta infaldatura, operazione finale nella produzione dei tessuti, consistente nel piegare in falde sovrapposte la pezza del tessuto; quest’ultima accezione che compendia un’azione lunga, noiosa e fastidiosa, spiega semanticamente il passaggio del verbo a margine al significato di infastidire, dar fastidio; il verbo ‘nfardà deve il suo significato primo di insozzare, sporcare al fatto che etimologicamente è verbo ricavato da un in→’n (illativo) + il s.vo farda che in napoletano con etimo dall’ ant. francone fard vale escremento, sterco; il passaggio ad infaldatura è dovuto invece alla confusione popolare del s.vo farda →fard con farda (falda) che è dal gotico falda= piega
‘nfettà v. trans. che in primis vale:Infettare, contaminare; e poi annoiare, infastidire; etimologicamente è verbo dal lat. infectare 'avvelenare, turbare', deriv. di infectus; il passaggio semantico tra primo e successivi significati si spiega intuitivamente: ogni contaminazione, ogni infezione procura noia e fastidio…;
scuccià v. trans. e riflessivo che vale: dar noia, fastidio ed esattamente rompere la testa; scocciarsi v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi; etimologicamente è verbo da un ex + coccia (cranio, testa) derivato da un lat. reg. cocia→coccia per cochlea= guscio della conchiglia concavo come il capo;
sfastedià v. trans. e riflessivo che vale: infastidire, disturbare, importunare sfastediarse v. intr. pron. annoiarsi; etimologicamente è un denominale del lat. fastidiu(m)= noia, tedio addizionato in posizione protetica di una s intensiva;
sfruculià verbo trans. infastidire, stuzzicare, punzecchiare tediosamente. Si tratta di un verbo della parlata napoletana, pervenuto poi nell’italiano,stranamente senza alcun adattamento (di solito i napoletanismi (cfr. ad es. scustumato→scostumato)mutano le chiuse u nelle piú aperte o ) nel significato di tediare, infastidire, punzecchiare, stuzzicare e simili. Illustro qui di seguito la piú famosa locuzione partenopea costruita con il verbo a margine:
Sfruculià 'a mazzarella 'e san Giuseppe
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante, quasi sbreccandone dei pezzetti.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un attento e severo servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto, durante un suo soggiorno veneziano da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi ( 1700 ca), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo tenore il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque il bastone in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire;
stunà v. trans. e riflessivo che vale in primis:stordire con logorrea e/o eccessivo volume di voce, poi turbare, sconcertare ed infine rintronare,tramortire colpendo alla testa con un colpo;va da sé che lo stordire o il turbare comportino l’annoiare, il seccare, l’infastidire; stunarse v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi;con altra valenza piú restrittiva il verbo stunà vale stonare, fare stecche (nella musica o nel canto).Etimologicamente il verbo a margine è un derivato del fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extona¯re; mentre per la valenza relativa al canto si può accettare una derivazione dal s.vo tono con la protesi di una esse distrattiva: perdere il tono;
stuzzecà v.tr.
1 toccare, frugare qua e là, spec. con un oggetto sottile e appuntito; toccare insistentemente, provocando irritazione, dolore;
2 (fig.) eccitare, stimolare;
3(fig.ed è il caso che ci occupa) molestare, irritare, punzecchiare;
3 (fig.) eccitare, stimolare; Per nulla tranquilla la questione etimologica del verbo a margine: per alcuni sbrigativamente si tratta di una voce onomatopeica, ma nessuno si perita di chiarire donde deriverebbe tale gratuita,supposta onomatopea, per cui mi pare che questa che parla d’onomatopea, sia idea da scartare; come pure mi pare da scartare l’idea che chiama in causa un non attestato lat. *tudiare (da tudes= martello) con una sovrapposizione di un longobardo stuzzian (=?): troppo arzigogolata e poco dimostrabile!...Come arzigogolata o troppo fantasiosa e poco dimostrabile o significativa è una ipotizzata derivazione dall’ a.a. tedesco stôzen(=?); ugualmente è – a mio avviso – da dirsi troppo arzigogolata e poco dimostrabile, oltre che molto fantasiosa quella che propose il Caix che pensò a non attestati *stoccicare/*stozzicare che ipotizzò derivati da stocco=arma bianca piú corta della spada, con lama piú stretta e a sezione triangolare, per ferire di punta. Tutto sommato, a mio avviso, se si vuole evitare di arrendersi ad un etimo sconosciuto lavandosene le mani, meglio mettersi sulle orme del D.E.I. e pensare a questo stuzzecà come ad un iterativo di tuzzà = urtare, sbattere contro etc.(derivato da un *tuccjare→tuzzà con cj→zz come alibi per allazzà – curazza etc.) iterativo rafforzato da una esse durativa in posizione protetica: da tuzzà→tuzzecà e poi stuzzecà nel significato di urtare ripetutamente e dunque molestare, irritare, punzecchiare;
zucà v. trans. in primis vale: succhiare, suggere, poppare per traslato sta per seccare, infastidire, tediare; quanto all’etimo di questo verbo (per il quale è facilmente intuibile il collegamento semantico tra i primi significati e quelli traslati,) tutti concordemente parlano di una derivazione da un *sucare (denominale di sucus che diede anche un suculare donde succhiare).
E penso di poter mettere un punto fermo: satis est.
Raffaele Bracale
VARIE 1192
1)NUN ME FIRO
Letteralmente: non mi fido cioè non mi sento bene, oppure non ò voglia o volontà di fare alcunché; semanticamente l’espressione nel senso di non mi sento bene si spiega sottintendendo delle mie condizioni fisiche cioè non confido, non faccio affidamento sulle mie condizioni fisiche; id est: non sto bene; nel senso di non ò voglia o volontà di fare alcunché si spiega sottintendendo del mio desiderio, della mia volontà cioè non faccio affidamento sulle mia volontà o sul mio desiderio
Etimologicamente il verbo fidà (fidarse) viene dal Lat. volg. *fidare, per il class. fidere 'confidare'.
2)MEGLIO 'NU MINUTO ARRUSSÍ, CA CIENT’ANNE AVVERDÍ
Letteralmente: Meglio arrossire un minuto che diventar verdi (di bile) per cento anni.
Id est: Meglio brevemente vergognarsi (arrossire) (per avere opposto un rifiuto ad una richiesta) che esser costretti a lunghi travasi di bile (per aver acconsentito a qualcosa che ci costerà lungo lavoro, dispendio d’energie, fatica e tormenti morali)
Etimologicamente il verbo arrussí (vergognarsi) viene dall’agg.vo russo (rosso) che è dal lat. parlato *russu(m) per il class. ruber; etimologicamente il verbo avverdí (farsi verde di bile) vienedall’agg.vo vierde= verde che è dal lat. viride(m), deriv. di viríre 'verdeggiare'.
3) CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
sí avverbio olofrastico affermativo corrispondente all’italiano sí
1) si usa dunque nelle risposte come equivalente di un'intera frase affermativa (può essere ripetuto o rafforzato): "Ệ capito?" "Sí"; "Venono pure lloro?" "Sí"; anche, "Sí, sí", "Sí certo", "Comme!Sí!", "Sí overamente ", "Ma sí!" | ' dicere ‘e sí, acconsentire ' risponnere ‘e sí, affermativamente ' paré, sperà, crerere ecc. ‘e sí, che sia cosí ' | e ssí ca = e dire che ' sí, dimane, (fam. iron.) no, assolutamente no
2) spesso contrapposto a no: dimme sí o no!; un giorno sí e n’ato no, a giorni alterni ' sí e nno, a malapena ' ti muove, sí o no?, esprimendo impazienza ' cchiú ssí ca no, probabilmente sì ;
3) con valore di davvero, in espressioni enfatiche: chesta sí ca è bbella!; chesta sí ch’è ‘na nuvità!
talvolta è usato come s. m. invar.
1) risposta affermativa, positiva: m’aspettavo ‘nu sí; risponnere cu ‘nu un bellu sí; ‘e spuse ànno ggià ditto ‘o sí; stare tra ‘o sí e o no, essere incerto; decidersi p’’o ssí, decidere di fare qualcosa '
2) pl. voti favorevoli: si songo avute tre ssí e quatto no.
L’etimo di questo sí è dal lat. sic 'cosí', forma abbreviata della loc. sic est 'cosí è'; poi che la voce in esame deriva da un si(c) con la caduta di una consonante e non di una sillaba non sarebbe previsto alcun segno diacrito sulla parola derivata, ma è stato giocoforza accentare la i di questo sí per con confonderlo anche graficamente dal si congiunzione o dal si’ apocope di signore.
Di... segno opposto l’avverbio olofrastico negativo
no scritto privo di qualsiasi segno diacritico, da non confondersi con l’omofono,ma non omografo art. indeterminativo ‘nu/’no. A margine rammento che nel napoletano diversi tipi di SI: SI –SI’ - Sĺ E SÎ
Cominciamo con la congiunzione
A)--si corrispondente all’italiano se
1) posto che, ammesso che (con valore condizionale; introduce la protasi, cioè la subordinata condizionale, di un periodo ipotetico): si se mette a pparlà,nun ‘a fernesce cchiú; si i’ fosse a tte ,me ne jesse a ffà ‘na scampagnata ; si tu avisse sturiato ‘e cchiú ,fusse o sarriste stato prumosso; si fosse dipeso ‘a me, mo nun ce truvarriamo o truvassemo a chistu punto; si fusse stato cchiú accorto , non te fusse o sarriste truvato dinto a ‘sta situazziona (o pop.: si ire cchiú accorto , non te truvave dinto a ‘sta situazziona ) | in espressioni enfatiche, in frasi incidentali che attenuano un'affermazione o in espressioni di cortesia: ca me venesse ‘na cosa si nun è overo!; pure tu, si vulimmo sî ‘nu poco troppo traseticcio; si nun ve dispiace, vulesse ‘nu bicchiere ‘e vino; pecché, si è llecito,aggio ‘a jrce semp’i’? | può essere rafforzata da avverbi o locuzioni avverbiali: si pe ccaso cagne idea, famme ‘o ssapé; si ‘mmece nun è propeto pussibbile, facimmo ‘e n’ata manera | in alcune espressioni enfatiche e nell'uso fam. l'apodosi è spesso sottintesa: ma si non capisce ‘o riesto ‘e niente!; si vedisse comme è crisciuto!; se sapessi!; se ti prendo...!; e se provassimo di nuovo...? | si maje, nel caso che: si maje venisse, chiàmmame; anche, col valore di tutt'al più: simmo nuje, si maje, ca avimmo bisogno ‘e te;
2) fosse che, avvenisse che (con valore desiderativo): si vincesse â lotteria!; si putesse turnarmene â casa mia!; si ll’ avesse saputo primma!
3) dato che, dal momento che (con valore causale): si ne sî proprio sicuro, te crero; si ‘o ssapeva, pecché nun ce ll’ à ditto?
4) con valore concessivo nelle loc. cong. se anche, se pure: si pure se pentesse, ormaje è troppo tarde; si anche à sbagliato, no ppe cchesto ‘o cundanno
5) preceduto da come, introduce una proposizione comparativa ipotetica: aggisce comme si nun te ne ‘mportasse niente; me guardava comme si nun avesse capito; comme si nun si sapesse chi è!
6) introduce proposizioni dubitative e interrogative indirette: me dimanno si è ‘na bbona idea; nun sapeva si avarria o avesse fernuto pe ttiempo; nun saccio che cosa fà, si partí o restà; s’addimannava si nun se fosse pe ccaso sbagliato | si è overo?, si tengo pacienza?, sottintendendo 'mi chiedi', 'mi domandi' ecc.
Rammento che questa congiunzione si napoletana non viene mai usata come sost. m. invar. come invece capita con il corrispettivo se dell’italiano. Quanto all’etimo il si a margine è dal lat. tardo sí(d), dall'incrocio del class. si'se' col pron. (qui)d 'che cosa'.
Lasciando da parte altre congiunzioni monosillabiche che non sono tipiche del napoletano in quanto corrispondenti in tutto e per tutto a quelle della lingua nazionale ( e, ma, o= oppure etc.) mi lascio portar per mano dalla congiunzione si per illustrare l’omofono, ma non omografo
B --SI’ che è l’apocope di si(gnore) e pertanto esige il segno diacritico dell’apostrofo. viene usato per solito davanti ad un sostantivo comune o davanti a nome proprio di persona (ad es.: ‘o si’ prevete= il signor prete, ‘o si’ Giuanne = il signor Giovanni.) L’etimo del lemma signore da cui l’apocope a margine si’ è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo di senex=vecchio,anziano.
Ricordo che càpita spesso che sulla bocca del popolino, meno conscio o attento della/alla propria lingua, (la qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla punta della penna di taluni pur grandi e grandissimi autori partenopei accreditati d’essere esperti e/o studiosi della lingua napoletana la voce a margine è resa con la trasformazione del corretto si’ (che è di per sé – come ò sottolineato - è l’apocope di si(gnore) ) con uno scorretto
C –sî = corrispondente all’italiano sei voce verbale (2° p.sg. indicativo pres. o cong. ) dell’infinito essere dal lat. esse la forma sî forse derivata, piú che dalla scrittura contratta dell’italiano sei (il napoletano non è mai tributario dell’italiano!...) etimologicamente dal lat. si(s) che eccezionalmente esige l’indicazione di un segno diacritico (accento circonflesso) non etimologico, ma utile per distinguere la voce verbale a margine dagli illustrati altri omofoni si presenti nel napoletano.
D - SÍ avverbio olofrastico affermativo ò già detto.
--NO scritto privo di qualsiasi segno diacritico, da non confondersi con l’omofono,ma non omografo art. indeterminativo ‘nu/’no Avverbio olofrastico negativo corrispondente al no dell’italiano
1) negazione equivalente a una frase negativa, usata spec. nelle risposte (si contrappone a sí): «Ll'hê visto?» «No»; «Parte oje?» «No, dimane» | accompagnato da rafforzativi: proprio no;; certamente no; ma no! | no e pò no!, proprio no | pare ‘e no, sperammo ‘e no, che non sia cosí | dicere ‘e no, negare, rifiutare: à ditto ‘e no; ‘na perzona ca nun dice maje ‘e no, che è spesso incline ad acconsentire, disponibile | nun dicere ‘e no, acconsentire, ammettere, o almeno non escludere: «È ‘na cosa straurdinaria» «Nun dico ‘e no, ma nun se po’ ffà!» | risponnere ‘e no, dare una risposta negativa | fà ‘e no cu ‘a capa, dare una risposta negativa senza parlare | si no, (fam.) altrimenti: aggi’ ‘a jí â casa ampressa , si no sarranno guaje | meglio ‘e no!, meglio ca no per esprimere un parere negativo: «T’’a siente ‘e ascí?» «Meglio ca no!» | comme no!, altro che, eccome: «Te piaceno ‘e sfugliatelle ?» «Comme no!» | E pecché no, come risposta affermativa a una proposta: «Ce jammo ô cinema stasera?» «E pecché no!» | anze ca no, alquanto, piuttosto: ‘na pellicula scucciante anze ca no | sí e nno, neanche, appena: ce sarranno state sí e nno vinte perzone | cchiú ssí ca no, probabilmente sí; cchiú nno ca sí , probabilmente no | forze sí forze no , può darsi | ‘nu juorno sí e ‘nu juorno no, a giorni alterni
2) nelle proposizioni disgiuntive stabilisce una contrapposizione: dimme si t’è piaciuto o no; chi sturia, e chi no; bella jurnata o no , ce vaco ‘o stesso | sí o no?, per esprimere impazienza: viene sí o no?
3) con valore rafforzativo o enfatico: no, nun ce vengo!; nun ce pozzo credere, no!; aggiu ditto ca nun ce vaco, no!; ma no, nun è ppe cchesto! | ma no!, per esprimere sorpresa, incredulità o una forte emozione: «’A quistione è ggià risolta» «Ma no!»; «Aggio avuto ‘na brutta brunchita» «Ma no!»
4) posposto al termine da negare sta per un non anteposto: «È proprio friddo ‘o ccafè tujo?» «Friddo no, ma appena appena scarfato»; «’O vide spisso?» «Spisso no, quacche vota»; «Mi faje ‘o probblema ?» «Fartelo no, ma pozzo aiutà» |
5) con il valore di non è vero?: ti piacesse si fosse accussí, no?; v’aggiu ggià ditto, no,’e ve stà zitte! L’etimo dell’avv. no è dal lat. non.
‘NU/’NO = corrispondono ad un ed uno della lingua italiana dove sono agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm. [ in italiano, uno come agg. num. e art. maschile si tronca in un davanti a un s. o agg. che cominci per vocale o per consonante o gruppo consonantico che non sia i semiconsonante, s impura, z, x, pn, ps, gn, sc (un amico, un cane, un brigante, un plico; ma: uno iettatore, uno sbaglio, uno zaino, uno xilofono, uno pneumotorace, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sceriffo); il napoletano non conosce tante complicazioni ed usa indifferentemente ‘nu/‘no davanti ad ogni nome maschile sia che cominci per vocale, sia che cominci per consonante o gruppo consonantico (ad es.: n’ommo= un uomo – ‘nu sbaglio= un errore;) da notare che mentre nella lingua nazionale si è soliti apostrofare solo l’art. indeterminativo una davanti a voci femm. comincianti per vocali, mentre l’art. indeterminativo maschile uno non viene mai apostrofato e davanti a nomi maschili principianti per vocali se ne usa la forma tronca un (ad es.: un osso) nella lingua napoletana è d’uso apostrofare anche il maschile ‘no/‘nu davanti a nome maschile che cominci per vocale con la sola accortezza di evitare di appesantir la grafia con un doppio segno diacritico: per cui occorrerà scrivere n’ommo= un uomo e non ‘n’ommo l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente dal lat. (u)nu(m) l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il malvezzo di scrivereno/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile ;la medesima cosa càpita con il corrspondente art. indeterminativo femm.le
‘na = corrispondente ad una della lingua italiana dove è agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm.come del resto nel napoletano dove però come agg. num. card. non viene usata la forma aferizzata ‘na, ma la forma intera una (cfr. ad es.: pòrtane ‘na cannela= portami una candela quale che sia –ma pòrtame una cannela = portami una sola candela) ; l’etimo di ‘na è ovviamente dal lat. (u)na(m); l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori, anche preparati, seguano il malvezzo di scrivere l’articolo na come pure, come ò detto, il corrispondente del maschile e neutro no/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando, ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile; a mio avviso infatti non è ragione concreta e corretta quella, accampata da qualcuno, che mancando nel napoletano scritto la forma intera degli articoli indeterminativi uno/unu- una ed esistendo pressoché solo quella aferizzata no/nu – na sarebbe inutile fornire questi ultimi del segno d’aferesi. Nel napoletano scritto c’è del resto una parola che potrebbe ingenerare confusione con l’art. indeterminativo ‘nu/’no : sto parlando della negazione nun= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi però nu’ (facendo un’eccezione rispetto alla regoletta per la quale i termini apocopati di cononante/i e non di sillaba vocalica, non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu da cum – pe da per – mo da mox – po da post ) dicevo da rendersi però nu’ per evitarne la confusione con l’omofono articolo ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘) d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso il malvezzo di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta, laddove invece,il non segnarlo, a mio avviso, è segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo,F. Russo, E.De Filippo, EduardoNicolardi etc.). Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori napoletani, anche famosi e/o famosissimi non potettero avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del napoletano, supporti che furono inesistenti del tutto, mentre i pochissimi esistenti (Galiani, Oliva, Serio) furono malamente diffusi, né potettero far testo, vergati com’erano stati da addetti ai lavori non autenticamente napoletani e pertanto, spesso, imprecisi e/o impreparati. Ancóra ricordiamo che moltissimi autori furono istintivi e spesso mancavano del tutto di adeguata preparazione scolastica (cfr. V.Russo, R.Viviani etc.), altri avevano studiato poco e male e quelli che invece avevano adeguata preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, E. Nicolardi etc. spessissimo la usarono maldestramente adattando le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale e diretto discendente del latino parlato.
Per concludere, a mio avviso nel napoletano scritti gli articoli indeterminativi vanno sempre corredati del segno d’aferesi (etimologicamente esatti!)ed il non farlo è segno di sciatteria, pressappochismo e forse sicumera! E dunque ‘nu – ‘no – ‘na e mai nu – no – na. I grandi autori vanno seguíti quando fanno bene, non quando sbagliano! Si può tentare di capire le ragioni del loro errare, ma occorre evitare di porsi nella scia di chi sbaglia, fosse pure un grande autore!
5) 'O GUAIO È DE CCHI 'O SENTE, NO ‘E CCHI PASSA E TENE MENTE.
Il guaio è di colui che l’avverte (sulla propria pelle) (non del terzo) che passando guarda ciò che accade, (ma certamente non à diretta contezza o ne subisce gli effetti deleterei).Va da sé cioè che solo chi subisce un danno o una disgrazia è facultato a dolersene, mentre l’occasionale spettatore delle altrui disgrazie potrà solo superficialmente rammaricarsene o far finta di farlo in quanto non è realmente compartecipe dell’accidente, calamità o sciagura;
guaio s.vo m.le 1 disgrazia; situazione difficile: stà dint’ a ‘nu mare ‘e guaje(essere in un mare di guai);jí cercanno guaje cu ‘o lanterino( andare in cerca di guai con la lanterna)
2 impiccio, inconveniente; danno
voce etimologicamente da un antico tedesco wàwa =disgrazia, sventura ed in senso piú limitato: calamità, fastidio, impiccio;
tene mente = lett.: pone mente, cioè osserva, guarda; espressione verbale formata dall’ unione del s,vo mente con la voce verbale tène (3° p. sg. ind. pres. dell’infinito tènere/tené = avere, porre,possedere etc. dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere'); il s.vo f.le mente (che è dal lat. mente(m), da una radice *men- indicante in generale l'attività del pensiero) vale appunto
1 l'insieme delle facoltà intellettive che permettono all'uomo di conoscere la realtà, di pensare e di giudicare
2 la sede in cui l'attività del pensiero ha luogo; testa, capo
3 particolare attitudine, inclinazione mentale
4 intelligenza, capacità intellettiva
5 il pensiero, l'attenzione
6 memoria
7 il complesso delle idee, delle cognizioni di una persona; anche, la persona stessa fornita di determinate qualità;
nella fattispecie però in unione con il verbo tenere serve a dargli il significato di guardare, osservare, porre attenzione, scrutare, esaminare come chi mettesse al servizio della osservazione tutto l'insieme delle proprie facoltà intellettive che permettono all'uomo di conoscere la realtà, di pensare e di giudicare.
6) CHE SANGO ‘E CHIAVARDA 'E FIERRO!
Si tratta d’un’espressione esclamativa, piuttosto becera, in uso dapprima tra i reclusi delle carceri di san Francesco nella piazza omonima e successivamente tra il popolino della città bassa,espressione esclamativa, coniata per leggera assonanza, marcandola su altra che si evitava di pronunciare nel timore di incorrere in aggiuntivi rigori di legge per offese ai secondini o forze di polizia.L’espressione originaria fu infatti Mannaggia ô sanco ‘e chi v’afferra con evidente riferimento ai tutori della legge che operavano gli arresti dei delinquenti o a gli addetti alla sorveglianza nelle carceri, addetti che controllavano i detenuti. L’originaria Mannaggia ô sanco ‘e chi v’afferra generò dapprima Mannaggia ô sanco ‘e chiavarda ‘e fierro snellita poi in che sango ‘e chiavarda 'e fierro! portandosi dietro tutto il suo significato di malcelato risentimento, di dolorosa stizza, irritazione, astio, livore, rancore avverso la situazione niente affatto piacevole in cui versavano originariamente i detenuti e poi – nel parlato comune – quelle di chiunque si trovasse a gestire situazioni fastidiose, circostanze sfavorevoli.La chiavarda s.vo f.le che di per sé (ca derivazione dal s.vo chiave (lat. clavu(m)) è 1 (mecc.) grosso bullone che serve per ancorare i basamenti delle macchine fisse o per unire parti di macchine o di strutture
2 tirante a sbarra che serve a contenere una spinta ( di un lettuccio,di un arco, un tetto e sim.)
3 (rar.) grosso chiodo.
Nell’accezione sub 2 la chiavarda era ben nota ai carcerati i cui lettucci ne erano forniti ed il sostantivo suggerí il passaggio da e chi v’afferra a ‘e chiavarda ‘e fierro.
Raffaele Bracale
Letteralmente: non mi fido cioè non mi sento bene, oppure non ò voglia o volontà di fare alcunché; semanticamente l’espressione nel senso di non mi sento bene si spiega sottintendendo delle mie condizioni fisiche cioè non confido, non faccio affidamento sulle mie condizioni fisiche; id est: non sto bene; nel senso di non ò voglia o volontà di fare alcunché si spiega sottintendendo del mio desiderio, della mia volontà cioè non faccio affidamento sulle mia volontà o sul mio desiderio
Etimologicamente il verbo fidà (fidarse) viene dal Lat. volg. *fidare, per il class. fidere 'confidare'.
2)MEGLIO 'NU MINUTO ARRUSSÍ, CA CIENT’ANNE AVVERDÍ
Letteralmente: Meglio arrossire un minuto che diventar verdi (di bile) per cento anni.
Id est: Meglio brevemente vergognarsi (arrossire) (per avere opposto un rifiuto ad una richiesta) che esser costretti a lunghi travasi di bile (per aver acconsentito a qualcosa che ci costerà lungo lavoro, dispendio d’energie, fatica e tormenti morali)
Etimologicamente il verbo arrussí (vergognarsi) viene dall’agg.vo russo (rosso) che è dal lat. parlato *russu(m) per il class. ruber; etimologicamente il verbo avverdí (farsi verde di bile) vienedall’agg.vo vierde= verde che è dal lat. viride(m), deriv. di viríre 'verdeggiare'.
3) CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
sí avverbio olofrastico affermativo corrispondente all’italiano sí
1) si usa dunque nelle risposte come equivalente di un'intera frase affermativa (può essere ripetuto o rafforzato): "Ệ capito?" "Sí"; "Venono pure lloro?" "Sí"; anche, "Sí, sí", "Sí certo", "Comme!Sí!", "Sí overamente ", "Ma sí!" | ' dicere ‘e sí, acconsentire ' risponnere ‘e sí, affermativamente ' paré, sperà, crerere ecc. ‘e sí, che sia cosí ' | e ssí ca = e dire che ' sí, dimane, (fam. iron.) no, assolutamente no
2) spesso contrapposto a no: dimme sí o no!; un giorno sí e n’ato no, a giorni alterni ' sí e nno, a malapena ' ti muove, sí o no?, esprimendo impazienza ' cchiú ssí ca no, probabilmente sì ;
3) con valore di davvero, in espressioni enfatiche: chesta sí ca è bbella!; chesta sí ch’è ‘na nuvità!
talvolta è usato come s. m. invar.
1) risposta affermativa, positiva: m’aspettavo ‘nu sí; risponnere cu ‘nu un bellu sí; ‘e spuse ànno ggià ditto ‘o sí; stare tra ‘o sí e o no, essere incerto; decidersi p’’o ssí, decidere di fare qualcosa '
2) pl. voti favorevoli: si songo avute tre ssí e quatto no.
L’etimo di questo sí è dal lat. sic 'cosí', forma abbreviata della loc. sic est 'cosí è'; poi che la voce in esame deriva da un si(c) con la caduta di una consonante e non di una sillaba non sarebbe previsto alcun segno diacrito sulla parola derivata, ma è stato giocoforza accentare la i di questo sí per con confonderlo anche graficamente dal si congiunzione o dal si’ apocope di signore.
Di... segno opposto l’avverbio olofrastico negativo
no scritto privo di qualsiasi segno diacritico, da non confondersi con l’omofono,ma non omografo art. indeterminativo ‘nu/’no. A margine rammento che nel napoletano diversi tipi di SI: SI –SI’ - Sĺ E SÎ
Cominciamo con la congiunzione
A)--si corrispondente all’italiano se
1) posto che, ammesso che (con valore condizionale; introduce la protasi, cioè la subordinata condizionale, di un periodo ipotetico): si se mette a pparlà,nun ‘a fernesce cchiú; si i’ fosse a tte ,me ne jesse a ffà ‘na scampagnata ; si tu avisse sturiato ‘e cchiú ,fusse o sarriste stato prumosso; si fosse dipeso ‘a me, mo nun ce truvarriamo o truvassemo a chistu punto; si fusse stato cchiú accorto , non te fusse o sarriste truvato dinto a ‘sta situazziona (o pop.: si ire cchiú accorto , non te truvave dinto a ‘sta situazziona ) | in espressioni enfatiche, in frasi incidentali che attenuano un'affermazione o in espressioni di cortesia: ca me venesse ‘na cosa si nun è overo!; pure tu, si vulimmo sî ‘nu poco troppo traseticcio; si nun ve dispiace, vulesse ‘nu bicchiere ‘e vino; pecché, si è llecito,aggio ‘a jrce semp’i’? | può essere rafforzata da avverbi o locuzioni avverbiali: si pe ccaso cagne idea, famme ‘o ssapé; si ‘mmece nun è propeto pussibbile, facimmo ‘e n’ata manera | in alcune espressioni enfatiche e nell'uso fam. l'apodosi è spesso sottintesa: ma si non capisce ‘o riesto ‘e niente!; si vedisse comme è crisciuto!; se sapessi!; se ti prendo...!; e se provassimo di nuovo...? | si maje, nel caso che: si maje venisse, chiàmmame; anche, col valore di tutt'al più: simmo nuje, si maje, ca avimmo bisogno ‘e te;
2) fosse che, avvenisse che (con valore desiderativo): si vincesse â lotteria!; si putesse turnarmene â casa mia!; si ll’ avesse saputo primma!
3) dato che, dal momento che (con valore causale): si ne sî proprio sicuro, te crero; si ‘o ssapeva, pecché nun ce ll’ à ditto?
4) con valore concessivo nelle loc. cong. se anche, se pure: si pure se pentesse, ormaje è troppo tarde; si anche à sbagliato, no ppe cchesto ‘o cundanno
5) preceduto da come, introduce una proposizione comparativa ipotetica: aggisce comme si nun te ne ‘mportasse niente; me guardava comme si nun avesse capito; comme si nun si sapesse chi è!
6) introduce proposizioni dubitative e interrogative indirette: me dimanno si è ‘na bbona idea; nun sapeva si avarria o avesse fernuto pe ttiempo; nun saccio che cosa fà, si partí o restà; s’addimannava si nun se fosse pe ccaso sbagliato | si è overo?, si tengo pacienza?, sottintendendo 'mi chiedi', 'mi domandi' ecc.
Rammento che questa congiunzione si napoletana non viene mai usata come sost. m. invar. come invece capita con il corrispettivo se dell’italiano. Quanto all’etimo il si a margine è dal lat. tardo sí(d), dall'incrocio del class. si'se' col pron. (qui)d 'che cosa'.
Lasciando da parte altre congiunzioni monosillabiche che non sono tipiche del napoletano in quanto corrispondenti in tutto e per tutto a quelle della lingua nazionale ( e, ma, o= oppure etc.) mi lascio portar per mano dalla congiunzione si per illustrare l’omofono, ma non omografo
B --SI’ che è l’apocope di si(gnore) e pertanto esige il segno diacritico dell’apostrofo. viene usato per solito davanti ad un sostantivo comune o davanti a nome proprio di persona (ad es.: ‘o si’ prevete= il signor prete, ‘o si’ Giuanne = il signor Giovanni.) L’etimo del lemma signore da cui l’apocope a margine si’ è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo di senex=vecchio,anziano.
Ricordo che càpita spesso che sulla bocca del popolino, meno conscio o attento della/alla propria lingua, (la qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla punta della penna di taluni pur grandi e grandissimi autori partenopei accreditati d’essere esperti e/o studiosi della lingua napoletana la voce a margine è resa con la trasformazione del corretto si’ (che è di per sé – come ò sottolineato - è l’apocope di si(gnore) ) con uno scorretto
C –sî = corrispondente all’italiano sei voce verbale (2° p.sg. indicativo pres. o cong. ) dell’infinito essere dal lat. esse la forma sî forse derivata, piú che dalla scrittura contratta dell’italiano sei (il napoletano non è mai tributario dell’italiano!...) etimologicamente dal lat. si(s) che eccezionalmente esige l’indicazione di un segno diacritico (accento circonflesso) non etimologico, ma utile per distinguere la voce verbale a margine dagli illustrati altri omofoni si presenti nel napoletano.
D - SÍ avverbio olofrastico affermativo ò già detto.
--NO scritto privo di qualsiasi segno diacritico, da non confondersi con l’omofono,ma non omografo art. indeterminativo ‘nu/’no Avverbio olofrastico negativo corrispondente al no dell’italiano
1) negazione equivalente a una frase negativa, usata spec. nelle risposte (si contrappone a sí): «Ll'hê visto?» «No»; «Parte oje?» «No, dimane» | accompagnato da rafforzativi: proprio no;; certamente no; ma no! | no e pò no!, proprio no | pare ‘e no, sperammo ‘e no, che non sia cosí | dicere ‘e no, negare, rifiutare: à ditto ‘e no; ‘na perzona ca nun dice maje ‘e no, che è spesso incline ad acconsentire, disponibile | nun dicere ‘e no, acconsentire, ammettere, o almeno non escludere: «È ‘na cosa straurdinaria» «Nun dico ‘e no, ma nun se po’ ffà!» | risponnere ‘e no, dare una risposta negativa | fà ‘e no cu ‘a capa, dare una risposta negativa senza parlare | si no, (fam.) altrimenti: aggi’ ‘a jí â casa ampressa , si no sarranno guaje | meglio ‘e no!, meglio ca no per esprimere un parere negativo: «T’’a siente ‘e ascí?» «Meglio ca no!» | comme no!, altro che, eccome: «Te piaceno ‘e sfugliatelle ?» «Comme no!» | E pecché no, come risposta affermativa a una proposta: «Ce jammo ô cinema stasera?» «E pecché no!» | anze ca no, alquanto, piuttosto: ‘na pellicula scucciante anze ca no | sí e nno, neanche, appena: ce sarranno state sí e nno vinte perzone | cchiú ssí ca no, probabilmente sí; cchiú nno ca sí , probabilmente no | forze sí forze no , può darsi | ‘nu juorno sí e ‘nu juorno no, a giorni alterni
2) nelle proposizioni disgiuntive stabilisce una contrapposizione: dimme si t’è piaciuto o no; chi sturia, e chi no; bella jurnata o no , ce vaco ‘o stesso | sí o no?, per esprimere impazienza: viene sí o no?
3) con valore rafforzativo o enfatico: no, nun ce vengo!; nun ce pozzo credere, no!; aggiu ditto ca nun ce vaco, no!; ma no, nun è ppe cchesto! | ma no!, per esprimere sorpresa, incredulità o una forte emozione: «’A quistione è ggià risolta» «Ma no!»; «Aggio avuto ‘na brutta brunchita» «Ma no!»
4) posposto al termine da negare sta per un non anteposto: «È proprio friddo ‘o ccafè tujo?» «Friddo no, ma appena appena scarfato»; «’O vide spisso?» «Spisso no, quacche vota»; «Mi faje ‘o probblema ?» «Fartelo no, ma pozzo aiutà» |
5) con il valore di non è vero?: ti piacesse si fosse accussí, no?; v’aggiu ggià ditto, no,’e ve stà zitte! L’etimo dell’avv. no è dal lat. non.
‘NU/’NO = corrispondono ad un ed uno della lingua italiana dove sono agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm. [ in italiano, uno come agg. num. e art. maschile si tronca in un davanti a un s. o agg. che cominci per vocale o per consonante o gruppo consonantico che non sia i semiconsonante, s impura, z, x, pn, ps, gn, sc (un amico, un cane, un brigante, un plico; ma: uno iettatore, uno sbaglio, uno zaino, uno xilofono, uno pneumotorace, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sceriffo); il napoletano non conosce tante complicazioni ed usa indifferentemente ‘nu/‘no davanti ad ogni nome maschile sia che cominci per vocale, sia che cominci per consonante o gruppo consonantico (ad es.: n’ommo= un uomo – ‘nu sbaglio= un errore;) da notare che mentre nella lingua nazionale si è soliti apostrofare solo l’art. indeterminativo una davanti a voci femm. comincianti per vocali, mentre l’art. indeterminativo maschile uno non viene mai apostrofato e davanti a nomi maschili principianti per vocali se ne usa la forma tronca un (ad es.: un osso) nella lingua napoletana è d’uso apostrofare anche il maschile ‘no/‘nu davanti a nome maschile che cominci per vocale con la sola accortezza di evitare di appesantir la grafia con un doppio segno diacritico: per cui occorrerà scrivere n’ommo= un uomo e non ‘n’ommo l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente dal lat. (u)nu(m) l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il malvezzo di scrivereno/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile ;la medesima cosa càpita con il corrspondente art. indeterminativo femm.le
‘na = corrispondente ad una della lingua italiana dove è agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm.come del resto nel napoletano dove però come agg. num. card. non viene usata la forma aferizzata ‘na, ma la forma intera una (cfr. ad es.: pòrtane ‘na cannela= portami una candela quale che sia –ma pòrtame una cannela = portami una sola candela) ; l’etimo di ‘na è ovviamente dal lat. (u)na(m); l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori, anche preparati, seguano il malvezzo di scrivere l’articolo na come pure, come ò detto, il corrispondente del maschile e neutro no/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando, ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile; a mio avviso infatti non è ragione concreta e corretta quella, accampata da qualcuno, che mancando nel napoletano scritto la forma intera degli articoli indeterminativi uno/unu- una ed esistendo pressoché solo quella aferizzata no/nu – na sarebbe inutile fornire questi ultimi del segno d’aferesi. Nel napoletano scritto c’è del resto una parola che potrebbe ingenerare confusione con l’art. indeterminativo ‘nu/’no : sto parlando della negazione nun= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi però nu’ (facendo un’eccezione rispetto alla regoletta per la quale i termini apocopati di cononante/i e non di sillaba vocalica, non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu da cum – pe da per – mo da mox – po da post ) dicevo da rendersi però nu’ per evitarne la confusione con l’omofono articolo ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘) d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso il malvezzo di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta, laddove invece,il non segnarlo, a mio avviso, è segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo,F. Russo, E.De Filippo, EduardoNicolardi etc.). Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori napoletani, anche famosi e/o famosissimi non potettero avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del napoletano, supporti che furono inesistenti del tutto, mentre i pochissimi esistenti (Galiani, Oliva, Serio) furono malamente diffusi, né potettero far testo, vergati com’erano stati da addetti ai lavori non autenticamente napoletani e pertanto, spesso, imprecisi e/o impreparati. Ancóra ricordiamo che moltissimi autori furono istintivi e spesso mancavano del tutto di adeguata preparazione scolastica (cfr. V.Russo, R.Viviani etc.), altri avevano studiato poco e male e quelli che invece avevano adeguata preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, E. Nicolardi etc. spessissimo la usarono maldestramente adattando le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale e diretto discendente del latino parlato.
Per concludere, a mio avviso nel napoletano scritti gli articoli indeterminativi vanno sempre corredati del segno d’aferesi (etimologicamente esatti!)ed il non farlo è segno di sciatteria, pressappochismo e forse sicumera! E dunque ‘nu – ‘no – ‘na e mai nu – no – na. I grandi autori vanno seguíti quando fanno bene, non quando sbagliano! Si può tentare di capire le ragioni del loro errare, ma occorre evitare di porsi nella scia di chi sbaglia, fosse pure un grande autore!
5) 'O GUAIO È DE CCHI 'O SENTE, NO ‘E CCHI PASSA E TENE MENTE.
Il guaio è di colui che l’avverte (sulla propria pelle) (non del terzo) che passando guarda ciò che accade, (ma certamente non à diretta contezza o ne subisce gli effetti deleterei).Va da sé cioè che solo chi subisce un danno o una disgrazia è facultato a dolersene, mentre l’occasionale spettatore delle altrui disgrazie potrà solo superficialmente rammaricarsene o far finta di farlo in quanto non è realmente compartecipe dell’accidente, calamità o sciagura;
guaio s.vo m.le 1 disgrazia; situazione difficile: stà dint’ a ‘nu mare ‘e guaje(essere in un mare di guai);jí cercanno guaje cu ‘o lanterino( andare in cerca di guai con la lanterna)
2 impiccio, inconveniente; danno
voce etimologicamente da un antico tedesco wàwa =disgrazia, sventura ed in senso piú limitato: calamità, fastidio, impiccio;
tene mente = lett.: pone mente, cioè osserva, guarda; espressione verbale formata dall’ unione del s,vo mente con la voce verbale tène (3° p. sg. ind. pres. dell’infinito tènere/tené = avere, porre,possedere etc. dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere'); il s.vo f.le mente (che è dal lat. mente(m), da una radice *men- indicante in generale l'attività del pensiero) vale appunto
1 l'insieme delle facoltà intellettive che permettono all'uomo di conoscere la realtà, di pensare e di giudicare
2 la sede in cui l'attività del pensiero ha luogo; testa, capo
3 particolare attitudine, inclinazione mentale
4 intelligenza, capacità intellettiva
5 il pensiero, l'attenzione
6 memoria
7 il complesso delle idee, delle cognizioni di una persona; anche, la persona stessa fornita di determinate qualità;
nella fattispecie però in unione con il verbo tenere serve a dargli il significato di guardare, osservare, porre attenzione, scrutare, esaminare come chi mettesse al servizio della osservazione tutto l'insieme delle proprie facoltà intellettive che permettono all'uomo di conoscere la realtà, di pensare e di giudicare.
6) CHE SANGO ‘E CHIAVARDA 'E FIERRO!
Si tratta d’un’espressione esclamativa, piuttosto becera, in uso dapprima tra i reclusi delle carceri di san Francesco nella piazza omonima e successivamente tra il popolino della città bassa,espressione esclamativa, coniata per leggera assonanza, marcandola su altra che si evitava di pronunciare nel timore di incorrere in aggiuntivi rigori di legge per offese ai secondini o forze di polizia.L’espressione originaria fu infatti Mannaggia ô sanco ‘e chi v’afferra con evidente riferimento ai tutori della legge che operavano gli arresti dei delinquenti o a gli addetti alla sorveglianza nelle carceri, addetti che controllavano i detenuti. L’originaria Mannaggia ô sanco ‘e chi v’afferra generò dapprima Mannaggia ô sanco ‘e chiavarda ‘e fierro snellita poi in che sango ‘e chiavarda 'e fierro! portandosi dietro tutto il suo significato di malcelato risentimento, di dolorosa stizza, irritazione, astio, livore, rancore avverso la situazione niente affatto piacevole in cui versavano originariamente i detenuti e poi – nel parlato comune – quelle di chiunque si trovasse a gestire situazioni fastidiose, circostanze sfavorevoli.La chiavarda s.vo f.le che di per sé (ca derivazione dal s.vo chiave (lat. clavu(m)) è 1 (mecc.) grosso bullone che serve per ancorare i basamenti delle macchine fisse o per unire parti di macchine o di strutture
2 tirante a sbarra che serve a contenere una spinta ( di un lettuccio,di un arco, un tetto e sim.)
3 (rar.) grosso chiodo.
Nell’accezione sub 2 la chiavarda era ben nota ai carcerati i cui lettucci ne erano forniti ed il sostantivo suggerí il passaggio da e chi v’afferra a ‘e chiavarda ‘e fierro.
Raffaele Bracale
VARIE 1191
1.ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produca buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
2.'AMICE E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
3.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DDENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per ampliamento semantico: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
4.'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
5.'O PATATERNO ADDÒ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, là invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti lí dove occorra.
6.'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
7.'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
8.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
9.STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
10.QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÍTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
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Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produca buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
2.'AMICE E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
3.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DDENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per ampliamento semantico: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
4.'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
5.'O PATATERNO ADDÒ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, là invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti lí dove occorra.
6.'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
7.'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
8.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
9.STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
10.QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÍTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
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1 - Pure ‘e cuffiate vanno ‘mparaviso
Anche i gabbati vanno in Paradiso
Locuzione proverbiale usata a mo’ di conforto dei corbellati per indurli ad esser pazienti e sopportare chi gratuitamente li affanna , atteso che anche per essi derisi ci sarà un gran premio: il Paradiso.
Cuffiate plurale di cuffiato =deriso, corbellato; etimol.: part.pass. di cuffià che è un denominale dell’arabo kúffa/cúffa=corbello.
2-Pure ‘e mmure tenono ‘e rrecchie
Anche i muri ànno orecchi
Fa d’uopo, quindi, se non si vuole far conoscere in giro le proprie idee o considerazioni usare, anche in casa un eloquio misurato e di basso volume evitando altresí di spettegolare o di dire cose pericolosamente compromettenti per sé o altri.
3 - Pure ll’onore so’ ccastighe ‘e Ddio.
Anche gli onori sono castighi di Dio
Atteso che comportano comunque aggravio di lavoro ed aumento delle responsabilità.
4 - Pure ‘nu caucio ‘nculo fa fà ‘nu passo annante
Anche un calcio in culo fa compiere un passo in avanti
Id est: per progredire nella vita, come nel lavoro, occorrono forti spinte, magari violente che vanno comunque accettate considerato i vantaggi che ne possono derivare.
5 -Pur’io tengo ‘a mano cu cinche déte.
Anche io ò la mano con cinque dita.
Proverbio dalla duplice valenza; nella prima si adombra quasi un avvertimento minaccioso che significa: anche io sono dotato delle vostre medesime capacità operative, per cui fate attenzione a non misurarvi con me pensando di prevalere: potreste avere una brutta sorpresa! La seconda valenza sottindende una garbata protesta volendo significare: ò le vostre stesse capacità e/o possibilità; miracoli non ne posso fare: non chiedetemeli!
6 - Quanno ‘a capa perde ‘e senze se ne strafotte pure ‘e Sua Eccellenza!
Quando la testa perde il raziocinio se ne impipa anche di Sua Eccellenza
Id est: Quando, nella vita, si è in preda all’ira o alla follia non si à rispetto per nessuno, nemmeno per l’autorità.
7 - Quanno ‘a carna è ccotta è cchiú ffacile a sceppà ll’ossa.
Quando la carne è cotta è piú facile spolparla
Id est: per ottenere il miglior risultato è necessario attendere il momento piú adatto che è il piú propizio o favorevole, armarsi di pazienza ed attenderlo.
8 - Quanno ‘a caurara volle mena subbeto ‘e maccarune
Quando la pentola bolle, cala subito i maccheroni
Id est:nella vita bisogna esser sempre solleciti e profittare del momento adatto per fare ciò che è da farsi, evitando,per non correre l’alea di un insuccesso, di rimandare o procrastinare la propria azione.Il proverbio à anche un significato furbesco ed in tale connotazione significa: quando una donna avverte i primi bollori, occorre darle súbito marito che la soddisfi e la calmi.
9 -Quanno ‘a cumeta ‘o vvo’, dalle cuttone
Quando l’aquilone lo chiede, dagli spago
Al di là del suo concreto chiaro ed esatto significato, il proverbio vale:nella vita spesso è opportuno, se non necessario, assecondare le vanterie di chi si vanta ed è vanitoso, per tenerselo amico ed al fine di riceverne possibili futuri vantaggi.
10 - Quanno â femmena ‘o culo ll’abballa, si nun è puttana, diavulo falla!
Quando una donna ancheggia, se non è una meretrice ritienila tentatrice.
Le donne che sculettano provocatoriamente o lo fanno di mestiere o per trovar partito.
11 - Quanno ‘a femmena vo’ filà ll’abbasta pure ‘nu spruoccolo.
Quando una donna vuol filare le è sufficiente un piccolo bastoncino.
Id est: Quando la donna intende raggiungere un determinato scopo usa, per farlo, ogni mezzo anche quelli apparentemente meno adeguati.
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Anche i gabbati vanno in Paradiso
Locuzione proverbiale usata a mo’ di conforto dei corbellati per indurli ad esser pazienti e sopportare chi gratuitamente li affanna , atteso che anche per essi derisi ci sarà un gran premio: il Paradiso.
Cuffiate plurale di cuffiato =deriso, corbellato; etimol.: part.pass. di cuffià che è un denominale dell’arabo kúffa/cúffa=corbello.
2-Pure ‘e mmure tenono ‘e rrecchie
Anche i muri ànno orecchi
Fa d’uopo, quindi, se non si vuole far conoscere in giro le proprie idee o considerazioni usare, anche in casa un eloquio misurato e di basso volume evitando altresí di spettegolare o di dire cose pericolosamente compromettenti per sé o altri.
3 - Pure ll’onore so’ ccastighe ‘e Ddio.
Anche gli onori sono castighi di Dio
Atteso che comportano comunque aggravio di lavoro ed aumento delle responsabilità.
4 - Pure ‘nu caucio ‘nculo fa fà ‘nu passo annante
Anche un calcio in culo fa compiere un passo in avanti
Id est: per progredire nella vita, come nel lavoro, occorrono forti spinte, magari violente che vanno comunque accettate considerato i vantaggi che ne possono derivare.
5 -Pur’io tengo ‘a mano cu cinche déte.
Anche io ò la mano con cinque dita.
Proverbio dalla duplice valenza; nella prima si adombra quasi un avvertimento minaccioso che significa: anche io sono dotato delle vostre medesime capacità operative, per cui fate attenzione a non misurarvi con me pensando di prevalere: potreste avere una brutta sorpresa! La seconda valenza sottindende una garbata protesta volendo significare: ò le vostre stesse capacità e/o possibilità; miracoli non ne posso fare: non chiedetemeli!
6 - Quanno ‘a capa perde ‘e senze se ne strafotte pure ‘e Sua Eccellenza!
Quando la testa perde il raziocinio se ne impipa anche di Sua Eccellenza
Id est: Quando, nella vita, si è in preda all’ira o alla follia non si à rispetto per nessuno, nemmeno per l’autorità.
7 - Quanno ‘a carna è ccotta è cchiú ffacile a sceppà ll’ossa.
Quando la carne è cotta è piú facile spolparla
Id est: per ottenere il miglior risultato è necessario attendere il momento piú adatto che è il piú propizio o favorevole, armarsi di pazienza ed attenderlo.
8 - Quanno ‘a caurara volle mena subbeto ‘e maccarune
Quando la pentola bolle, cala subito i maccheroni
Id est:nella vita bisogna esser sempre solleciti e profittare del momento adatto per fare ciò che è da farsi, evitando,per non correre l’alea di un insuccesso, di rimandare o procrastinare la propria azione.Il proverbio à anche un significato furbesco ed in tale connotazione significa: quando una donna avverte i primi bollori, occorre darle súbito marito che la soddisfi e la calmi.
9 -Quanno ‘a cumeta ‘o vvo’, dalle cuttone
Quando l’aquilone lo chiede, dagli spago
Al di là del suo concreto chiaro ed esatto significato, il proverbio vale:nella vita spesso è opportuno, se non necessario, assecondare le vanterie di chi si vanta ed è vanitoso, per tenerselo amico ed al fine di riceverne possibili futuri vantaggi.
10 - Quanno â femmena ‘o culo ll’abballa, si nun è puttana, diavulo falla!
Quando una donna ancheggia, se non è una meretrice ritienila tentatrice.
Le donne che sculettano provocatoriamente o lo fanno di mestiere o per trovar partito.
11 - Quanno ‘a femmena vo’ filà ll’abbasta pure ‘nu spruoccolo.
Quando una donna vuol filare le è sufficiente un piccolo bastoncino.
Id est: Quando la donna intende raggiungere un determinato scopo usa, per farlo, ogni mezzo anche quelli apparentemente meno adeguati.
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VARIE 1190
1.È GGHIUTA 'A MOSCA DINT' Ô VISCUVATO...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenti d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame.In effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...Per significar ad un dipresso la medesima cosa,ma con altra sfumatura, alibi si usa anche dire: S’è arreccuto oppure s’è arrennuto Cristo cu ‘stu padrennosto id est: Non è sufficiente un solo pater noster per arricchire oppure per muovere a pietà il Signore!
2.CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
3.TENÉ'A SALUTE D' 'A CARRAFA 'E ZECCA.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
4.TENGO 'E LAPPESE A CQUADRIGLIÈ, CA M'ABBALLANO PE CAPA.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa però cosí alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" non indica le matite a quadretti, ma è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus→ quadrellatus, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo ed agitazione.È leggenda metropolitana o pura inesatta fantasia l’idea che l’espressione in esame si riferisca ad una pubblicità di matite da disegno laccate a quadretti bianchi e neri, matite poste a mo’ di capelli rizzati su di un buffo volto e ciò perché l’espressione risaliva ad una data molto antecedente a quella del cartello pubblicitario di matite da disegno (1750 circa).
5.PARÉ 'A SPORTA D''O TARALLARO.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa piú per indolenza che per magnanimità.
6.LÀSSEME STÀ CA STONGO'NQUARTATO!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
7.SE FRUSCIA PINTAURO, D''E SFUGLIATELLE JUTE 'ACITO.
Si vanta Pintauro delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo détto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
8.CARCERE, MALATIA E NECISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E LL'AMICE.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
9.MURÍ CU 'E GUARNEMIENTE 'NCUOLLO.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancora i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi vallo a trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intero il suo dovere...
10.NISCIUNO TE DICE: LÀVATE 'A FACCIA CA PARE CCHIÚ BBELLO 'E ME.
Nessuno ti dice: Lavati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
11.QUANN' UNO S'À DDA 'MBRIANCÀ, È MMEGLIO CA 'O FFA CU 'O VINO BBUONO.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
12.SCIORTA E CAUCE 'NCULO, VIATO A CCHI 'E TTÈNE!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
13.ANCAPPA PE PRIMMO, FOSSERO PURE MAZZATE!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
14.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
15.'NA VOTA È PRENA, 'NA VOTA ALLATTE, NUN 'A POZZO MAJE VATTE'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
Brak
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenti d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame.In effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...Per significar ad un dipresso la medesima cosa,ma con altra sfumatura, alibi si usa anche dire: S’è arreccuto oppure s’è arrennuto Cristo cu ‘stu padrennosto id est: Non è sufficiente un solo pater noster per arricchire oppure per muovere a pietà il Signore!
2.CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
3.TENÉ'A SALUTE D' 'A CARRAFA 'E ZECCA.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
4.TENGO 'E LAPPESE A CQUADRIGLIÈ, CA M'ABBALLANO PE CAPA.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa però cosí alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" non indica le matite a quadretti, ma è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus→ quadrellatus, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo ed agitazione.È leggenda metropolitana o pura inesatta fantasia l’idea che l’espressione in esame si riferisca ad una pubblicità di matite da disegno laccate a quadretti bianchi e neri, matite poste a mo’ di capelli rizzati su di un buffo volto e ciò perché l’espressione risaliva ad una data molto antecedente a quella del cartello pubblicitario di matite da disegno (1750 circa).
5.PARÉ 'A SPORTA D''O TARALLARO.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa piú per indolenza che per magnanimità.
6.LÀSSEME STÀ CA STONGO'NQUARTATO!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
7.SE FRUSCIA PINTAURO, D''E SFUGLIATELLE JUTE 'ACITO.
Si vanta Pintauro delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo détto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
8.CARCERE, MALATIA E NECISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E LL'AMICE.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
9.MURÍ CU 'E GUARNEMIENTE 'NCUOLLO.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancora i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi vallo a trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intero il suo dovere...
10.NISCIUNO TE DICE: LÀVATE 'A FACCIA CA PARE CCHIÚ BBELLO 'E ME.
Nessuno ti dice: Lavati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
11.QUANN' UNO S'À DDA 'MBRIANCÀ, È MMEGLIO CA 'O FFA CU 'O VINO BBUONO.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
12.SCIORTA E CAUCE 'NCULO, VIATO A CCHI 'E TTÈNE!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
13.ANCAPPA PE PRIMMO, FOSSERO PURE MAZZATE!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
14.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
15.'NA VOTA È PRENA, 'NA VOTA ALLATTE, NUN 'A POZZO MAJE VATTE'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
Brak
VARIE 1189
1. SERA SO' BASTIMIENTE,  MATINA SO' VARCHETELLE.
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare delle ore del giorno, mutano le prospettive o proporzioni delle cose; cosí quelli che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
2.O CHESTO, O CHESTE!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola cheste bisogna atteggiare la mano ds. a mo' di corna, per significare complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
3.CU 'O FURASTIERO, 'A FRUSTA E CU 'O PAISANO 'ARRUSTO.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta ( non per scacciarlo, ma per tenerlo a bada e non lasciarsi sopraffare)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento per averlo sodale nella comune difesa. Proverbio che viene di lontano ma è attualissimo. furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori';
paisano s.vo ed agg.vo m.le =
1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.)
2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano.
4.A LLUME 'E CANNELA SPEDOCCHIAME 'O PETTENALE.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o redarguire chi, per ignavia, procrastini continuamente il da farsi rimandando magari alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e con maggiori risultati, alla luce diurna.
pettenale s.vom.le = monte di Venere, pube, pettignone dal lat. pectinale(m).
5.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, À DA TENÉ BBONI CCOSCE.
Ad litteram: chi à cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il proverbio significa che chi, per distrazione o ignavia dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o prendere.
6.QUANNO 'E MULINARE FANNO A PPONIE, STRIGNE 'E SACCHE.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino, conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del proprio.
7.MEGLIO MAGNÀ POCO E SPISSO CA FÀ UNU MUORZO.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio epicureo che spinge a piluccare, per estendere al massimo - nel tempo -il piacere della tavola, piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
8.TRE SONGO 'E CCOSE CA STRUDENO 'NA CASA: ZEPPOLE, PANE CAUDO E MACCARUNE.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una casa: focaccine dolci, pane caldo e maccheroni. Da sempre a Napoli, le spase per l'alimentazione ànno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva consumato in quantità maggiore di quello raffermo,ma era meno nutriente in quanto pur essendo piú soffice conteneva maggior umidità risultando a parità di peso piú povero di nutrienti ed i famosi maccheroni che all'epoca costavano molto piú della verdura; oggi tutto costa di piú, per cui è difficile fare un elenco delle cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
9.ADDÓ HÊ FATTO 'O PUMPIERE? DINT’ Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il pompiere? Nella tinozza dei capitoni?!La frase è usata quando ci si voglia prender giuoco di qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non à esperienza, come di un pompiere che, in luogo delle manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú grossi capitoni.
10.'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
brak
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare delle ore del giorno, mutano le prospettive o proporzioni delle cose; cosí quelli che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
2.O CHESTO, O CHESTE!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola cheste bisogna atteggiare la mano ds. a mo' di corna, per significare complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
3.CU 'O FURASTIERO, 'A FRUSTA E CU 'O PAISANO 'ARRUSTO.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta ( non per scacciarlo, ma per tenerlo a bada e non lasciarsi sopraffare)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento per averlo sodale nella comune difesa. Proverbio che viene di lontano ma è attualissimo. furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori';
paisano s.vo ed agg.vo m.le =
1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.)
2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano.
4.A LLUME 'E CANNELA SPEDOCCHIAME 'O PETTENALE.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o redarguire chi, per ignavia, procrastini continuamente il da farsi rimandando magari alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e con maggiori risultati, alla luce diurna.
pettenale s.vom.le = monte di Venere, pube, pettignone dal lat. pectinale(m).
5.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, À DA TENÉ BBONI CCOSCE.
Ad litteram: chi à cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il proverbio significa che chi, per distrazione o ignavia dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o prendere.
6.QUANNO 'E MULINARE FANNO A PPONIE, STRIGNE 'E SACCHE.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino, conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del proprio.
7.MEGLIO MAGNÀ POCO E SPISSO CA FÀ UNU MUORZO.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio epicureo che spinge a piluccare, per estendere al massimo - nel tempo -il piacere della tavola, piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
8.TRE SONGO 'E CCOSE CA STRUDENO 'NA CASA: ZEPPOLE, PANE CAUDO E MACCARUNE.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una casa: focaccine dolci, pane caldo e maccheroni. Da sempre a Napoli, le spase per l'alimentazione ànno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva consumato in quantità maggiore di quello raffermo,ma era meno nutriente in quanto pur essendo piú soffice conteneva maggior umidità risultando a parità di peso piú povero di nutrienti ed i famosi maccheroni che all'epoca costavano molto piú della verdura; oggi tutto costa di piú, per cui è difficile fare un elenco delle cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
9.ADDÓ HÊ FATTO 'O PUMPIERE? DINT’ Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il pompiere? Nella tinozza dei capitoni?!La frase è usata quando ci si voglia prender giuoco di qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non à esperienza, come di un pompiere che, in luogo delle manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú grossi capitoni.
10.'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
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VARIE 1188
1 -Vení a mmente
Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato.
2 -Venimmo a nuje
Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere!
3 -Vennere 'a scafarea pe sicchietiello
Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini.
Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso)
Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio)
4 - Voca fora ca 'o mare è maretta
Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza.
Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi.
5 -Vide addó hê ‘a jí
Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire.
6- Va' felicita quaccun'ato
Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire.
7 -Volle 'a caurara!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
8 - Vénnerlo pe dint' â senga d''a porta
Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta.
9 -Vide 'o Cielo che te mena!
Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo.
10 -Vrenna e sciuscelle nell'espressione: ferní a vvrenna e sciuscelle
Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: ferní a tarallucce e vino
(finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
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Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato.
2 -Venimmo a nuje
Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere!
3 -Vennere 'a scafarea pe sicchietiello
Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini.
Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso)
Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio)
4 - Voca fora ca 'o mare è maretta
Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza.
Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi.
5 -Vide addó hê ‘a jí
Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire.
6- Va' felicita quaccun'ato
Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire.
7 -Volle 'a caurara!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
8 - Vénnerlo pe dint' â senga d''a porta
Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta.
9 -Vide 'o Cielo che te mena!
Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo.
10 -Vrenna e sciuscelle nell'espressione: ferní a vvrenna e sciuscelle
Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: ferní a tarallucce e vino
(finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
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VARIE 1187
1.PIGLIARSE 'O PPUSILLECO.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
2.NUN LASSÀ 'A VIA VECCHIA P''A VIA NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NUN SAJE CHELLO CA TRUOVE!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse, si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente prevedibili, valutabili e/o sopportabili.
3.PRUTUSINO, ÒGNE MENESTA.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse partenopee. prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
4.ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FFÈTE.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: Non bisogna fidarsi delle persone tranquille e taciturne in quanto sono quelle che rimuginano, almanaccano in silenzio senza farsi scorgere dagli altri, per poterli poi sorprendere;chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà per il tuo danno con tutta la sua puzza.
5.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINTO A 'NU PURTUSO!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
6.ASTÍPATE 'O MILO PE QUANNO TE VÈNE SETE.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire súbito o d’acchito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
7.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE 'NCHIUSE E MMIEDECE GUALLARUSE!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
8.AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
9.RICOTTA, LATTE E NNATTA, D'ORO VAJE VESTUTO, MA SEMPE FIETE ‘E LATTE !
Ricotta latte e panna, di oro ti puoi vestire, ma sempre di latte puzzi!. Con l’espressione ci si riferisce alle umili origini d’un ipotetico popolano che pretendesse di fare il signore con atteggiamenti nobili ed altolocali. Saranno sempre evidenti le origini plebee di un uomo anche se riccamente vestito da gran signore.
10.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
11.PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
12.'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
13.'A GATTA, PE GGHÍ 'E PRESSA, FACETTE 'E FIGLIE CECATE.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
14.FÀ 'E CCOSE A CAPA 'E 'MBRELLO.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
15.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÒ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
Brak
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
2.NUN LASSÀ 'A VIA VECCHIA P''A VIA NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NUN SAJE CHELLO CA TRUOVE!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse, si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente prevedibili, valutabili e/o sopportabili.
3.PRUTUSINO, ÒGNE MENESTA.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse partenopee. prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
4.ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FFÈTE.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: Non bisogna fidarsi delle persone tranquille e taciturne in quanto sono quelle che rimuginano, almanaccano in silenzio senza farsi scorgere dagli altri, per poterli poi sorprendere;chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà per il tuo danno con tutta la sua puzza.
5.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINTO A 'NU PURTUSO!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
6.ASTÍPATE 'O MILO PE QUANNO TE VÈNE SETE.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire súbito o d’acchito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
7.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE 'NCHIUSE E MMIEDECE GUALLARUSE!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
8.AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
9.RICOTTA, LATTE E NNATTA, D'ORO VAJE VESTUTO, MA SEMPE FIETE ‘E LATTE !
Ricotta latte e panna, di oro ti puoi vestire, ma sempre di latte puzzi!. Con l’espressione ci si riferisce alle umili origini d’un ipotetico popolano che pretendesse di fare il signore con atteggiamenti nobili ed altolocali. Saranno sempre evidenti le origini plebee di un uomo anche se riccamente vestito da gran signore.
10.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
11.PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
12.'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
13.'A GATTA, PE GGHÍ 'E PRESSA, FACETTE 'E FIGLIE CECATE.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
14.FÀ 'E CCOSE A CAPA 'E 'MBRELLO.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
15.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÒ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
Brak
VARIE 1186
1. MENTRE O MIEDECO STURIA, 'O MALATO SE NNE MORE.
Letteralmente: Mentre il medico studia, il malato se ne muore. La locuzione è usata per sottolineare e redarguire il lento improduttivo agire di chi predilige il vacuo pensiero alla piú proficua, se rapida, opera.
2.M' HÊ DATO 'O LLARDO 'INT' Â FIJURA
Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli che gestivano in piazza Carlo III un ospedale per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi. Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna.
3.FÀ CUOFENO SAGLIE E CUOFENO SCENNE.
Letteralmente: far cesto sale e cesto scende - Il Cuofeno (dal latino cophinus) è un particolare cesto di vimini piú stretto alla base e provvisto di manici, per il trasporto delle merci piú varie. La locuzione significa: lasciare che le cose vadano secondo la loro naturale inclinazione, evitare di interessarsi di qualche cosa, non curarsi di nulla.In origine l’espressione era di pertinenza dei lavoratori dell’edilizia e faceva riferimento al consiglio/ordine che il cosiddetto capomanipolo dava ad ogni sottoposto addetto allo sgombero dei calcinacci di demolizione o al trasporto dei materiali da costruzioni calati(i primi) o issati (i secondi) per il tramite di funi e carrucole affinché non impedissero con malaccorti interventi la salita e la discesa delle ceste ricolme.
4.SE PAVA NIENTE? E SEDÚGNEME DA CAPA A 'O PEDE!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente.
5.'A CH' È MMUORTO 'O CUMPARIELLO, NUN SIMMO CCHIÚ CUMPARE.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi ci aveva uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
6.LL' AMMORE DA LUNTANO È COMME A LL' ACQUA 'INT' Ô PANARO.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
7.SANTA CHIARA: DOPP'ARRUBBATO, 'E PPORTE 'E FIERRO!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo aver subíto il furto, (apposero) le porte di ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare; l’espressione ironizza sul correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
8.'MBARCARSE SENZA VISCUOTTE.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
9.S'À DDA FÀ 'O PIRETO PE CQUANTO È GGRUOSSO 'O CULO.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
10.CHI SE METTE CU 'E CRIATURE, CACATO SE TROVA.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa, come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini.
11.'A GALLINA FA LL'UOVO E Ô VALLO LL'ABBRUSCIA 'O MAZZO.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora e un altro si lamenta della fatica che non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non à compiute, e di cui invece fa le viste di portare il peso.
12.MO ABBRÚSCIALE PURE 'A BARBA E PPO DICE CA SO' STAT' IO!
Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdí santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
13.QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
14.QUANNO SI 'NCUNIA STATTE E QUANNO SI MARTIELLO VATTE
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
15.À FATTO 'O PIRETO 'O CARDILLO.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
Brak
Letteralmente: Mentre il medico studia, il malato se ne muore. La locuzione è usata per sottolineare e redarguire il lento improduttivo agire di chi predilige il vacuo pensiero alla piú proficua, se rapida, opera.
2.M' HÊ DATO 'O LLARDO 'INT' Â FIJURA
Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli che gestivano in piazza Carlo III un ospedale per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi. Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna.
3.FÀ CUOFENO SAGLIE E CUOFENO SCENNE.
Letteralmente: far cesto sale e cesto scende - Il Cuofeno (dal latino cophinus) è un particolare cesto di vimini piú stretto alla base e provvisto di manici, per il trasporto delle merci piú varie. La locuzione significa: lasciare che le cose vadano secondo la loro naturale inclinazione, evitare di interessarsi di qualche cosa, non curarsi di nulla.In origine l’espressione era di pertinenza dei lavoratori dell’edilizia e faceva riferimento al consiglio/ordine che il cosiddetto capomanipolo dava ad ogni sottoposto addetto allo sgombero dei calcinacci di demolizione o al trasporto dei materiali da costruzioni calati(i primi) o issati (i secondi) per il tramite di funi e carrucole affinché non impedissero con malaccorti interventi la salita e la discesa delle ceste ricolme.
4.SE PAVA NIENTE? E SEDÚGNEME DA CAPA A 'O PEDE!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente.
5.'A CH' È MMUORTO 'O CUMPARIELLO, NUN SIMMO CCHIÚ CUMPARE.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi ci aveva uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
6.LL' AMMORE DA LUNTANO È COMME A LL' ACQUA 'INT' Ô PANARO.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
7.SANTA CHIARA: DOPP'ARRUBBATO, 'E PPORTE 'E FIERRO!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo aver subíto il furto, (apposero) le porte di ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare; l’espressione ironizza sul correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
8.'MBARCARSE SENZA VISCUOTTE.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
9.S'À DDA FÀ 'O PIRETO PE CQUANTO È GGRUOSSO 'O CULO.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
10.CHI SE METTE CU 'E CRIATURE, CACATO SE TROVA.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa, come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini.
11.'A GALLINA FA LL'UOVO E Ô VALLO LL'ABBRUSCIA 'O MAZZO.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora e un altro si lamenta della fatica che non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non à compiute, e di cui invece fa le viste di portare il peso.
12.MO ABBRÚSCIALE PURE 'A BARBA E PPO DICE CA SO' STAT' IO!
Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdí santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
13.QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
14.QUANNO SI 'NCUNIA STATTE E QUANNO SI MARTIELLO VATTE
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
15.À FATTO 'O PIRETO 'O CARDILLO.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
Brak