BOFONCHIARE, BORBOTTARE ETC.
Questa volta è stato il caro amico G. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che al termine di una riunione associativa nella quale avevo riferito il verbo in epigrafe e suoi sinonimi all’atteggiamento riluttante d’uno dei partecipanti che si limitava a borbottare qualcosa,evitando di esprimere compiutamente il suo pensiero, mi à chiesto di illustrare le eventuali differenze tra le voci in epigrafe e di indicargli le voci dell’idioma partenopeo che le rendono . Accontento lui e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,entrando súbito in argomento e precisando che la lingua italiana, quanto a sinonimi dei verbi in esami risulta, al solito, troppo povera e generica rispetto ai verbi dell’idioma napoletano piú ricco, circostanziato, preciso ed icastico. E cominciamo.
bofonchiare, v. intr. [ aus. avere] brontolare, borbottare sbuffando ||| v. tr. dire sbuffando, borbottando o brontolando. Etimologicamente è un denominale di bofonchio (dal lat. volg. *bufunculu(m), diminutivo di bubo bubonis 'gufo'),per il ronzio forte e sordo che produce;
borbottare v. intr. [ aus. avere]
1 parlare o lamentarsi sottovoce, con voce confusa; brontolare tra sé e sé
2 fare un rumore sordo e ripetuto; emettere un brontolio prolungato: il tuono borbottava in lontananza; i fagioli borbottano nella pentola ||| v. tr. proferire confusamente o in maniera sconnessa: borbottare minacce. Etimologicamente è termine onomatopeico;
farfugliare v. intr. [ aus. avere]
parlare in modo confuso, senza articolare distintamente i suoni. Etimologicamente è termine marcato sull’iberico farfullar;
mugugnare. v. intr. [aus. avere]
brontolare, borbottare, bofonchiare Esprimere il proprio malcontento a voce bassa e sorda, o anche con parole distinte ma ripetute in modo fastidioso e insistente: non è mai soddisfatto di nulla ed à sempre da m. per qualche motivo. Etimologicamente è un denominale di mugugno che è voce onom., di origine genovese.
Esaurite cosí le voci dell’italiano, passiamo a quelle, ben piú numerose, circostanziate, precise ed icastiche del napoletano:
barbuttià, v. intr.
1. a. Brontolare lamentandosi a bassa voce, mormorare fra i denti: nun fa ca barbuttià cuntinuamente (non fa che brontolare continuamente). b. Leggere o recitare o parlare in modo indistinto, senza far sentire chiare le parole: accumminciaje a leggere, barbuttianno ‘e pressa espresso (cominciò a leggere, brontolando a precipizio;
2. anche trans.biascicare: barbuttià paternostre e avummarie(biascicare paternostri ed avemarie);
2.bis estens. Rumoreggiare, produrre un mormorio. Etimologicamente il verbo napoletano è marcato sull’iberico borbotar;
brunnulïà, , v. intr.
Brontolare a voce cupa e bassa quasi imitando il suono del tuono che viene di lontano;
mormorare, rumoreggiare. Etimologicamente il verbo napoletano è dal lat. med. bruntulare→brunnulare marcato sul greco brontáō;
carulïà,v. trans. e rifl.
1. in primis ed origine tarlare, tarlarsi (riferito a mobili e/o vestiti);
2. per traslato come nel caso che ci occupa mormorare rumoreggiando indistintamente e sordamente alla maniera d’un tarlo.
3. per traslato giocoso infastidire , tediare,annoiare;
Etimologicamente il verbo napoletano è dal lat,cariolare denominale di carie(m) 'corrosione';
fungïà/funcïà v. intrans. doppia morfologia d’un unico verbo attestato in primis come fungïà con l’affricata palatale sonora (g) e poi espressivamente nel parlato popolare come funcïà con l’affricata palatale sorda (c):
borbottare in maniera scomposta e scostumata, quasi grugnendo indistintamente alla maniera del maiale che grufola alla ricerca di tartufi e/o funghi; la voce infatti è etimologicamente un denominale di fungio= fungo ma anche grugno, muso,cappello floscio ed al pl. bestemmie;
( fungio è dal lat. fungus);
forfecejà v. trans.
1. in primis tagliare, tagliuzzare con le forbici;
2. per traslato come nel caso che ci occupa mormorare malignare, spettegolare, sparlare, sussurrare sul conto di qualcuno quasi tagliuzzandogli gli abiti addosso;
||| v. intr. [aus. avere] eseguire una sforbiciata. Etimologicamente il verbo napoletano è un denominale di fòrfece = forbici, cesoie (dal lat. forfex);
garguttà, v. intrans.antico e desueto
1.ingozzarsi rumorosamente ed avidamente;
2. per traslato come nel caso che ci occupa bofonchiare in maniera indistinta come chi abbia la gola ingombra di cibo assunto avidamente
3. per traslato giocoso ruttare, eruttare. Etimologicamente è termine marcato sul francese gargoter 'mangiare ingordamente;
mazzecà v. trans.
1.in primis masticare, ruminare;
2. per traslato battere, percuotere;
3. per traslato come nel caso che ci occupa(détto di parole)biascicare, borbottare parole minacciose ed amare
4.figuratamente meditare, rimuginare, agitare nella mente qualcosa, pensarci e ripensarci cercando di non trascurare nessun particolare, a volte in modo quasi ossessivo
Etimologicamente incrocio di mazza con il lat. tardo masticare, che è dal gr. mastichân, deriv. di mástax -akos 'bocca';
‘mbrusunià/lià,v. trans. doppia morfologia d’un unico verbo attestato in primis come ‘mbrusunià conla consonante nasale dentale,(n) e poi espressivamente nel parlato popolare come ‘mbrusulià con la consonante laterale alveolare (l): bisbigliare, sussurrare, mormorare, borbottare senza motivo e solo per cattiva abitudine o per vizio. Etimologicamente è termine deverbale frequentativo di bruire incrociato con sonu(m)= rumoreggiare lievemente(dal francese bruire);il frequentativo brusunià ottenuto fu poi addizionato in posizione protetica di un in illativo →’n→’m davanti all’ occlusiva bilabiale sonora(b), donde ‘mbrusunià e poi ‘mbrusulià;
musechïà, v.trans. ed intrans. quadrisillabo
1. in primis come v. trans. ed in senso proprio
musicare, corredare di musica, mettere in musica, eseguire pezzi musicali,comporre musica.
2.per traslato come nel caso che ci occupa come v. intrans. borbottare in continuazione, commentare malevolmente qualsiasi accadimento o comportamento altrui, détto soprattutto di vecchi e/o anziani adusi a criticare in ogni caso l’operato dei giovani.
Etimologicamente è termine denominale di museca (dal lat. musica(m) (arte(m)), che è dal gr. mousiké (téchní); propr. 'arte delle Muse';
rusecà, v. trans.
1. in primis ed in senso proprio rosicchiare,
2.(poi fig.) consumare, intaccare, erodere.
3. per traslato come nel caso che ci occupa bofonchiare in danno di qualcuno, screditare, diffamare, denigrare. Etimologicamente è dal lat. volg. *rosicare, frequentativo di rodere 'rodere'
sparlettià, v. intrans.
borbottare, mugugnare, brontolare; lagnarsi, protestare; ma piú esattamente: sparlare, spettegolare; calunniare, parlare male, dir male di qualcuno:è ‘na malalengua, sparletteja ‘e tutte quante( è un maldicente, sparla di tutti);
2. Con uso assol., parlare usando parole sconvenienti o espressioni volgari: te prego ‘e nun sparlettià, soprattutto si ce stanno ‘e guagliune annante(ti prego di non sparlare, soprattutto in presenza dei bambini).
3. indica il malevolo ciarlar continuo, condito di malignità, lo spettegolare ad opera però non di donne, ma di di uomini: infatti il verbo a margine risulta essere un denominale di parlettiero (spettegolatore, ciarlatore,malevolo chiacchierone) a sua volta deverbale di parlà unito agli infissi intensivo-frequentativi ett ed iero.Si trattasse non di uno spettegolatore, ciarlatore, malevolo chiacchierone, ma di una spettegolattrice, ciarlatrice, malevola chiacchierona il napoletano non userebbe la voce *parlettera femminilizzazione di parlettiero ma il piú consono cciaccessa che identifica appunto la ciarliera malevola millantatrice, saccente e supponente; faccio notare che il termine cciaccessa (altro termine estraneo ai calepini, ma vivo e vegeto nel parlato comune ) deve sempre correttamente scriversi con la geminazione iniziale della c; etimologicamente mi pare si possa con ogni probabilità , stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare, farla risalire al verbo ciarlare con la giunta di un suffisso dispregiativo femminile essa marcato su quello dispregiativo maschile asso (che sta per accio), e con tipica assimilazione progressiva di tutte le consonanti interne r e l alla iniziale c.
taccarijà, v. trans. sinonimo del precedente forfecejà
1.n primis tagliare, tagliuzzare con le forbici o altro strumento affilato atto al taglioridurre in pezzetti;
2. per traslato come nel caso che ci occupa mormorare malignare, spettegolare, sparlare, sussurrare sul conto di qualcuno quasi tagliuzzandogli gli abiti addosso.
Etimologicamente si tratta di un denominale del sostantivo tacca= scheggia, pezzetto, a sua volta da un gotico taikn.
varvesià,/vervesejà v. intransitivo
mormorare, parlare sommessamente e continuamente; bisbigliare, sussurrare lungamente e fastidiosamente, essere inutilmente ed infruttuosamente verboso in eccesso;non tranquillissima l’etimologia di questo verbo per altro abbastanza desueto; pare comunque che il napoletano vervesià e le corrispondenti forme calabresi verbijari/birbijari presuppongano un lat. *verbitiare denominale di verbum;
verzulià v. intransitivo che nel significato primo vale far versi con la voce ed estensivamente vale balbutire sommessamente e continuamente, quasi bisbigliare, sussurrare lungamente, inutilmente ed infruttuosamente, procurando solo noia e fastidio; etimologicamente si tratta di un denominale di vierzo= verso con un suff. attenuativo ed uno frequentativo ul+i; normale il passaggio del gruppo tonico ie alla e atona ed evanescente come ad es. per cielo→celeste o piere→peràgna.
E con ciò penso anche questa volta d’avere esaurito l’argomento, contentato l’amico G.G.. e chiunque altro dei miei abituali ventiquattro lettori dovesse leggere queste mie paginette.
Raffaele Bracale
mercoledì 29 febbraio 2012
BUCATINE CU LL’ALICE
BUCATINE CU LL’ALICE
chello ca ce vo’ pe sseje perzone
600 gramme ‘e bucatine,
miezu kilò d’alice fresche,
ciento gramme d’alicesalate sott’uoglio,
‘dduje cucchiare ‘e semmente ‘e fenucchio,
‘nu cucchiaro ‘e pignuole
‘nu cucchiaro abbunnante d’uva passa,
ddoje bustine ‘e safrone (zafferano),
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio (e.v.p.s. a f.),
dduje spicule d’aglio ammunnate e ntretate finu fino,
sale duppio ‘na vrancata,
sale fino e ppepe janco macenato a ffrisco q.n.s.,
pane rattato cquatto cucchiare.
comme se fa
Lavà e pulezzà ll’alice levanno capa, coda, mmennute (interiora) e spina e farne ‘e ognuna dduje sulumiglie (filetti), lavarle ancòra e asciuttarle.
Piglià ‘nu rutiello largo, ricarve (versarvi) ll’uoglio e ‘o ttrigliato d’aglio farle culurí a ffuoco sustenuto e agnadirve (aggiungervi) apprimma ll’alice salate e ddoppo ca cheste se so’ sciugliute dint’ a ll’uoglio agnadí ‘e sulumiglie d’alice fresche e ffà suassà (rosolare) pe cinche minute; a ‘stu punto agnadí ll’uva passa ammullata e spremmuta, ‘e pignuole, ‘nu cucchiaro ‘e semmente ‘e fenucchio, ‘e ddoje bustine ‘e safrone, pocu ssale fino e ppepe janco macenato a ffrisco quanto ne piace; avascià ‘o ffuoco e fà cocere pe ‘nu quarto d'ora.
Fraditanto mettere ô fuoco ‘na caurara cu abbunnante acqua salata (sale duppio) e cumfromme jesce a vvollere agnadirvi l’atu cucchiaro ‘e semmente ‘e fenucchio,e farve àrvere (lessare) ‘e bucatine teniente teniente; quanno so’ ppronte, scularle e revacarle dint’ ‘o rutiello cu ‘a sarzulella d’alice, ammiscà, derrammarve(spargervi) ‘ncoppa ‘o ppane rattato e ppassà pe ddiece minute ‘o rutiello dint’ô tiesto (forno)caudo (200°). Tirà fora, purziunà e serví caude ‘e tiesto ‘sti sabruse(gustosi) bucatine. Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
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chello ca ce vo’ pe sseje perzone
600 gramme ‘e bucatine,
miezu kilò d’alice fresche,
ciento gramme d’alicesalate sott’uoglio,
‘dduje cucchiare ‘e semmente ‘e fenucchio,
‘nu cucchiaro ‘e pignuole
‘nu cucchiaro abbunnante d’uva passa,
ddoje bustine ‘e safrone (zafferano),
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio (e.v.p.s. a f.),
dduje spicule d’aglio ammunnate e ntretate finu fino,
sale duppio ‘na vrancata,
sale fino e ppepe janco macenato a ffrisco q.n.s.,
pane rattato cquatto cucchiare.
comme se fa
Lavà e pulezzà ll’alice levanno capa, coda, mmennute (interiora) e spina e farne ‘e ognuna dduje sulumiglie (filetti), lavarle ancòra e asciuttarle.
Piglià ‘nu rutiello largo, ricarve (versarvi) ll’uoglio e ‘o ttrigliato d’aglio farle culurí a ffuoco sustenuto e agnadirve (aggiungervi) apprimma ll’alice salate e ddoppo ca cheste se so’ sciugliute dint’ a ll’uoglio agnadí ‘e sulumiglie d’alice fresche e ffà suassà (rosolare) pe cinche minute; a ‘stu punto agnadí ll’uva passa ammullata e spremmuta, ‘e pignuole, ‘nu cucchiaro ‘e semmente ‘e fenucchio, ‘e ddoje bustine ‘e safrone, pocu ssale fino e ppepe janco macenato a ffrisco quanto ne piace; avascià ‘o ffuoco e fà cocere pe ‘nu quarto d'ora.
Fraditanto mettere ô fuoco ‘na caurara cu abbunnante acqua salata (sale duppio) e cumfromme jesce a vvollere agnadirvi l’atu cucchiaro ‘e semmente ‘e fenucchio,e farve àrvere (lessare) ‘e bucatine teniente teniente; quanno so’ ppronte, scularle e revacarle dint’ ‘o rutiello cu ‘a sarzulella d’alice, ammiscà, derrammarve(spargervi) ‘ncoppa ‘o ppane rattato e ppassà pe ddiece minute ‘o rutiello dint’ô tiesto (forno)caudo (200°). Tirà fora, purziunà e serví caude ‘e tiesto ‘sti sabruse(gustosi) bucatine. Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
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VERMICELLUNE Â GGRAVUNARA ‘E VERDURE
VERMICELLUNE Â GGRAVUNARA ‘E VERDURE
chello ca ce vo’ pe sseje perzone:
600 gramme ‘e vermicellune,
4 cucuzzielle piccerille e vvierde,
200 gramme ‘e fasulille,
200 gramme(piso lisso =peso netto) ‘e cemmetelle ‘e vruoccole ‘e rapa ammunnate e lavate,
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
‘nu cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo,
100 gramme ‘e pecurino rattato finu fino.
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e scamazzato.
miezu bicchiere ‘e latte retunno,
5 ova,
sale duppio ‘na vrancata,
sale fino e ppepe janco mmacenato a ffrisco q.n.s.,
comme se fa
Spuntà, lavà e ttaglià a rundelle ‘e cucuzzielle e a pezzulle ‘e duje centimetre’e fasulille; privati degli eventuali filamenti; lavà cu acqua fredda ‘e cemmetelle ‘e vruoccole ‘e rapa ammunnate,
e scularle;scuttà dinto abbunnante acqua salata (vrancata ‘e sale duppio) vullente apprimma ‘e cemmetelle ‘e vruoccole e ppo ‘e fasulille; sculà ‘e vverdure e tenerle ‘ncaudo,astipanno ll’acqua ‘e cuttura.Ricà dinto a ‘na tiella a sponna auta e pruvvista ‘e cupierchio ll’uoglio, agnadirve ll’aglio ammunnato e scamazzato e ‘o cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo e a ffuoco allero fà piglià culore a aglio e cerasiello; scartà ll’aglio e agnadirve apprimma ‘e rundelle ‘e cucuzielle e doppo tre minute ‘e cemmetelle ‘e vruoccole e ‘ncapo a n’ati dduje minute ‘e fasulille; cummiglià ‘a tiella e sempe a ffuoco allero fa ‘nzapurí tutto pe sette o otto minute a ttiella cummigliata. A ll’urdemo regulà ‘e sale fino e e ppepe janco mmacenato a ffrisco; mantenere ‘ncaudo e fraditanto arapí dinto a ‘na ciotola ll’ova, agnadirve ‘o ccaso, ‘o llatte, sale e ppepe e sbatterle forte. Fraditanto fà vollere n’ata vota ll’acqua ‘e cuttura d’ ‘e vverdure e appena ll’acqua jesce a vollere, àrvere pronte pronte ‘e vermicellune; scularle e revacarle dint’â tiella cu ‘e ccemmetelle e ‘a cunnimma.Ricarve ‘a coppa ll’ova sbattute e tuïglià pe tre minute a fuoco miccio; ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare ‘sta ggravunara sabrosa!
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
chello ca ce vo’ pe sseje perzone:
600 gramme ‘e vermicellune,
4 cucuzzielle piccerille e vvierde,
200 gramme ‘e fasulille,
200 gramme(piso lisso =peso netto) ‘e cemmetelle ‘e vruoccole ‘e rapa ammunnate e lavate,
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
‘nu cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo,
100 gramme ‘e pecurino rattato finu fino.
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e scamazzato.
miezu bicchiere ‘e latte retunno,
5 ova,
sale duppio ‘na vrancata,
sale fino e ppepe janco mmacenato a ffrisco q.n.s.,
comme se fa
Spuntà, lavà e ttaglià a rundelle ‘e cucuzzielle e a pezzulle ‘e duje centimetre’e fasulille; privati degli eventuali filamenti; lavà cu acqua fredda ‘e cemmetelle ‘e vruoccole ‘e rapa ammunnate,
e scularle;scuttà dinto abbunnante acqua salata (vrancata ‘e sale duppio) vullente apprimma ‘e cemmetelle ‘e vruoccole e ppo ‘e fasulille; sculà ‘e vverdure e tenerle ‘ncaudo,astipanno ll’acqua ‘e cuttura.Ricà dinto a ‘na tiella a sponna auta e pruvvista ‘e cupierchio ll’uoglio, agnadirve ll’aglio ammunnato e scamazzato e ‘o cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo e a ffuoco allero fà piglià culore a aglio e cerasiello; scartà ll’aglio e agnadirve apprimma ‘e rundelle ‘e cucuzielle e doppo tre minute ‘e cemmetelle ‘e vruoccole e ‘ncapo a n’ati dduje minute ‘e fasulille; cummiglià ‘a tiella e sempe a ffuoco allero fa ‘nzapurí tutto pe sette o otto minute a ttiella cummigliata. A ll’urdemo regulà ‘e sale fino e e ppepe janco mmacenato a ffrisco; mantenere ‘ncaudo e fraditanto arapí dinto a ‘na ciotola ll’ova, agnadirve ‘o ccaso, ‘o llatte, sale e ppepe e sbatterle forte. Fraditanto fà vollere n’ata vota ll’acqua ‘e cuttura d’ ‘e vverdure e appena ll’acqua jesce a vollere, àrvere pronte pronte ‘e vermicellune; scularle e revacarle dint’â tiella cu ‘e ccemmetelle e ‘a cunnimma.Ricarve ‘a coppa ll’ova sbattute e tuïglià pe tre minute a fuoco miccio; ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare ‘sta ggravunara sabrosa!
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
RICCE ‘E FURETANA SABRUSE
RICCE ‘E FURETANA SABRUSE
Chello ca ce vo’ pe 6 perzone:
600 fgramme ‘e ricce ‘e furetane,
½ bicchiere d’ uoglio ‘auliva dunciglio,
‘nu cucchiaro ‘e ‘nzogna,
300 gramme ‘e patane vecchie ammunnate, tagliate a ffarinule ‘e ‘nu centimetro ‘e ‘squina e lavate,
ddoje bustine ‘e safrone,
100 gramme ‘e sulumiglie d’alicesalate sott’uoglio,
150 gramme d’aulive nere desciussate,
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e ntretato finu fino,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata fina fina,
‘nu cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo,
sale duppio ‘na vrancata,
sale fino e ppepe janco macenato a ffrisco q.n.s.,
Comme se fa:
Ricà dinto a ‘na tiella a sponna auta e pruvvista ‘e cupierchio ll’uoglio e ‘a ‘nzogna, agnadirve ‘o ttrigliato d’aglio e de cepolla e ‘o cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo e a ffuoco allero fà piglià culore ô zzuffritto; agnadirve‘e patane vecchie ammunnate, tagliate a ffarinule ‘e ‘nu centimetro ‘e ‘squina e lavate e ‘e ddoje bbustine ‘e safrone accumpliate cu ‘nu bicchiere d’acqua vullente; ammiscà e lassà cocere pe vinte minute a ffuoco miccio.Ntretà ‘e sulumiglie d’alicesalate cu ll’aulive dusciussate e agnadií ‘stu trigliato dint’â tiella; accuncià ‘e sale e ppepe e tené sempe a ffuoco miccio pe cinche minute ammiscanno spisso. Fraditanto fà àrvere pronte pronte ‘e ricce ‘e furetana dinto a otto litre d’acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio); scularle e revacarle dint’â tiella e tuïglià pe tre minute a fuoco miccio; ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare ‘sti ricce ‘e furetane sabruse!
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
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Chello ca ce vo’ pe 6 perzone:
600 fgramme ‘e ricce ‘e furetane,
½ bicchiere d’ uoglio ‘auliva dunciglio,
‘nu cucchiaro ‘e ‘nzogna,
300 gramme ‘e patane vecchie ammunnate, tagliate a ffarinule ‘e ‘nu centimetro ‘e ‘squina e lavate,
ddoje bustine ‘e safrone,
100 gramme ‘e sulumiglie d’alicesalate sott’uoglio,
150 gramme d’aulive nere desciussate,
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e ntretato finu fino,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata fina fina,
‘nu cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo,
sale duppio ‘na vrancata,
sale fino e ppepe janco macenato a ffrisco q.n.s.,
Comme se fa:
Ricà dinto a ‘na tiella a sponna auta e pruvvista ‘e cupierchio ll’uoglio e ‘a ‘nzogna, agnadirve ‘o ttrigliato d’aglio e de cepolla e ‘o cerasiello percante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo e a ffuoco allero fà piglià culore ô zzuffritto; agnadirve‘e patane vecchie ammunnate, tagliate a ffarinule ‘e ‘nu centimetro ‘e ‘squina e lavate e ‘e ddoje bbustine ‘e safrone accumpliate cu ‘nu bicchiere d’acqua vullente; ammiscà e lassà cocere pe vinte minute a ffuoco miccio.Ntretà ‘e sulumiglie d’alicesalate cu ll’aulive dusciussate e agnadií ‘stu trigliato dint’â tiella; accuncià ‘e sale e ppepe e tené sempe a ffuoco miccio pe cinche minute ammiscanno spisso. Fraditanto fà àrvere pronte pronte ‘e ricce ‘e furetana dinto a otto litre d’acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio); scularle e revacarle dint’â tiella e tuïglià pe tre minute a fuoco miccio; ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare ‘sti ricce ‘e furetane sabruse!
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
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VARIE 1626
1.CHI FA BBENE, MORE ACCISO.
Letteralmente: chi fa il bene, muore ucciso. Non vale la pena beneficare il prossimo perché quale ricompensa si riceverà il male!
2.NCE PONNO CCHIÚ LL'UOCCHIE CA 'E SCUPPETTATE...
Letteralmente: Ànno piú potere gli occhi che le schioppettate.Id est:la potenzialità del malocchio è cosí elevata da produrre piú danno delle fucilate ed il popolo napoletano teme moltissimo il malocchio, atteso che dalle ferite di arma da fuoco si può guarire, ma è impossibile sottrarsi agli effetti disastrosi del malacchio
3.DICETTE 'ONNA VICENZA: ADDÒ C'È GGUSTO NUN C'È PERDENZA.
Letteralmente: Disse donna Vincenza: Dove vi è gusto, non vi è perdita. Id est: ciò che si fa con piacere non genera pentimenti. La locuzione la si usa soprattutto a commento delle azioni di chi trovi gradevoli cose e/o persone ritenute da tutti gli altri repellenti.
4.'A RAGGIONE S''A PIGLIANO 'E FESSE.
Letteralmente: La ragione (che in napoletano va scritta con due g..) se la pigliano gli stupidi. In una discussione spesso uno dei contendenti, senza addivenire ad un pratico corrispettivo, si limita a dare ragione all'altro contendente che però con la frase in epigrafe afferma il suo buon diritto a non esser tacitato dalle sole parole...
5.PE TTE CE VO’ 'O CACCAVO 'E SANTA MARIA 'A NOVA.
Per te occorre il pentolone di santa Maria la Nuova. Con questa locuzione si apostrofa chi è insaziabile, di robustissimo appetito, colui a cui insomma non basta cibo. Si tratta naturalmente di una iperbole in quanto 'o caccavo (il pentolone) era infatti l'enorme pentola in cui i frati di santa Maria la Nova solevano preparare il pasto che quotidiamente offrivano non ad una singola persona, ma ai numerosi poveri accolti nel refettorio del convento annesso alla chiesa omonima.
6.'E MEGLIE PARIENTE STANNO Â ZECCA.
Letteralmente: i migliori parenti stanno alla zecca, intesa non come zona della città, ma come luogo dove si batte moneta, in quanto la locuzione proclama il danaro, miglior congiunto.
7.AIZAMMO 'A GALLINA E AVASCIAMMO 'A CECORIA...
Letteralmente: aumentiamo la gallina e diminuiamo la cicoria... Id est: diamo maggior consistenza alla minestra aumentando la carne e diminuendo i vegetali. La locuzione viene usata quando si voglia convincere qualcuno a curar maggiormente la sostanza delle faccende in cui si è impegnati e a non esagerare con il conferimento di inutili aggiunte attinenti piú alla forma che alla sostanza.
8.DICETTE NUNZIATINA: "A BBUONU FINE, M''A FACCIO 'NA RATTATA 'E SUTTANINO!".
Letteralmente: Disse Nunziatina: "Affinché me ne venga del bene, me la faccio una grattata di sottoveste!" La cultura popolare napoletana non fa mai considerare superflui gli scongiuri ed i gesti apotropaici ritenuti apportatori di benessere. Quello della locuzione, attribuito ad una ipotetica Nunziatina (diminutivo di Annunziata), fa riferimento ad una benefica grattata di sottoveste, termine usato eufemisticamente per indicare parti del corpo che, per solito, sono nascoste dalle vesti.
9.MEGLIO CURNUTE CA MALE SENTUTE.
Letteralmente: meglio(esser) cornuti che mal compresi. Id est: meglio subire l'onta del tradimento uxorale che esser mal compresi e pertanto esser ritenuti titolari di giudizi o idee che - per non essere stati ben compresi -stravolgono gli autentici giudizi o pensieri di un individuo.
10.PIZZECHE E VASE NUN FANNO PERTOSE E MANIATE 'E ZIZZE NUN FANNO CRIATURE.
Letteralmente: pizzicotti e baci non perforano e carezze di seni non generano creature. Id est: in amore ed in ogni altra occasione, se non si vogliono avere risultati indesiderati, non bisogna superare i limiti di un contatto superficiale, accontendandosi di una toccata e fuga.
11. 'NA MUGLIERA 'NCIGNATA Â CHIAZZETTA
Una moglie che à fatto le prime esperienze sessuali alla Chiazzetta. A Napoli,la Chiazzetta era una contrada del quartiere Porto, densamente abitata da gente di bassa condizione sociale e dedita a loschi affari. Tra queste persone abbondavano le donne di malaffare che svolgevano la piú antica professione del mondo in parecchie case che abbondavano in loco. Per cui quando un giovane impalmava una donna dai precedenti non proprio chiari si diceva che aveva preso 'na mugliera 'ncignata (sverginata) alla Chiazzetta, cioè che aveva condotto in moglie una prostituta.
12.Ô PUORCO, MIETTECE 'A SCIASSA, SEMPE 'A CODA CE PARE.
Letteralmente: al porco puoi anche mettere una marsina, mostrerà sempre la coda. Id est: è inutile affannarsi a ricoprire di begli abiti un essere sporco e lercio, qualcosa appaleserà comunque la sua vera natura.
13.TE SE POZZA PURTÀ, 'A LAVA D''E VIRGENE!
Letteralmente: Che possa essere trascinato via dalla lava dei Vergini. È il malevole augurio che si rivolge ai fastidiosi, ai tediosi cui si augura che un'improvviso fenomeno alluvionale li trascini con sè e li porti via. Quando non esistevano approntati percorsi fognarii, lo scolo delle acqua piovane era affidato alla naturale pendenza dei luoghi, pendenza che trasportava le acque verso il mare. La zona della Sanità, nonché la strada di Foria son poste , a Napoli, a ridosso dei contrafforti della collina di Capodimonte ed erano invase dal copioso torrente d'cqua piovana che, precipitandosi da Capodimonte imboccava il declivio sottostante - via dei Vergini - e ingrossandosi a mano a mano prendeva forza, trascinando con sè tutto che incontrava sul suo cammino. Il popolo chiamò quel terribile torrente con il nome di lava come se si fosse trattato della lava scaturente da un vulcano.
14.FA' COMME T'È FFATTO, CA NUN È PECCATO...
Letteralmente: fa' ciò che ti è stato fatto, perché la cosa non costituisce peccato. E' una delle rare volte che la filosofia popolare partenopea si pone agli antipodi della morale cristiana, che consiglia invece di perdonare le offese ricevute e porgere l'altra guancia, la filosofia popolare qui si pone in linea con l'antico brocardo latino: vim, vi repellere licet, ovvero con il piú recente toscano: render pan per focaccia.
15. SAN CRISTOFORO CU 'O MUNNO 'NCUOLLO.
Letteralmente: san Cristoforo con il mondo addosso. Nella locuzione c'è la commistione della figura di san Cristoforo, che nell'iconografia ufficiale è rappresentato nell' atto di portare sulle spalle il Redentore bambino, e quella di ATLANTE raffigurato con sulle spalle il globo terrestre. Il popolo nella sua locuzione à unito le due figure ed à riferito a CRISTOFORO l'incombenza di sorreggere il mondo. La locuzione viene riferita per bollare di inettitudine fisica e morale tutti coloro che, chiamati ad un risibile lavoro comportante un piccolissimo impegno fisico e/o morale, fanno invece le viste di sopportare grandi e gravi fatiche, lamentandosi a sproposito di ciò che si sta facendo, magari bofonchiando, sbuffando, quasi si portasse veramente il mondo sulle spalle.
brak
Letteralmente: chi fa il bene, muore ucciso. Non vale la pena beneficare il prossimo perché quale ricompensa si riceverà il male!
2.NCE PONNO CCHIÚ LL'UOCCHIE CA 'E SCUPPETTATE...
Letteralmente: Ànno piú potere gli occhi che le schioppettate.Id est:la potenzialità del malocchio è cosí elevata da produrre piú danno delle fucilate ed il popolo napoletano teme moltissimo il malocchio, atteso che dalle ferite di arma da fuoco si può guarire, ma è impossibile sottrarsi agli effetti disastrosi del malacchio
3.DICETTE 'ONNA VICENZA: ADDÒ C'È GGUSTO NUN C'È PERDENZA.
Letteralmente: Disse donna Vincenza: Dove vi è gusto, non vi è perdita. Id est: ciò che si fa con piacere non genera pentimenti. La locuzione la si usa soprattutto a commento delle azioni di chi trovi gradevoli cose e/o persone ritenute da tutti gli altri repellenti.
4.'A RAGGIONE S''A PIGLIANO 'E FESSE.
Letteralmente: La ragione (che in napoletano va scritta con due g..) se la pigliano gli stupidi. In una discussione spesso uno dei contendenti, senza addivenire ad un pratico corrispettivo, si limita a dare ragione all'altro contendente che però con la frase in epigrafe afferma il suo buon diritto a non esser tacitato dalle sole parole...
5.PE TTE CE VO’ 'O CACCAVO 'E SANTA MARIA 'A NOVA.
Per te occorre il pentolone di santa Maria la Nuova. Con questa locuzione si apostrofa chi è insaziabile, di robustissimo appetito, colui a cui insomma non basta cibo. Si tratta naturalmente di una iperbole in quanto 'o caccavo (il pentolone) era infatti l'enorme pentola in cui i frati di santa Maria la Nova solevano preparare il pasto che quotidiamente offrivano non ad una singola persona, ma ai numerosi poveri accolti nel refettorio del convento annesso alla chiesa omonima.
6.'E MEGLIE PARIENTE STANNO Â ZECCA.
Letteralmente: i migliori parenti stanno alla zecca, intesa non come zona della città, ma come luogo dove si batte moneta, in quanto la locuzione proclama il danaro, miglior congiunto.
7.AIZAMMO 'A GALLINA E AVASCIAMMO 'A CECORIA...
Letteralmente: aumentiamo la gallina e diminuiamo la cicoria... Id est: diamo maggior consistenza alla minestra aumentando la carne e diminuendo i vegetali. La locuzione viene usata quando si voglia convincere qualcuno a curar maggiormente la sostanza delle faccende in cui si è impegnati e a non esagerare con il conferimento di inutili aggiunte attinenti piú alla forma che alla sostanza.
8.DICETTE NUNZIATINA: "A BBUONU FINE, M''A FACCIO 'NA RATTATA 'E SUTTANINO!".
Letteralmente: Disse Nunziatina: "Affinché me ne venga del bene, me la faccio una grattata di sottoveste!" La cultura popolare napoletana non fa mai considerare superflui gli scongiuri ed i gesti apotropaici ritenuti apportatori di benessere. Quello della locuzione, attribuito ad una ipotetica Nunziatina (diminutivo di Annunziata), fa riferimento ad una benefica grattata di sottoveste, termine usato eufemisticamente per indicare parti del corpo che, per solito, sono nascoste dalle vesti.
9.MEGLIO CURNUTE CA MALE SENTUTE.
Letteralmente: meglio(esser) cornuti che mal compresi. Id est: meglio subire l'onta del tradimento uxorale che esser mal compresi e pertanto esser ritenuti titolari di giudizi o idee che - per non essere stati ben compresi -stravolgono gli autentici giudizi o pensieri di un individuo.
10.PIZZECHE E VASE NUN FANNO PERTOSE E MANIATE 'E ZIZZE NUN FANNO CRIATURE.
Letteralmente: pizzicotti e baci non perforano e carezze di seni non generano creature. Id est: in amore ed in ogni altra occasione, se non si vogliono avere risultati indesiderati, non bisogna superare i limiti di un contatto superficiale, accontendandosi di una toccata e fuga.
11. 'NA MUGLIERA 'NCIGNATA Â CHIAZZETTA
Una moglie che à fatto le prime esperienze sessuali alla Chiazzetta. A Napoli,la Chiazzetta era una contrada del quartiere Porto, densamente abitata da gente di bassa condizione sociale e dedita a loschi affari. Tra queste persone abbondavano le donne di malaffare che svolgevano la piú antica professione del mondo in parecchie case che abbondavano in loco. Per cui quando un giovane impalmava una donna dai precedenti non proprio chiari si diceva che aveva preso 'na mugliera 'ncignata (sverginata) alla Chiazzetta, cioè che aveva condotto in moglie una prostituta.
12.Ô PUORCO, MIETTECE 'A SCIASSA, SEMPE 'A CODA CE PARE.
Letteralmente: al porco puoi anche mettere una marsina, mostrerà sempre la coda. Id est: è inutile affannarsi a ricoprire di begli abiti un essere sporco e lercio, qualcosa appaleserà comunque la sua vera natura.
13.TE SE POZZA PURTÀ, 'A LAVA D''E VIRGENE!
Letteralmente: Che possa essere trascinato via dalla lava dei Vergini. È il malevole augurio che si rivolge ai fastidiosi, ai tediosi cui si augura che un'improvviso fenomeno alluvionale li trascini con sè e li porti via. Quando non esistevano approntati percorsi fognarii, lo scolo delle acqua piovane era affidato alla naturale pendenza dei luoghi, pendenza che trasportava le acque verso il mare. La zona della Sanità, nonché la strada di Foria son poste , a Napoli, a ridosso dei contrafforti della collina di Capodimonte ed erano invase dal copioso torrente d'cqua piovana che, precipitandosi da Capodimonte imboccava il declivio sottostante - via dei Vergini - e ingrossandosi a mano a mano prendeva forza, trascinando con sè tutto che incontrava sul suo cammino. Il popolo chiamò quel terribile torrente con il nome di lava come se si fosse trattato della lava scaturente da un vulcano.
14.FA' COMME T'È FFATTO, CA NUN È PECCATO...
Letteralmente: fa' ciò che ti è stato fatto, perché la cosa non costituisce peccato. E' una delle rare volte che la filosofia popolare partenopea si pone agli antipodi della morale cristiana, che consiglia invece di perdonare le offese ricevute e porgere l'altra guancia, la filosofia popolare qui si pone in linea con l'antico brocardo latino: vim, vi repellere licet, ovvero con il piú recente toscano: render pan per focaccia.
15. SAN CRISTOFORO CU 'O MUNNO 'NCUOLLO.
Letteralmente: san Cristoforo con il mondo addosso. Nella locuzione c'è la commistione della figura di san Cristoforo, che nell'iconografia ufficiale è rappresentato nell' atto di portare sulle spalle il Redentore bambino, e quella di ATLANTE raffigurato con sulle spalle il globo terrestre. Il popolo nella sua locuzione à unito le due figure ed à riferito a CRISTOFORO l'incombenza di sorreggere il mondo. La locuzione viene riferita per bollare di inettitudine fisica e morale tutti coloro che, chiamati ad un risibile lavoro comportante un piccolissimo impegno fisico e/o morale, fanno invece le viste di sopportare grandi e gravi fatiche, lamentandosi a sproposito di ciò che si sta facendo, magari bofonchiando, sbuffando, quasi si portasse veramente il mondo sulle spalle.
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martedì 28 febbraio 2012
ARZIGOGOLO e dintorni
ARZIGOGOLO e dintorni
L’amico N.C. (i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome) mi chiese di parlare della voce in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. L’accontento qui di sèguito con il dire che con la voce in epigrafe arzigogolo ( con etimo derivato da girigogolo allungamento di girigoro secondo un percorso morfologico comportante la trasposizione di lettere nel primo elemento e cioè: argi→arzi per giri) la lingua ufficiale nazionale intende volta a volta un discorso o un ragionamento astruso e lambiccato, una fantasticheria, un cavillo, un espediente dialettico, una trovata spesso truffaldina, ma ingegnosa, un giro di parole ingegnoso e bizzarro, un raggiro fuorviante, un pretesto etc.
Il napoletano per tali necessità à parecchie voci ed ognuna piú circostanziata ed esattamente coniata per indicare con maggior precisione ognuna delle suaccennate occorrenze; tento qui di sèguito di elencare tali voci partenopee dandone, ove possibile, l’etimo ed il preciso campo d’applicazione; cominciamo:
allefrecaglia/arrefrecaglia che nel significato di giro di parole ingegnoso e bizzarro, sono ambedue ampliamento di lefrecaglia deverbale del basso latino *refragare = cavillare, sminuzzare etc.;
ciaranfa che nel significato di discorso astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo trova il suo etimo nell’adattamento popolare della voce ciaraffa che di per sé (con provenienza dall’arabo giarif) indica una moneta sonante, ma di poco valore e semanticamente la cosa si spiega col fatto che come la moneta ciaraffa è sonante,sí ma in realtà di poco valore, cosí la ciaranfa quale discorso astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo, produce solo rumore, ma non significante e quindi senza valore;
‘mbròglia s.vo f.le è una fantasticheria intrisa di parole eccedenti, un pretesto lungamente... diluito di chiacchiere tendenti al raggiro ed è quanto all’etimo un deverbale di ‘mbruglià= imbrogliare che a sua volta è dal fr. ant. brouiller 'mescolare, confondere', deriv. di brou 'brodo' e semanticamente si spiega essendo – come ò detto – la ‘mbroglia null’altro che una sequela di parole eccedenti, un pretesto di chiacchiere diluite tali quale un brodo;
peléa/peleja s.vo f.le con due differenti morfologie leggermente diverse, di cui la seconda ottenuta dalla prima con epentesi eufonica d’ un suono di transizione (j) immesso nello iato ea ; il s.vo in esame vale 1 futile pretesto (per attaccar briga) e piú generalmente insignificante
spunto , fatuo appiglio, pretestuoso espediente;2 in senso traslato con riferimento alla irrisorietà della natura della peléa/peleja vale anche piccolezza, quisquilia, bazzecola, minuzia, bagattella, sciocchezza.
etimologicamente è voce deverbale dello spagnolo pelear = litigare, brigare, bisticciare etc.
nzànzera /nzànzanzera
s.vo f.le dalla doppia morfologia: nella seconda c’è l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba; sinonimo del precedente in quanto sciocchezza profferita in modo chiassoso, fandonia eclatante tendente al raggiro, frottola mistificatrice in uso tra compagni di baldoria, menzogna, panzana, balla propalata al fine di far ricadere su altri componenti la mala brigata le spese per il divertimento da sostenere o sostenute o le respensabilità di azioni comuni; etimologicamente è voce costruita nella prima morfologia ponendo in posizione protetica una n eufonica (che non derivando dall’aferesi di un in→’n non necessita di alcun segno diacritico (‘)) al s.vo del basso lat.zingiber→zanz(ib)er→zanzera→nzanzera (che diede anche zenzero = radice dall’aroma piccante) semanticamente da accostarsi per il gusto pepato, caustico che connota sia la radice che figuratamente la sciocchezza profferita in modo chiassoso, la fandonia eclatante, la frottola mistificatrice mistificatrice; per ciò che riguarda l’etimo della morfologia di nzànzanzera ò già détto e qui ribadisco che l’etimo è il medesimo di nzànzera con l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba;
pagliettaría s.vo f.le è precisamente il cavillo, l’ espediente dialettico, la trovata quasi sempre truffaldina, ma ingegnosa, azioni che di per sé son tutte riconducibili al modo di agire dei cosiddetti paglietta voce singolare maschile che indica un avvocatucolo,un leguleio cavilloso, ma inesperto e spesso truffaldino; letteralmente la voce a margine parrebbe essere un diminutivo vezzeggiativo di paglia e come tale femminile, mentre in realtà è – come ò detto- voce singolare maschile (‘o paglietta) nei significati detti ed è voce che al plurale va scritta correttamente ‘e pagliette, mentre scritta con la geminazione iniziale: ‘e ppagliette torna ad esser femminile indicando i tipici cappelli di paglia, solitamente usati dagli uomini) e va letta con la geminazione iniziale della p; scritta però, come ò detto, con la iniziale p scempia: ‘e pagliette, la medesima voce plurale di paglietta è maschile e per chiaro traslato o sineddoche indica appunto avvocatucoli, legulei cavillosi, ma inesperti quegli stessi cioè che ad inizio del 1900 usavano indossare a mo’ di divisa comune una paglietta (cappello di paglia (donde il nome, partendo da un lat. palea(m)) da uomo, con cupolino alto, in foggia di tamburo, bordato di nastro di seta, ampia e piatta tesa rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti gli altri uomini che erano soliti indossare, in ispecie nella bella stagione, pagliette di color chiaro; e con questa spiegazione penso d’aver fatto giustizia sommaria del parere di qualcuno (ma non ne ricordo il nome…né meriterebbe d’esser rammentato ) che fantasiosamente fa risalire il termine paglietta inteso, come riportato, quale avvocatucolo, leguleio cavilloso, ma inesperto e truffaldino all’ampia gorgiera rigida indossata sulle toghe dagli avvocati d’antan; ora atteso che la gorgiera fu colletto plissettato ed inamidato indossato da talune categorie di notabili in epoca cinquecentesca e seicentesca,e poi definitivamente dismesso, mentre il tipo paglietta inteso avvocatucolo etc. è figura del tardo ‘800 – principî ‘900, non vedo dove (se non presso un costumista tearale) un avvocatucolo del tardo ‘800 o dei primi del ‘900 avrebbe potuto reperire una gorgiera inamidata e plissettata da indossare sulla toga...
da paglietta con aggiunta del suffisso di pertinenza ria si è giunto a pagliettaría voce che per sua fortuna è rimasta nell’àmbito della parlata napoletana e non è pervenuto in quello della lingua italiana dove è pur presente la voce paglietta nel significato di avvocatucolo etc.; ò detto per sua fortuna poi che se la voce pagliettaría fosse approdata nel dialetto di alighieri dante sarebbe stata certamente stravolta in pagliettería= azione o comportamento da paglietta subendo lo stesso trattamento della voce partenopea fessaría che pervenuta nell’italiano divenne fessería assumendo una inesatta e chiusa e non etimologica al posto della esatta aperta a forse nella sciocca convinzione che una vocale chiusa fosse piú consona di una aperta alla eleganza (?) della lingua nazionale;
raciàmmulo s.vo m.le voce singolare maschile usata per indicare un giro di parole ingegnoso e bizzarro e fuorviante che miri a nascondere verità altrimenti palesi; etimologicamente è un derivato del tardo latino *racimulus, diminutivo per il class. racímus; =gracimolo,ciascun rametto di un grappolo d'uva; piccolo grappolo d'uva; semanticamente si spiega col fatto che come il gracimolo si nasconde tra i pampini e copre a sua volta gli acini del grappolo, cosí il raciàmmulo tenta di non far apparire, nascondendole con giri di parole, talune verità altrimenti palesi;
scazzella s.vo m.le voce singolare maschile (a malgrado della desinenza in a) usata esattamente per indicare non l’azione cavillosa, pretestuosa, capziosa quando non litigiosa, ma per indicare colui che agisca e si esprima cavillosamente, pretestuosamente, capziosamente; in effetti la parola a margine (‘o scazzella) risulta essere etimologicamente una contrazione per sincope del termine scazzazella→scaz(za)zella→scazzella a sua volta formato dal verbo scazzà/scazzecà= schiacciare, scacciare, sommuovere (da una base di lat. reg. s(intensivo) + capticare frequentativo di captiare= cacciare) + il sost. zella =tigna, debito, magagna, imbroglio (da un lat. reg. psilla(m)); va da sé che chi schiaccia, smuove i residui della tigna lo fa in maniera attenta, cavillosa, pretestuosa alla medesima maniera di chi tenti di schiacciare, scacciare, sommuovere un debito o magagna;
tràstula s.vo f.le sostantivo femm. sing. usato per indicare un generico trucco e/o inganno; in realtà come deverbale di trastulià (che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o inganni da saltimbanchi) la voce a margine solo estensivamente indica ogni altro inganno teso ad imbrogliare, raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo napoletano trastulià donde la derivata tràstula sia un adattamento del toscano trastullare; non è cosí però; è vero che ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle galee romane, per poi divenire i banchi su cui si esibivano i saltimbanchi con i loro trucchi ed inganni detti in napoletano trastule e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir semplicemente l’imbroglione , ma mentre l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto per ledere gli adulti;
Giunti a questo punto rammenterò che tutte le voci che ò elencate furono usate negli scrittori partenopei (poeti, drammaturghi etc.) a far tempo dal 1400 con eccezione di quelle nate (ad. es. pagliettaría) in epoche successive. C’è una sola voce che non à trovato posto nei reperti letterarii, ma è rimasta a far tempo dal 1940 circa, nel parlato popolare ed ancora vi permane ben salda avendo soppiantato quasi tutte le voci elencate fin qui con le sole eccezioni di ‘mbroglia e tràstula; la voce è
paraustiello s.vo m.le voce singolare maschile nata in origine in senso positivo per significare esempio, spiegazione ma che à finito per prendere il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, pretestuoso cavillo, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio, esempio, ma ad usum delphini, argomentazione tortuosa etc. Quanto all’etimologia ancòra c’è qualcuno che sulla scorta del primo significato di esempio, spiegazione propende per l’iberico para usted (per voi) quasi che con la parola paraustiello si volesse avvertire: tutto ciò che abbiamo detto è stato un esempio portato per voi. La cosa non convince soprattutto perché il paraustiello fin quasi dal suo apparire non fu usato solo nel senso positivo di esempio, spiegazione ma prese quasi súbito nell’uso del discorrere popolare (come ò detto) il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio,argomentazione tortuosa e dunque mi pare corretto pensare per l’etimo di paraustiello ad un adattamento del greco paràstasis che vale giustappunto ragionamento, metafora, argomentazione.
zellemmo s.vo m.le ma usato nella quasi totalità dei casi solo al pl. zellemme nel significato di pretesti, cavilli, scuse, sofisticherie quasi innominabili e da celare; etimologicamente la voce è un derivato di zella (da un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento della liquida nel latino regionale è d’origine popolare) cui è stato aggiunto il suffisso emmo←immo suffisso in genere di chiaro sapore dispregiativo o riduttivo ma talora anche, come in questo caso, intensivo , suffisso probabilmente coniato su di un latino: ime(n) con successivo raddopiamento rafforzativo della emme fino a giungere ad immo o imma.
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale
L’amico N.C. (i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome) mi chiese di parlare della voce in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. L’accontento qui di sèguito con il dire che con la voce in epigrafe arzigogolo ( con etimo derivato da girigogolo allungamento di girigoro secondo un percorso morfologico comportante la trasposizione di lettere nel primo elemento e cioè: argi→arzi per giri) la lingua ufficiale nazionale intende volta a volta un discorso o un ragionamento astruso e lambiccato, una fantasticheria, un cavillo, un espediente dialettico, una trovata spesso truffaldina, ma ingegnosa, un giro di parole ingegnoso e bizzarro, un raggiro fuorviante, un pretesto etc.
Il napoletano per tali necessità à parecchie voci ed ognuna piú circostanziata ed esattamente coniata per indicare con maggior precisione ognuna delle suaccennate occorrenze; tento qui di sèguito di elencare tali voci partenopee dandone, ove possibile, l’etimo ed il preciso campo d’applicazione; cominciamo:
allefrecaglia/arrefrecaglia che nel significato di giro di parole ingegnoso e bizzarro, sono ambedue ampliamento di lefrecaglia deverbale del basso latino *refragare = cavillare, sminuzzare etc.;
ciaranfa che nel significato di discorso astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo trova il suo etimo nell’adattamento popolare della voce ciaraffa che di per sé (con provenienza dall’arabo giarif) indica una moneta sonante, ma di poco valore e semanticamente la cosa si spiega col fatto che come la moneta ciaraffa è sonante,sí ma in realtà di poco valore, cosí la ciaranfa quale discorso astruso e lambiccato, noiosamente ripetitivo, produce solo rumore, ma non significante e quindi senza valore;
‘mbròglia s.vo f.le è una fantasticheria intrisa di parole eccedenti, un pretesto lungamente... diluito di chiacchiere tendenti al raggiro ed è quanto all’etimo un deverbale di ‘mbruglià= imbrogliare che a sua volta è dal fr. ant. brouiller 'mescolare, confondere', deriv. di brou 'brodo' e semanticamente si spiega essendo – come ò detto – la ‘mbroglia null’altro che una sequela di parole eccedenti, un pretesto di chiacchiere diluite tali quale un brodo;
peléa/peleja s.vo f.le con due differenti morfologie leggermente diverse, di cui la seconda ottenuta dalla prima con epentesi eufonica d’ un suono di transizione (j) immesso nello iato ea ; il s.vo in esame vale 1 futile pretesto (per attaccar briga) e piú generalmente insignificante
spunto , fatuo appiglio, pretestuoso espediente;2 in senso traslato con riferimento alla irrisorietà della natura della peléa/peleja vale anche piccolezza, quisquilia, bazzecola, minuzia, bagattella, sciocchezza.
etimologicamente è voce deverbale dello spagnolo pelear = litigare, brigare, bisticciare etc.
nzànzera /nzànzanzera
s.vo f.le dalla doppia morfologia: nella seconda c’è l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba; sinonimo del precedente in quanto sciocchezza profferita in modo chiassoso, fandonia eclatante tendente al raggiro, frottola mistificatrice in uso tra compagni di baldoria, menzogna, panzana, balla propalata al fine di far ricadere su altri componenti la mala brigata le spese per il divertimento da sostenere o sostenute o le respensabilità di azioni comuni; etimologicamente è voce costruita nella prima morfologia ponendo in posizione protetica una n eufonica (che non derivando dall’aferesi di un in→’n non necessita di alcun segno diacritico (‘)) al s.vo del basso lat.zingiber→zanz(ib)er→zanzera→nzanzera (che diede anche zenzero = radice dall’aroma piccante) semanticamente da accostarsi per il gusto pepato, caustico che connota sia la radice che figuratamente la sciocchezza profferita in modo chiassoso, la fandonia eclatante, la frottola mistificatrice mistificatrice; per ciò che riguarda l’etimo della morfologia di nzànzanzera ò già détto e qui ribadisco che l’etimo è il medesimo di nzànzera con l’espressivo raddoppiamento rafforzativo della prima sillaba;
pagliettaría s.vo f.le è precisamente il cavillo, l’ espediente dialettico, la trovata quasi sempre truffaldina, ma ingegnosa, azioni che di per sé son tutte riconducibili al modo di agire dei cosiddetti paglietta voce singolare maschile che indica un avvocatucolo,un leguleio cavilloso, ma inesperto e spesso truffaldino; letteralmente la voce a margine parrebbe essere un diminutivo vezzeggiativo di paglia e come tale femminile, mentre in realtà è – come ò detto- voce singolare maschile (‘o paglietta) nei significati detti ed è voce che al plurale va scritta correttamente ‘e pagliette, mentre scritta con la geminazione iniziale: ‘e ppagliette torna ad esser femminile indicando i tipici cappelli di paglia, solitamente usati dagli uomini) e va letta con la geminazione iniziale della p; scritta però, come ò detto, con la iniziale p scempia: ‘e pagliette, la medesima voce plurale di paglietta è maschile e per chiaro traslato o sineddoche indica appunto avvocatucoli, legulei cavillosi, ma inesperti quegli stessi cioè che ad inizio del 1900 usavano indossare a mo’ di divisa comune una paglietta (cappello di paglia (donde il nome, partendo da un lat. palea(m)) da uomo, con cupolino alto, in foggia di tamburo, bordato di nastro di seta, ampia e piatta tesa rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti gli altri uomini che erano soliti indossare, in ispecie nella bella stagione, pagliette di color chiaro; e con questa spiegazione penso d’aver fatto giustizia sommaria del parere di qualcuno (ma non ne ricordo il nome…né meriterebbe d’esser rammentato ) che fantasiosamente fa risalire il termine paglietta inteso, come riportato, quale avvocatucolo, leguleio cavilloso, ma inesperto e truffaldino all’ampia gorgiera rigida indossata sulle toghe dagli avvocati d’antan; ora atteso che la gorgiera fu colletto plissettato ed inamidato indossato da talune categorie di notabili in epoca cinquecentesca e seicentesca,e poi definitivamente dismesso, mentre il tipo paglietta inteso avvocatucolo etc. è figura del tardo ‘800 – principî ‘900, non vedo dove (se non presso un costumista tearale) un avvocatucolo del tardo ‘800 o dei primi del ‘900 avrebbe potuto reperire una gorgiera inamidata e plissettata da indossare sulla toga...
da paglietta con aggiunta del suffisso di pertinenza ria si è giunto a pagliettaría voce che per sua fortuna è rimasta nell’àmbito della parlata napoletana e non è pervenuto in quello della lingua italiana dove è pur presente la voce paglietta nel significato di avvocatucolo etc.; ò detto per sua fortuna poi che se la voce pagliettaría fosse approdata nel dialetto di alighieri dante sarebbe stata certamente stravolta in pagliettería= azione o comportamento da paglietta subendo lo stesso trattamento della voce partenopea fessaría che pervenuta nell’italiano divenne fessería assumendo una inesatta e chiusa e non etimologica al posto della esatta aperta a forse nella sciocca convinzione che una vocale chiusa fosse piú consona di una aperta alla eleganza (?) della lingua nazionale;
raciàmmulo s.vo m.le voce singolare maschile usata per indicare un giro di parole ingegnoso e bizzarro e fuorviante che miri a nascondere verità altrimenti palesi; etimologicamente è un derivato del tardo latino *racimulus, diminutivo per il class. racímus; =gracimolo,ciascun rametto di un grappolo d'uva; piccolo grappolo d'uva; semanticamente si spiega col fatto che come il gracimolo si nasconde tra i pampini e copre a sua volta gli acini del grappolo, cosí il raciàmmulo tenta di non far apparire, nascondendole con giri di parole, talune verità altrimenti palesi;
scazzella s.vo m.le voce singolare maschile (a malgrado della desinenza in a) usata esattamente per indicare non l’azione cavillosa, pretestuosa, capziosa quando non litigiosa, ma per indicare colui che agisca e si esprima cavillosamente, pretestuosamente, capziosamente; in effetti la parola a margine (‘o scazzella) risulta essere etimologicamente una contrazione per sincope del termine scazzazella→scaz(za)zella→scazzella a sua volta formato dal verbo scazzà/scazzecà= schiacciare, scacciare, sommuovere (da una base di lat. reg. s(intensivo) + capticare frequentativo di captiare= cacciare) + il sost. zella =tigna, debito, magagna, imbroglio (da un lat. reg. psilla(m)); va da sé che chi schiaccia, smuove i residui della tigna lo fa in maniera attenta, cavillosa, pretestuosa alla medesima maniera di chi tenti di schiacciare, scacciare, sommuovere un debito o magagna;
tràstula s.vo f.le sostantivo femm. sing. usato per indicare un generico trucco e/o inganno; in realtà come deverbale di trastulià (che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o inganni da saltimbanchi) la voce a margine solo estensivamente indica ogni altro inganno teso ad imbrogliare, raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo napoletano trastulià donde la derivata tràstula sia un adattamento del toscano trastullare; non è cosí però; è vero che ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle galee romane, per poi divenire i banchi su cui si esibivano i saltimbanchi con i loro trucchi ed inganni detti in napoletano trastule e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir semplicemente l’imbroglione , ma mentre l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto per ledere gli adulti;
Giunti a questo punto rammenterò che tutte le voci che ò elencate furono usate negli scrittori partenopei (poeti, drammaturghi etc.) a far tempo dal 1400 con eccezione di quelle nate (ad. es. pagliettaría) in epoche successive. C’è una sola voce che non à trovato posto nei reperti letterarii, ma è rimasta a far tempo dal 1940 circa, nel parlato popolare ed ancora vi permane ben salda avendo soppiantato quasi tutte le voci elencate fin qui con le sole eccezioni di ‘mbroglia e tràstula; la voce è
paraustiello s.vo m.le voce singolare maschile nata in origine in senso positivo per significare esempio, spiegazione ma che à finito per prendere il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, pretestuoso cavillo, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio, esempio, ma ad usum delphini, argomentazione tortuosa etc. Quanto all’etimologia ancòra c’è qualcuno che sulla scorta del primo significato di esempio, spiegazione propende per l’iberico para usted (per voi) quasi che con la parola paraustiello si volesse avvertire: tutto ciò che abbiamo detto è stato un esempio portato per voi. La cosa non convince soprattutto perché il paraustiello fin quasi dal suo apparire non fu usato solo nel senso positivo di esempio, spiegazione ma prese quasi súbito nell’uso del discorrere popolare (come ò detto) il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio,argomentazione tortuosa e dunque mi pare corretto pensare per l’etimo di paraustiello ad un adattamento del greco paràstasis che vale giustappunto ragionamento, metafora, argomentazione.
zellemmo s.vo m.le ma usato nella quasi totalità dei casi solo al pl. zellemme nel significato di pretesti, cavilli, scuse, sofisticherie quasi innominabili e da celare; etimologicamente la voce è un derivato di zella (da un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento della liquida nel latino regionale è d’origine popolare) cui è stato aggiunto il suffisso emmo←immo suffisso in genere di chiaro sapore dispregiativo o riduttivo ma talora anche, come in questo caso, intensivo , suffisso probabilmente coniato su di un latino: ime(n) con successivo raddopiamento rafforzativo della emme fino a giungere ad immo o imma.
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale
ATTONITO, STUPíTO & dintorni
ATTONITO, STUPíTO & dintorni
L’idea di queste paginette nacque all’indomani d’un mio incontro con l’amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) al quale contestai il fatto che nella lingua italiana le voci in epigrafe sono spessissimo usate quali sinonimi, essendo ormai invalso l’uso (anche per colpevole neghittosità (per evitar di parlare di ignoranza…) della classe docente) di non far distinzioni e di non insegnare ai discenti che esistono sottili differenze tra i significati termini suddetti, differenze che invece esistono e sono sostanziali attesa la graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che accompagna or l’uno or l’altro termine; uguale se non maggiori la graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che connotano le voci napoletane che ripetono quelle dell’epigrafe. Cercherò con le pagine che seguono di convincere del mio assunto l’amico P. G. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Cominciamo con le voci dell’italiano:
attonito/a agg.vo m.le o f.le moderatamentemente sbalordito, stupefatto, sbigottito, quasi stordito; etimologicamente dal lat. attonitu(m) 'stordito dal tuono'
stupito/a, agg.vo m.le o f.le preso da improvviso stupore; meravigliato, sorpreso; etimologicamente part. pass. del verbo stupíre che è dal lat stŭpēre con cambio di coniugazione;
allibito/a, agg.vo m.le o f.le sbalordito,ma non sorpreso,sbiancato in volto per la paura; etimologicamente part. pass. del verbo allibíre che è dal lat. volg. *allivíre, deriv. di livíre 'essere livido';
meravigliato/a, agg.vo m.le o f.le sconcertato, pieno di meraviglia, stupito e sorpreso; etimologicamente part. pass. del verbo meravigliare che è un denominale del lat. mirabilia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl. sost. dell'agg. mirabilis 'meraviglioso';
sbalordito/a, agg.vo m.le o f.le intensamente stupefatto, sbigottito, quasi stordito; etimologicamente part. pass. del verbo sbalordíre che è un denominale di balordo (1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante)) con protesi di una s intensiva1 persona sciocca o molto sbadata: proprio la presenza in posizione protetica della s intensiva (da non confondere con la s protetica dell’italiano dove è distrattiva), che è tipica del napoletano, mi fa sospettare che la parola a margine sia originariamente napoletana nella forma sbalurdito adattata nello sbalordito dell’italiano ;
stupefatto/a; agg.vo m.le o f.le molto intensamente sbalordito ,energicamente sbigottito, quasi instupidito da e per gli avvenimenti cui assiste o è compartecipe; è l’aggettivo al culmine della graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione espressi dalle varie voci esaminate; etimologicamente part. pass. del poco usuale verbo stupefare che è dal lat. stupefacere→stupefa(ce)re, comp. del tema di stupíre 'intontire, stupire' e facere 'fare';
Come mi pare d’aver chiarito v’è una graduazione tra i varî termini esaminati che perciò andrebbero usati scegliendo opportunamente secondo l’intensità del sentimento o sensazione provati senza fare di ogni erba un fascio.
Ma queste sono pedanterie o sottigliezze che erano insegnate dai docenti di mezzo secolo fa; quelli di oggi o non le sanno (per non averle colpevolmente apprese) o se ne sono al corrente, se ne impipano ed evitano trasmetterle ai discenti,che d’altra parte non ànno gran voglia o bisogno di apprendere atteso che usano per comunicare non piú l’italiano, ma spesso lingue straniere, linguaggi da iniziati, gerghi, slang o argot e forse il mio dire risulta essere un inutile parlare al vento. Ma completerò l’argomentare!
Andiamo oltre e passiamo alle voci del napoletano che ordinerò in ordine di graduazione
cunfuso/a, agg.vo m.le o f.le
1 disordinato, messo alla rinfusa: n’ammasso cunfuso ‘e perecoglie(un ammasso confuso di oggetti non identificati) mescolato ad altri:rummané cunfuso ‘mmiez’â folla( restare confuso fra la folla)
2 vago, indistinto; non chiaro: ‘nu ricordo cunfuso,parole cunfuse(un ricordo confuso; parole confuse);
3 che prova vergogna o emozione; turbato, imbarazzato: rummanette cunfuso sentennose repigliato(restò confuso di fronte al rimprovero); voce dal lat. confusu(m)→cunfusu(m), part. pass. di confondere→cunfonnere 'confondere';
affuscato/a, agg.vo m.le o f.le
1reso contenutamente fosco/a,quasi oscurato/a, privato/a della lucentezza o della trasparenza e dunque abbebbiato/a, reso/a confuso/a e privato/a del discernimento chiaro; anche nella forma intr. pron. farse, addeventà affuscato (farsi, diventare fosco): ‘o cielo s’è affuscato; ll’aria se sta affuscanno(il cielo si è offuscato; l’aria si sta offuscando.)2 sbalordito/a, senza parole, per qualche moderata impressione che colpisca l’animo: essere affuscato per lo stupore, per lo spavento;
etimologicamente la voce è il part. pass. di affuscà← dal lat. tardo *affuscare←ab-fuscare collaterale di offuscare, deriv. di fuscus 'fosco, scuro,confuso';
alleccuto/a,- alluccuto/a, agg.vo m.le o f.le blandamente stordito/a, frastornato/a, intontito/a, istupidito/a, stranito/a, disorientato/a come colui/colei che sia stato sgridato in maniera veemente e ne sia rimasto confuso/a, inebetito/a, smarrito/a,etc. etimologicamente la voce è costruita sia pure adottando un suffisso da part. pass) sul s.vo allucco= grido che a sua volta è lat. tardo alucus, ulucus e uluccus (di origine onomatopeica) che di per sé è l’allocco (uccello rapace notturno con occhi grandi e rotondi, piumaggio bruno, coda corta e arrotondata (ord. Strigiformi)) del quale per sineddoche del suo verso stridente si ricavò la voce lapoletana allucco= grido; rammento che l’autentico part. pass. che rende in napoletano lo sgridato dell’italiano è alluccato dall’inf. alluccà = gridare, urlare;
maravigliato/a, agg.vo m.le o f.le meravigliato/a, contenutamente agitato/a, ma non inquietato/a, scombussolato/a, preoccupato; etimologicamente la voce è costruita (sia pure adottando, come per la voce precedente, un suffisso da part. pass) sul s.vo maraviglia= meraviglia;
‘mpressiunato/a, agg.vo m.le o f.le moderatamente scosso, turbato, spaventato; etimologicamente part. pass. del verbo ‘mpressiunà che è un denominale di ‘mpressione dal lat. impressione(m)→’mpressione, deriv. di impressus, part. pass. di imprimere 'imprimere'*allivíre, deriv. di livíre 'essere livido';
sturduto/a, agg.vo m.le o f.le molto sbalordito, intontito, frastornato, quasi privo di sensi, tramortito; etimologicamente part. pass. del verbo sturdí=stordire, frastornare, intontire; sturdí è un deriv. di tordo, nel senso fig. di 'uomo semplice, balordo', col pref.intensivo s-;
stuóteco/stòteca, agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m) è lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a inveterati e per ampliamento semantico l’ignorante, l’idiota, il/la rozzo/a;
stunato/a, agg.vo m.le o f.le chi è messo o si trova in uno stato di grande apprensione e di turbamento al segno di apparire turbato, sconcertato, confuso; in primis la voce a margine 1 si dice di persona che stona, che è poco intonata; di strumento, che è male accordato, che non à l'intonazione giusta; di nota, che è eseguita fuori tono; (fig.) una cosa non opportuna, fuori luogo 2 (fig.) che non si armonizza col resto; e sempre figuratamente poi vale quanto ò indicato in prima battuta; etimologicamente part. pass. del verbo stunà= stonare, poi stordire, frastornare, intontire; stunà nell’accezione che ci occupa è per influsso dal fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extonare : l’ ex à dato il pref.intensivo s-;
stupetiato/a, agg.vo m.le o f.le istupidito, intensamente turbato intontito, stordito etimologicamente part. pass. del verbo stupetià= istupidire, poi stordire, frastornare, intontire stupetià è un adattamento dal lat.volg.*stupitare collaterale del class.stupíre;
spantecato/a, agg.vo m.le o f.le agitato, scosso, inquieto, preoccupato, molto intensamente turbato addirittura intontito, stordito per cause le piú varie dal dolore fisico e/o morale, all’amore; etimologicamente part. pass. del verbo spantecà = spasimare, poi stordire, confondere, disorientare, stordire; spantecà è da un lat.volg.*ex-panticāre risalente al s.vo pantex -icis;
‘nfanfaruto/a, agg.vo m.le o f.le eccessivamente confuso, intontito , inebetito, stranito, smarrito, frastornato e per ampiamento semantico anche adirato, arrabbiato, irato, infuriato, alterato, stizzito, irritato; Etimologicamente si tratta di voce denominale del s.vo ‘nfanfaro(= sciocco, stolto, deficiente, imbecille, scimunito) voce ottenuta partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare;
‘nzallanuto/a, agg.vo m.le o f.le eclatantemente confuso/a, stordito/a, intontito/a sino a non connettere piú. Per entrare nel merito della voce a margine è giocoforza ch’io mi soffermi sui verbi ‘nzallaní e ‘nzallanirse, dei quali il secondo rappresenta la forma riflessiva del primo, verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque, come ò detto, eclatantemente confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in esame in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anzione che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo!
Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi da cui trae il part. pass. a margine.
La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensa di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú.
Per ciò che riguarda i verbi in esame mi pare di potere accettare l’ipotesi di De Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere corruzione di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;morfologicamente ci saremmo in quanto è pacifico il passaggio del lat th al nap. z (cfr. thia→zia),
tuttavia mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi per la voce zallo ipotesi che espongo qui di sèguito.
Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali nn con le piú comode ll.
Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro?).
Da zaffo a zallo il passo non è lungo, come potrebbe non esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo!
catarchio s.vo m.le e solo m.le: non è attestato un s.vo f.le catarchia babbeo, sciocco, debole, stolto, rimbambito, stordito indebolito,vecchio decrepito e (come tale) stordito, inebetito, frastornato; etimologicamente lasciando da parte ogni altra ipotesi poco convincente penso si debba aderire all’idea del Rohlfs che lesse nel s.vo a margine il greco katárchaios= molto vecchio;
’ncatarchiato, agg.vo m.le e solo m.le: non è attestato, quantunque possibile un f.le’ncatarchiata e ciò forse perché il s.vo precedente da cui deriva l’aggettivo a margine, è s.vo solo maschile; l’aggettivo a margine vale sciocco, debole, stolto, rimbambito, stordito, indebolito stordito, inebetito, frastornato sbigottito, avvilito;
smarrizzato/a agg.vo m.le o f.le à i medesimi significati del precedente ‘ncatarchiato, ma piú intensivamente rappresentati ed è l’aggettivo da porre al culmine di un’ipotetica scala di graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che connotano le voci napoletane che ripetono quelle dell’epigrafe; etimologicamente part. pass. del verbo smarrizzà(rse)=soffrire il mar di mare, poi stordir(si), frastornar(si), intontir(si); smarrizzà(rse)=è un calco dello spagnolo marearse di uguale significato, col pref.intensivo s-: tipico il passaggio di rs→rz come tipico e il raddoppiamento espressivo della consonante liquida vibrante della seconda sillaba.
Qui giunto penso d’aver chiarito ad abundantiam il mio assunto all’amico P. G. ed a qualche altro dei miei ventiquattro lettori e penso perciò di poter porre il punto fermo a queste numerose paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
L’idea di queste paginette nacque all’indomani d’un mio incontro con l’amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) al quale contestai il fatto che nella lingua italiana le voci in epigrafe sono spessissimo usate quali sinonimi, essendo ormai invalso l’uso (anche per colpevole neghittosità (per evitar di parlare di ignoranza…) della classe docente) di non far distinzioni e di non insegnare ai discenti che esistono sottili differenze tra i significati termini suddetti, differenze che invece esistono e sono sostanziali attesa la graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che accompagna or l’uno or l’altro termine; uguale se non maggiori la graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che connotano le voci napoletane che ripetono quelle dell’epigrafe. Cercherò con le pagine che seguono di convincere del mio assunto l’amico P. G. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Cominciamo con le voci dell’italiano:
attonito/a agg.vo m.le o f.le moderatamentemente sbalordito, stupefatto, sbigottito, quasi stordito; etimologicamente dal lat. attonitu(m) 'stordito dal tuono'
stupito/a, agg.vo m.le o f.le preso da improvviso stupore; meravigliato, sorpreso; etimologicamente part. pass. del verbo stupíre che è dal lat stŭpēre con cambio di coniugazione;
allibito/a, agg.vo m.le o f.le sbalordito,ma non sorpreso,sbiancato in volto per la paura; etimologicamente part. pass. del verbo allibíre che è dal lat. volg. *allivíre, deriv. di livíre 'essere livido';
meravigliato/a, agg.vo m.le o f.le sconcertato, pieno di meraviglia, stupito e sorpreso; etimologicamente part. pass. del verbo meravigliare che è un denominale del lat. mirabilia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl. sost. dell'agg. mirabilis 'meraviglioso';
sbalordito/a, agg.vo m.le o f.le intensamente stupefatto, sbigottito, quasi stordito; etimologicamente part. pass. del verbo sbalordíre che è un denominale di balordo (1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante)) con protesi di una s intensiva1 persona sciocca o molto sbadata: proprio la presenza in posizione protetica della s intensiva (da non confondere con la s protetica dell’italiano dove è distrattiva), che è tipica del napoletano, mi fa sospettare che la parola a margine sia originariamente napoletana nella forma sbalurdito adattata nello sbalordito dell’italiano ;
stupefatto/a; agg.vo m.le o f.le molto intensamente sbalordito ,energicamente sbigottito, quasi instupidito da e per gli avvenimenti cui assiste o è compartecipe; è l’aggettivo al culmine della graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione espressi dalle varie voci esaminate; etimologicamente part. pass. del poco usuale verbo stupefare che è dal lat. stupefacere→stupefa(ce)re, comp. del tema di stupíre 'intontire, stupire' e facere 'fare';
Come mi pare d’aver chiarito v’è una graduazione tra i varî termini esaminati che perciò andrebbero usati scegliendo opportunamente secondo l’intensità del sentimento o sensazione provati senza fare di ogni erba un fascio.
Ma queste sono pedanterie o sottigliezze che erano insegnate dai docenti di mezzo secolo fa; quelli di oggi o non le sanno (per non averle colpevolmente apprese) o se ne sono al corrente, se ne impipano ed evitano trasmetterle ai discenti,che d’altra parte non ànno gran voglia o bisogno di apprendere atteso che usano per comunicare non piú l’italiano, ma spesso lingue straniere, linguaggi da iniziati, gerghi, slang o argot e forse il mio dire risulta essere un inutile parlare al vento. Ma completerò l’argomentare!
Andiamo oltre e passiamo alle voci del napoletano che ordinerò in ordine di graduazione
cunfuso/a, agg.vo m.le o f.le
1 disordinato, messo alla rinfusa: n’ammasso cunfuso ‘e perecoglie(un ammasso confuso di oggetti non identificati) mescolato ad altri:rummané cunfuso ‘mmiez’â folla( restare confuso fra la folla)
2 vago, indistinto; non chiaro: ‘nu ricordo cunfuso,parole cunfuse(un ricordo confuso; parole confuse);
3 che prova vergogna o emozione; turbato, imbarazzato: rummanette cunfuso sentennose repigliato(restò confuso di fronte al rimprovero); voce dal lat. confusu(m)→cunfusu(m), part. pass. di confondere→cunfonnere 'confondere';
affuscato/a, agg.vo m.le o f.le
1reso contenutamente fosco/a,quasi oscurato/a, privato/a della lucentezza o della trasparenza e dunque abbebbiato/a, reso/a confuso/a e privato/a del discernimento chiaro; anche nella forma intr. pron. farse, addeventà affuscato (farsi, diventare fosco): ‘o cielo s’è affuscato; ll’aria se sta affuscanno(il cielo si è offuscato; l’aria si sta offuscando.)2 sbalordito/a, senza parole, per qualche moderata impressione che colpisca l’animo: essere affuscato per lo stupore, per lo spavento;
etimologicamente la voce è il part. pass. di affuscà← dal lat. tardo *affuscare←ab-fuscare collaterale di offuscare, deriv. di fuscus 'fosco, scuro,confuso';
alleccuto/a,- alluccuto/a, agg.vo m.le o f.le blandamente stordito/a, frastornato/a, intontito/a, istupidito/a, stranito/a, disorientato/a come colui/colei che sia stato sgridato in maniera veemente e ne sia rimasto confuso/a, inebetito/a, smarrito/a,etc. etimologicamente la voce è costruita sia pure adottando un suffisso da part. pass) sul s.vo allucco= grido che a sua volta è lat. tardo alucus, ulucus e uluccus (di origine onomatopeica) che di per sé è l’allocco (uccello rapace notturno con occhi grandi e rotondi, piumaggio bruno, coda corta e arrotondata (ord. Strigiformi)) del quale per sineddoche del suo verso stridente si ricavò la voce lapoletana allucco= grido; rammento che l’autentico part. pass. che rende in napoletano lo sgridato dell’italiano è alluccato dall’inf. alluccà = gridare, urlare;
maravigliato/a, agg.vo m.le o f.le meravigliato/a, contenutamente agitato/a, ma non inquietato/a, scombussolato/a, preoccupato; etimologicamente la voce è costruita (sia pure adottando, come per la voce precedente, un suffisso da part. pass) sul s.vo maraviglia= meraviglia;
‘mpressiunato/a, agg.vo m.le o f.le moderatamente scosso, turbato, spaventato; etimologicamente part. pass. del verbo ‘mpressiunà che è un denominale di ‘mpressione dal lat. impressione(m)→’mpressione, deriv. di impressus, part. pass. di imprimere 'imprimere'*allivíre, deriv. di livíre 'essere livido';
sturduto/a, agg.vo m.le o f.le molto sbalordito, intontito, frastornato, quasi privo di sensi, tramortito; etimologicamente part. pass. del verbo sturdí=stordire, frastornare, intontire; sturdí è un deriv. di tordo, nel senso fig. di 'uomo semplice, balordo', col pref.intensivo s-;
stuóteco/stòteca, agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m) è lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a inveterati e per ampliamento semantico l’ignorante, l’idiota, il/la rozzo/a;
stunato/a, agg.vo m.le o f.le chi è messo o si trova in uno stato di grande apprensione e di turbamento al segno di apparire turbato, sconcertato, confuso; in primis la voce a margine 1 si dice di persona che stona, che è poco intonata; di strumento, che è male accordato, che non à l'intonazione giusta; di nota, che è eseguita fuori tono; (fig.) una cosa non opportuna, fuori luogo 2 (fig.) che non si armonizza col resto; e sempre figuratamente poi vale quanto ò indicato in prima battuta; etimologicamente part. pass. del verbo stunà= stonare, poi stordire, frastornare, intontire; stunà nell’accezione che ci occupa è per influsso dal fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extonare : l’ ex à dato il pref.intensivo s-;
stupetiato/a, agg.vo m.le o f.le istupidito, intensamente turbato intontito, stordito etimologicamente part. pass. del verbo stupetià= istupidire, poi stordire, frastornare, intontire stupetià è un adattamento dal lat.volg.*stupitare collaterale del class.stupíre;
spantecato/a, agg.vo m.le o f.le agitato, scosso, inquieto, preoccupato, molto intensamente turbato addirittura intontito, stordito per cause le piú varie dal dolore fisico e/o morale, all’amore; etimologicamente part. pass. del verbo spantecà = spasimare, poi stordire, confondere, disorientare, stordire; spantecà è da un lat.volg.*ex-panticāre risalente al s.vo pantex -icis;
‘nfanfaruto/a, agg.vo m.le o f.le eccessivamente confuso, intontito , inebetito, stranito, smarrito, frastornato e per ampiamento semantico anche adirato, arrabbiato, irato, infuriato, alterato, stizzito, irritato; Etimologicamente si tratta di voce denominale del s.vo ‘nfanfaro(= sciocco, stolto, deficiente, imbecille, scimunito) voce ottenuta partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare;
‘nzallanuto/a, agg.vo m.le o f.le eclatantemente confuso/a, stordito/a, intontito/a sino a non connettere piú. Per entrare nel merito della voce a margine è giocoforza ch’io mi soffermi sui verbi ‘nzallaní e ‘nzallanirse, dei quali il secondo rappresenta la forma riflessiva del primo, verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque, come ò detto, eclatantemente confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in esame in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anzione che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo!
Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi da cui trae il part. pass. a margine.
La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensa di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú.
Per ciò che riguarda i verbi in esame mi pare di potere accettare l’ipotesi di De Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere corruzione di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;morfologicamente ci saremmo in quanto è pacifico il passaggio del lat th al nap. z (cfr. thia→zia),
tuttavia mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi per la voce zallo ipotesi che espongo qui di sèguito.
Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali nn con le piú comode ll.
Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro?).
Da zaffo a zallo il passo non è lungo, come potrebbe non esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo!
catarchio s.vo m.le e solo m.le: non è attestato un s.vo f.le catarchia babbeo, sciocco, debole, stolto, rimbambito, stordito indebolito,vecchio decrepito e (come tale) stordito, inebetito, frastornato; etimologicamente lasciando da parte ogni altra ipotesi poco convincente penso si debba aderire all’idea del Rohlfs che lesse nel s.vo a margine il greco katárchaios= molto vecchio;
’ncatarchiato, agg.vo m.le e solo m.le: non è attestato, quantunque possibile un f.le’ncatarchiata e ciò forse perché il s.vo precedente da cui deriva l’aggettivo a margine, è s.vo solo maschile; l’aggettivo a margine vale sciocco, debole, stolto, rimbambito, stordito, indebolito stordito, inebetito, frastornato sbigottito, avvilito;
smarrizzato/a agg.vo m.le o f.le à i medesimi significati del precedente ‘ncatarchiato, ma piú intensivamente rappresentati ed è l’aggettivo da porre al culmine di un’ipotetica scala di graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che connotano le voci napoletane che ripetono quelle dell’epigrafe; etimologicamente part. pass. del verbo smarrizzà(rse)=soffrire il mar di mare, poi stordir(si), frastornar(si), intontir(si); smarrizzà(rse)=è un calco dello spagnolo marearse di uguale significato, col pref.intensivo s-: tipico il passaggio di rs→rz come tipico e il raddoppiamento espressivo della consonante liquida vibrante della seconda sillaba.
Qui giunto penso d’aver chiarito ad abundantiam il mio assunto all’amico P. G. ed a qualche altro dei miei ventiquattro lettori e penso perciò di poter porre il punto fermo a queste numerose paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
AUGLIUSO & AURIUSO
AUGLIUSO & AURIUSO
Ancóra una volta tenterò di dare adeguata risposta ad un quesito postomi dal caro amico D.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza del vocabolo napoletano augliuso in epigrafe, che non à trovato accoglimento nei numerosi lessici del napoletano in circolazione e che è dato consultare, ma che un tempo e che ancóra si puó cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan, soprattutto di quelli della città bassa.
Dico súbito che trattai già l’argomento tanti anni orsono al tempo(anni ’70 del 1900) quando sul quotidiano partenopeo IL ROMA la professoressa Settimia Cicinnati teneva la rubrica de I Mosconi accogliendovi dai lettoririchieste inerenti voci ed espressioni partenopee e le girava a gli addetti ai lavori ed a gli appassionati che spesso si celavano sotto il nome di Incappucciati.Fui uno di quelli ed all’epoca, rammento, mi scontrai con l’amico avv.to Renato de Falco che, chiamato in causa, inopinatamente confuse la voce in esame: augliuso con l’aggettivo auriuso di tutt’altro – come vedremo - significato, salvo a scusarsene, adducendo a sua scusante il fatto che la richiesta gli era stata riportata, distorta, a voce inducendolo in errore, ed ad addivenire alla mia corretta interpretazione che qui reitero. Cominciamo dunque con
augliuso/ósa agg.vo m.le o f.le 1 in primis oleoso/a, untuoso/a; 2 rancido/a e lo si dice esattemente di un gheriglio di noce di cattivo sapore,allappante, inacidito 3 per traslato, riferito a soggetto umano servile , viscido, mellifluo, ipocrita; 4 per ampiamento semantico noioso, fastidioso, irritante, sgradevole, spiacevole cosí come un gheriglio di noce dal pessimo sapore di olio irrancidito, inacidito, andato a male; voce etimologicamente denominale di uoglio= olio (dal lat. oleu-m→ lat. volg. *òlju-m con lj→gli come in filia-m, familia-m diventate figlia, famiglia); ad *òlju-m è aggiunto il suffiusso uso/ósa, suffisso di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m)→usu(m); indica presenza, caratteristica,qualitàecc.(scarduso/dósa,mafiuso/ósa,zezzuso/ósa).
Tutt’altra cosa, come ò anticipato, l’agg.vo
auriuso/ósa agg.vo m.le o f.le beneaugurante, augurale,
che/chi porta o esprime augurio; voce denominale di aurio (augurio, auspicio, presagio, pronostico, vaticinio dal lat. au(gu)riu(m)→aurio 'presagio')addizionato del suffiso uso/ósa, di cui antea; dicevo – come si evince - tutt’altra cosa è l’agg.vo aurioso/ósa che non può esser confuso con augliuso/ósa se non per mero errore!
E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento, d’aver adeguatamente risposto al quesito dell’amico D.C. e sperando d’avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak
Ancóra una volta tenterò di dare adeguata risposta ad un quesito postomi dal caro amico D.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza del vocabolo napoletano augliuso in epigrafe, che non à trovato accoglimento nei numerosi lessici del napoletano in circolazione e che è dato consultare, ma che un tempo e che ancóra si puó cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan, soprattutto di quelli della città bassa.
Dico súbito che trattai già l’argomento tanti anni orsono al tempo(anni ’70 del 1900) quando sul quotidiano partenopeo IL ROMA la professoressa Settimia Cicinnati teneva la rubrica de I Mosconi accogliendovi dai lettoririchieste inerenti voci ed espressioni partenopee e le girava a gli addetti ai lavori ed a gli appassionati che spesso si celavano sotto il nome di Incappucciati.Fui uno di quelli ed all’epoca, rammento, mi scontrai con l’amico avv.to Renato de Falco che, chiamato in causa, inopinatamente confuse la voce in esame: augliuso con l’aggettivo auriuso di tutt’altro – come vedremo - significato, salvo a scusarsene, adducendo a sua scusante il fatto che la richiesta gli era stata riportata, distorta, a voce inducendolo in errore, ed ad addivenire alla mia corretta interpretazione che qui reitero. Cominciamo dunque con
augliuso/ósa agg.vo m.le o f.le 1 in primis oleoso/a, untuoso/a; 2 rancido/a e lo si dice esattemente di un gheriglio di noce di cattivo sapore,allappante, inacidito 3 per traslato, riferito a soggetto umano servile , viscido, mellifluo, ipocrita; 4 per ampiamento semantico noioso, fastidioso, irritante, sgradevole, spiacevole cosí come un gheriglio di noce dal pessimo sapore di olio irrancidito, inacidito, andato a male; voce etimologicamente denominale di uoglio= olio (dal lat. oleu-m→ lat. volg. *òlju-m con lj→gli come in filia-m, familia-m diventate figlia, famiglia); ad *òlju-m è aggiunto il suffiusso uso/ósa, suffisso di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m)→usu(m); indica presenza, caratteristica,qualitàecc.(scarduso/dósa,mafiuso/ósa,zezzuso/ósa).
Tutt’altra cosa, come ò anticipato, l’agg.vo
auriuso/ósa agg.vo m.le o f.le beneaugurante, augurale,
che/chi porta o esprime augurio; voce denominale di aurio (augurio, auspicio, presagio, pronostico, vaticinio dal lat. au(gu)riu(m)→aurio 'presagio')addizionato del suffiso uso/ósa, di cui antea; dicevo – come si evince - tutt’altra cosa è l’agg.vo aurioso/ósa che non può esser confuso con augliuso/ósa se non per mero errore!
E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento, d’aver adeguatamente risposto al quesito dell’amico D.C. e sperando d’avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak
CACHILÈ/CACHILEO
CACHILÈ/CACHILEO
L’amico G.j. D.N. (i consueti problemi di risevatezza, in assenza di dritte diverse, mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome),che è uno dei miei piú assidui ed attenti fruitori delle cose che scrivo, mi à chiesto per l’appunto notizie delle voci in epigrafe scrivendomi testualmente: “Oggi ò sentito nominare per l'ennesima volta il fantomatico "cachileo". Si tratta di una parola di cui non ò mai capito il significato ed è usata da mia nonna in espressioni tipo "Sta facenno 'o cachileo" riferito per esempio a mia sorella che dopo aver detto di non poter stirare perché deve studiare per l'esame di stato si è sdraiata sul letto a guardare la tv. Al che ò detto a mia nonna "Sta studianno" e lei di rimando "Sta facenno 'o cachileo".
La mia ipotesi è che significhi "voluminosa e importante opera scientifica", se non altro per la somiglianza col nome di Galilei.” Gli rispondo ben volentieri annotando in primis che si tratta d’un’unica voce con due morfologie, voce per altro desueta e presente con ambedue le morfologie quasi esclusivamente sulla bocca dei napoletani d’antan della città bassa nell’ironico significato di impegno lungo, gravoso, monotono e ripetitivo e ciò in ragione del fatto che chi attende all’impegno suddetto mostra di farlo malvolentieri e rabberciatamente atteso che manca di autentica volontà o(soprattutto nel senso primo di cachileo/cachilé che valse tartagliamento) a causa di un vero o presunto difetto fisico che impedisce il corretto parlare. In effetti la voce cachileo/cachilé non à nulla a che spartire(almeno nell’accezione usata dalla nonna dell’amico) né con un’opera scientifica, né con il nome Galileo con il quale à solo una semplice assonanza. Come dicevo cachilè/cachileo è un’unica voce con due morfologie un po’ diverse delle quali la seconda con l’adozione di una o paragogica per evitare il troncamento; e si tratta – ripeto - di voce antichissima pur se del tutto desueta, assente peraltro in tutti i calepini del napoletano che ànno il torto di raccogliere le voci da elencare solo sui testi letterarî e non anche (come sarebbe giusto e corretto fare) nel vivo parlato. Precisato a questo punto che cachileo/cachilé è un’unica voce con due morfologie un po’ diverse, dirò che esso è un sostantivo m.le deverbale di cachilejare= balbettare,tartagliare verbo a sua volta marcato sul s.vo cacaglio derivato piú che dallo spagnolo encallar = inceppare con la parola, dal greco kaka-lailo= parlo male.
Rammento che un tempo per ampliare la portata del termine cachileo/cachilé si usava addizionarlo con cu ‘a museca e si usava dire: Sta facenno ‘o cachilè cu ‘a musica!= Sta balbettando in musica!
chiarendo ad abundantiam semanticamente la portata dell’ironico vocabolo riferito ad un’azione lunga noiosa, ripetitiva, monotona e gravosa qual è il balbettío che si assicura possa essere lenito cantando (donde appunto ‘o cachilè cu ‘a musica).
Chiarisco però, per completezza e precisione che l’ espressione cachilé cu ‘a musica è usata anche, con altra accezione, per indicare una chiassosa confusione, una rumorosa baraonda cui a nostro malgrado ci tocchi di assistere o addirittura di partecipare e tale accezione fa riferimento attraverso, qui sí!, la corruzione del nome Galileo, ad un traghetto, nomato appunto Galileo che da Napoli trasportava passeggeri alle isole del golfo; su questo traghetto si esibiva a beneficio(?) dei trasportati una rumorosa orchestrina formata da approssimati orecchianti adusi piú a far continua confusione che a sonare.
E spero cosí che l’amico G, j. D.N.risulti soddisfatto di ciò che ò scritto ed ugualmente si ritenga pago qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Satis est.
R. Bracale
L’amico G.j. D.N. (i consueti problemi di risevatezza, in assenza di dritte diverse, mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome),che è uno dei miei piú assidui ed attenti fruitori delle cose che scrivo, mi à chiesto per l’appunto notizie delle voci in epigrafe scrivendomi testualmente: “Oggi ò sentito nominare per l'ennesima volta il fantomatico "cachileo". Si tratta di una parola di cui non ò mai capito il significato ed è usata da mia nonna in espressioni tipo "Sta facenno 'o cachileo" riferito per esempio a mia sorella che dopo aver detto di non poter stirare perché deve studiare per l'esame di stato si è sdraiata sul letto a guardare la tv. Al che ò detto a mia nonna "Sta studianno" e lei di rimando "Sta facenno 'o cachileo".
La mia ipotesi è che significhi "voluminosa e importante opera scientifica", se non altro per la somiglianza col nome di Galilei.” Gli rispondo ben volentieri annotando in primis che si tratta d’un’unica voce con due morfologie, voce per altro desueta e presente con ambedue le morfologie quasi esclusivamente sulla bocca dei napoletani d’antan della città bassa nell’ironico significato di impegno lungo, gravoso, monotono e ripetitivo e ciò in ragione del fatto che chi attende all’impegno suddetto mostra di farlo malvolentieri e rabberciatamente atteso che manca di autentica volontà o(soprattutto nel senso primo di cachileo/cachilé che valse tartagliamento) a causa di un vero o presunto difetto fisico che impedisce il corretto parlare. In effetti la voce cachileo/cachilé non à nulla a che spartire(almeno nell’accezione usata dalla nonna dell’amico) né con un’opera scientifica, né con il nome Galileo con il quale à solo una semplice assonanza. Come dicevo cachilè/cachileo è un’unica voce con due morfologie un po’ diverse delle quali la seconda con l’adozione di una o paragogica per evitare il troncamento; e si tratta – ripeto - di voce antichissima pur se del tutto desueta, assente peraltro in tutti i calepini del napoletano che ànno il torto di raccogliere le voci da elencare solo sui testi letterarî e non anche (come sarebbe giusto e corretto fare) nel vivo parlato. Precisato a questo punto che cachileo/cachilé è un’unica voce con due morfologie un po’ diverse, dirò che esso è un sostantivo m.le deverbale di cachilejare= balbettare,tartagliare verbo a sua volta marcato sul s.vo cacaglio derivato piú che dallo spagnolo encallar = inceppare con la parola, dal greco kaka-lailo= parlo male.
Rammento che un tempo per ampliare la portata del termine cachileo/cachilé si usava addizionarlo con cu ‘a museca e si usava dire: Sta facenno ‘o cachilè cu ‘a musica!= Sta balbettando in musica!
chiarendo ad abundantiam semanticamente la portata dell’ironico vocabolo riferito ad un’azione lunga noiosa, ripetitiva, monotona e gravosa qual è il balbettío che si assicura possa essere lenito cantando (donde appunto ‘o cachilè cu ‘a musica).
Chiarisco però, per completezza e precisione che l’ espressione cachilé cu ‘a musica è usata anche, con altra accezione, per indicare una chiassosa confusione, una rumorosa baraonda cui a nostro malgrado ci tocchi di assistere o addirittura di partecipare e tale accezione fa riferimento attraverso, qui sí!, la corruzione del nome Galileo, ad un traghetto, nomato appunto Galileo che da Napoli trasportava passeggeri alle isole del golfo; su questo traghetto si esibiva a beneficio(?) dei trasportati una rumorosa orchestrina formata da approssimati orecchianti adusi piú a far continua confusione che a sonare.
E spero cosí che l’amico G, j. D.N.risulti soddisfatto di ciò che ò scritto ed ugualmente si ritenga pago qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Satis est.
R. Bracale
VARIE 1625
1. 'O BBECO E NUN 'O CCRERO
Ad litteram: lo vedo e non lo credo Cosí ci si esprime davanti ad un avvenimento inatteso ed insperato, a cui non si pensava si potesse assistere, avvenimento sorprendente o semplicemente atteso da troppo tempo che allorché si verifica risulta cosí incredibile da far dubitare delle proprie capacità visive.
2. 'O CACHILÈ CU 'A MUSICA
Locuzione intraducibile ad litteram che à un duplice significato:
1)in primis con tale espressione ci si riferisce (cfr. alibi) ad un comportamento lungo, noioso, ripetitivo;
2) poi con l'espressione in esame si suole indicare anche una chiassosa confusione, una rumorosa baraonda cui a nostro malgrado ci tocchi di assistere o addirittura di partecipare.Con altra esegesi, come ò détto, la locuzione è riferita ad ogni faccenda che si tiri per le lunghe senza giustificato motivo o in riferimento a chi si occupi di qualcosa, ma lo faccia svogliatamente e senza trarne frutto.
Qualcuno erroneamente traduce il termine cachilè, con la parola galateo, ma non se ne comprende il motivo, atteso che giammai il galateo fu messo in musica o fu usato in sua unione.
In realtà il termine cachilè nell'accezione sub 1) altro non è che una corruzione del nome Galileo nome che fu di un traghetto che da Napoli trasportava passeggeri alle isole del golfo; su questo traghetto si esibiva a beneficio(?) dei trasportati una rumorosa orchestrina formata da approssimati orecchianti adusi piú a far continua confusione che a sonare; da ciò la locuzione in epigrafe; nell'accezione sub 2)cachilé è un è un sostantivo m.le deverbale di cachilejare= balbettare,tartagliare verbo a sua volta marcato sul s.vo cacaglio derivato piú che dallo spagnolo encallar = inceppare con la parola, dal greco kaka-lailo= parlo male/balbetto.
3. 'O carro 'e Battaglino
Ad litteram: il carro di Battaglino. Cosí a mo' di sfottò ed irriverente paragone viene chiamata ogni vettura troppo stipata di viaggiatori, soprattutto quando questi siano vocianti e rumorosi; la locuzione si riferisce al ricordo del carro che issando l'effige della Vergine e gremito di musici e cantori, la sera del sabato santo partecipava alla gran processione voluta dal gentiluomo Pompeo Battaglino che aveva fondato nel 1616 la Cappella della SS. Concezione a Montecalvario (popoloso antico quartiere napoletano) e, a ricordo, aveva promosso detta processione che partendo dalla Cappella summenzionata, si concludeva al Largo di Palazzo (l'odierna piazza del Plebiscito). Per indicare la medesima vociante vettura, i ragazzi che poco conoscono la storia patria, in luogo del carro 'e Battaglino, usano dire: 'o carro 'e Picchippò, ma intendono dire la medesima cosa.
4. 'O CIUCCIO 'E FECHELLA: TRENTATRÈ CHIAJE E PURE 'A CODA È FRACETA
Ad litteram:l'asino di Fichella: trentatrè piaghe e pure la coda è marcia.
Cosí a mo' di sfottò e facendo riferimento ad un vecchio soprannominato Fechella (cfr. alibi) ed al suo asino affetto da troppi mali che ànno resa marcia perfino la coda, ci si riferisce a chi lamenta continui e reiterati malanni, innumerevoli e debilitanti infermità quotidiane.Di costui si usa dire: pare 'o ciuccio 'e Fechella(sembra l'asino di Fichella).
5. 'O CIUNCO E 'O CECATO
Ad litteram: il paralitico ed il cieco Icastico connubio di due individui, molto male in arnese, che per essere stati maltrattati dalla vita, diventano cattivi e pericolosi e dai quali è opportuno stare alla larga per non incorrere in spiacevoli sorprese; qualcuno ritiene, ma non so con quanta ragione e con quale sostrato storico,che i due soggetti richiamati in epigrafe rammentano due antichissimi poeti-musici: il paralitico Giovanni de la Carriola ed il cieco Junno (Biondo) 'o cecato (il cieco) che si esibivano spesso insieme nella Napoli del 1500 (cfr. alibi).
6. 'O CURZO 'E VAVA DINT' Ô CURZO 'E VAVELLA
Ad litteram:il trascorso (tempo) della nonna nel trascorso (tempo) della balia. Cosí in tono canzonatorio si dice che- citandoli - si esprimono coloro che son soliti lodare nostalgicamente i tempi passati.
7. 'O PUORCO DINT' Ê MMÉLE
Ad litteram: il maiale fra le mele. Cosí viene definito chi, raggiunto uno stato di soddisfatta contentezza per aver realizzato un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto, si crogioli nella sopravvenuta piacevole condizione alla medesima stregua del maiale a quale sia dato di poter liberamente razzolare fra le mele di cui è ghiottissimo.
8. 'O SECRETO 'E PULICENELLA.
Ad litteram: il segreto di Pulcinella Id est: tutto ciò che venga inopinatamente propalato, laddove invece ci si era raccomandati di tenerlo nascosto. Difficile, se non impossibile stabilire perché sia attribuito a Pulcinella il malvezzo di diffondere le notizie anche quelle da tener segrete, atteso che, nella sua storia teatrale, la maschera napoletana non fu mai accreditata d'esser particolarmente pettegola.
Brak
Ad litteram: lo vedo e non lo credo Cosí ci si esprime davanti ad un avvenimento inatteso ed insperato, a cui non si pensava si potesse assistere, avvenimento sorprendente o semplicemente atteso da troppo tempo che allorché si verifica risulta cosí incredibile da far dubitare delle proprie capacità visive.
2. 'O CACHILÈ CU 'A MUSICA
Locuzione intraducibile ad litteram che à un duplice significato:
1)in primis con tale espressione ci si riferisce (cfr. alibi) ad un comportamento lungo, noioso, ripetitivo;
2) poi con l'espressione in esame si suole indicare anche una chiassosa confusione, una rumorosa baraonda cui a nostro malgrado ci tocchi di assistere o addirittura di partecipare.Con altra esegesi, come ò détto, la locuzione è riferita ad ogni faccenda che si tiri per le lunghe senza giustificato motivo o in riferimento a chi si occupi di qualcosa, ma lo faccia svogliatamente e senza trarne frutto.
Qualcuno erroneamente traduce il termine cachilè, con la parola galateo, ma non se ne comprende il motivo, atteso che giammai il galateo fu messo in musica o fu usato in sua unione.
In realtà il termine cachilè nell'accezione sub 1) altro non è che una corruzione del nome Galileo nome che fu di un traghetto che da Napoli trasportava passeggeri alle isole del golfo; su questo traghetto si esibiva a beneficio(?) dei trasportati una rumorosa orchestrina formata da approssimati orecchianti adusi piú a far continua confusione che a sonare; da ciò la locuzione in epigrafe; nell'accezione sub 2)cachilé è un è un sostantivo m.le deverbale di cachilejare= balbettare,tartagliare verbo a sua volta marcato sul s.vo cacaglio derivato piú che dallo spagnolo encallar = inceppare con la parola, dal greco kaka-lailo= parlo male/balbetto.
3. 'O carro 'e Battaglino
Ad litteram: il carro di Battaglino. Cosí a mo' di sfottò ed irriverente paragone viene chiamata ogni vettura troppo stipata di viaggiatori, soprattutto quando questi siano vocianti e rumorosi; la locuzione si riferisce al ricordo del carro che issando l'effige della Vergine e gremito di musici e cantori, la sera del sabato santo partecipava alla gran processione voluta dal gentiluomo Pompeo Battaglino che aveva fondato nel 1616 la Cappella della SS. Concezione a Montecalvario (popoloso antico quartiere napoletano) e, a ricordo, aveva promosso detta processione che partendo dalla Cappella summenzionata, si concludeva al Largo di Palazzo (l'odierna piazza del Plebiscito). Per indicare la medesima vociante vettura, i ragazzi che poco conoscono la storia patria, in luogo del carro 'e Battaglino, usano dire: 'o carro 'e Picchippò, ma intendono dire la medesima cosa.
4. 'O CIUCCIO 'E FECHELLA: TRENTATRÈ CHIAJE E PURE 'A CODA È FRACETA
Ad litteram:l'asino di Fichella: trentatrè piaghe e pure la coda è marcia.
Cosí a mo' di sfottò e facendo riferimento ad un vecchio soprannominato Fechella (cfr. alibi) ed al suo asino affetto da troppi mali che ànno resa marcia perfino la coda, ci si riferisce a chi lamenta continui e reiterati malanni, innumerevoli e debilitanti infermità quotidiane.Di costui si usa dire: pare 'o ciuccio 'e Fechella(sembra l'asino di Fichella).
5. 'O CIUNCO E 'O CECATO
Ad litteram: il paralitico ed il cieco Icastico connubio di due individui, molto male in arnese, che per essere stati maltrattati dalla vita, diventano cattivi e pericolosi e dai quali è opportuno stare alla larga per non incorrere in spiacevoli sorprese; qualcuno ritiene, ma non so con quanta ragione e con quale sostrato storico,che i due soggetti richiamati in epigrafe rammentano due antichissimi poeti-musici: il paralitico Giovanni de la Carriola ed il cieco Junno (Biondo) 'o cecato (il cieco) che si esibivano spesso insieme nella Napoli del 1500 (cfr. alibi).
6. 'O CURZO 'E VAVA DINT' Ô CURZO 'E VAVELLA
Ad litteram:il trascorso (tempo) della nonna nel trascorso (tempo) della balia. Cosí in tono canzonatorio si dice che- citandoli - si esprimono coloro che son soliti lodare nostalgicamente i tempi passati.
7. 'O PUORCO DINT' Ê MMÉLE
Ad litteram: il maiale fra le mele. Cosí viene definito chi, raggiunto uno stato di soddisfatta contentezza per aver realizzato un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto, si crogioli nella sopravvenuta piacevole condizione alla medesima stregua del maiale a quale sia dato di poter liberamente razzolare fra le mele di cui è ghiottissimo.
8. 'O SECRETO 'E PULICENELLA.
Ad litteram: il segreto di Pulcinella Id est: tutto ciò che venga inopinatamente propalato, laddove invece ci si era raccomandati di tenerlo nascosto. Difficile, se non impossibile stabilire perché sia attribuito a Pulcinella il malvezzo di diffondere le notizie anche quelle da tener segrete, atteso che, nella sua storia teatrale, la maschera napoletana non fu mai accreditata d'esser particolarmente pettegola.
Brak
lunedì 27 febbraio 2012
PIRCIATIELLE NAPULITANE CHIAPPARE E AULIVE
PIRCIATIELLE NAPULITANE CHIAPPARE E AULIVE
Chello ca ce vo’ pe sseje perzone
600 gramme ‘e pirciatielle,
300 gramme ‘e passata ‘e pummarola,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata finu fino,
dduje puparuncielle pirciante (piccanti)lavate, asciuttate e grabbate (incisi) p’ ‘o lluongo,
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
100 gramme d’aulive nere ‘e Gaeta desciusate,
50 gramme ‘e chiapparielle ‘e Pantelleria levate ‘e sale e sciacquate e asciuttate,
sale duppio ‘ddoje vrancate,
sale fino e ppepe janco mmacenato a ffrisco q.n.s.
‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato.
comme se fa
Levà ‘e sale sciacquà e asciuttà ‘e chiapparielle ‘e Pantelleria e desciusà ll’aulive. Dinto a ‘na prupurziunata tiella ricà ll’uoglio cu ‘o ttrigliato ‘e cepolla e tenerlo a ffuoco miccio nfi’ a cche ‘a cepolla piglia culore; agnadí ‘a passata ‘e pummarole, ‘e dduje puparuncielle pirciante (piccanti)lavate, asciuttate e grabbate (incisi) p’ ‘o lluongoe fà cocere pe ddiece minuti, avascianno ‘o ffuoco e ammiscanno spisso; agnadí chiapparielle e aulive e fà ‘nzapurí ‘o zuco pe cinche minute; agghiustà ‘e sale fino e mantené ‘ncaudo.
Àrvere teniente teniente ‘e pirciatielle dinto a otto litre ‘e acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio), scularle e revacarle dint’ â tiella cu ‘o zuco caudo. Tenerle a ffuoco allero pe ‘nu paro ‘e minute e a ll’urdemo, fora dô ffuoco, derrammàrle cu ‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato e cu abbunnante pepe janco mmacenato a ffrisco . Ammiscà, ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare ‘sti sabruse pirciatielle napulitane.
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
Chello ca ce vo’ pe sseje perzone
600 gramme ‘e pirciatielle,
300 gramme ‘e passata ‘e pummarola,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata finu fino,
dduje puparuncielle pirciante (piccanti)lavate, asciuttate e grabbate (incisi) p’ ‘o lluongo,
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
100 gramme d’aulive nere ‘e Gaeta desciusate,
50 gramme ‘e chiapparielle ‘e Pantelleria levate ‘e sale e sciacquate e asciuttate,
sale duppio ‘ddoje vrancate,
sale fino e ppepe janco mmacenato a ffrisco q.n.s.
‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato.
comme se fa
Levà ‘e sale sciacquà e asciuttà ‘e chiapparielle ‘e Pantelleria e desciusà ll’aulive. Dinto a ‘na prupurziunata tiella ricà ll’uoglio cu ‘o ttrigliato ‘e cepolla e tenerlo a ffuoco miccio nfi’ a cche ‘a cepolla piglia culore; agnadí ‘a passata ‘e pummarole, ‘e dduje puparuncielle pirciante (piccanti)lavate, asciuttate e grabbate (incisi) p’ ‘o lluongoe fà cocere pe ddiece minuti, avascianno ‘o ffuoco e ammiscanno spisso; agnadí chiapparielle e aulive e fà ‘nzapurí ‘o zuco pe cinche minute; agghiustà ‘e sale fino e mantené ‘ncaudo.
Àrvere teniente teniente ‘e pirciatielle dinto a otto litre ‘e acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio), scularle e revacarle dint’ â tiella cu ‘o zuco caudo. Tenerle a ffuoco allero pe ‘nu paro ‘e minute e a ll’urdemo, fora dô ffuoco, derrammàrle cu ‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato e cu abbunnante pepe janco mmacenato a ffrisco . Ammiscà, ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare ‘sti sabruse pirciatielle napulitane.
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
FATTE BENEDICERE etc.
FATTE BENEDICERE ‘A ‘NU MONACO (ma oggi ) PREVETE RICCHIONE
Letteralmente: Fatti benedire da un monaco (ma oggi) prete pederasta attivo. Id est: Chiede la benedizione (che risolva i tuoi problemi) a qualcuno che ti possa adiuvare: nella fattispecie ad un prete pederasta.
Chiariamo la portata dell’espressione: In primis è da rammentare che il detto/consiglio originariamente parlava di un monaco ricchione, il prete è un' erronea e fantasiosa estensione piú moderna. E parliamo del perché. Atteso che ci sono casi cosí disperati che necessitano di interventi adeguati per essere avviati a soluzione chi se non un monaco o un prete ricchione, che cioè à tutto provato nella vita ed à affrontato situazioni particolari, può essere chiamato in causa per operare efficaci benedizioni che sortiscano i benefici effetti desiderati?
Benedicere = benedire 1 (teol.) pronunciare una benedizione: il Signore benedisse Abramo
2 invocare la protezione di Dio su persone o cose: il padre benedisse il figlio; il sacerdote benedice i fedeli; benedire l'olivo | andare, mandare a farsi benedire, (fig.) andare, mandare via; anche, andare, mandare in malora
3 lodare, esaltare, ricordare con amore e gratitudine: lo benedico per il bene che mi à fatto
4 da parte di Dio, aiutare, custodire, elargire grazie: benedetto da Dio | che Dio ti benedica, formula di benedizione; nell'uso fam., esclamazione di meraviglia ironica o lieve rimprovero: che Dio ti benedica, ài mangiato tutto tu!. L’etimo di verbi sia italiano che napoletano (il napoletano anzi ripete piú esattamente la forma latina) è dal lat. benedicere, comp. di bene e dicere; propr. 'dir bene'
monaco s. m. è ovviamente il monaco cioè a dire chi à abbracciato il monachesimo; nel cattolicesimo, membro di un ordine monastico o religioso che à pronunciato i voti solenni di povertà, castità e obbedienza; etimologicamente è voce dal lat. tardo monachu(m), che è dal gr. monachós 'unico', poi 'solitario' (e quindi 'monaco'), deriv. di mónos 'solo, unico'; a Napoli il monaco è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto a conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e proprio ai monaci dei numerosi conventi presenti nell’area cittadina e limitrofa il popolo napoletano fu aduso rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio e/o soluzione di problemi. Per restare nell’àmbito della parola monaco rammento che il medesimo etimo d’esso monaco, sia pure addizionato di un suffisso diminutivo iello vale per la voce munaciello che nella tradizione popolare partenopea è (quantunque non si tratti di un autentico religioso) un particolare piccolo monaco;
‘o munaciello a Napoli è un’entità dai vasti poteri magici; ò parlato di entità in quanto non è dato sapere se si tratti di uno spirito o di un essere umano; nell’un caso o nell’altro detta entità è rappresentata con le sembianze che sono o di un nano mostruoso o di c.d. bambino vecchio, ed assume due personalità: quando si appalesa in una casa, o vi prende stabile dimora, se à in simpatia gli abitanti della casa,che lo abbiano accolto di buon grado, onorandolo e ammannendogli dolciumi (‘o munaciello è molto goloso!) egli arreca buona sorte e prosperità; se, al contrario prende in odio una famiglia, che non lo abbia accolto con i dovuti onori, egli le suscita guai ad iosa.Molto vaste son le testimonianze che riguardano l’apparizione di questa simpatica entità che non vi à posto per alcun dubbio sulle sue manifestazioni, che spesso sono oggetto di vivaci discussioni sul tipo di onori (lauti e dolci pasti, odorosi incensi) da tributare a questo spiritello che si mostra sotto forma di vecchio-bambino vestito col saio dei trovatelli accolti nei conventi, scarpe basse con fibbia d’argento, chierica e cappuccio.Non si lascia vedere da chiunque, ma compare d’improvviso, quando vuole ed a chi vuole(meglio però se donne in ispecie giovani e procaci) , magari portando in mano le scarpe che à tolto per non produrre rumore di calpestio Scalzo, scheletrico, spesso lascia delle monete sul luogo della sua apparizione come se volesse ripagare le persone, dello spavento procurato o di inconfessabili confidenze palpatorie che ama a volte concedersi. Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La prima ipotesi vuole l'inizio di tutta la vicenda intorno all'anno 1445 durante il regno Aragonese. La bella Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, si innamora di un tal Stefano Mariconda, bello quanto si vuole, ma semplice garzone di bottega.
Naturalmente l'amore tra i due è fortemente contrastato. Il fato volle che tutta la storia finisse in tragedia. Stefano venne assassinato nel luogo dei loro incontri segreti mentre Caterinella si rinchiude in un convento. Ma era già da tempo incinta di Stefano ed infatti dopo pochi mesi nacque da Caterinella un bambino alquanto deforme(il Cielo talvolta fa ricadere sui figli le colpe dei genitori!...). Le suore del convento adottarono motu proprio il bambino cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali con un cappuccio per mascherare le deformità di cui il ragazzo soffriva. Fu cosí che per le strade di Napoli veniva chiamato " lu munaciello". Gli si attribuirono poteri magici fino ad arrivare alla leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono. Anche lu munaciello morí misteriosamente., lasciando probabilmente in giro il suo bizzarro spirito.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello altro non sia che il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, erano posti al centro dei cortili domestici, quando non addirittura nel primo vano delle case, di tal che aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli di pertinenza del pozzo.
Personalmente sono maggiormente attratto dalla vicenda di Stefano e Caterinella, che mi appare piú consona ad una favola, anche perché niente osta a che ‘o munaciello anche senza esserne il gestore, si servisse dei pozzi per penetrare in casa; del resto storicamente spesso Napoli, imprendibile dalle mura, fu invasa attraverso le condutture idriche.
Prevete s.m. prete,presbitero, sacerdote, uomo consacrato, addetto al culto, che abbia ricevuto il sacramento dell’ordinazione; etimologicamente il napoletano prevete da cui poi per sincope della sillaba implicata ve si è probabilmente formato il toscano prete è dal tardo latino presbyteru(m), che è dal greco presbyteros, propriamente: piú anziano; cfr. presbitero;
la via seguíta per giungere a prevete partendo da presbyteru(m) è la seguente: presbyteru(m)→pre’bytero/e→prebeto/e→preveto/e;
Come per il precedente monaco, anche il prete è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto molto preparato, a conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e segnatamente al prete titolare di una parrocchia (parrucchiano) i fedeli furono adusi rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio e/o soluzione di problemi.
recchione o ricchione, s. m. omosessuale maschile, pederasta,gay, vocabolo che, partito dal lessico partenopeo, è approdato per merito o colpa di taluna letteratura minore ed altre forme artistiche quali: teatro cinema e televisione, nei piú completi ed aggiornati vocabolarî della lingua nazionale dove viene riportata come voce volgare, nel generico significato di omosessuale maschile.
Molto piú precisamente della lingua nazionale, però, il napoletano con i vocaboli a margine non definisce il generico omosessuale maschile, ma l’omosessuale maschile attivo quello cioè che nel rapporto sodomitico svolge la parte attiva; chi invece svolge la parte passiva è definito nel napoletano : femmenella che è quasi: femminuccia, piccola femmina ed è etimologicamente dal latino fémina(m) con raddoppiamento popolare della postonica m tipico in parole sdrucciole piú il consueto suffisso diminutivo ella.
Torniamo al recchione - ricchione precisando súbito che nel napoletano tale omosessuale maschile non va confuso (come invece accade nell’italiano)con il pederasta il quale, come dal suo etimo greco: pais-paidos=fanciullo ed erastós=amante, è chi intrattiene rapporti omosessuali con i fanciulli;per il vero la lingua napoletana non à un termine specifico per indicare il pederasta e ciò probabilmente perché la pedofilía o pederastía fu quasi sconosciuta alla latitudine partenopea, quantuque Napoli siastata città di origine e cultura greca ;dicevo: ben diverso il pederasta dal recchione – ricchione che infatti à i suoi viziosi rapporti sodomitici quasi esclusivamente con adulti di pari risma.
Ed accostiamoci adesso al problema etimologico del termine recchione – ricchione; sgombrando súbito il campo dall’idea che esso termine possa derivare dall’affezione parotidea nota comunemente con il termine orecchioni, affezione che attaccando le parotidi le fa gonfiare ed aumentare di volume.
Una prima e principale scuola di pensiero, alla quale, del resto mi sento di aderire fa risalire i termini in epigrafe al periodo viceregnale(XV-XVI sec.) sulla scia del termine spagnolo orejón con il quale i marinai spagnoli solevano indicare i nobili incaici, conosciuti nei viaggi nelle Americhe, che si facevano forare ed allungare, tenendovi attaccati grossi e pesanti monili, le orecchie; con il medesimo nome erano indicati anche dei nobili peruviani privilegiati, noti altresí per i loro costumi viziosi e lascivi; taluni di costoro usavano abbigliarsi in maniera ridondante ed eccentrica talora cospargendosi di polvere d’oro i padiglioni auricolari,donde la frase napoletana: tené ‘a póvera ‘ncopp’ ê rrecchie = avere la polvere sulle orecchie, usata ironicamente appunto per indicare gli omosessuali.
Da non dimenticare che detti usi di incaici e peruviani furono spesso mutuati da molti marinai che sbarcavano a Napoli, provenienti dalle Americhe, agghindati con grossi e pesanti orecchini(cosa che i napoletani non apprezzarono ritenendo gli orecchini monili da donna e non da uomo..) e parecchi di questi marinai furono súbito indicati con i termini in epigrafe oltre che per l’abbigliamento e le acconciature usati anche per il modo di proporsi ed incedere quasi femmineo, atteso che dai napoletani si ritenne che il loro comportamento sessualecambiato, fosse stato determinato dalla lunga permanenza in mare, per i viaggi transoceanici, permanenza che li costringeva a non aver rapporti con donne e doversi contentare di averne con altri uomini.
Successivamente i termini recchione – ricchione palesi adattamenti dello orejón spagnolo passarono ad indicare non solo i marinai, ma un po’ tutti gli omosessuali attivi, conservando il termine femmeniello/femmenelle per quelli passivi.
E mi pare che ce ne sia abbastanza, anche se – per amore di completezza – segnalo qui una nuova ipotesi etimologica proposta dall’amico prof. Carlo Jandolo che ipotizza per ricchione/recchione una culla greca: orkhi-(pédes)= chi à la strozzatura dei testicoli,impotente, con aferesi iniziale, suono di transizione i fra r –cch con raddoppiamento popolare e suffisso qualitativo accrescitivo one; tuttavia lo stesso Jandolo non esclude un influsso di recchia soprattutto tenendo presente la fraseologia riportata che fa riferimento ad un orecchio impolverato.
A malgrado dei sentimenti amicali che nutro per Jandolo, non trovo serî motivi per abbandonare quella, a mio avviso, convincente via vecchia per percorrere la impervia nuova.
Brak
Letteralmente: Fatti benedire da un monaco (ma oggi) prete pederasta attivo. Id est: Chiede la benedizione (che risolva i tuoi problemi) a qualcuno che ti possa adiuvare: nella fattispecie ad un prete pederasta.
Chiariamo la portata dell’espressione: In primis è da rammentare che il detto/consiglio originariamente parlava di un monaco ricchione, il prete è un' erronea e fantasiosa estensione piú moderna. E parliamo del perché. Atteso che ci sono casi cosí disperati che necessitano di interventi adeguati per essere avviati a soluzione chi se non un monaco o un prete ricchione, che cioè à tutto provato nella vita ed à affrontato situazioni particolari, può essere chiamato in causa per operare efficaci benedizioni che sortiscano i benefici effetti desiderati?
Benedicere = benedire 1 (teol.) pronunciare una benedizione: il Signore benedisse Abramo
2 invocare la protezione di Dio su persone o cose: il padre benedisse il figlio; il sacerdote benedice i fedeli; benedire l'olivo | andare, mandare a farsi benedire, (fig.) andare, mandare via; anche, andare, mandare in malora
3 lodare, esaltare, ricordare con amore e gratitudine: lo benedico per il bene che mi à fatto
4 da parte di Dio, aiutare, custodire, elargire grazie: benedetto da Dio | che Dio ti benedica, formula di benedizione; nell'uso fam., esclamazione di meraviglia ironica o lieve rimprovero: che Dio ti benedica, ài mangiato tutto tu!. L’etimo di verbi sia italiano che napoletano (il napoletano anzi ripete piú esattamente la forma latina) è dal lat. benedicere, comp. di bene e dicere; propr. 'dir bene'
monaco s. m. è ovviamente il monaco cioè a dire chi à abbracciato il monachesimo; nel cattolicesimo, membro di un ordine monastico o religioso che à pronunciato i voti solenni di povertà, castità e obbedienza; etimologicamente è voce dal lat. tardo monachu(m), che è dal gr. monachós 'unico', poi 'solitario' (e quindi 'monaco'), deriv. di mónos 'solo, unico'; a Napoli il monaco è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto a conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e proprio ai monaci dei numerosi conventi presenti nell’area cittadina e limitrofa il popolo napoletano fu aduso rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio e/o soluzione di problemi. Per restare nell’àmbito della parola monaco rammento che il medesimo etimo d’esso monaco, sia pure addizionato di un suffisso diminutivo iello vale per la voce munaciello che nella tradizione popolare partenopea è (quantunque non si tratti di un autentico religioso) un particolare piccolo monaco;
‘o munaciello a Napoli è un’entità dai vasti poteri magici; ò parlato di entità in quanto non è dato sapere se si tratti di uno spirito o di un essere umano; nell’un caso o nell’altro detta entità è rappresentata con le sembianze che sono o di un nano mostruoso o di c.d. bambino vecchio, ed assume due personalità: quando si appalesa in una casa, o vi prende stabile dimora, se à in simpatia gli abitanti della casa,che lo abbiano accolto di buon grado, onorandolo e ammannendogli dolciumi (‘o munaciello è molto goloso!) egli arreca buona sorte e prosperità; se, al contrario prende in odio una famiglia, che non lo abbia accolto con i dovuti onori, egli le suscita guai ad iosa.Molto vaste son le testimonianze che riguardano l’apparizione di questa simpatica entità che non vi à posto per alcun dubbio sulle sue manifestazioni, che spesso sono oggetto di vivaci discussioni sul tipo di onori (lauti e dolci pasti, odorosi incensi) da tributare a questo spiritello che si mostra sotto forma di vecchio-bambino vestito col saio dei trovatelli accolti nei conventi, scarpe basse con fibbia d’argento, chierica e cappuccio.Non si lascia vedere da chiunque, ma compare d’improvviso, quando vuole ed a chi vuole(meglio però se donne in ispecie giovani e procaci) , magari portando in mano le scarpe che à tolto per non produrre rumore di calpestio Scalzo, scheletrico, spesso lascia delle monete sul luogo della sua apparizione come se volesse ripagare le persone, dello spavento procurato o di inconfessabili confidenze palpatorie che ama a volte concedersi. Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La prima ipotesi vuole l'inizio di tutta la vicenda intorno all'anno 1445 durante il regno Aragonese. La bella Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, si innamora di un tal Stefano Mariconda, bello quanto si vuole, ma semplice garzone di bottega.
Naturalmente l'amore tra i due è fortemente contrastato. Il fato volle che tutta la storia finisse in tragedia. Stefano venne assassinato nel luogo dei loro incontri segreti mentre Caterinella si rinchiude in un convento. Ma era già da tempo incinta di Stefano ed infatti dopo pochi mesi nacque da Caterinella un bambino alquanto deforme(il Cielo talvolta fa ricadere sui figli le colpe dei genitori!...). Le suore del convento adottarono motu proprio il bambino cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali con un cappuccio per mascherare le deformità di cui il ragazzo soffriva. Fu cosí che per le strade di Napoli veniva chiamato " lu munaciello". Gli si attribuirono poteri magici fino ad arrivare alla leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono. Anche lu munaciello morí misteriosamente., lasciando probabilmente in giro il suo bizzarro spirito.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello altro non sia che il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, erano posti al centro dei cortili domestici, quando non addirittura nel primo vano delle case, di tal che aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli di pertinenza del pozzo.
Personalmente sono maggiormente attratto dalla vicenda di Stefano e Caterinella, che mi appare piú consona ad una favola, anche perché niente osta a che ‘o munaciello anche senza esserne il gestore, si servisse dei pozzi per penetrare in casa; del resto storicamente spesso Napoli, imprendibile dalle mura, fu invasa attraverso le condutture idriche.
Prevete s.m. prete,presbitero, sacerdote, uomo consacrato, addetto al culto, che abbia ricevuto il sacramento dell’ordinazione; etimologicamente il napoletano prevete da cui poi per sincope della sillaba implicata ve si è probabilmente formato il toscano prete è dal tardo latino presbyteru(m), che è dal greco presbyteros, propriamente: piú anziano; cfr. presbitero;
la via seguíta per giungere a prevete partendo da presbyteru(m) è la seguente: presbyteru(m)→pre’bytero/e→prebeto/e→preveto/e;
Come per il precedente monaco, anche il prete è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto molto preparato, a conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e segnatamente al prete titolare di una parrocchia (parrucchiano) i fedeli furono adusi rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio e/o soluzione di problemi.
recchione o ricchione, s. m. omosessuale maschile, pederasta,gay, vocabolo che, partito dal lessico partenopeo, è approdato per merito o colpa di taluna letteratura minore ed altre forme artistiche quali: teatro cinema e televisione, nei piú completi ed aggiornati vocabolarî della lingua nazionale dove viene riportata come voce volgare, nel generico significato di omosessuale maschile.
Molto piú precisamente della lingua nazionale, però, il napoletano con i vocaboli a margine non definisce il generico omosessuale maschile, ma l’omosessuale maschile attivo quello cioè che nel rapporto sodomitico svolge la parte attiva; chi invece svolge la parte passiva è definito nel napoletano : femmenella che è quasi: femminuccia, piccola femmina ed è etimologicamente dal latino fémina(m) con raddoppiamento popolare della postonica m tipico in parole sdrucciole piú il consueto suffisso diminutivo ella.
Torniamo al recchione - ricchione precisando súbito che nel napoletano tale omosessuale maschile non va confuso (come invece accade nell’italiano)con il pederasta il quale, come dal suo etimo greco: pais-paidos=fanciullo ed erastós=amante, è chi intrattiene rapporti omosessuali con i fanciulli;per il vero la lingua napoletana non à un termine specifico per indicare il pederasta e ciò probabilmente perché la pedofilía o pederastía fu quasi sconosciuta alla latitudine partenopea, quantuque Napoli siastata città di origine e cultura greca ;dicevo: ben diverso il pederasta dal recchione – ricchione che infatti à i suoi viziosi rapporti sodomitici quasi esclusivamente con adulti di pari risma.
Ed accostiamoci adesso al problema etimologico del termine recchione – ricchione; sgombrando súbito il campo dall’idea che esso termine possa derivare dall’affezione parotidea nota comunemente con il termine orecchioni, affezione che attaccando le parotidi le fa gonfiare ed aumentare di volume.
Una prima e principale scuola di pensiero, alla quale, del resto mi sento di aderire fa risalire i termini in epigrafe al periodo viceregnale(XV-XVI sec.) sulla scia del termine spagnolo orejón con il quale i marinai spagnoli solevano indicare i nobili incaici, conosciuti nei viaggi nelle Americhe, che si facevano forare ed allungare, tenendovi attaccati grossi e pesanti monili, le orecchie; con il medesimo nome erano indicati anche dei nobili peruviani privilegiati, noti altresí per i loro costumi viziosi e lascivi; taluni di costoro usavano abbigliarsi in maniera ridondante ed eccentrica talora cospargendosi di polvere d’oro i padiglioni auricolari,donde la frase napoletana: tené ‘a póvera ‘ncopp’ ê rrecchie = avere la polvere sulle orecchie, usata ironicamente appunto per indicare gli omosessuali.
Da non dimenticare che detti usi di incaici e peruviani furono spesso mutuati da molti marinai che sbarcavano a Napoli, provenienti dalle Americhe, agghindati con grossi e pesanti orecchini(cosa che i napoletani non apprezzarono ritenendo gli orecchini monili da donna e non da uomo..) e parecchi di questi marinai furono súbito indicati con i termini in epigrafe oltre che per l’abbigliamento e le acconciature usati anche per il modo di proporsi ed incedere quasi femmineo, atteso che dai napoletani si ritenne che il loro comportamento sessualecambiato, fosse stato determinato dalla lunga permanenza in mare, per i viaggi transoceanici, permanenza che li costringeva a non aver rapporti con donne e doversi contentare di averne con altri uomini.
Successivamente i termini recchione – ricchione palesi adattamenti dello orejón spagnolo passarono ad indicare non solo i marinai, ma un po’ tutti gli omosessuali attivi, conservando il termine femmeniello/femmenelle per quelli passivi.
E mi pare che ce ne sia abbastanza, anche se – per amore di completezza – segnalo qui una nuova ipotesi etimologica proposta dall’amico prof. Carlo Jandolo che ipotizza per ricchione/recchione una culla greca: orkhi-(pédes)= chi à la strozzatura dei testicoli,impotente, con aferesi iniziale, suono di transizione i fra r –cch con raddoppiamento popolare e suffisso qualitativo accrescitivo one; tuttavia lo stesso Jandolo non esclude un influsso di recchia soprattutto tenendo presente la fraseologia riportata che fa riferimento ad un orecchio impolverato.
A malgrado dei sentimenti amicali che nutro per Jandolo, non trovo serî motivi per abbandonare quella, a mio avviso, convincente via vecchia per percorrere la impervia nuova.
Brak
PEZZOTTO
PEZZOTTO
La voce a margine (sostantivo maschile che nel passato valse modesta mancia,contenuto omaggio di un oggetto prodotto artigianalmente se non domesticamente e manualmente senza supporto di macchinarii (ad es.tappetini,centrini di merletti, piccoli ricami etc. a volte sostituiti da modestissime somme di danaro ),oggidí nel gergo,o meglio nello slang giovanile partenopeo vale cosa, oggetto falsificato, contraffatto, non originale; ad es. s’usa dire ‘stu c.d. è pezzotto (questo compact disk è falsificato)quando il c.d. de quo risulti essere una copia prodotta con sistemi piú o meno truffaldini, da un originale, allo scopo di eludere tasse e tenere bassi i costi; come ò segnalato la voce pezzotto è un sostantivo (e dunque apposizione) mentre piú correttamente per indicare un oggetto falsificato, andrebbe usato un aggettivo che è ed un tempo fu appezzuttato, aggettivo che poi cadde in disuso in favore del piú sbrigativo sostantivo pezzotto;
in effetti l’aggettivo appezzuttato starebbe a significare prodotto con il pezzotto che di per sé quale diminutivo di pezzo, risulta essere un arnese del falegname detto tecnicamente in lingua nazionale ascialone (accrescitivo di asciale da un lat. volg. axale(m), deriv. di axis 'perno, asse) ed è una parte del morsetto con il quale i falegnami serrano due pezzi di legno da incollar tra loro, di tal che le voci appezzuttato e/o pezzotto stanno ad indicare cosa o oggetto prodotto in maniera artigianale, non industriale e quindi non originale;
rammenterò poi che in lingua nazionale esistette già il termine pezzotto usato per indicare ( con derivazione da pezzo) un tappeto tipico della Valtellina, fatto con ritagli di tessuti vari arrotolati e cuciti insieme.
Nulla osta che un tempo – come riportato dalla Serao – le artigianali sartine napoletane fornissero alla loro minuta clientela piccolo borghese abiti copiati artigianalmente da originali modelli francesi e dunque abiti pezzotti o appezzuttati; è pur sempre, ora come allora, una dimostrazione della partenopea arte d’arrangiarsi; peccato che oggidí la cosa, finita nelle mani di camorra ed orientali stia prendendo d’acido o se sta azzeccanno sotto! (giacché una cosa è copiare per un amico un costoso C.D. , un’ altra è vedere inondare bancarelle e negozi con C.D.pezzotti la cui vendita ingrassa le tasche di camorristi ed affini!!!)
Brak
La voce a margine (sostantivo maschile che nel passato valse modesta mancia,contenuto omaggio di un oggetto prodotto artigianalmente se non domesticamente e manualmente senza supporto di macchinarii (ad es.tappetini,centrini di merletti, piccoli ricami etc. a volte sostituiti da modestissime somme di danaro ),oggidí nel gergo,o meglio nello slang giovanile partenopeo vale cosa, oggetto falsificato, contraffatto, non originale; ad es. s’usa dire ‘stu c.d. è pezzotto (questo compact disk è falsificato)quando il c.d. de quo risulti essere una copia prodotta con sistemi piú o meno truffaldini, da un originale, allo scopo di eludere tasse e tenere bassi i costi; come ò segnalato la voce pezzotto è un sostantivo (e dunque apposizione) mentre piú correttamente per indicare un oggetto falsificato, andrebbe usato un aggettivo che è ed un tempo fu appezzuttato, aggettivo che poi cadde in disuso in favore del piú sbrigativo sostantivo pezzotto;
in effetti l’aggettivo appezzuttato starebbe a significare prodotto con il pezzotto che di per sé quale diminutivo di pezzo, risulta essere un arnese del falegname detto tecnicamente in lingua nazionale ascialone (accrescitivo di asciale da un lat. volg. axale(m), deriv. di axis 'perno, asse) ed è una parte del morsetto con il quale i falegnami serrano due pezzi di legno da incollar tra loro, di tal che le voci appezzuttato e/o pezzotto stanno ad indicare cosa o oggetto prodotto in maniera artigianale, non industriale e quindi non originale;
rammenterò poi che in lingua nazionale esistette già il termine pezzotto usato per indicare ( con derivazione da pezzo) un tappeto tipico della Valtellina, fatto con ritagli di tessuti vari arrotolati e cuciti insieme.
Nulla osta che un tempo – come riportato dalla Serao – le artigianali sartine napoletane fornissero alla loro minuta clientela piccolo borghese abiti copiati artigianalmente da originali modelli francesi e dunque abiti pezzotti o appezzuttati; è pur sempre, ora come allora, una dimostrazione della partenopea arte d’arrangiarsi; peccato che oggidí la cosa, finita nelle mani di camorra ed orientali stia prendendo d’acido o se sta azzeccanno sotto! (giacché una cosa è copiare per un amico un costoso C.D. , un’ altra è vedere inondare bancarelle e negozi con C.D.pezzotti la cui vendita ingrassa le tasche di camorristi ed affini!!!)
Brak
SPALLETTONE
SPALLETTONE
Esiste o meglio, esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune, conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. È il vocabolo in epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis dirò che con esso vocabolo si indica il saccente, il supponente, il sopracciò prepotente ed arrogante oltre che borioso,,il millantatore, colui che anticamente era definito mastrissoovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non ne aveva né la cultura, nè il carisma necessarii
Piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi da borioso arrogante, da prepotente saccente fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specialmente di quelli degli altri , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per portarli a soluzione , ma (naturalmente!) senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son solo frutto della propria saccenteria in virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui,mai dei propri!,? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli e cosí via non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che,
specialmente quando non sia interpellato,si offre e tenta di imporre la propria presenza dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno,(senza peraltro assicurare o garantire risultati certi e positivi…) aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di lessici della parlata napoletana, anche i piú moderni,con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco e del suo Alfabeto napoletano,non fanno riferimento alla lingua parlata, ma esclusivamente a quella scritta nei classici partenopei, va da sé che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei classici.
Orbene io penso che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di indicare una etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone: fastidioso arrogante, borioso ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il pettegolo (aduso a propalare in giro i fatti del prossimo, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece dal pettegolo viene bellamente disattesa!...) che è altra cosa e che in napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
È possibile tuttavia, anzi càpita spesso, che nella stessa persona si sommino le pessime qualità che sono del parlettiere e dello spallettone, ed in tal caso, a mio avviso, sarebbero o sono perdonabili talune pulsioni omicide avverso il parlettiere-spallettone!
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però un corrispondente termine femminile con i medesimi significati del maschile ed è: ciaccessa piú correttamente scritto con la geminazione iniziale della C : cciaccessa; l’etimo è sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare, che la parola possa essersi formata su di un iniziale ciarlare (voce forse dallo spagnolo chirlare oppure di tipo onomatopeico) secondo il seguente percorso morfologico: ciarlare→ciacciare→ciaccessa.
Raffaele Bracale.
Esiste o meglio, esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune, conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. È il vocabolo in epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis dirò che con esso vocabolo si indica il saccente, il supponente, il sopracciò prepotente ed arrogante oltre che borioso,,il millantatore, colui che anticamente era definito mastrissoovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non ne aveva né la cultura, nè il carisma necessarii
Piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi da borioso arrogante, da prepotente saccente fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specialmente di quelli degli altri , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per portarli a soluzione , ma (naturalmente!) senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son solo frutto della propria saccenteria in virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui,mai dei propri!,? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli e cosí via non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che,
specialmente quando non sia interpellato,si offre e tenta di imporre la propria presenza dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno,(senza peraltro assicurare o garantire risultati certi e positivi…) aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di lessici della parlata napoletana, anche i piú moderni,con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco e del suo Alfabeto napoletano,non fanno riferimento alla lingua parlata, ma esclusivamente a quella scritta nei classici partenopei, va da sé che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei classici.
Orbene io penso che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di indicare una etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone: fastidioso arrogante, borioso ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il pettegolo (aduso a propalare in giro i fatti del prossimo, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece dal pettegolo viene bellamente disattesa!...) che è altra cosa e che in napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
È possibile tuttavia, anzi càpita spesso, che nella stessa persona si sommino le pessime qualità che sono del parlettiere e dello spallettone, ed in tal caso, a mio avviso, sarebbero o sono perdonabili talune pulsioni omicide avverso il parlettiere-spallettone!
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però un corrispondente termine femminile con i medesimi significati del maschile ed è: ciaccessa piú correttamente scritto con la geminazione iniziale della C : cciaccessa; l’etimo è sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare, che la parola possa essersi formata su di un iniziale ciarlare (voce forse dallo spagnolo chirlare oppure di tipo onomatopeico) secondo il seguente percorso morfologico: ciarlare→ciacciare→ciaccessa.
Raffaele Bracale.
NAPOLI – INTER (26.02.12- Campiunato)1 A 0!LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ
NAPOLI – INTER (26.02.12- Campiunato) 1 A 0!
LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ
Che suddisfazzione guagliú, che suddisfazzione mannarne n’ata vota â casa ancòra scunfitta chella scuatra ‘e chianchiere ‘e chillu sbruffone ‘e Ranieri ca ademasso (oltre) a ttené ‘o difetto d’essere rumano e pirciò smargiasso, comm’ecchese juventino è ppure ‘nu ‘nchiaccato ‘e sossazza (lebbra) janca e nnera e cu ttutto ca s’ ‘o ppenza cchiú isso ca ‘o ggrano d’ ‘a carastia, cu ‘a scuatra d’ ‘o benzinaro va recuglienno fijure ‘e mmerda e ajere a nnotte â fine d’ ‘a rencontra teneva ‘na faccia ‘e vecchia cestunia mazziata ch’era ‘na maraviglia cu ll’uocchie abbacchiate e cu ‘o ffèle ca le scurreva ‘a n’angulo d’ ‘a vocca storta. Che suddisfazzione guagliú, che suddisfazzione! Peccato sultanto ca Lazzio e Udinese nun ànnu falluto ‘o colpo e stanno sempe pusiziunate ô terzo posto a 45 punte e nnuje, p’ ‘o mumento, ce âmmo accuntentà d’ ‘o quinto a 40 punte; ma ‘o campiunato è ancòra luongo e nun è détto ca nun po’ succedere ca ‘o ‘ncappammo ‘o terzo posto! P’ ‘o mumento è già ‘na suddisfazzione stà annante â Roma e a ll’Interre.
Passammo ê ppaggelle:
DE SANCTIS 6: Se guardaje ‘a rencontra pe quase tutto ‘o primmo tiempo.Urdinaria amministazzione ‘e tre o quatto ‘ntervente suoje d’ ‘o siconno tiempo.
CAMPAGNARO 7: Cuntrullaje a Forlan(no) e chiunque lle capitaje annante senza difficultà né apprenzione. Cu ‘o turbante ‘ncapo turnaje a essere ‘o Toro ca cunuscimmo: ‘nsuperabbile, dimustranno ‘e mmeretarse ‘a cunvocazione cu ‘a nazziunale argentina!Signaje pure, ma ll’arbitro (pe mme ‘ngiustamente) annullaje ‘a rredda...
CANNAVARO 6-: Pe grazzia ‘e dDio puttanate grosse nun ne facette e cuntrullaje abbastanza a dduvere a Milito. Me facette vení ‘o friddo ‘ncuollo sulo quanno ô mumento culminante d’ ‘o finale travulgente se perdette a Ppazzini ca pe ffurtuna però sbagliaje ‘a capata e depositaje ‘o pallone fora.
ARONICA 6- :’Int’ê degaggé (nei disimpegni)fuje troppo precipituso e ‘mpriciso.Stranamente preoccupato sbagliaje pure quacche cuntrollo; proprio ‘nu jerro ‘e cuntrollo lle custaje ‘nu sacrusanto cartellino russo. MAGGIO 5,5 : ‘A sfita cu Nagatomo ‘o vedette vincitore paricchi vvote. Mmacenaje comme a ssempe tanti chilometri, ma mancaje ‘e pricisione ‘nfase ‘e sustentazzione e cu ‘e cruzze.
INLER 7: Granne sarto/geometra d’ ‘o centrocampo mmesuraje, tagliaje, ‘mbastette e cusette meglio ‘e Rubinacci e Finamore. Certamente jucaje senza paura e senza preoccupazzione rispetto a ll’inizio d’ ‘a tempurata dimustrannose ‘ncrescita custante e pruvicciosa (redditizia). Benturnato lió!
GARGANO 6,5: Sradecaje centenare ‘e pallune dê piere ‘e ll’avverzarie, radduppiaje custantemente ll’esterne, dètte equilibrio â scuatra,senza scurdarse ‘e correre senza fine; nun mullaje maje ‘e ‘nu centimetro. E s’‘o vulevano vennere!
ZUNIGA 6- : ‘A chiena e ‘a vacante:comme criaje accussí scarrupaje;facette quacche ghiucata ‘nteressante, ma po rallentaje ll’azziona luvarda cu inutili ricate e nfente varie. Pe furtuna ô siconno tiempo cagnaje riggistro, risultanno cchiú cuncreto.
DZEMAILI 7,5 – Forze ‘a meglia rencontra jucata dô svizzero nfi’ a mmo, ancòra ‘na vota comme trecquartista. Galliggiaje ‘nfra ‘e linie, pressaje ‘ncuntinuazzione cu ccegna , dialucaje cu ‘e pponte e servette a Lavezzi, doppo ‘nu granne cagno ‘e passo, ‘nu pallone valiuso(prezioso) ca ‘o Pocho mettette ‘mporta risulvenno ‘a rencontra!
Cu ‘nu bbellu tiro ‘a luntano ‘mpignaje a Julio Cesar ca ll’ annecaje ‘a rredda. ( da ll’ 88° DOSSENA sv)
LAVEZZI 8 :N’arillo tirato a llucido.... E che vuó fermà? Manco vattennolo! Facette vení ‘o male ‘e capa nun surtanto a Faraoni ma a tutta ‘a difesa ‘nterista custretta a metterse ‘a scolla ‘nfronte! Finalmente accummencia a vvedé ‘a porta sempe cchiú spisso e cu granna pricisione, dimustranno d’essere overamente sempe cchiú fforte e ppunto ‘e riferimento ‘e tutta ‘a scuatra. Mo comme a mmo nun se po’ penzà a ‘nu Napule senza d’‘o Pocho. (da ll’ 81° BRITOS 6 Se piazzaje ‘ndifesa dànno ‘na bbona mana)
CAVANI 6,5: Pe vedé ‘a primma cunclusiona soja ‘mporta s’ êtte aspettà ‘a mez’ora d’ ‘o primmo tiempo ma ‘a capata ascette fora; ‘e poco, ma ascette! Chiammato a ffà reparto isso sulo doppo ‘a sustituzzione ‘e Lavezzi, avette quacche difficultà a guvernà ‘o pallone, ma nun mullaje maje e spisso se vedette pure ‘ndifesa.Speraje ca signasse, ma ajere nun fuje pussibbile!
All. MAZZARRI 7: Terza vittoria cunzecutiva ‘ncampiunato, eppure aveva presentato ‘a rencontra comme periculosa; e ‘mmece tutto jette a cciammiello: scuadra cumpatta, urdinata e ssempe accorta, cu tutto ‘o sforzo fatto durante â semmana contro ô Chelsea e risultato ‘mpurtante!
L’arbitro BERGONZI 4,5 e ll’aggiu trattato!
È ‘na meza cazetta comme ô riesto ‘e tutte ll’arbitre italiane; facilmente se fa ammagagnà e se porta ancòra appriesso ‘o pisemo d’ ‘e critiche ca avette p’’e duje ricure (sacrusante, comme po se vedette!) date ô Napule (staggiona 2007/2008) contro â juventússa; ‘a tanno, quanno arbitra ‘o Napule, pe fa vedé ca nun stà abbaccato cu ‘e napulitane sisca sempe contro e ‘nzerra tutte ‘e dduje ll’uocchie e s’appila ‘e rrecchie... Ajere primma ‘e siscà ‘na punizziona a ffavore ‘e Lavezzi sistematicamente mazzuliato dê ‘nteriste ce penzaje seje vote... e ppo nun siscaje; ma ‘o capolavoro ‘o facette quanno annullaje a Campagnaro ‘a rredda ca fósse stata d’ ‘a sicurezza, rredda signata dô Toro ‘int’a ‘na ‘mbrugliata sotto porta ‘nterista e isso vedette n’ urzo ‘e cóse (fuorigioco) ca nun steva nè ‘ncielo, nè ‘nterra! Sperammo ca nun ce ‘o mannassero cchiú!
E nchiudimmola cca; se ne parla â prossima vota speranno ca ‘o Napule nun se sentesse appacato e nun se fermasse... P’ ‘o mumento gudimmoce ‘stu quinto posto.
Si dDi’ vo’ ce sentimmo. Staveti be’
R. Bracale Brak
LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ
Che suddisfazzione guagliú, che suddisfazzione mannarne n’ata vota â casa ancòra scunfitta chella scuatra ‘e chianchiere ‘e chillu sbruffone ‘e Ranieri ca ademasso (oltre) a ttené ‘o difetto d’essere rumano e pirciò smargiasso, comm’ecchese juventino è ppure ‘nu ‘nchiaccato ‘e sossazza (lebbra) janca e nnera e cu ttutto ca s’ ‘o ppenza cchiú isso ca ‘o ggrano d’ ‘a carastia, cu ‘a scuatra d’ ‘o benzinaro va recuglienno fijure ‘e mmerda e ajere a nnotte â fine d’ ‘a rencontra teneva ‘na faccia ‘e vecchia cestunia mazziata ch’era ‘na maraviglia cu ll’uocchie abbacchiate e cu ‘o ffèle ca le scurreva ‘a n’angulo d’ ‘a vocca storta. Che suddisfazzione guagliú, che suddisfazzione! Peccato sultanto ca Lazzio e Udinese nun ànnu falluto ‘o colpo e stanno sempe pusiziunate ô terzo posto a 45 punte e nnuje, p’ ‘o mumento, ce âmmo accuntentà d’ ‘o quinto a 40 punte; ma ‘o campiunato è ancòra luongo e nun è détto ca nun po’ succedere ca ‘o ‘ncappammo ‘o terzo posto! P’ ‘o mumento è già ‘na suddisfazzione stà annante â Roma e a ll’Interre.
Passammo ê ppaggelle:
DE SANCTIS 6: Se guardaje ‘a rencontra pe quase tutto ‘o primmo tiempo.Urdinaria amministazzione ‘e tre o quatto ‘ntervente suoje d’ ‘o siconno tiempo.
CAMPAGNARO 7: Cuntrullaje a Forlan(no) e chiunque lle capitaje annante senza difficultà né apprenzione. Cu ‘o turbante ‘ncapo turnaje a essere ‘o Toro ca cunuscimmo: ‘nsuperabbile, dimustranno ‘e mmeretarse ‘a cunvocazione cu ‘a nazziunale argentina!Signaje pure, ma ll’arbitro (pe mme ‘ngiustamente) annullaje ‘a rredda...
CANNAVARO 6-: Pe grazzia ‘e dDio puttanate grosse nun ne facette e cuntrullaje abbastanza a dduvere a Milito. Me facette vení ‘o friddo ‘ncuollo sulo quanno ô mumento culminante d’ ‘o finale travulgente se perdette a Ppazzini ca pe ffurtuna però sbagliaje ‘a capata e depositaje ‘o pallone fora.
ARONICA 6- :’Int’ê degaggé (nei disimpegni)fuje troppo precipituso e ‘mpriciso.Stranamente preoccupato sbagliaje pure quacche cuntrollo; proprio ‘nu jerro ‘e cuntrollo lle custaje ‘nu sacrusanto cartellino russo. MAGGIO 5,5 : ‘A sfita cu Nagatomo ‘o vedette vincitore paricchi vvote. Mmacenaje comme a ssempe tanti chilometri, ma mancaje ‘e pricisione ‘nfase ‘e sustentazzione e cu ‘e cruzze.
INLER 7: Granne sarto/geometra d’ ‘o centrocampo mmesuraje, tagliaje, ‘mbastette e cusette meglio ‘e Rubinacci e Finamore. Certamente jucaje senza paura e senza preoccupazzione rispetto a ll’inizio d’ ‘a tempurata dimustrannose ‘ncrescita custante e pruvicciosa (redditizia). Benturnato lió!
GARGANO 6,5: Sradecaje centenare ‘e pallune dê piere ‘e ll’avverzarie, radduppiaje custantemente ll’esterne, dètte equilibrio â scuatra,senza scurdarse ‘e correre senza fine; nun mullaje maje ‘e ‘nu centimetro. E s’‘o vulevano vennere!
ZUNIGA 6- : ‘A chiena e ‘a vacante:comme criaje accussí scarrupaje;facette quacche ghiucata ‘nteressante, ma po rallentaje ll’azziona luvarda cu inutili ricate e nfente varie. Pe furtuna ô siconno tiempo cagnaje riggistro, risultanno cchiú cuncreto.
DZEMAILI 7,5 – Forze ‘a meglia rencontra jucata dô svizzero nfi’ a mmo, ancòra ‘na vota comme trecquartista. Galliggiaje ‘nfra ‘e linie, pressaje ‘ncuntinuazzione cu ccegna , dialucaje cu ‘e pponte e servette a Lavezzi, doppo ‘nu granne cagno ‘e passo, ‘nu pallone valiuso(prezioso) ca ‘o Pocho mettette ‘mporta risulvenno ‘a rencontra!
Cu ‘nu bbellu tiro ‘a luntano ‘mpignaje a Julio Cesar ca ll’ annecaje ‘a rredda. ( da ll’ 88° DOSSENA sv)
LAVEZZI 8 :N’arillo tirato a llucido.... E che vuó fermà? Manco vattennolo! Facette vení ‘o male ‘e capa nun surtanto a Faraoni ma a tutta ‘a difesa ‘nterista custretta a metterse ‘a scolla ‘nfronte! Finalmente accummencia a vvedé ‘a porta sempe cchiú spisso e cu granna pricisione, dimustranno d’essere overamente sempe cchiú fforte e ppunto ‘e riferimento ‘e tutta ‘a scuatra. Mo comme a mmo nun se po’ penzà a ‘nu Napule senza d’‘o Pocho. (da ll’ 81° BRITOS 6 Se piazzaje ‘ndifesa dànno ‘na bbona mana)
CAVANI 6,5: Pe vedé ‘a primma cunclusiona soja ‘mporta s’ êtte aspettà ‘a mez’ora d’ ‘o primmo tiempo ma ‘a capata ascette fora; ‘e poco, ma ascette! Chiammato a ffà reparto isso sulo doppo ‘a sustituzzione ‘e Lavezzi, avette quacche difficultà a guvernà ‘o pallone, ma nun mullaje maje e spisso se vedette pure ‘ndifesa.Speraje ca signasse, ma ajere nun fuje pussibbile!
All. MAZZARRI 7: Terza vittoria cunzecutiva ‘ncampiunato, eppure aveva presentato ‘a rencontra comme periculosa; e ‘mmece tutto jette a cciammiello: scuadra cumpatta, urdinata e ssempe accorta, cu tutto ‘o sforzo fatto durante â semmana contro ô Chelsea e risultato ‘mpurtante!
L’arbitro BERGONZI 4,5 e ll’aggiu trattato!
È ‘na meza cazetta comme ô riesto ‘e tutte ll’arbitre italiane; facilmente se fa ammagagnà e se porta ancòra appriesso ‘o pisemo d’ ‘e critiche ca avette p’’e duje ricure (sacrusante, comme po se vedette!) date ô Napule (staggiona 2007/2008) contro â juventússa; ‘a tanno, quanno arbitra ‘o Napule, pe fa vedé ca nun stà abbaccato cu ‘e napulitane sisca sempe contro e ‘nzerra tutte ‘e dduje ll’uocchie e s’appila ‘e rrecchie... Ajere primma ‘e siscà ‘na punizziona a ffavore ‘e Lavezzi sistematicamente mazzuliato dê ‘nteriste ce penzaje seje vote... e ppo nun siscaje; ma ‘o capolavoro ‘o facette quanno annullaje a Campagnaro ‘a rredda ca fósse stata d’ ‘a sicurezza, rredda signata dô Toro ‘int’a ‘na ‘mbrugliata sotto porta ‘nterista e isso vedette n’ urzo ‘e cóse (fuorigioco) ca nun steva nè ‘ncielo, nè ‘nterra! Sperammo ca nun ce ‘o mannassero cchiú!
E nchiudimmola cca; se ne parla â prossima vota speranno ca ‘o Napule nun se sentesse appacato e nun se fermasse... P’ ‘o mumento gudimmoce ‘stu quinto posto.
Si dDi’ vo’ ce sentimmo. Staveti be’
R. Bracale Brak
domenica 26 febbraio 2012
PESCE SPATA FRIANTE Ô TIESTO
PESCE SPATA FRIANTE Ô TIESTO
chello ca serve pe 4 perzone
miezu kilò ‘e pesce spata tagliato a ffelle doppie dduje centimetre,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata,
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e ntretato,
‘nu túppeto ‘e prutusino lavato asciuttato e ntretato finu fino,
‘o zuco passato a culaturo (filtro) ‘e ‘nu limone ‘e Surriento,
dduje bicchiere ‘e vino janco asciutto,
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
sale duppio cunnito e ppepe janco macenato a ffrisco q.n. s.,
comme se fa:
Cu dduje cucchiare d’uoglio auntà (ungere) ‘na cummedità bbona p’ ‘o tiesto e derrammarve cepolla e aglio ammunnate e ntretate; lavà ‘e ffelle ‘e pesce, asciuttarle e sistimarle dint’â cummedità una vicina a ll’ata; salà, pepà e allegnà (condire) cu cquatto cucchiare d’uoglio e ‘nfonnere cu ‘o vino janco.
Cummiglià ‘a cummedità e mannarla dint’ô tiesto caudo a 200° pe diece minute. Sbattere dint’ a ‘na ciotola ll’uoglio rummaso cu ‘o zuco ‘e limone e ‘o prutusino ntretato. Sistimà ‘e ffelle ‘e pesce dint’ a ‘na sperlonga,allegnà cu ‘a sarzulella sbattuta e serví. Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e aggarbbatéve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
chello ca serve pe 4 perzone
miezu kilò ‘e pesce spata tagliato a ffelle doppie dduje centimetre,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata,
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e ntretato,
‘nu túppeto ‘e prutusino lavato asciuttato e ntretato finu fino,
‘o zuco passato a culaturo (filtro) ‘e ‘nu limone ‘e Surriento,
dduje bicchiere ‘e vino janco asciutto,
‘nu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
sale duppio cunnito e ppepe janco macenato a ffrisco q.n. s.,
comme se fa:
Cu dduje cucchiare d’uoglio auntà (ungere) ‘na cummedità bbona p’ ‘o tiesto e derrammarve cepolla e aglio ammunnate e ntretate; lavà ‘e ffelle ‘e pesce, asciuttarle e sistimarle dint’â cummedità una vicina a ll’ata; salà, pepà e allegnà (condire) cu cquatto cucchiare d’uoglio e ‘nfonnere cu ‘o vino janco.
Cummiglià ‘a cummedità e mannarla dint’ô tiesto caudo a 200° pe diece minute. Sbattere dint’ a ‘na ciotola ll’uoglio rummaso cu ‘o zuco ‘e limone e ‘o prutusino ntretato. Sistimà ‘e ffelle ‘e pesce dint’ a ‘na sperlonga,allegnà cu ‘a sarzulella sbattuta e serví. Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e aggarbbatéve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale
AÍZA, CA VENONO ‘E GGUARDIE
AÍZA, CA VENONO ‘E GGUARDIE
Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni.
Oggi la locuzione è usata quale pressante invito, nel tentativo di convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua sgradevole e sgradita presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge.
aíza =alza, tira su voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito aizà=alzare dal lat. volg. *altiàre denominale da altus; da *altiàre l’antico napoletano trasse un auzare/auzà→aizà come del resto altus diede auto donde con epentesi di una v eufonica, àvuto→àveto= alto;
gguardie plurale di guardia = qualsiasi rappresentante della forza (vigili municipali, agenti di polizia dello Stato, agenti delle carceri etc.) etimologicamente derivato attraverso l’identico portoghese guardia dal francone *wardon 'stare in guardia'; cfr. ted. warten 'custodire' e Warte 'vedetta'.
Raffaele Bracale
Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni.
Oggi la locuzione è usata quale pressante invito, nel tentativo di convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua sgradevole e sgradita presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge.
aíza =alza, tira su voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito aizà=alzare dal lat. volg. *altiàre denominale da altus; da *altiàre l’antico napoletano trasse un auzare/auzà→aizà come del resto altus diede auto donde con epentesi di una v eufonica, àvuto→àveto= alto;
gguardie plurale di guardia = qualsiasi rappresentante della forza (vigili municipali, agenti di polizia dello Stato, agenti delle carceri etc.) etimologicamente derivato attraverso l’identico portoghese guardia dal francone *wardon 'stare in guardia'; cfr. ted. warten 'custodire' e Warte 'vedetta'.
Raffaele Bracale
'A CHIERECA 'O PATE 'A LASSA Ê FIGLIE.
'A CHIERECA 'O PATE 'A LASSA Ê FIGLIE.
Ad litteram: La tonsura il padre la lascia (in eredità ) ai figli.
Id est: la professione, l'arte o mestiere esercitate da un genitore, solitamente passano dal padre ai figli che beneficiano anche della acquisita clientela del genitore, di talché quella professione, quell’arte o mestiere costituisce una vera e propria eredità, fonte di futuri guadagni.
Di per sé la voce chierica (piccola rasatura tonda che i membri di alcuni ordini religiosi portano o meglio, portavano fino a poco tempo fa come segno del proprio stato in cima al capo) usata nel proverbio in epigrafe è la tonsura, ma qui adombra in quanto segno evidente una qualsiasi arte e/o mestiere, in ispecie quelle esercitate in piazza (barbieri, falegnami e simili) in bottega o, estensivamente, quelle professioni per le quali si conduce uno studio (medici, avvocati etc.); va da sé che la voce chiereca adombra qualsiasi altra professione, arte o mestiere esercitata non solo in proprio, ma anche alle dipendenze, specialmente quando un genitore riesce con i suoi buoni uffici ad indirizzare il proprio figliuolo sulla propria strada lavorativa (quante mezze cartucce di giornalisti imperversano nei e sui media solo perché figli di penne e/o microfoni!) Etimologicamente la voce chiereca deriva dal lat. eccl. clerica(m) (tonsionem) '(tonsura) dei chierici';
pate =padre, genitore ma estensivamente anche antenato etimologicamente dritto per dritto dal nominat. lat. pate(r);
lassa =lascia, voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito lassà= lasciare, smettere di tenere, di sostenere, di stringere, dare in eredità, dal lat. laxare 'allargare, sciogliere', deriv. di laxus 'largo, allentato';
ê figlie = ai figli (maschi o maschi e femmine);in napoletano figlie è il plurale del masch. figlio; anche il femminile plurale della voce figlia è figlie,ma in unione all’articolo ‘e (le) o alla preposizione articolata ê (a+ ‘e= a+le=alle) comporta la geminazione della f iniziale dando ê ffiglie,(cosa che non avviene per il maschile ‘e/ ê figlie) per cui nella normale e tradizionale esposizione del proverbio in epigrafe si considerano ‘e figlie (i figli maschi o la totalità dei figliuoli, maschi e femmine); si fosse trovato scritto e detto ‘e ffiglie si sarebbe trattato esclusivamente delle figlie ( cioè delle femmine ); etimologicamente la voce figlio è dal lat. filiu(m), dalla stessa radice di fìmina 'femmina' e fecundus 'fecondo'.
Raffaele Bracale
Ad litteram: La tonsura il padre la lascia (in eredità ) ai figli.
Id est: la professione, l'arte o mestiere esercitate da un genitore, solitamente passano dal padre ai figli che beneficiano anche della acquisita clientela del genitore, di talché quella professione, quell’arte o mestiere costituisce una vera e propria eredità, fonte di futuri guadagni.
Di per sé la voce chierica (piccola rasatura tonda che i membri di alcuni ordini religiosi portano o meglio, portavano fino a poco tempo fa come segno del proprio stato in cima al capo) usata nel proverbio in epigrafe è la tonsura, ma qui adombra in quanto segno evidente una qualsiasi arte e/o mestiere, in ispecie quelle esercitate in piazza (barbieri, falegnami e simili) in bottega o, estensivamente, quelle professioni per le quali si conduce uno studio (medici, avvocati etc.); va da sé che la voce chiereca adombra qualsiasi altra professione, arte o mestiere esercitata non solo in proprio, ma anche alle dipendenze, specialmente quando un genitore riesce con i suoi buoni uffici ad indirizzare il proprio figliuolo sulla propria strada lavorativa (quante mezze cartucce di giornalisti imperversano nei e sui media solo perché figli di penne e/o microfoni!) Etimologicamente la voce chiereca deriva dal lat. eccl. clerica(m) (tonsionem) '(tonsura) dei chierici';
pate =padre, genitore ma estensivamente anche antenato etimologicamente dritto per dritto dal nominat. lat. pate(r);
lassa =lascia, voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito lassà= lasciare, smettere di tenere, di sostenere, di stringere, dare in eredità, dal lat. laxare 'allargare, sciogliere', deriv. di laxus 'largo, allentato';
ê figlie = ai figli (maschi o maschi e femmine);in napoletano figlie è il plurale del masch. figlio; anche il femminile plurale della voce figlia è figlie,ma in unione all’articolo ‘e (le) o alla preposizione articolata ê (a+ ‘e= a+le=alle) comporta la geminazione della f iniziale dando ê ffiglie,(cosa che non avviene per il maschile ‘e/ ê figlie) per cui nella normale e tradizionale esposizione del proverbio in epigrafe si considerano ‘e figlie (i figli maschi o la totalità dei figliuoli, maschi e femmine); si fosse trovato scritto e detto ‘e ffiglie si sarebbe trattato esclusivamente delle figlie ( cioè delle femmine ); etimologicamente la voce figlio è dal lat. filiu(m), dalla stessa radice di fìmina 'femmina' e fecundus 'fecondo'.
Raffaele Bracale
AJE VOGLIA ‘E METTERE RUMMA etc.
AJE VOGLIA ‘E METTERE RUMMA: ‘NU STRUNZO
NUN ADDIVENTA MAJE BBABBÀ
È inutile aggiungere rum, uno stronzo non diverrà mai un babà.
Id est: Per quanto tu tenti di edulcorarlo, uno stronzo non potrà mai diventare un dolce saporito come un babà; alla stessa stregua: per quanto lo si cerchi di migliorare, uno sciocco non potrà mai cambiare in meglio la propria natura;
aje voglia ‘e locuzione verbo-nominale, in uso anche nella lingua italiana nella valenza di insistere inutilmente in un tentativo: ài voglia a (o di) strillare, tanto non ti sente nessuno, per quanto tu possa strillare, non ti sentirà nessuno; anche ellittico: ài voglia!: è inutile;
mettere = mettere, porre, aggiungere, disporre collocare dal Lat. mittere 'mandare' e 'porre, mettere';
rumma = rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana rumma è coniata su quella inglese con una tipica paragoge, ma qui di una piena a finale (invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
addiventa =diventa voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito addiventà = divenire, venire a essere, trasformarsi in derivato dal lat. volg. ad+ *deventare, forma rafforzata (vedi prep. ad) di quella intensiva deventare del lat. devenire = divenire; da notare la particolarità che la voce verbale a margine (indicativo presente) è resa in italiano con il futuro, tempo che – quantunque esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani – è pochissimo usato, preferendogli un presente in funzione futura o altrove costruzioni del tipo aggi’ ‘a = devo da;
maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino magi(s)= piú con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale e al posto della i ;
babbà = babà tipico dolce partenopeo ( tuttavia non originario in quanto pare importato a Napoli, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, da pasticcieri francesi (chiamati a Napoli da Maria Carolina e richiesti a sua sorella Maria Antonietta)che l’avevano mutuato da dolcieri polacchi che s’ era portato dietro nel suo esilio parigino il re Stanislao Leszczinski, re di Polonia dal 1704 al 1735.e che una leggenda, priva di supporti storici, vuole inventore - per puro caso - del dolce ) di pasta soffice e lievitata, intrisa di uno sciroppo al rum. La voce napoletana, con tipico raddoppiamento espressivo della seconda labiale esplosiva, è dal fr. baba→babbà, che è dal polacco baba '(donna vecchia').
Raffaele Bracale
NUN ADDIVENTA MAJE BBABBÀ
È inutile aggiungere rum, uno stronzo non diverrà mai un babà.
Id est: Per quanto tu tenti di edulcorarlo, uno stronzo non potrà mai diventare un dolce saporito come un babà; alla stessa stregua: per quanto lo si cerchi di migliorare, uno sciocco non potrà mai cambiare in meglio la propria natura;
aje voglia ‘e locuzione verbo-nominale, in uso anche nella lingua italiana nella valenza di insistere inutilmente in un tentativo: ài voglia a (o di) strillare, tanto non ti sente nessuno, per quanto tu possa strillare, non ti sentirà nessuno; anche ellittico: ài voglia!: è inutile;
mettere = mettere, porre, aggiungere, disporre collocare dal Lat. mittere 'mandare' e 'porre, mettere';
rumma = rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana rumma è coniata su quella inglese con una tipica paragoge, ma qui di una piena a finale (invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
addiventa =diventa voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito addiventà = divenire, venire a essere, trasformarsi in derivato dal lat. volg. ad+ *deventare, forma rafforzata (vedi prep. ad) di quella intensiva deventare del lat. devenire = divenire; da notare la particolarità che la voce verbale a margine (indicativo presente) è resa in italiano con il futuro, tempo che – quantunque esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani – è pochissimo usato, preferendogli un presente in funzione futura o altrove costruzioni del tipo aggi’ ‘a = devo da;
maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino magi(s)= piú con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale e al posto della i ;
babbà = babà tipico dolce partenopeo ( tuttavia non originario in quanto pare importato a Napoli, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, da pasticcieri francesi (chiamati a Napoli da Maria Carolina e richiesti a sua sorella Maria Antonietta)che l’avevano mutuato da dolcieri polacchi che s’ era portato dietro nel suo esilio parigino il re Stanislao Leszczinski, re di Polonia dal 1704 al 1735.e che una leggenda, priva di supporti storici, vuole inventore - per puro caso - del dolce ) di pasta soffice e lievitata, intrisa di uno sciroppo al rum. La voce napoletana, con tipico raddoppiamento espressivo della seconda labiale esplosiva, è dal fr. baba→babbà, che è dal polacco baba '(donna vecchia').
Raffaele Bracale
A CRAJE A CRAJE COMME Â CURNACCHIA.
A CRAJE A CRAJE COMME Â CURNACCHIA.
Letteralmente: a crai, a crai come una cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia e la parola latina cras che in napoletano suona craje e che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non à seria intenzione di lavorare .
craje = domani avv. di tempo derivato dal latino cras; Cosí a Napoli si suole rispondere a chi faccia le viste di voler rimandare ad un non meglio precisato domani (craje←cras) i suoi obblighi ed i suoi adempimenti, laddove sarebbe tenuto ad un rapido adempimento di quanto dovuto. A chi, interrogato sul quando avrebbe intenzione di tener fede al promesso, dovesse rispondere con un latineggiante: “Cras, cras” nel chiaro intento di procrastinare sine die il suo obbligo, gli si può opporre la locuzione in epigrafe per indurlo a tener fede al suo dovere.
Trovandomi a dire di cras, continuo a parlare di tempo ricordando che una volta in napoletano oggi si disse con derivazione dal lat. hodie, oje; epperò taluni sprovveduti scrittori partenopei usarono impropriamente questo termine oje al posto del vocativo oj (ehi!); per la verità il termine oje è un termine ormai in disuso e viene usato il piú italianizzato ogge, ma un tempo era usatissimo come usati erano i termini che seguono tutti oggi desueti, abbandonati e non sostituiti o sostituiti usando i termini dell’italiano pronunciati sciattamente per conferir loro una qualche veste di napoletanità, ma falsa come e piú di Giuda
craje = domani dal lat. cras; oggi indegnamente si usa un raffazzonato dimane che scimmiotta l’italiano domani;
piscraje= dopodomani dal latino biscras; oggi invece si usa un raffazzonato doppodimane che scimmiotta l’italiano dopodomani
pescrille/ pescrigno = tra tre giorni;oggi si usa : ‘nfra tre gghiuorne; pescrillo è dal latino post tres ille=dopo tre di quei(giorni);pescrigno = tra tre giorni o meglio: dopo quel domani piú lontano da un acc. lat. volg. post crineu(m)←cras+ineu(m) questo ineu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo piú lontano;
pescruozzo=tra quattro giorni da un acc. lat. volg. post croceu(m)←cras+oceu(m) questo oceu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo molto lontano; oggi: ‘nfra quatte juorne
jesterza = l’altro ieri per l’etimo occorre partire dalla base dell’aggettivo latino “hesternus” (= giorno di ieri, della vigilia) , che mostra un suffisso “-nus” frequente nella formazione dei temi nominali, per modo che facilmente si è potuto forgiare un composto aggettivale femminile hester-tertia dies che –soggetto poi ad aplologia(caduta sillabica per similitudine totale o parziale rispetto alla sillaba vicina: cfr. ad es.qualche cosa→qualcosa; mineralo-logia → mineralogia,cavalli leggeri→ cavalleggeri
ecc. Nel lemma in esame, caduto un “-ter-” per la stretta contiguità di “-ster- si è sfociati in hestertia→jesterza = “il terzo giorno a ritroso” rispetto a quello di partenza, fondamentale per il conteggio della distanza temporale da ricavare arretrando: “ieri l’altro”, cioè “il terzo giorno (non “da ieri”, ma) di ieri…; oggi si usa in luogo di jesterza il raffazzonato ll’autrjere che scimmiotta l’italiano l’altro ieri.
Oggi purtroppo,come ò anticipato si usano nell’imbastardito, imbarbarito napoletano corrente termini italianizzati come ogge invece di oje, dimane invece di craje, doppodimane,e cosí via e non facendo piú progetti a lunga scadenza, non parliamo proprio del terzo giorno antecedente né del terzo giorno dopo, né ovviamente del quarto giorno dopo! Che tristezza! Povero napoletano!
comme= come, allo stesso modo, alla medesima maniera avv. modale e preposizione impropria dal latino quo-mo abbreviazione di quo-modo; normale, come popolare il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale m; quanto alla prep. art. â che segue comme cfr. alibi;
curnacchia = cornacchia: grosso uccello simile al corvo, ma con becco più grosso e incurvato all’estremità; sost. femm. derivato dal lat. volg. *cornacula(m), per il class. cornicula(m), dim. di cornix -icis 'cornacchia'.
Raffaele Bracale
Letteralmente: a crai, a crai come una cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia e la parola latina cras che in napoletano suona craje e che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non à seria intenzione di lavorare .
craje = domani avv. di tempo derivato dal latino cras; Cosí a Napoli si suole rispondere a chi faccia le viste di voler rimandare ad un non meglio precisato domani (craje←cras) i suoi obblighi ed i suoi adempimenti, laddove sarebbe tenuto ad un rapido adempimento di quanto dovuto. A chi, interrogato sul quando avrebbe intenzione di tener fede al promesso, dovesse rispondere con un latineggiante: “Cras, cras” nel chiaro intento di procrastinare sine die il suo obbligo, gli si può opporre la locuzione in epigrafe per indurlo a tener fede al suo dovere.
Trovandomi a dire di cras, continuo a parlare di tempo ricordando che una volta in napoletano oggi si disse con derivazione dal lat. hodie, oje; epperò taluni sprovveduti scrittori partenopei usarono impropriamente questo termine oje al posto del vocativo oj (ehi!); per la verità il termine oje è un termine ormai in disuso e viene usato il piú italianizzato ogge, ma un tempo era usatissimo come usati erano i termini che seguono tutti oggi desueti, abbandonati e non sostituiti o sostituiti usando i termini dell’italiano pronunciati sciattamente per conferir loro una qualche veste di napoletanità, ma falsa come e piú di Giuda
craje = domani dal lat. cras; oggi indegnamente si usa un raffazzonato dimane che scimmiotta l’italiano domani;
piscraje= dopodomani dal latino biscras; oggi invece si usa un raffazzonato doppodimane che scimmiotta l’italiano dopodomani
pescrille/ pescrigno = tra tre giorni;oggi si usa : ‘nfra tre gghiuorne; pescrillo è dal latino post tres ille=dopo tre di quei(giorni);pescrigno = tra tre giorni o meglio: dopo quel domani piú lontano da un acc. lat. volg. post crineu(m)←cras+ineu(m) questo ineu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo piú lontano;
pescruozzo=tra quattro giorni da un acc. lat. volg. post croceu(m)←cras+oceu(m) questo oceu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo molto lontano; oggi: ‘nfra quatte juorne
jesterza = l’altro ieri per l’etimo occorre partire dalla base dell’aggettivo latino “hesternus” (= giorno di ieri, della vigilia) , che mostra un suffisso “-nus” frequente nella formazione dei temi nominali, per modo che facilmente si è potuto forgiare un composto aggettivale femminile hester-tertia dies che –soggetto poi ad aplologia(caduta sillabica per similitudine totale o parziale rispetto alla sillaba vicina: cfr. ad es.qualche cosa→qualcosa; mineralo-logia → mineralogia,cavalli leggeri→ cavalleggeri
ecc. Nel lemma in esame, caduto un “-ter-” per la stretta contiguità di “-ster- si è sfociati in hestertia→jesterza = “il terzo giorno a ritroso” rispetto a quello di partenza, fondamentale per il conteggio della distanza temporale da ricavare arretrando: “ieri l’altro”, cioè “il terzo giorno (non “da ieri”, ma) di ieri…; oggi si usa in luogo di jesterza il raffazzonato ll’autrjere che scimmiotta l’italiano l’altro ieri.
Oggi purtroppo,come ò anticipato si usano nell’imbastardito, imbarbarito napoletano corrente termini italianizzati come ogge invece di oje, dimane invece di craje, doppodimane,e cosí via e non facendo piú progetti a lunga scadenza, non parliamo proprio del terzo giorno antecedente né del terzo giorno dopo, né ovviamente del quarto giorno dopo! Che tristezza! Povero napoletano!
comme= come, allo stesso modo, alla medesima maniera avv. modale e preposizione impropria dal latino quo-mo abbreviazione di quo-modo; normale, come popolare il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale m; quanto alla prep. art. â che segue comme cfr. alibi;
curnacchia = cornacchia: grosso uccello simile al corvo, ma con becco più grosso e incurvato all’estremità; sost. femm. derivato dal lat. volg. *cornacula(m), per il class. cornicula(m), dim. di cornix -icis 'cornacchia'.
Raffaele Bracale