giovedì 31 maggio 2012
VARIE 1879
1.JÍ Ô BATTESIMO, SENZA CRIATURA.
Recarsi a battezzare un bimbo senza portarlo... - Cioè comportarsi in maniera decisamente errata, mettendosi nella situazione massimamente avversa all'opera che si vorrebbe intraprendere.
2.PARE CA S''O ZUCANO 'E SCARRAFUNE...
Sembra che se lo succhino gli scarafaggi.- È detto di persona cosí smunta e rinsecchita da sembrar che abbia perduto la propria linfa vitale preda degli scarafaggi, notoriamente avidi di liquidi.
3.ABBRUSCIÀ 'O PAGLIONE...
Incendiare il pagliericcio - Cioè darsi alla fuga, alla latitanza, lasciando dietro di sé terra bruciata, dandosi alla fuga come facevano le truppe sconfitte che incendiavano i propri accampamenti, distruggendoli per non lasciare alcunché nelle mani dei sopravvenienti eserciti vittoriosi..L’espressione in senso più ampio è usata infatti per significare: procurare un danno definitivo.
4.OGNE SCARRAFONE È BBELLO A MMAMMA SOJA...
Ogni blatta(per schifosa che sia)è bella per la sua genitrice - Ossia: per ogni autore la sua opera è bella e meritevole di considerazione.
5.S’È AUNITO, ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO A TIRITEPPE…
Si sono uniti lo spago corto e la trottolina scentrata - Cioè si è verificata l'unione di elementi negativi che compromettono la riuscita di un'azione... Tale espressione è usata quando si voglia fotografare una situazione nella quale concorrano due iatture, come ad esempio nel caso di una persona incapace ed al contempo sfaticata o di un artigiano poco valente fornito, per giunta, di ferri del mestiere inadeguati, rammentando un famoso modo di dire che afferma che sono i ferri ca fanno ‘o masto e cioè che un buono aretiere è quello che posside buoni ferri...o magari – per concludere quando concorrono un professore eccessivamente severo ed un alunno parimenti svogliato.
6.CHI SAGLIE ‘NCOPP’Ê CCORNA ‘E CHILLO, PO’ DÀ ‘A MANO Ô PATATERNO.
Chi si inerpica sulle corna di quello, può stringer la mano al Signore -(tanto sono alte...)- Espressione iperbolica usata con riferimento ad un uomo molto tradito dalla moglie.
7.QUANNO 'O DIAVULO TUĴO JEVA Â SCOLA, 'O MIO ERA MASTO ‘E SCOLA.
Quando il tuo diavolo era scolaro, il mio era maestro - Cioè: non credere di essermi superiore in intelligenza e/o perspicacia perché ti sopravanzo e nell’una e nell’altra!
8.'O CANE MOZZECA Ô STRACCIATO.
Il cane morde l’individuo che vesta dimesso - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
9.TRE SONGO 'E PUTIENTE:'O PAPA, 'O RRE E CHI NUN TÈNE NIENTE...
Tre sono i potenti della terra:il papa, il re e chi non possiede nulla. In effetti il papa è la massima autorità in campo religioso/morale, il re lo è in campo politico/amministrativo ed il nullatenente che non può avere richieste di aiuti né può temere d’essere derubato lo è nel campo sociale.
10.'A FESSA È GGHIUTA 'MMANO Ê CRIATURE, 'A CARTA 'E MUSICA 'MMANO Ê BBARBIERE, 'A LANTERNA 'MMANO Ê CECATE...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
11.S' À DDA JÍ A DD' 'O PATUTO, NO A DD' 'O MIEDECO.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi à patito una malattia(e ne à esperienza) non dal medico - Cioè:la pratica val piú della grammatica.
12.AÚRIO SENZA CANISTO, FA' VEDÉ CA NUN L'HÊ VISTO.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre accompagnare i fatti.
13.Ô PIRCHIO PARE CA 'O CULO LL'ARROBBA 'A PETTULA...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
14.CHI FATICA'NA SARÀCA, CHI NUN FATICA, 'NA SARÀCA E MMEZA.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
15.'A MAMMA D''E FESSE È SEMPE INCINTA.
L a mamma degli sciocchi è sempre incinta - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
Brak
VARIE 1878
1.SI 'A FATICA FOSSE BBONA, 'A FACESSERO 'E PRIEVETE.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente). Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
2.AVIMMO CASSATO N' ATU RIGO 'A SOTT' Ô SUNETTO.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni già di per sè non abbondanti...
3.HÊ VIPPETO VINO A UNA RECCHIA.
Ài bevuto vino ad una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare, nell’inteso comune che il vino buono sia quello che faccia reclinare la testa in avanti. L’espressione è usata per sottolineare i pessimi risultati di chi à agito dopo di aver bevuto vino scadente.
4.PURTÀ 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
5.'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE ‘NU PURTONE O 'NA FENESTA.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portone o una finestra - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
6.NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E SFOTTERE Ô BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si erge ad ipercritico e spaccone.
7.È GGHIUTO 'O CASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
8.À FATTO MARENNA A SARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
9.FÀ LL'ARTE 'E MICHELASSO: MAGNÀ, VEVERE E GGHÍ A SPASSO.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
10.SO' GGHIUTE 'E PRIEVETE 'NCOPP'Ô CAMPO
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:i preti erano costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...e determinando un procedere caotico. L’Icastica espressione è usata a commento di situazioni in cui regnino disordine, baraonda, scompiglio, soqquadro.
11.NUN VULÈ NÈ TTIRÀ, NÈ SCURTECÀ...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità,rifuggere da ogni impegno come accadeva con taluni operai conciatori di pelle quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla loro scuoiatura.
12.ACCUNCIARSE QUATT' OVE DINTO A 'NU PIATTO.
Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...).
13.FARSE 'NU PURPETIELLO.
Bagnarsi fino alle ossa come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
14.JÍ A PPÈRE 'E CHIUMMO.
Andare con i piedi di piombo - Cioè: con attenzione e cautela.
15.TENÉ'A SCIORTA 'E MARIA VRENNA.
Avere la sorte di Maria di Brienne - Cioè:perder tutti propri beni ed autorità come accadde a Maria di Brienne sfortunata consorte di Ladislao di Durazzo, ridotta alla miseria alla morte del coniuge (1414) dalla di lui sorella Giovanna II che,succedutagli sul trono, si impossessò di tutti i beni, anche di quelli personali della vedova di Ladislao la quale fu esautorata in tutto, privandola del prestigio, della stima, del credito,della considerazione prestigio,nonché delle competenze precedentemente esercitate.
Brak
VARIE 1877
1.CHIJARSELA A LIBBRETTA.
Letteralmente:piegarsela a libretto. È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non lo si possa fare stando comodamente seduti al tavolo servendosi di piatto e posate e si sia costretti a mangiare stando in piedi. In tal caso si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento. L’espressione in senso traslato vale accettare obtorto collo, far per necessità buon viso a cattivo gioco.
2.VENNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO.
Letteralmente:Vendere una grossa insalatiera presentandola come un secchiello.Figuratamente e sarcasticamente la locuzione viene adoperata nei confronti di chi decanti la nettezza dei costumi di una donna che invece è stata notoriamente conosciuta biblicamente da parecchi.
3.'E SÀBBATO, 'E SÚBBETO E SENZA PREVETE!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
4.A PPESIELLE NE PARLAMMO.
Letteralmente: Parliamone al tempo dei piselli -(quando cioè avremo incassato i proventi della raccolta e potremo permetterci nuove spese...) Id est: Rimandiamo tutto a tempi migliori.
5.JÍ CERCANNO OVA 'E LUPO E PIETTENE 'E QUINNICE.
Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose introvabili o impossibili; nulla quaestio per le uova di lupo che è un mammifero per ciò che concerne i pettini bisogna sapere che un tempo i piú conosciuti nel popolo, oltre quelli usati per ravviarsi i capelli, erano i pettini dei cardalana e tali attrezzi non contavano mai piú di tredici denti...
6.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, TÈNE BBONI CCOSCE...
Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli conseguenti del proprio cattivo intendere.
7.METTERE 'O PPEPE 'NCULO Â ZÒCCOLA.
Letteralmente:introdurre pepe nel deretano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora si navigava, capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci solcassero i mari grossi topi, che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero (spezia che avevano abbondantemente a portata di mano in quanto presente tra quelle trasportate come beni da importazione) nell'ano delle bestie, poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa, gode ad attizzare il fuoco della discussione...
8.PURE 'E PULICE TENONO 'A TOSSE...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere.
9.DICE BBUONO 'O DITTO 'E VASCIO QUANNO PARLA DELLA DONNA: UNA BBONA CE NE STEVA E 'A FACETTERO MADONNA...
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile e da cui guardarsi. - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'Mparaviso del grande poeta Ferdinando Russo
10.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi.
11.JAMMO, CA MO S'AIZA!
Muoviamoci, ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per un avviso generico sull'imminenza di una qualsiasi attività.
12.CHELLO È BBELLO 'O PRUTUSINO, VA 'A GATTA E CE PISCIA A COPPA...
Ad litteram: Il prezzemolo è bello, poi la gatta vi minge su; espressione ironica da intendersi:Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...L’espressione cosí come formulata con l’aggettivo bello, parrebbe sostanziare un fatto o dote positiva, ma trattandosi di un’espressione ironica se non sarcastica essa deve essere lètta in senso antifrastico cioè negativo di talché il bello va inteso brutto
13.QUANNO VIDE 'O FFUOCO Â CASA 'E LL'ATE, CURRE CU LL'ACQUA Â CASA TOJA...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura, che potrebbe colpirti nello stesso momento.
14.GIORGIO SE NE VO’ JÍ E 'O VESCOVO N' 'O VO’ CACCIÀ.
Giorgio intende andar via ed il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione mutuata da una farsa pulcinellesca fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
15.FA MMIRIA Ô TRE 'E BASTONE.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio.
Brak
VARIE 1876
1.METTERE LL'UOGLIO 'A COPP' Ô PERETTO.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura (sia in senso positivo che – piú spesso – in senso negativo). La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile ed inutile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di qualcuno che, richiesto d'aiuto, abbia invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
2.QUANNO JESCE 'A STRAZZIONA, OGNE FFESSO È PRUFESSORE...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
3.'A MONECA 'E CHIANURA:MUSCIO NUN 'O VULEVA MA TUOSTO LE FACEVA PAURA...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane). La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...
4.FÀ 'E SCARPE A UNO E COSERLE 'NU VESTITO.
Letteralmente:confezionare scarpe ad uno e cucirgli un vestito.Id est: far grave danno a qualcuno o augurargli di decedere.Un tempo alla morte di qualcuno gli si metteva indosso un abito nuovo e gli si facevano calzare scarpe approntate a bella posta.
5.TIENE 'A CASA A DDOJE PORTE.
Letteralmente: Ài la casa con due porte d'ingresso.Locuzione ingiuriosa in cui si adombra l'infedeltà della moglie di colui cui la frase viene rivolta.In effetti la casa con due usci d'ingresso consentirebbe l'entrata e l'uscita del marito e dell'amante senza che i due venissero a contatto.
6.FÀ ACQUA 'A PIPPA. Letteralmente: la pipa fa acqua; id est: la miseria incombe, ci si trova in grandi ristrettezze.Icastica espressione con la quale si suole sottolineare lo stato di grande miseria in cui versa chi sia il titolare di questa pipa che fa acqua. Sgombro subito il campo da facili equivoci: con la locuzione in epigrafe la pipa, strumento atto a contenere il tabacco per fumarlo, non ha nulla da vedere; qualcuno si ostina però a vedervi un nesso e rammentando che quando a causa di un cattivo tiraggio, la pipa inumidisce il tabacco acceso impedendogli di bruciare compiutamente, asserisce che si potrebbe affermare che la pipa faccia acqua. Altri ritengono invece che la pipa in questione è quella piccola botticella spagnola nella quale si conservano i liquori, botticella che se contenesse acqua starebbe ad indicare che il proprietario della menzionata pipa sarebbe cos í povero, da non poter conservare costosi liquori, ma solo economica acqua. Mio avviso è che la pippa in epigrafe sia qualcosa di molto meno casto e della pipa del fumatore, e di quella del beone spagnolo e stia ad indicare, molto pi ú prosaicamente il membro maschile che laddove, per sopravvenuti problemi legati all’ età o altri malanni, non fosse pi ú in grado di sparger seme si dovrebbe contentare di emettere i liquidi scarti renali, esternando cos í la sua sopravvenuta miseria se non economica, certamente funzionale.
7.SANT'ANTUONO, SANT' ANTUONO TECCOTE 'O VIECCHIO E DAMME 'O NUOVO E DAMMILLO FORTE FORTE, COMME Â VARRA 'E ARRETO Â PORTA...
Sant' Antonio, sant' Antonio eccoti il vecchio e dammi il nuovo, e dammelo forte, forte come la stanga di dietro la porta. La filastrocca veniva recitata dai bambini alla caduta di un dente, anche se non si capisce perché si invochi sant' Antonio, che poi non è il santo da Padova, ma è il santo anacoreta egizio.
8.FACESSE 'NA CULATA E ASCESSE 'O SOLE!
Letteralmente: Facessi un bucato e spuntasse il sole!Id est: avessi un po' di fortuna...La frase viene profferita con amarezza da chi veda il proprio agire vanificato o per concomitanti contrari avvenimenti o per una imprecisata sfortuna che ponga il bastone tra le ruote, come avverrebbe nel caso ci si sia dedicati a fare il bucato e al momento di sciorinarlo ci si trovi a doversi adattare ad una giornata umida e senza sole ,cosa che impedisce l'ascigatura dei panni lavati. 'a culata è appunto il bucato ed è detto colata per indicare il momento della colatura ossia del versamento sui panni, sistemanti in un grosso capace contenitore,dell'acqua bollente fatta colare sui panni attraverso un telo sul quale , temporibus illis, era sistemata la cenere ricca di per sé di soda(in sostituzione di chimici detergenti), e pezzi di arbusti profumati(per conferire al bucato un buon odore di pulito)...
9.CARTA VÈNE E GGHIUCATORE S'AVANTA...
La sorte lo soccorre fornendoglii carte buone che gli permettono di vincere, ed il giocatore se ne vanta, come se il merito della vittoria fosse da attribuire alla sua abilità e non alla fortuna di aver avuto un buon corredo di carte vincenti. La locuzione è usata per commentare l'eccessiva autoesaltazione di taluni che voglion far credere di essere esperti e capaci, laddove son solo fortunati!
10.'A FEMMENA È 'NU VRASIERE, CA S'AUSA SULO Â SERA.
La donna è un braciere che si usa solo di sera. Locuzione violentemente antifemminista che riduce la donna ad un dispensatore di calore da usare però parsimoniosamente solo a sera, nel letto
11.AMMORE, TOSSE E RROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare:ànno manifestazioni troppo palesi.
12.PARONO 'O SERVEZIALE E 'O PIGNATIELLO.
Sembrano il clistere e il pentolino. La locuzione viene usata per indicare due persone che difficilmente si separano, come accadeva un tempo quando i barbieri che erano un po' anche cerusici,chiamati per praticare un clistere si presentavano recando in mano l'ampolla di vetro atta alla bisogna ed un pentolino per riscaldarvi l'acqua occorrente...
13.QUANNO CHIOVONO PASSE E FICUSECCHE.
Letteralmente: quando piovono uva passita e fichi secchi - Id est: mai. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare l'impossibilità di un accadimento che si pensa possa avverarsi solo quando dal cielo piovano leccornie, cosa che avvenne una sola volta quando il popolo ebraico ricevette il dono celeste della manna...
14.CHI ATO NUN TÈNE, SE COCCA CU 'A MUGLIERA...
Chi non à altre occasioni, si accontenta di sua moglie, id est:far di necessità virtú.
15.NUN SPUTÀ 'NCIELO CA 'NFACCIA TE TORNA!
Non sputare verso il cielo, perché ti ricadrebbe in volto! Id est: le azioni malevole fatte contro la divinità, ti si ritorcono contro.
Brak
VARIE 1875
1.JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andare stoccafisso e ritornare baccalà. La locuzione viene usata quando si voglia commentare negativamente il comportamento di qualcuno la cui un'azione non produce mai risultati apprezzabili.In effetti sia che lo si secchi ed affumichi (stoccafisso), sia che lo si sali(baccalà)- il merluzzo (donde si ricavano e lo stoccafisso e il baccalà) si appalesa la povera cosa che è.
2.ESSERE LL'URDEMU LAMPIONE 'E FOREROTTA.
Letteralmente:essere l'ultimo fanale di Fuorigrotta. Id est: Non contare nulla, non servire a niente, non valere alcunché. La locuzione prese piede verso la fine dell' '800 quando l'illuminazione stradale napoletana era fornita da fanali a gas in numero di 666; l'ultimo lampione (fanale) contraddistinto appunto col numero 666 era situato nel quartiere di Fuorigrotta, zona limitrofa di Napoli, per cui détto fanale veniva acceso per ultimo, quando già splendevano le prime luci dell' alba e la di lui utilità veniva ad essere molto limitata, se non addirittura mancante.
3.JÍ TRUVANNO A CRISTO DINTO A LA PINA.
Letteralmente: cercare Cristo nella pigna. Id est:impegnarsi in una azione difficoltosa,lunga e faticosa destinata a non aver sempre successo. Anticamente il piccolo ciuffetto a cinque punte che si trova sui pinoli freschi era detto manina di Cristo, andarne alla ricerca comportava un lungo lavorio consistente in primis nell'arrostimento della pigna per poi cavarne gli involucri contenenti i pinoli, procedere alla loro frantumazione e giungere infine all'estrazione dei pinoli contenuti;spesso però i singoli contenitori risultavano vuoti e di conseguenza la fatica sprecata.
4.QUANNO TE MIETTE 'NCOPP' A DDOJE SELLE, APPRIMMA O DOPPO VAJE CU 'O CULO 'NTERRA.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio
5.'E FATTE D' 'A TIANA 'E SSAPE 'A CUCCHIARA.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza.
6.SENZA D’'E FESSE NUN CAPANO 'E DERITTE
Senza gli sciocchi, non vivono i dritti. Id est: i furbi prosperano perché c'è chi glielo permette, non per loro forza intrinseca.
7.NUN FÀ PÍRETE A CHI TENE CULO, NUN DÀ PONIE A CCHI TÈNE MANE!
Non fare scorregge contro chi à sedere, non dar pugni a chi à mani. Id est: Non metterti contro chi à mezzi adeguati e sufficienti per risponderti per le rime...
8.QUANNO 'O PIRO È AMMATURO, CADE SENZA TURCETURO.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone. IL turceturo è un bastone uncinato atto a pigare il ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere.
9.JIRSENE A CASCETTA(TE NE VAJE A CASCETTA!).
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone: il posto piú alto, ma anche il piú scomodoe il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
10. CASA D' 'O FERRARO, 'O SPITO 'E LIGNAMMO...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata professionalità ci si attenderebbero (dalle loro azioni), risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
11. PIGLIATÉLLA BBELLA E CÓCCATE PE TTERRA.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie comporta danno e sofferenze.
12. ABBACCÀ CU CHI VENCE.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
13.QUANNO 'A CUNNIMMA È PPOCA, SE NE VA P' 'A TIELLA.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
14.A LLU FRIJERE SIENTE 'ADDORE!
ALLU CAGNO,SIENTE 'O CHIANTO!.
Letteralmente: “Al momento di friggere sentirai l'odore!”
“Al momento del cambio, piangerai!”. Questo il fatto: Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete un pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per rime dicendogli che al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non intende di esser stato ripagato con medesima moneta...
15.VOCA FORA CA 'O MARE È MARETTA...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere.
Brak
mercoledì 30 maggio 2012
VARIE 1874
1.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.
Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla.
2.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.
3.TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A DO' 'E CCACCE?
Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali affari. E' da ricordare anche che il termine GLIUOMMERO (gomitolo)indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento.
4.MENARSE DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia.
5.CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE.
Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso
6.LASSA CA VA A FFUNNO 'O BASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRENO 'E ZZOCCOLE.
Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi.
7.NCE VONNO CAZZE 'E VATECARE PE FFÀ FIGLIE CARRETTIERE
Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma...
8.SI MINE 'NA SPORTA 'E TARALLE 'NCAPO A CCHILLO, NUN NE VA MANCO UNO 'NTERRA
Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna.
9.MUNTAGNE E MUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO.
Letteralmente: le montagne non si scontrano con le proprie simili. È una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili...
10.FACCIA 'E TRENT'ANNE 'E FAVE.
Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze.
11.SPARÀ A VVRENNA.
Letteralmente: sparare a crusca. Id est: minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati. L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si esercitava.
12.'E SCIABBULE STANNO APPESE E 'E FODERE CUMBATTONO.
Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con risultati chiaramente inferiori alle attese.
Brak
VARIE 1873
1.'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche.
2.AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA.
Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; non viene meno la vera amicizia per futili motivi.
3.TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura.
4.TRE CCALLE E MMESCÀMMECE.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui, che vuol sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di calle. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui.
5.CHI SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
6.TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
7.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri!
8. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, viaggiatore inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
9.FÀ COMME A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
10.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO.
Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta cosí massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto.
Brak
LISCEBBUSSO/LISCIABBUSSO
LISCEBBUSSO/LISCIABBUSSO
Questa volta, su sollecitazione d’un anonimo frequentatore di questo mio BLOG mi soffermo a parlare delle voci in epigrafe o meglio del sostantivo liscebbusso riportato anche con una piccola variante morfologica, voce che appartiene anche ai linguaggi siculi e calabresi ( dove è liscibussu/liscebusso);
Ora sia che si tratti di liscebbusso o lisciabbusso o anche liscibussu/liscebusso la parola vale sempre rabbuffo e poi ramanzina molto energica, strapazzata, paternale, rampogna, sgridata fino a giungere estensivamente anche a solenne bastonatura.
Prima di addentrarmi su etimo e semantica della parola in epigrafe faccio notare che essendo attestata nel parlato di napoletani, calabresi e siciliani (ma non mi stupirei di ritrovarla anche sulla bocca di pugliesi e lucani) è fuor di dubbio che la voce sia nata nel meridione d’Italia, quantunque sul web mi è occorso di leggere testualmente di un giornalista e cioè tal Sergio Di Giorgi che non mi risulta essere un meridionale, ma non chiedetemi di piú : personalmente "lisciabusso" lo uso e lo sento usare in contesto italiano col significato di "aspro rimprovero, strigliata. Se dunque è degno di fede tale Di Giorgi, comincio a sospettare che la voce meridionale liscebusso/lisciabusso sia usata non solo nel meridione, ma anche altrove e non farà meraviglia se prima o poi finirà per essere accolta nella lingua nazionale come già sta accadendo per il verbo partenopeo rizelare/rizelarsi = adontarsi (vedi alibi) e come da lunga pezza è avvenuto per voci quali: guaglione,guappo, vongola,scarola, sfogliatella, camorra etc.tutte voci in origine del napoletano, poi trasmigrate nell’italiano.
Ciò détto entro in medias res circa l’etimo e la semantica della voce a margine.
È fuor di dubbio e me lo confermano quei pochi vocabolaristi napoletani (Altamura, D’Ascoli, Malato,de Falco) che prendono in considerazione la voce (quantunque nessuno di essi, con mia somma meraviglia, azzardi un’idea o un percorso semantico...) è fuor di dubbio dicevo che la voce sia mutuata dal linguaggio dei giocatori di tressette (antichissimo giuoco di carte nato nel Reame (1700 circa cfr. Chitarrella, prete napoletano che nel 1750 pubblicò la prima edizione di un suo trattatello, scritto in latino e poi tradotto in napoletano, con le regole del mediatore, del tressette e dello scopone. ) e dal Reame diffusosi non solo in Italia ma anche in altre aree geografiche come in Croazia (dove si gioca nelle aree costiere e sulle isole con il nome croato di trešeta(palese adattamento di tressette), utilizzando carte triestine), in Slovenia ed in altre nazioni dove la sua diffusione fu dovuta per lo piú o alla presenza di comunità di immigrati originarie dei paesi dove il gioco è praticato, o piú anticamente ad opera di marinai e/o pescatori napoletani o della provincia partenopea). Rammenterò, per quei pochi che non lo conoscessero e per poter illustrare l’origine della voce in esame ,che nel predetto giuoco la carta con il maggior valore (1 punto) è l’asso, mentre tutte le figure e le carte ad esse equiparate (2 e 3) valgono solo 1/3 di punto cadauna e che l’asso pur di valore superiore, può esser catturato o dal 2 o dal 3; rammenterò altresí che a malgrado si dica che il giuoco del tressette ( che per incidens, à tale nome perché in origine per vincere la partita occorreva vincere tre mani totalizzando in ognuna sette punti: tre per sette = ventuno che sono i punti necessari per vincere la partita...giocata con le regole di base e senza sciocchi arzigogoli quali i punti di accussa che vengono assegnati, in aggiunta a quelli lucrati sul campo, a quei giocatori in possesso delle carte migliori. Questa faccenda di assegnare punteggi aggiuntivi a chi abbia già carte buone, anzi buonissime, se non migliori mi pare una delle cose piú stupide che si possa pensare o ideare; mi spiego: un giocatore per sua buona sorte ( e dico buona sorte per parlare eufemisticamente... in luogo di mazzo o culo...) è già in possesso di carte che gli assicureranno numerose prese e forse quasi certamente la vittoria finale,invece di comminargli un punteggio di handicap, gli si assegna ad abundantiam un punteggio suppletivo. Non ci siamo! È una faccenda stupida che mi à fatto non amare il tressette e preferirgli lo scopone scientifico... Ma questo è un altro paio di maniche...; torniamo a bomba. ) Dicevo che a malgrado si dica che il giuoco del tressette sia stato ideato da muti, oggi nel corso della partita si parla e talvolta anche eccessivamente... In effetti in origine ai giocatori era consentito segnalare al proprio compagno ed ovviamente a gli avversari, il possesso di alcune carte, solamente con dei segni ed ugualmente solo con dei segni si poteva chiedere al compagno di rispondere alla giocata con una determinata carta (ad es.: bussare una volta sul tavolo con le nocche delle dita equivale a dire: sono in possesso del tre del seme che sto per giocare: bussare due volte sul tavolo con le nocche delle dita equivale a dire: sono in possesso del due del seme che sto per giocare; strisciare o lisciare piú o meno ripetutamente una carta e súbito dopo bussare una volta equivale a dire: sono in possesso dell’asso del seme che sto per giocare; A seconda poi delle volte che si liscia/striscia la carta significa che l’asso è accompagnato e difeso da piú o meno numerose figure e/o cartine.) Dicevo che in origine ai giocatori era consentito segnalare al proprio compagno ed ovviamente agli avversari, il possesso di alcune carte solamente con dei segni ed ugualmente solo con dei segni si poteva chiedere al compagno una particolare richiesta di carta, poi ai gesti si accompagnò la voce per cui chi volesse dire: sono in possesso del tre del seme che sto per giocare, poteva accompagnare il gesto di picchiare una volta sul tavolo, annunciando pleonasticamente busso; chi volesse dire: sono in possesso del due del seme che sto per giocare, poteva accompagnare il gesto di picchiare due volte sul tavolo, annunciando pleonasticamente ribusso; e chi volesse dire: sono in possesso dell’asso del seme che sto per giocare poteva strisciare/lisciare piú o meno ripetutamente una carta e súbito dopo bussare una volta aggiungendo pleonasticamente liscio e busso.
Va da sé che chi sia in possesso dell’asso accompagnato solo da poche figure e/o cartine corra il rischio di vedere prima o poi cadere il proprio asso nella... bocca del 2 o del 3 che siano nelle mani dell’avversiaro e si trovi perciò in una situazione precaria, prodromica di una solenne sconfitta/perdita tale da poter essere considerata come una strapazzata, paternale, rampogna, sgridata o addirittura una sonora bastonatura.
E questa mi appare la miglior via da tenere per spiegare semanticamente il riferimento del sostantivo liscebbusso/lisciabbusso alla corrispondente voce del giuoco del tressette.
Linguisticamente poi il sost. liscio e bbusso donde liscebbusso/lisciabbusso risulta essere l’agglutinazione di due voci verbali:1) liscio (1° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito lisciare derivato dal lat. volg. *lisiare, prob. voce di orig. espressiva; 2) busso (1° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito bussare derivato dal lat. volg. pulsare,intensivo di pellere.
Aggiungo che il napoletano accanto al sostantivo liscebbusso/lisciabbusso à anche l’ aggettivo liscio e sbriscio→liscesbriscio che vale squattrinato, misero, povero, senza soldi aggettivo affatto diverso dal sostantivo a margine con il quale non à nulla in comune e con il quale non va assolutamente confuso, essendo le due voci molto diverse anche per ciò che concerne l’etimo; di liscebbusso/lisciabbusso ò già detto ed ò parlato di agglutinazione di due voci verbali, diverso è il caso liscio e sbriscio→liscesbriscio che come etimo risulta l’agglutinazione di due aggetti: 1) liscio che sta per liso= consunto, logoro (derivato dal lat. volg. (e)lisu(m), part. pass. di elidere 'rompere' 2) sbriscio che sta per sbricio= meschino, ridotto male, malandato con derivazione dal lat. volg. *brisare 'rompere'; normale sia per liscio che per sbriscio il passaggio in napoletano della s doppia o scempia seguita da vocale a sci+ vocale.
In chiusura e per fare un passo all’indietro con riferimento al tressette riporto qui di sèguito una mia poesiola inedita
A ‘nu jucatore ‘e tressette.
Mo t’aggiu overamente scanagliato
e sulo mo cernenno crusca ‘a sciore
m’hê fatta ‘na grattata addó me prore...
Fino a mez’ora fa îve smammato
d’essere jucatore patentato
capace ‘e tené ‘e ccarte a servitora
specie a tressette e guappo e prufessore
mettive tutte sotto, una vutata...
E grazie... a orazio... tutto s’è chiarito
quanno t’aggiu ‘mmitatato a ffà ‘o scupone
‘nu juoco serio overo e sapurito
addó nun conta ‘o mazzo e a bbon raggione
vence chi joca bbuono e asciutto asciutto
nun serve de tené ‘o culo rutto!
Nun è ‘o tressette addó vence ‘a partita
chi è pigliatore ‘e carte e avenno ‘mmano
mappate ‘e tre, longhe e napulitane
fa ‘o guappo sempe... Chesto ll’hê capito
e vuó fà sulo chistu juoco lloco
‘stu juoco ‘e femmenielle affurtunate
e te nieghe ô scupone, a chistu juoco
addó – si nun saje jucà – piglie mazziate
e p’essere chiammato prufessore
hê ‘a jucà bbuono pure avenno ‘mmano
mmunnezza ‘e carte e nno... napulitane!
raffaele bracale
STUPIDO E DINTORNI
STUPIDO E DINTORNI
Pochi giorni or sono due giovani miei nipoti avevano in corso una loro disputa (per non ricordo bene quale questioncella), durante la quale il piú grande dei due gratificò l’altro d’una serie di contumelie dandogli in rapida successione dello scemo, stupido, cretino, imbecille, deficiente; sentendosi vilipeso il ragazzo mi chiese di intervenire per redarguire l’offensore, ma io non seppi dir di piú che:”Porta pazienza e consolati pensando che ti à offeso in lingua italiana; lo avesse fatto in napoletano, avrebbe potuto sotterrarti sotto una ben piú vasta e pesante coltre di contumelie!”
E per tener dietro con degli esempi presi ad illustrare le voci partenopee che traducono le cennate voci italiane;lo faccio anche adesso qui di sèguito.
Al solito diamo prima un rapidissimo sguardo alle parole italiane, per passare poi a quelle ben piú numerose della parlata napoletana;
scemo: chi à o denota poco senno,; sciocco ed insulso etimologicamente deverbale dal latino ex-semare= privar della metà di qualcosa; comp. di ex via, da ed un deriv. di símis metà;
stupido: chi denota stupidità, scarsa intelligenza e piú propriamente chi è proclive, anche senza motivo, a stupirsi; etimologicamentedal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire';
cretino: etimologicamente dal franco-provenz. crétin, propr. cristiano, che, usato dapprima nel significato di povero cristiano, poveraccio, à poi assunto valore spregiativo nel senso di stupido etc.;
imbecille: che, chi à scarsa intelligenza: etimologicamente dal latino imbecille(m): debole fisicamente o mentalmente;
deficiente: che, chi è intellettualmente e psichicamente inferiore alla media; etimologicamente dal latino deficiente(m) part. presente di deficere= mancare.
E veniamo al napoletano ed alle sue numerose voci che rendono queste qui or ora elencate:
alleccuto o alluccuto o anche locco: persona stupida, di aspetto poco intelligente; etimologicamente dal latino alucus per ulucus/ulluccus donde anche l’italiano allocco;
anchiòne: propriamente lo sciocco, il babbeo aduso a non discutere, ad accettar per buona ogni cosa, ad ubbidire, il tutto in linea con la sua etimologia che è dal latino anculus(da cui il diminutivo femm. ancilla) = servo ;
babbano: che è lo sciocco, il gonzo e – per dirla con Cicerone - l’uomo di nessun numero o conto; questo napoletano babbano à in babbaleo il corrispettivo toscano e, come questo, etimologicamente una radice greca in bambaliòn dal verbo bambalein=avere l’aria attonita ed incantata;
babbio ed il suo accrescitivo, dispregiativo babbione: uomo sciocco e di poco cervello; etimologicamente dal latino bàblus sincopato di bàbulus=stolto;
babbuasso: indica lo scioccone, lo stupidone inveterato, quasi dispregiativo ed accrescitivo del menzionato babbano; etimologicamente da collegarsi (tenendo presente appunto che il suffisso asso, corrispondente al toscano accio, à in napoletano valore dispregiativo) ad un latino volgare babbius← babejus che diede anche il toscano: babbeo;
basciòscio donde anche i corrotti pachiochio/pachiochiero indicano tutti lo sciocco, rammollito, rimbambito; non di facile lettura l’etimologia: a bascioscio, ma piú ancora a pachiochio/pachiochiero non dovrebbe essere estraneo lo spagnolo chocho nell’accezione di molle,vuoto, ma non è peregrina l’idea che riporta il nostro bascioscio alla voce baciocco/occolo sorta di strumento sonoro di legno fatto a mo’ di scodella, dato ai fanciulli per giocarci, quale tamburello; in fondo il napoletano bascioscio connota lo sciocco vuoto di zucca;
battilocchio s.vo ed ag.vo m.le e solo m.le denota
1la persona alta, dinoccolata, ma dall’aria svogliata, pigra, fiacca, inetta, inattiva, lenta;
2lo stupido che inceda quasi, con tutte le inevitabili, dure conseguenze negative, ad occhi chiusi, anzi bendati; originariamente il battilocchio etimologicamente dal francese: battant l’oeil fu una cuffia da donna, ampia cuffia le cui falde ricadevano sugli occhi; in seguito con la parola battilocchio si finí per indicare in una sorta di sineddoche, (piú che la cuffia) chi la indossasse, anche se lasciandosi trasportar dalla desinenza maschile si appioppiò all’uomo e non alla donna (che pure indossava la cennata cuffia) il termine battilocchio; rammento poi che con il termine a margine si indica anche
3 una frittella dolce di fior di farina e lievito allungata ed intrecciata cedevole e ripiegata su se stessa quasi come il bordo della cuffia suddetta.
cacchio/cacchione: è lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; costui viene appaiato al membro maschile inteso non come organo veicolo della riproduzione (in tal caso non sarebbe figura né dello sciocco, né dello stupido), ma come semplice e perciò sciocco veicolo dei liquidi scarti renali; etimologicamente come la parola cazzo, di cui sia cacchio che l’accrescitivo cacchione sono addolcimenti eufemistici, vengono – come altrove ricordai - da una voce gergale marinaresca greca akatiòn= albero della nave;
caccialappàscere espressione verbale divenuta agg.vo e s.vo m.le; letteralmente sta per pastorello, bifolco, villano ed indica estensivamente l’inetto, lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; in effetti la voce in origine si riferiva essenzialmente ai pastorelli come si evince esaminandola nella sua morfologia: 1)cacciala= caccial’a = menali a, conducili a 2) pàscere (dall’omonimo lat. pascere)= pascolare; “cacciali a pascere”= menali al pascolo era l’ordine impartito al suo garzone dal padrone del gregge, ordine che divenuto aggettivo e sostantivo finí per indicare tout court il pastorello,il bifolco, il villano ed estensivamente l’inetto, lo sciocco, lo stupido capace appena appena di menare un gregge.
cannapierto: è lo stupido dall’aria melensa, che si guarda intorno con lo sguardo perso e la bocca aperta; il napoletano cannapierto stranamente, ma icasticamente piú che alla bocca fa riferimento all’organo ad essa collegato il canale della gola espressivamente reso con il termine canna, etimologicamente dal greco kànna originariamente kàna voce semita dall’ebraico qaneh;
catàmmaro: è il sempliciotto, il babbeo che necessita quasi di esser accompagnato, portato mano nella mano; infatti etimologicamente la parola è una commistione greco/latino katà + manus = mano nella mano, come alibi: pedecatapede = passo dopo passo (da pedes+ katà+ pedes );
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il soggetto banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo piú che rienerlo (come fa lo Zazzera) un derivato di una non spiegata voce onomatopeica chia chia , si può supporre una base lat. cloac(u)la→clacla→chiachia + il suff.masch. iello(collaterale di ello, suffisso alterativo di sostantivi e aggettivi, con valore diminutivo o vezzeggiativo o spregiativo) oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;
chiafeo: antichissima voce, quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophàîos;
chionzo: voce di ampia diffussione tanto da ritrovarla nel comune lessico nazionale, sebbene in quest’ultimo con attinenza al solo aspetto fisico di una persona che sia bassa, grassa e tarchiata e dunque goffa; con la medesima accezione la voce la si ritrova nel dialetto lucchese dove è: chionso/pionso ed in quello calabrese dove è : chionzu; in napoletano la voce attiene piú che all’aspetto fisico, a quello intellettivo, connotando il rozzo babbeo, dall’aria attonita e distratta; etimologicamente la voce si fa risalire unanimemente ad un longobardo klunz= goffo, rozzo;
chiòchiaro/ chiòchiero:s.vo ed agg.vo m.le antica voce ma ancóra viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare il melenso, sciocco babbeo di zucca vuota, accompagnandola per solito con un tipico gesto offensivo consistente nel far muovere, velocemente ed alternativamente l’avambraccio ruotandolo a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, giacché è usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (= calzare rustico di antichissima origine, un tempo di uso comune tra i contadini e i pastori dell’Italia centro-meridionale; questo termine à per i piú un etimo sconosciuto,ma il DEI e precisamente il dottissimo prof. Giovanni Alessio, che curò la lettera C, vi lesse un lat. med. zocca (=zoccolo del cavallo),e penso si possa aderire all’ipotesi ); unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero alla voce chiochia si arriva ai nostri chiòchiaro/chiòchiero;
ciuccio letteralmente asino, ma per traslato cocciuto, ignorante e come nel caso che ci occupa stupido, sciocco, credulone s. m. quadrupede domestico da tiro, da sella e da soma, con testa grande, orecchie lunghe e diritte, mantello grigio e un fiocco di peli all'estremità della coda, ritenuto paziente e cocciuto nonché (ma non se ne intende il perché) ignorante;ancóra piú strano e non comprensibile il collegamento semantico che se fa a stupido, sciocco e credulone; varie sono le proposte circa l’origine della parola :chi dal lat. cicur= mansuefatto domestico; chi dal lat. *cillus da collegare al greco kíllos= asino; chi dallo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi che non mi convincono molto; e segnatamente non mi convince quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, a malgrado che sia ipotesi che appaia semanticamente perseguibile. Non mi convincono altresí, in quanto m’appaiono forzate, l’idee che il napoletano ciuccio sia da collegare o all’italiano ciuco o all’italiano ciocco. Vediamo: il ciuco della lingua italiana è sí l’asino ma nessuno spiega la eventuale strada morfologica seguita per giungere a ciuccio partendo da ciuco; d’altro canto non amo qui come altrove quelle etimologie spiegate sbrigativamente con il dire: voce onomatopeica oppure origine espressiva; ed in effetti la voce italiana ciuco etimologicamente non viene spiegata se non con un inconferente origine espressiva; allo stato delle cose mi pare piú perseguibile l’idea che sia l’italiano ciuco a derivare dal napoletano ciuc(ci)o anziché il contrario. Men che meno poi mi solletica l’idea che ciuccio possa derivare dall’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante e dunque asino. No, no la strada semantica seguita è bizantina ed arzigogolata: la escludo!
In conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che la voce ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare che è il verso proprio dell’asino, secondo il seguente percorso morfologico: (s)ciach→ciuch→ciuccio; rammento che in siciliano l’asino è detto sceccu con evidente derivazione dalla medesima radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare.
ferlocco ed il suo metatetico frellocco: voce in voga negli anni d’antan ed oggi quasi desueta, voce divertente che si usò per indicare lo sciocco citrullo che, a maggior disdoro fosse anche vanesio e privo di sostanza in linea con l’etimologia della parola che risulta dall’unione di un latino ferla = verga vuota con il precedente locco;
fesso: esattamente lo sciocco balordo, senza una sua consistenza fisica e/o morale, in tutto in linea con il suo etimo dal latino fissus part. pass. del verbo findere =spaccare, dividere;
fogliamolla: non ci si lasci ingannare dalla desinenza femminile: la parola è un aggettivo sostantivato invariabile e lo si riferisce, senza alcuna variazione desinenziale, sia all’uomo che alla donna: ‘nu fogliamolla o ‘na fogliamolla nel significato di persona sciocca e neghittosa nonché molle tal quale la tenera foglia da cui deriva ed a cui è rassomigliata ; etimologicamente è voce del tardo latino: folia + molle(m); voce che semanticamente si attaglia, a chi di costituzione manchi di saldezza fisica, ma è usato altresí in riferimento a chi abbia poca forza, energia morale, non riuscendo mai a sostenere i propri convincimenti o le proprie idee, lasciandosi continuamente travolgere dagli antagonisti.
gliògliaro: antica voce ormai desueta che un tempo fu usata quale corruzione (ma nel medesimo significato, e medesime modalità) del precedente chiòchiaro.
lasagna e l’accrescitivo lasagnone nonché il composto pappalasagne (mangialasagne): antiche voci (non dimentichiamo che con il soprannome di lasagna il re Ferdinando II Borbone soleva appellare suo figlio Francesco II e non perché costui – come inesattamente riportato da certa frettolosa aneddotica postunitaria,pseudo-storica – fosse goloso dell’omonima pietanza, quanto perché il re riteneva suo figlio – sia pure ingiustamente – inetto e d’intelligenza poco pronta) con le quali si designavano anche con valenza bonaria, il bietolone, gracile e non molto sveglio, dal carattere cedevole ed accondiscendente, la cedevolezza che si ritrova nell’impasto di uova e farina da cui si ricava la sfoglia per trarne lasagne etimologicamente dal greco lagaròs = floscio, molle;
mammalucco: ad un dipresso lo sciocco impenitente, dall’aria frastornata, tal quale il precedente cannapierto; etimologicamente questo mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato prigioniero;
mamozio: illustrai già abbondantemente alibi la voce a margine, intesa come designante persona (adulto e/o ragazzo) inceppata nei movimenti o nell’espressione a mo’ di fantoccio o di pupazzo o anche di figurina mal scolpita o incisa e piú estensivamente individuo torpidamente imbambolato tale da apparire di duro comprendonio, e parlai della sua etimologia che risulta essere, checché ne dicano i proff. Cortelazzo e Marcato nel loro Dizionario dei dialetti italiani, la corruzione del nome Mavorzio da riferirsi ad una enorme, quantunque acefala, statua del IV sec. d. C. raffigurante il nobile puteolano FLAVIO EGNAZIO LOLLIANO QUINTO MESIO MAVORZIO, pretore urbano, proconsole della provincia dell’ Aquila e candidato questore, statua che fu appunto ritrovata a Pozzuoli nel corso (1704) degli scavi per l’erigenda chiesa di san Giuseppe; l’inesperto scultore chiamato al restauro della statua acefala la corredò di una testa tanto piccola da risultare sproporzionata e per giunta dall’aria melensa; i puteolani impiegarono un nonnulla per trasformare il nome MAVORZIO in mamozio accreditandolo della stupidità suggerita dal volto della piccola (segno di scarso contenuto di cervello) testa indegnamente restaurata;
- mammuoccelo: che è propriamente l’uomo dall’aria melensa ed attonita denotante mancanza di intelletto, stupidità; etimologicamente da collegarsi come corruzione diminutiva al toscano bamboccio e dunque a bambo che in origine indicò l’infante ed in seguito lo sciocco e lo stupido;
- messere: altra voce antica ed ormai desueta, di sapore ironico, voce che nel significato ironico di stupido, sciocco e credulone non si ritrova che in qualche poeta d’antan ( ad es.: E. Murolo che in una sua gustosa canzone di cui ora mi sfugge il titolo, lo usa ironicamente appunto in luogo di becco, affermando che una donna supera, se intende tradirlo, tutte le pastoie approntatele dal proprio uomo, giungendo, metaforicamente, a fumarselo e a farlo messere id est becco in quanto l’uomo è sciocco, stupido e credulone); la voce, ò detto è ironica, pur se etimologicamente starebbe per mio signore, mio sire risultando esser composta dal provenz.: mes=mio +sere/sire=signore;
- moscammocca: l’ignavo, lo scioccone, l’allocco tanto irresoluto ed immoto da starsene perennemente a bocca aperta tanto da permettere addirittura che le mosche vi passeggino dentro entrando ed uscendo ad libitum; va da sé l’etimologia che fotografa l’atteggiamento di questo ignavo aduso a portarsi la mosca in bocca che è l’esatta traduzione di moscammocca (mmocca infatti è: in+bocca );
mucchione: è propriamente non il bambino, ma l’adolescente o anche l’adulto fatto cosí sciocco, melenso, inetto tanto da non esser capace o non avvertire la necessità di ripulirsi del moccio che gli coli dal naso; etimologicamente da qualcuno si vorrebbe correlare la voce ad un generico latino murcus>murcius =stolto, ma – rammentato quanto appena detto - penso che non è o sarebbe scorretto pensare ad un deverbale del latino muccare che è da muccus= moccio, catarro; tuttavia non è da scartare neppure l’ipotesi che mucchione sia l’accrescitivo, dispregiativo di mucchio(che è da un latino cumulus >muculus>muc’lus>mucchio) nel senso di uomo grosso e grasso e dunque stolto e sciocco tenendo presente il luogo comune partenopeo per il quale: ommo gruosso bubbelis es = l’uomo grosso è sciocco , dove il maccheronico bubbelis è corruzione di bàblus sincopato di bàbulus=stolto;
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- ‘ntòntero : propriamente lo stupido, il melenso ed il perennemente frastornato; voce di tutta l’area mediterranea: la si ritrova anche in Sicilia: ‘ntòntaro, in Sardegna: dòndaro oltre che in Portogallo e Spagna dove è solo tonto tal quale l’italiano tonto; per tutte le voci l’etimologia è latina: tonitus = stordito come chi è colpito dal tuono; cfr.il toscano attonito;
- ‘ntruglione : propriamente il bietolone dal viso inespressivo, incapace di discernere; non bisogna dimenticare infatti che la parola ‘ntruglione non è che l’accrescitivo di ‘ntruglio che non è il toscano intruglio= mescolanza di sostanze diverse, ma è, gastronomicamente, l’intestino d’agnello abbondantemente speziato e avvolto strettamente su sé stesso al segno di non poterlo piú dipanare, cotto su braci ardenti;
- ‘nzallanuto ed il derivato zallo (caro al commediografo Raffaele Viviani, vocabolo che per quanto mi sia affannato a ricercare, non ò trovato che solo nell’Alfabeto napoletano dell’amico Renato De Falco) che significano l’uno il confuso, lo stordito, l’altro lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú;etimologicamente ambedue le voci sono da collegarsi piú che al latino in-sanire, al greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente; a meno che il vocabolo zallo, non sia corruzione di tallo (che è dal lat. tàllus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto e ben potrebbe per traslato indicare con la sua tenera consistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;
- papurchio: è lo stolto inveterato che, a maggior disdoro, sia anche poco prestante fisicamente; etimologicamente deriva dal latino baburculus, diminutivo di un baburcus= stolto e melenso;
- purpetta: evidente traslato dispregiativo e non perché la polpetta da cui purpetta non sia cibo gustoso e saporito,in ispecie se fritta e non cotta al forno, ma, in quanto preparato con carne trita, si presta al concorso di piú residui di tagli di carne anche non pregiati presenti sul banco del macellaio, che intrugliandoli può conferire una preparazione anche di scarto, come di scarto viene a dimostrarsi il soggetto gratificato della voce a margine;
- rapesta: altro paragone dispregiativo di cui vien gratificato l’uomo inetto e dappoco, come dappoco è la rapa (latino: rapistrum)selvatica che lo rappresenta;
- scapucchione: epiteto per solito riferito a ragazzo dalla testa grossa, ma ovviamente vuota, ed estensivamente all’adulto che si ostini a restare ragazzo, non venendo a capo mai di nulla, né quanto a comprensione, né quanto ad azioni; voce violentemente ironica ed offensiva forgiata com’è quale accrescitivo intensivo (vedi la solita prostesi della iniziale esse,intensiva ed il suffisso one) della parola capocchia (che è dal latino capuclum< capiclum per capitulum diminutivo di caput) che in lingua napoletana indica però il glande, testa notoriamente poco atta al raziocinio;
- scatozza: precisamente: ignorante, babbeo, scioccone; si tratta di una antica voce, ormai però abbondantemente desueta, nata in ambito teatrale dove fu il nome proprio di un ridicolo personaggio goffo, sciocco, stupido ed ignorante; uscito dall’ambito teatrale il termine trasmigrò come aggettivo in quello letterario dei poeti partenopei secenteschi, e da esso entrò nel linguaggio comune;
- sciabbecco: precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione; in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk) indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza – facilmente preda dei venti e dei marosi;
- sciacqualattuca inetto, incapace, sciocco colui che al massimo può essere utilizzato in compiti di nessuna importanza, apparentemente semplicissimi come quello di lavare la verdura; in effetti la voce risulta formata agglutinando la voce verbale sciacqua ( qui 3° p. sg. ind. pres. dell’infinito sciacqare/sciacquà=lavare sommariamente con acqua; lavare con acqua una cosa già lavata per toglierne i residui di detersivo o di sapone;dal Lat. tardo exaquare, deriv. di aqua 'acqua') con la voce lattuca = lattuga s. f.
1 pianta erbacea coltivata negli orti, le cui foglie larghe e tenere si mangiano in insalata (fam. Composite) | lattuga di mare, alga marina dal tallo increspato, di color verde chiaro (fam. Ulvacee).
2 gala di merletto o di tela inamidata e increspata, che gli uomini portavano per ornamento sul davanti delle camicie; gorgiera; l’etimo della voce napoletana, come quella italiana è dal lat. lactuca(m), deriv. di la°c la°ctis 'latte', per il liquido lattiginoso che secerne; il sign. 2, per sovrapposizione di lattuga allo sp. lechuga
- sciaddeo/sciardeo : esattamente lo sciocco,l’inetto l’incapace buono a nulla ; rammenterò qui che sciaddeo/sciardeo son la medesima parola: nella seconda si è verificato il fenomeno del parlato popolare di rotacizzare la prima d, ma la parola è la stessa; per quanto riguarda l’ etimologia di sciaddeo escludo a priori che la si debba riferire al nome dell’apostolo Giuda Taddeo che con sciaddeo à solo una tenua assonanza, non risultando da nessuna sacra scrittura (vangeli – atti degli apostoli – lettere etc.) che il suddetto Giuda Taddeo fosse uno sprovveduto o un incapace, e propendo per il verbo greco skedao= comportarsi da sbandato e/o sprovveduto; ancora ricorderò che dal femm. di sciardeo,cioè da sciardea si trasse il diminutivo sciardella nel significato di donna inetta, di casalinga incapace di fare i donneschi lavori di casa con attenzione e secondo i crismi dovuti; a Napoli è 'na sciardella la casalinga che lavi le stoviglie, facendosele scappare di mano e rompendole, che lavi i pavimenti con poca acqua, che spolveri superficialmente, che riponga gli abiti in modo raffazzonato, cosí che riprendendoli uno li trovi stazzonati e gualciti al punto di non poterli indossare, una donna insomma inetta ed inaffidabile, una sbadata patentata.
Esiste anche un peggiorativo del termine ed è sciuazza, peraltro addolcimento – attraverso l’epentesi di una efelchistica u – di un’originaria sciazza (che è dal latino ex-apta=inadatta)inteso troppo duro o volgare;
- sciamegna/sciamenchia: e cioè lo sciocco, il grullo, l’allocco; la parola, con un arzigogolo mentale, trasferisce una probabile deficienza corporale ad una ben piú grave deficienza mentale: etimologicamente infatti la parola deriva da un (mo)scia + megna o(mo)scia + menchia dove megna/menchia stanno ovviavente per minchia (che è dal latino méncla collaterale di mèntula diminutivo di menta = membro maschile) nella pretesa che un uomo impossibilitato o incapace di avere un’erezione debba esser uno sciocco, uno stupido o un allocco;
- scialabbacchione: di per sé il balbuziente che come incapace di farsi capire, è conseguentemente stupido e sciocco; etimologicamente la parola è un deverbale del latino ex-alapare = balbettare;
- sciosciammocca: come altrove, anche questo sciocco, credulone, facilmente circuibile, nasce come personaggio del teatro popolare partenopeo ed agí in numerose piéces comiche fino a quando il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta (Napoli 1853 -1925, padre naturale dei fratelli De Filippo: Eduardo, Titina e Peppino)non se ne impossessò, facendone una sua creazione, rendendolo protagonista – col nome di Felice o Feliciello Sciosciammocca - di innumerevoli pocàde, molte delle quali tratte da originali francesi; dal teatro poi il nome sciosciammocca, diventato aggettivo dilagò nel parlato partenopeo; preciso qui che la parola sciosciammocca sebbene abbia ad un dipresso il medesimo significato della precedente moscammocca, non va confusa con essa in quanto la precedente fa riferimento a qualcuno che per ignavia lascia addirittura che le mosche gli passeggino in bocca, questo sciosciammocca a margine identifica colui che per ignavia ed inettitudine avrebbe bisogno di chi gli soffiasse in bocca per raffredare i bocconi troppo caldi che avesse ingurgitato;
smocco ed il suo accrescitivo smuccone connotano il medesimo individuo sciocco, melenso, inetto di cui al precedente mucchione al quale vanno riferiti come intensivi, intensività rappresentata dalla solita prostesi della esse;
stòteco/stuóteco/a : agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m)) è
1lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a
2 per ampliamento semantico incostante, incerto/a,insicuro/a, lunatico/a indeciso/a, irresoluto/a, dubbioso/a, esitante, titubante, tentennante.
stucchione/strucchione: propriamente il perticone, lo spilungone inteso come vuoto di mente o – per l’eccessiva altezza – perennemente con la testa nelle nuvole e quindi svagato e stupido; etimologicamente stucchione/strucchione provengono al napoletano, attraverso uno spagnolo estuche da un antico provenzale estug = canna secca e perciò vuota;
- tòtaro che sta per tòtano: originariamente un mollusco della specie dei calamari; il fatto che sia un mollusco à fatto pensare ad una sorta di mollezza caratteriale dell’uomo gratificato del termine tòtaro (etimologicamente da un greco teythís attraverso un latino tòtilus con normale cambio delle liquide l→r), quantunque di per sé il tòtano non sia sempre vuoto (come invece lo stupido cui si appaia) ed anzi venga quasi sempre preparato abbonbantemente imbottito (‘o totaro ‘mbuttunato) rammenterò a margine che con la parola tòtaro, nel comune parlato napoletano, con altra valenza, si indica pure il membro maschile eretto, al segno che nella smorfia napoletana al numero 67 è codificato: ‘o tòtaro dint’ â chitarra a significare il coito in atto;
- turzo: per significare lo sciocco, lo stupido completamente inutile, anzi da scartare tal quale il torsolo (per solito poco edibile) di ortaggi o torsolo di altro; in napoletano infatti ‘o turzo non è solo il torsolo di cavolfiore o broccolo, ma si ànno anche: ‘o turzo ‘e bbotta: il residuo di un fuoco d’artificio combusto, e ancòra ‘o turzo ‘e penniello: ciò che resta di un pennello da barba lungamente usato, perciò logoro ed inutile; tutti questi turzi sono inutilizzabili, da buttar via e – per traslato – stupidi, sciocchi etc. etimologicamente turzo è dal latino tursus = stelo, gambo;
- zimeo: siamo giunti alla fine della nostra elencazione e ci imbattiamo in una parola che serve ad indicare il finto tonto colui che in perfetta malafede, fa ‘o francese o se veste ‘a fesso facendo le viste di non capire o di non comprendere per esimersi dal compiere qualcosa cui invece (o per dovere o graziosità) sarebbe tenuto; per cui piú che con uno sciocco si à a che fare con un ignobile furbastro; etimologicamente zimeo risulta essere una popolaresca contrazione d’un zio (zi’) (Bartolo)meo personaggio non meglio identificato, ma ricordato nel comune popolare come un avaro aduso a non addivenire mai a conferimento di danaro, trincerandosi dietro la scusa di non aver capito.
Raffaele Bracale
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VARIE 1872
1)‘A FEMMENA È COMME A LL’ONNA: O TE SULLEVA O T’AFFONNA
Letteralmente: la donna è come un’onda: o ti solleva o ti manda a fondo; id est: la donna può sollevarti, ma può anche determinare la tua rovina.
2)FEMMENE, CIUCCE E CRAPE TENONO TUTTE UNA CAPA.
Donne, asini e capre ànno tutti la medesima testa nel senso che sia le donne che gli asini e le capre sono testardi alla stessa stregua ed indocili a qualsiasi comando, consiglio o raccomandazione, convinti sempre di far bene agendo di proprio istinto o iniziativa.
3) FEMMENE, CIUCCE E VVARCHE SO’ ‘E CHI ‘E CCARCA
Le donne,come gli asini e le barche, appartengono a chi le monti (e solo ad essi devono rispondere);id est: donne, asini e barche vanno dominati se si vogliono ottenere buoni risultati.
4) FEMMENE CANE E BBACCALÀ P’ESSERE BBUONE S’ÀNN’ ‘A MAZZIÀ
Donne, cani e baccalà per dare i risultati migliori devono esser percossi: le donne ed i cani sono indocili e devono devono essere bastonati per ridurli alla ragione; ugualmente il baccalà (merluzzo salato ed essiccato) per essere gustato al meglio , prima d’esser cucinato va opportunamente ammollato a forza di acqua fredda e percosse.
5)È MMEGLIO NASCERE SENZA NASO CA SENZA SCIORTA
È preferibile nascere senza naso piuttosto che senza buona fortuna! In effetti ad una menomazione fisica ci si fa l’abitudine ed in qualche modo si sopperisce, ma non si può fare a meno della buona fortuna molla propulsiva d’ogni accadimento umano.
6) L’OMMO, P’ESSERE NU BBUÒNU PARTITO, À DDA TENÉ: ARGIÉNTO DINT’Ê CCHIOCCHE,DIAMANTE „DINT’ A LL’UÒCCHIE, ORO DINT’Ê SSACCHE E ‘O FIERRO DINT’ô CAZÓNE!
Letteralmente ’uomo, per essere considerato un buon partito, deve avere le tempie imbiancate, (indice di maturità),gli occhi luccicanti (indice di vivida intelligenza), oro nelle tasche (cioè ricchezza) ed un (attrezzo di) ferro nel calzone (cioè essere sessualmente dotato).
onna: s.vo f.le, onda. Voce dall‟accusativo latino unda(m), con assimilazione progressiva nd→nn, come in fronna e funnaco.
varche: s.vo f.le pl. di varca = barca.Voce dall’accusativo tardo latino *barca-m, con normale trasformazione di b→v, come basiāre e bíbere in vasà e vévere.
carca: voce verbale per carreca (3° p.sg. ind. pr. dell’inf. carrecà/carcà, nel senso di caricare, far sentire il proprio peso, montar su. Si tratta di un denominale di carrus: latinismo medievale,.
crape s.vo f.le pl. di crapa = capra.Lettura metatetica dell’accusativo latino capra-m,
ciucce s.vo m.le o f.le (qui f.le) pl.del sg. ciuccio o ciuccia;
per l’etimo rinvio ad un mio lungo articolo alibi.
bbaccalà s.vo neutro = baccalà, merluzzo essiccato e conservato sotto sale: etimologicamente dallo sp. bacalao, e questo dal fiammingo kabeljauw.
sciorta: s.vo f.le = sorte, destino, ma qui buona sorte, fortuna. Voce dall’acc. lat. sorte-m, con normale evoluzione della sibilante (s) seguita da vocale nel gruppo palatale sci..
chiocche =meningi, tempie s.vo f.le pl. di chiocca = meninge, tempia e per ampiamento semantico anche testa.
Voce dal tardo lat. clocca(m)incrociato con cochlea(m).
Mazzià: voce verbale infinito = percuotere.Denominale di mazza( dal lat. mattea(m)). Derivati: mazziata. Fraseologia: curnùte e mazziàte, mazze e panèlle.., pane senza mazze fanne „e figlie pazze.
ommo: s.vo m.le =uomo. voce dal nominativo latino homo, con raddoppiamento espressivo frequente della bilabiale nasale(m), come in cammísa, ammore etc.
cazone, o cauzone: s,vo m.le . che nel significato di braghe aderenti è un accrescitivo di cauza= calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto'); normale in napoletano il passaggio di al ad au semplificato in a(u)(cfr. auto/aveto per al-to oppure autro/ato per al-tro);
uocchie: occhi s,vo m.le pl. del sg uocchio; voce dall’acc.latino oculu-m→oclu(m)→uocchio, con tipica evoluzione del gruppo cl→chj→cchi, come recchia ( che è dal lat. auricula(m)→(au)ricla(m)→recchia,), denucchio(che è dal at. volg. genuculu(m)→genuclu(m)→ denuclu(m)→ denucchio), etc. . Metaforicamente il s.vo plurale è inteso pure come attività malefica: fattura, maledizione, invidia cattiva.
fierro: = ferro; il s.vo a margine in napoletano può essere di due generi: neutro o maschile se è neutro indica l’elemento chimico (di simbolo Fe) cioè un metallo grigio-argenteo, tenero, duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran numero di minerali, da cui si estrae fin dalla più remota antichità; ed indica altresí l'acciaio dolce (lega di ferro a basso tenore di carbonio) e spesso anche gli acciai non legati; allorché sia neutro la scrizione preceduta dall’articolo neutro ‘o (lo) comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o ffierro; allorché invece il s.vo in esame sia inteso maschile serve ad indicare 1 in primis qualsiasi oggetto, attrezzo, utensile, arma di ferro o piú gener. metallico: ferro da stiro, ferro per arricciare i capelli etc. 2 per traslato giocoso come nel caso che ci occupa qualsiasi altra cosa accreditata anche iperbolicamente d’essere dura e resistente come il ferro; in questi casi la scrizione preceduta dall’articolo maschile ‘o (lo) non comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o fierro.
Brak
martedì 29 maggio 2012
VARIE 1871
1.ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produca buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
2.'AMICE E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
3.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DDENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per ampliamento semantico: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
4.'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
5.'O PATATERNO ADDÒ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, là invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti lí dove occorra.
6.'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
7.'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
8.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
9.STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
10.QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÍTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
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VARIE 1870
1. SERA SO' BASTIMIENTE,  MATINA SO' VARCHETELLE.
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare delle ore del giorno, mutano le prospettive o proporzioni delle cose; cosí quelli che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
2.O CHESTO, O CHESTE!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola cheste bisogna atteggiare la mano ds. a mo' di corna, per significare complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
3.CU 'O FURASTIERO, 'A FRUSTA E CU 'O PAISANO 'ARRUSTO.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta ( non per scacciarlo, ma per tenerlo a bada e non lasciarsi sopraffare)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento per averlo sodale nella comune difesa. Proverbio che viene di lontano ma è attualissimo. furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori';
paisano s.vo ed agg.vo m.le =
1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.)
2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano.
4.A LLUME 'E CANNELA SPEDOCCHIAME 'O PETTENALE.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o redarguire chi, per ignavia, procrastini continuamente il da farsi rimandando magari alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e con maggiori risultati, alla luce diurna.
pettenale s.vom.le = monte di Venere, pube, pettignone dal lat. pectinale(m).
5.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, À DA TENÉ BBONI CCOSCE.
Ad litteram: chi à cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il proverbio significa che chi, per distrazione o ignavia dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o prendere.
6.QUANNO 'E MULINARE FANNO A PPONIE, STRIGNE 'E SACCHE.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino, conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del proprio.
7.MEGLIO MAGNÀ POCO E SPISSO CA FÀ UNU MUORZO.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio epicureo che spinge a piluccare, per estendere al massimo - nel tempo -il piacere della tavola, piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
8.TRE SONGO 'E CCOSE CA STRUDENO 'NA CASA: ZEPPOLE, PANE CAUDO E MACCARUNE.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una casa: focaccine dolci, pane caldo e maccheroni. Da sempre a Napoli, le spase per l'alimentazione ànno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva consumato in quantità maggiore di quello raffermo,ma era meno nutriente in quanto pur essendo piú soffice conteneva maggior umidità risultando a parità di peso piú povero di nutrienti ed i famosi maccheroni che all'epoca costavano molto piú della verdura; oggi tutto costa di piú, per cui è difficile fare un elenco delle cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
9.ADDÓ HÊ FATTO 'O PUMPIERE? DINT’ Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il pompiere? Nella tinozza dei capitoni?!La frase è usata quando ci si voglia prender giuoco di qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non à esperienza, come di un pompiere che, in luogo delle manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú grossi capitoni.
10.'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
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VARIE 1869
1.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÓ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.quale potrebbe esser quella di espatriare
2 È GGHIUTA 'A MOSCA DINT'Ô VISCUVATO...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame. In effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
3.CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre alle richieste ricevute, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
4.NISCIUNO TE DICE: LÀVATE 'A FACCIA CA PARE CCHIÚ BBELLO 'E ME.
Nessuno ti dice: Làvati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
5.QUANN' UNO S'À DDA 'MBRIANCÀ, È MMEGLIO CA 'O FFA CU 'O VINO BBUONO.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
6.SCIORTA E CAUCE 'NCULO, VIATO A CCHI 'E TTÈNE!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
7.ANCAPPA PE PRIMMO, FOSSERO PURE MAZZATE!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani per primi su qualsiasi cosa, anche se queste cose fossero delle percosse o magari rischiandole , per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
8.A PAVÀ E A MURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
9.'NA VOTA È PRENA, 'NA VOTA ALLATTA, NUN 'A POZZO MAJE VATTE'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
10.LÈVATE 'A MIEZO, FAMME FÀ 'O SPEZZIALE.
Letteralmente: togliti di torno, lasciami fare lo speziale...Id est:lasciami lavorare in pace - Lo speziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie. Sia l'erborista che il farmacista erano soliti approntare specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
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VARIE 1868
1.FÀ TRE FFICHE NOVE ROTELE.
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera con le parole e si ammanta di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Ancóra ricordiamo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano.
2.'A DISGRAZZIA D''O 'MBRELLO È QUANNO CHIOVE FINO FINO.
Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sè che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; cosí l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di piú nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante danno.
3.AVIMMO FATTO: CUPINTE, CUPINTE: 'E CAVÉRE 'A FORA E 'E FRIDDE 'A DINTO.
Letteralmente: abbiamo fatto cúpidi, cúpidi: i caldi (son restati) di fuori ed i freddi(sono entrati) dentro. Icastica espressione napoletana che fotografa una realtà nella quale stravolgendo la logica e l'attesa, si è dato via libera a chi non è all'altezza della situazione e si è lasciato a bocca asciutta chi meriterebbe la priorità nel godimento di un quid (che - nella fattispecie - sono i favori di una donna).
4.'A PECORA S'À DDA TUSÀ, NUN S'À DDA SCURTECÀ
Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi.
5.- SI' PRE' 'O CAPPIELLO VA STUORTO... - ACCUSSÍ À DDA JÍ!
- Signor prete, il cappello va storto - Cosí deve andare. Simpatico duettare tra un gruppetto di monelli che - pensando di porre in ridicolo un prete - gli significavano che egli aveva indossato il suo cappello di sgimbescio, e si sentirono rispondere che quella era l'esatta maniera di portare il suddetto copricapo. La locuzione viene usata quando si voglia fare intendere che non si accettano consigli non richiesti soprattutto quando chi dovrebbe riceverli à - per sua autorità - sufficiente autonomia di giudizio.
6.DICETTE NUNZIATA: CE PONNO CCHIÚ LL'UOCCHIE CA 'E SCUPPETTATE!
Letteralmente: Disse Nunziata: Ànno piú potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, piú difficile sfuggire alla iettatura.
7. NNOTTE SE 'NZURAJE CATIELLO.
Letteralmente: Catello (inguaribile scapolo) prese moglie di notte. La locuzione fotografa una situazione che in italiano è resa con: meglio tardi che mai; il Catello, infatti procrastinò tanto il suo matrimonio che quando fu celebrato era oramai notte. Nella locuzione partenopea si tenga presente la geminazione iniziale della lettera N nella parola notte che lascia capire che la A iniziale non è l'articolo femminile ('A) ma una preposizione articolata (â = a+ ‘a= alla) che introduce un concetto temporale reso con la doppia N di notte; se la A fosse stato un articolo la successiva parola notte sarebbe stata scritta in maniera scempia con una sola N.
8.'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIÉNTE, TENIÉNTE.
Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo.
Teniente è il participio presente aggettivato del verbo tené (che è dal lat. teníre); nella fattispecie il verbo sta per mantenere (la cottura() e poi che il participio è reiteranto vale quase superlativo come quasi sempre nel napoletano, significa molto al dente; altrove l’espressione è riportata come 'E maccarune se magnano vierde vierde dove l’aggettivo reiterato vierde vierde = verdi verdi à la medesima valenza del teniente teniente: molto al dente. dove l’aggettivo reiterato vierde vierde = verdi verdi à la medesima valenza del teniente teniente: molto al dente e ciò perché qualunque cosa sia détta verde vale immatura perciò non ammorbidita, ancóra deuretta, quasi acerba.
9. QUANNO SIENTE 'O LLATINO DA 'E FESSE, È SIGNO 'E MAL' ANNATA.
Letteralmente: quando senti che(anche) gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti,a tempi di rivolgimenti sociali con probabile ascesa al potere degli sciocchi che paludati da sapienti danno ad intender d’essere in possesso delle qualità necessarie imporsi.
10.PARÉ 'O SORICE 'NFUSO 'A LL'UOGLIO.
Letteralmente: sembrare un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleipàr=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante.
11. A CARNE SE JETTA E 'E CANE S'ARRAGGIANO.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe.
12.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
Trapanaturo s.m.le = aspo, strumento girevole d’uso domestico che serve per avvolgere in matassa un filato (derivato del greco trypanon, deverbale . di trypân 'girare' )
13.JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi dal greco óstrakon 'conchiglia, coccio',perché anticamente i lastrici solari erano pavimentati con cocci e lapilli opportunamente battuti e compattati. ) ed in basso ( lavatore = lavatoi (dal lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare') erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
14. PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende.
15.'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
16.JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO oppure JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.
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