venerdì 31 agosto 2012
VARIE 2030
1. ARROSTERE 'O CCASO CU 'O FUMMO D''A CANNELA.
arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati.
2.'A MALA NUTTATA E 'A FIGLIA FEMMENA.
La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole. Non si tratta di mera misoginia. Bisogna rammentare che, nell’inteso contadino, (nel cui àmbito nacque il proverbio) la nascita di una femmina era una iattura in quanto la donna era un soggetto poco adatto al duro lavoro dei campi e quindi improduttivo ed era un soggetto cui occorreva conferire una dote (cosa che comportava un impauperimento delle sostanze familiari) quando e se andasse sposa.
3.NUN TENÉ MANCO 'A CAPA 'E SI' VICIENZO.
Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'A capa 'e si' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona priva di reddito, quindi esentata dal pagar tasse.
4.DICETTE MUNZIGNORE Ô CUCCHIERE:"VA' CHIANO , CA VACO 'E PRESSA!"
Disse il monsignore al suo cocchiere:"Va' piano, ché ò premura!" Ossia:la fretta è una cattiva consigliera
5.CHI D'AUSTO NN’ È VESTUTO, 'NU MALANNO LL' È VVENUTO
chi alla fine dell' estate non si copre bene, incorrerà in qualche malattia...cioè:occorre sempre esser previdenti; la locuzione è però da intendersi anche in senso figurato e cioè a significare che chi alla fine dell’estate non fósse ben provvisto dei guadagni ottenuti vendendo i prodotti della terra lavorata, si troverà in miseria nel resto dell’anno.
6.SENZA DENARE NUN SE CANTANO MESSE.
Senza denaro non si celebrano messe cantate. Cioé: tutto à il suo prezzo.
7. A CUOPPO CUPO POCU PPEPE CAPE.
Nel cartoccetto conico pieno entra poco pepe. in realtà si tratta di uno scioglilingua giocato sulle assonanze delle varie parole, ma che nasconde un’osservazione disincantata della realtà e cioè che ciò che è già pieno, sazio non può riempirsi di piú(e ciò sia in senso positivo che negativo posto che chi sia già tanto pieno, saziato di doti positive morali e/o di cultura, difficilmente potrà migliorarsi, come per converso chi sia cosí tanto sprovvisto di moralità e/o cultura difficilmente potrà aver modo di evolversi in meglio stante le ristrettezze morali del suo io che non gli consentiranno l’aggiunta d’alcunché);
l’agg.vo m.le napoletano cupo non corrisponde all’italiano cupo che vale 1 profondo, molto incassato: pozzo cupo; valle cupa ' (region.) fondo, concavo: piatto cupo
2 (fig.) riferito a stati d'animo o sentimenti negativi, profondo, radicato: odio, rancore cupo; un cupo dolore | impenetrabile, tetro, malinconico: carattere, volto cupo | sinistramente ambiguo, misterioso: cupe minacce;
in napoletano la voce vale in primis: pieno,sazio, stretto, angusto, limitato e solo estensivamente buio, tenebroso, e detto di suono: cupo, basso, sordo.
8.GIACCHINO METTETTE 'A LEGGE E GIACCHINO FUJE 'MPISO.
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso! Con riferimento a Gioacchino Murat ucciso a Pizzocalabro in attuazione di una norma da lui stesso dettata e non à nessuna importanza ai fini semantici dell’espressione il fatto che nella realtà Murat venne fucilato e non impiccato.
9.A ALDARE SGARRUPATO NUN S'APPICCENO CANNELE.
Ad altare diruto non si portano ceri accesi. - Figuratamente: Non si corteggiano le donne anziane.
10.SI LL'AUCIELLE CANUSCESSENO 'O GGRANO, NUN NE LASSASSENO MANCO N' ACENO!
Se gli uccelli conoscessero il grano, non ne lascerebbero un chicco! - Cioè: se gli uomini fossero a conoscenza di tutti i benefici e/o opportunità che la vita offre, ne approfitterebbero sempre.
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VARIE 2029
1.ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produca buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
2.'AMICE E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data.
3.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DDENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per ampliamento semantico: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
4.'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
5.'O PATATERNO ADDÒ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, là invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti lí dove occorra.
6.'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
7.'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
8.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
9.STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
10.QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÍTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
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VARIE 2028
1. SERA SO' BASTIMIENTE,  MATINA SO' VARCHE ‘E NIENTE.
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare delle ore del giorno, mutano le prospettive o proporzioni delle cose; cosí quelli che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
2.O CHESTO, O CHESTE!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola cheste bisogna atteggiare la mano ds. a mo' di corna, per significare complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
3.CU 'O FURASTIERO, 'A FRUSTA E CU 'O PAISANO 'ARRUSTO.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta ( non per scacciarlo, ma per tenerlo a bada e non lasciarsi sopraffare)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento per averlo sodale nella comune difesa. Proverbio che viene di lontano ma è attualissimo. furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori';
paisano s.vo ed agg.vo m.le =
1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.)
2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano.
4.A LLUME 'E CANNELA SPEDOCCHIAME 'O PETTENALE.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o redarguire chi, per ignavia, procrastini continuamente il da farsi rimandando magari alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e con maggiori risultati, alla luce diurna.
pettenale s.vom.le = monte di Venere, pube, pettignone dal lat. pectinale(m).
5.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, À DA TENÉ BBONI CCOSCE.
Ad litteram: chi à cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il proverbio significa che chi, per distrazione o ignavia dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o prendere.
6.QUANNO 'E MULINARE FANNO A PPONIE, STRIGNE 'E SACCHE.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino, conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del proprio.
7.MEGLIO MAGNÀ POCO E SPISSO CA FÀ UNU MUORZO.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio epicureo che spinge a piluccare, per estendere al massimo - nel tempo -il piacere della tavola, piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
8.TRE SONGO 'E CCOSE CA STRUDENO 'NA CASA: ZEPPOLE, PANE CAUDO E MACCARUNE.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una casa: focaccine dolci, pane caldo e maccheroni. Da sempre a Napoli, le spase per l'alimentazione ànno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva consumato in quantità maggiore di quello raffermo,ma era meno nutriente in quanto pur essendo piú soffice conteneva maggior umidità risultando a parità di peso piú povero di nutrienti ed i famosi maccheroni che all'epoca costavano molto piú della verdura; oggi tutto costa di piú, per cui è difficile fare un elenco delle cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
9.ADDÓ HÊ FATTO 'O PUMPIERE? DINT’ Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il pompiere? Nella tinozza dei capitoni?!La frase è usata quando ci si voglia prender giuoco di qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non à esperienza, come di un pompiere che, in luogo delle manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú grossi capitoni.
10.'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
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SQUATTRINATO, MISERO, POVERO
SQUATTRINATO, MISERO, POVERO
Ancóra una volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico: P.G.del quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa a due desuete parole napoletane usate per solito di conserva:liscio e sbriscio un tempo usate addirittura agglutinate: liscesbriscio ; prendo spunto dicevo per parlare delle voci italiane in epigrafe ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano e sono molto contento della richiesta perché mi darà modo di illustrare alcune parole napoletane antiche e disusate, ma grandemente icastiche. Cominciamo ordunque con le voci dell’italiano dove accanto a squattrinato, povero, misero, troviamoindigente, bisognoso, meschino, micragnoso, nullatenente; esaminiamole singolarmente:
squattrinato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
che, chi non à quattrini; spiantato; etimologicamente è il part. pass. di squattrinare/arsi verbo disusato = privare/privarsi di quattrini( verbo denominale di quattrino( der. di quattro; propr. «moneta di quattro denari») con il prefisso distrattivo s);
povero/a, agg.vo e talvolta s.vo m.le o f.le
1. a. Riferito a persona, che non dispone a sufficienza di quanto è essenziale per vivere, per sostentarsi, che à scarsi mezzi economici, che manca del denaro necessario e di tutto quanto il denaro può procurare (si contrappone a ricco, ed è sempre posposto, in questa accezione, al sost. cui si riferisce): à sposato una ragazza p.; è gente p.; le famiglie piú p. della città; in posizione predicativa: essere p.; sono molto poveri; diventare p.; è nato, è vissuto, è morto p.; mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo (Manzoni); rafforzato con valore superl.: esser povero povero; essere povero come Giobbe; essere povero in canna, poverissimo. Con uso sostantivato: elenco dei p. del comune; ospizio per i p.; prima di morire distribuí ai p. tutti i suoi averi; sfruttare i p.; aiutare i p.; nell’uso comune, mendicante, accattone: vicino al portone c’è un p. che chiede l’elemosina. Analogam., di collettività prive di mezzi o scarse di risorse economiche: un istituto, un convento p.; villaggi molto p.; una nazione p.; i paesi p. del terzo mondo. b. Che indica o manifesta povertà, miseria, triste condizione (può essere anteposto o posposto al sost. cui si riferisce; nel primo caso esprime una maggior partecipazione del parlante): vivere in p. stato; ognuno à fatto la sua p. offerta; i bambini del paese ànno portato i loro p. doni; dopo una p. cena (o una cena p.) andarono a dormire; essere vestito di p. panni; giacere in un p. giaciglio. Che è abitato da gente povera, e quindi appare estremamente umile e modesto nell’aspetto: un paese formato di p. case; abitano in p. capanne; quartieri p.; questa è una casa p., ma onesta; Nel suo p. tetto educò un lauro Con lungo amore (Foscolo); che appartiene a gente povera: sedevano su p. panche; tirò fuori le sue p. cose. c. Arte p., nel linguaggio delle arti figurative, tendenza di ricerca artistica manifestatasi verso la fine degli anni ’60 del Novecento, che, rifiutando lo spirito formalista della pop art, in partic. l’attenzione posta ai valori iconografici, e opponendosi a forme di manipolazione o sofisticazione, mira al recupero del contingente come sola possibilità d’arte, facendo ricorso a materiali non nobili o addirittura banali (quali carta, pietra, stoffe, vegetali, ecc.), e si pone come presa di coscienza delle possibilità espressive insite nella materia; con altro sign., nel linguaggio degli antiquarî, metodo economico (detto anche lacca dei poveri) di decorare mobili e altri oggetti d’arredamento con applicazioni di stampe ritagliate o mediante decalcomanie. Architettura p., locuz. con la quale ci si riferisce a piccole costruzioni in genere realizzate dalle stesse persone che le abiteranno, senza un progetto, spesso su terreno demaniale e con materiali riciclati e di risulta, a volte utilizzate come seconda casa; negli anni ’70 specialmente negli Stati Uniti, opere di questo genere sono state realizzate nell’ambito di movimenti giovanili tendenti al rifiuto delle convenzioni e particolarmente attenti alle problematiche ecologiche. Cucina p., modello alimentare entrato nell’uso dagli anni ’70 in poi, che, come reazione agli errori di un’alimentazione troppo ricca e raffinata, sostiene la necessità di recuperare cibi e ingredienti che, in passato, erano tipici delle classi povere, quali, per es., la polenta, i legumi, certi tipi di pesce, ecc. Moda p., modo di vestire in auge spec. negli anni ’70, soprattutto tra i giovani, che si avvaleva di materiali e tessuti semplici e poco costosi, come espressione di anticonformismo e atteggiamento di rifiuto del consumismo in ogni suo aspetto. d. Al plur., entra nella denominazione di varî ordini religiosi cattolici, maschili e femminili, che hanno fatto voto di povertà: P. ancelle di Gesú Cristo; P. figlie delle sacre stimmate di s. Francesco; P. figlie di s. Antonio di Padova; P. suore di Nazaret; P. eremiti di Celestino, P. eremiti di s. Girolamo, ecc.; e anche di comunità e sette religiose non cattoliche che aderivano allo spirito di povertà evangelica: P. cattolici; P. di Lione, denominazione dei valdesi di Francia spec. dopo la scissione (inizio sec. 13°) dai loro confratelli italiani (che, a loro volta, si dissero P. lombardi). 2. a. Seguito da un compl. di privazione, che scarseggia, che difetta di qualcosa che, invece, dovrebbe avere: un’impresa p. di capitali; fiume p. d’acqua; zona p. di vegetazione; sangue p. di globuli rossi; una vita, un lavoro p. di soddisfazioni; tema p. di idee; un uomo p. di spirito, dotato di poco spirito, ingenuo, semplice o addirittura semplicione (per il sign. originario dell’espressione, nella frase evangelica beati i poveri di spirito, v. beato). b. Con il compl. di privazione sottinteso (e sempre posposto al sost. cui si riferisce): terreno, concime p., che contengono scarse quantità di principî nutritivi per le piante; vino p., a bassa gradazione alcolica; una facciata p., disadorna, priva di ornamenti; campagna p., con poca vegetazione. Con partic. riferimento all’ambito espressivo, stile p., banale, privo di movimento e di vivacità; componimento p., con poche idee e concetti; lingua p., scarsa di vocaboli; molto com. l’espressione in parole p. (piú raram. in lingua p.), senza ornamenti o perifrasi, quindi in termini chiari e precisi, anche se talvolta un po’ crudi: in parole p., questa è una bella vigliaccheria! Con riferimento a qualità intellettuali, poco dotato, limitato, insufficiente: cervello p.; fantasia, immaginazione p.; ingegno p.; o ineffabile sapienza che così ordinasti, c. In usi tecnici: gas p., miscela gassosa combustibile ottenuta dalla reazione di aria con uno strato sufficientemente spesso di coke incandescente; nei motori a combustione interna, miscela p., la miscela in cui l’aria è in eccesso rispetto alla quantità teorica ideale per ottenere la combustione completa del combustibile. 3. Anteposto al sost. cui si riferisce: a. Esprime commiserazione, pietà, partecipazione affettiva per qualcuno o qualcosa, con implicita l’idea non tanto della povertà quanto della triste condizione: le piccole gioie della p. gente; sono soltanto un p. impiegatuccio; à trovato un p. lavoro; non riesce a campare con i suoi p. guadagni; che cosa vuoi che faccia con le sue p. forze?; mi fa pena con quelle sue p. braccine, esili e magre; con altro senso, sono p. scuse, misere, meschine. Sempre in tono di commiserazione, è frequente in esclamazioni: p. donna!; p. ragazzo!; p. vecchietto!; p. orfani!; p. innocente!; p. bestia!; va, va, p. untorello, ... non sarai tu quello che spianti Milano (Manzoni); anche per commiserare sé stessi: p. me!, p. noi! (pop. anche pover’a me!, pover’a noi!). Nell’uso fam., un p. Cristo, persona che, per il suo aspetto fisico e per le sventure che l’affliggono, ispira pietà; un p. diavolo, chi è privo di mezzi economici e, anche, in vario modo, perseguitato dalla sorte. Inserito in frasi che spiegano il motivo della compassione: p. ragazzo, come s’è ridotto!; com’erano trattati quei p. malati!; di animali e cose: p. bestia, quanto soffre!; che cosa fai a quel p. gattino?; p. soprabito, guarda come l’hai conciato!; dovresti tenere meglio quei p. libri!; e con tono di rimpianto per cose che appaiono sprecate o perdute: p. i miei soldi!; p. le mie fatiche! In altri casi, soprattutto con pron. personali, esprime la previsione, l’annuncio o la minaccia di qualcosa di spiacevole: se non fai come ti dico, p. te!; p. me, se mi trova qui!; se lo pesco un’altra volta, p. lui!; se non superiamo l’esame, p. noi! b. In altri contesti, al compatimento si unisce il disprezzo o l’ironia: p. te!; p. illuso!, p. ingenua!, p. imbecille!, p. deficiente!; e lui, p. scemo, c’è cascato!; p. martire!, p. vittima!, rivolgendosi o riferendosi a chi si atteggia a martire o a vittima degli altri o delle circostanze. c. Sempre ispirata a compatimento, ma con varie connotazioni, l’espressione pover’uomo (o pover uomo; anche poveruomo): e ora, chi glielo dice a quel pover’uomo? tanto il pover’uomo era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo! (Manzoni); Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’ (Carducci); il povero Niccolai, invece, poveruomo, era uno dei nostri anche come idee (Pratolini); può anche significare, talora, uomo ingenuo e sciocco, oppure dappoco e meschino: era proprio un poveruomo ... d. Assume tono di compianto e rimpianto come attributo di persone defunte: preghiamo per i nostri p. morti; il mio p. babbo; come diceva la p. nonna ...; 4. Locuzioni avv. alla povera, alla maniera dei poveri, secondo le abitudini o le possibilità della gente povera: un trattamento, una festicciola alla povera. ◆ Frequenti i dim. poverino, poverétto, poverèllo (v. le singole voci); poco com. poverúccio; raro l’accr. poveróne, spreg. e iron.; il pegg. poveràccio (v.), anch’esso molto comune, à solo la forma, non la connotazione, peggiorativa. ◆ avv. poveraménte, da povero, in povertà: vestire, vivere poveramente; è morto poveramente com’era vissuto; la casa è arredata poveramente; in modo elementare, rudimentale: concetti articolati poveramente; un tema svolto troppo poveramente; etimologicamente è voce dal lat. parlato pauper -a -um per il lat. class. pauper -ĕris, comp. di paucus «poco» e parĕre «procacciare, produrre»: propr. «che produce poco» (détto in origine, della terra)].
misero/a, agg.voe s.vo m.le o f.le agg. [superl.corretto misèrrimo; scorretto, ma usato miserissimo]
1 povero, afflitto da miseria: condurre un'esistenza misera; una casa misera. DIM. miserello, miserino
2 infelice, disgraziato, miserevole: i miseri mortali; le misere vittime della strage | usato in escl. di commiserazione: o misero!; misero me, te!
3 abietto, spregevole, meschino: tentare miseri raggiri; fare una figura misera
4 scarso, insufficiente, da poco: un misero compenso; guadagnare quattro misere lire; fare un pranzo misero
5 (ant.) avaro, taccagno: un ricco fiorentino... piú misero e piú avaro che Mida (SACCHETTI)
come s. m. [f. -a] persona misera;
etimologicamente è dal lat. miseru(m)
indigente, agg.vo e s.vo m.le e f.le agg.
si dice di persona che manca dell'indispensabile, che vive in miseria: aiutare, soccorrere gli indigenti.
etimologicamente è dal lat. indigente(m), part. pres. di indigíre 'avere bisogno';
bisognoso/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 che, chi à bisogno di qualcosa: bisognoso di cure
2 che, chi vive nel bisogno; povero: aiutare i bisognosi
§ bisognosamente avv. nel bisogno: vivere bisognoso;
etimologicamente è un aggettivo/sostantivo formato quale deverbale aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a alla radice di bisogn-are
(dal lat. mediev. bisoniare, che è di orig. germ.);
meschino/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 (voce d’uso region.) infelice, sventurato; che è in povertà o in miseria, che si trova in condizioni assai disagiate;
2 che è troppo scarso; insufficiente, inadeguato: dono, compenso meschino | aspetto meschino, gracile, debole; miserando
3 che à idee e sentimenti gretti, limitati: un uomo meschino; gente meschina | che rivela povertà di spirito, ristrettezza mentale: sentimenti meschini; idee meschine | fare una figura meschina, brutta e ridicola
come s. m. [f. -a]
1 (d’uso region.) persona disgraziata e infelice
2 persona gretta
3 (ant.) schiavo, servo| Guerin Meschino, titolo di un romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino (Barberino di Valdelsa 1370 ca -† ivi dopo il 1431)
etimologicamente è dall'ar. miskin `povero, misero';
micragnoso, o migragnoso agg.vo e s.vo m.le o f.le
(voce d’uso region.)
1 che si trova in miseria
2 taccagno, tirchio
etimologicamente è un aggettivo/sostantivo formato quale denominale aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a alla radice del s.vo micragna (derivato dal
lat. hemicrani°a(m)→(he)micrania(m)→micragna 'emicrania', con allusione scherzosa al dolore provocato dalla indigenza;
nullatenente, agg.vo e s.vo m.le e f.le che, chi non è proprietario di alcun bene immobile e non percepisce alcun reddito oltre quello derivante dal proprio lavoro: un impiegato nullatenente; che non à beni di fortuna, e, in partic., che non possiede beni immobili, per cui non è soggetto a imposte fondiarie e sui fabbricati: essere n.; le classi n.; come sost.: essere un n.; quella birbonata di dividere fra i n. i fondi del comune (Verga). à sposato una nullatenente.
etimologicamente è voce formata dall’agglutinazione di nulla (dal lat. nulla, neutro pl. di nullus 'nessuno')
e di tenente part. pr. di tenere (dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere').
E veniamo ora al napoletano dove troviamo numerosissime voci i cui significati spesso variano leggermente tra di essi avendo ogni vocabolo una sua particolare nuance o sfumatura, dalle quali è bene non prescindere; abbiamo ordunque le voci che seguono che eviterò di indicare in ordine alfabetico, ma riporterò nell’ordine crescente della intensità espressiva:
liscio/a agg.vo e s.vo m.le o f.le
1) in primis sta per liso= consunto, logoro 2) vale poi, come nel caso che ci occupa meschino, ridotto male; etimologicamente è derivato dal lat. volg. (e)lisu(m), part. pass. di elidere 'rompere' malandato; normale il passaggio in napoletano di s seguita da vocale a sci+ vocale.
disperato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 che non lascia sperare in una soluzione positiva; che non dà speranze: ‘nu caso disperato(un caso disperato);
2 che rivela disperazione, che è provocato dalla disperazione: ‘nu chianto, ‘nu ggesto disperato (un pianto, un gesto disperato);
3 che à perso ogni speranza; che è in preda alla disperazione: campà disperato(vivere disperato); essere disperato p’ ‘a morte ‘e n’amico (essere disperato per la morte di un amico | â disperata(alla disperata), (fam.) in qualsiasi modo, alla meno peggio, in gran fretta
come s. m. [f. -a]
1 chi è in preda alla disperazione | comme a ‘nu disperato(come un disperato), (fam.) con grande impegno, con tutte le forze: faticà, correre comme a ‘nu disperato(lavorare, correre come un disperato);
2 (fam. ed è l’accezione che ci occupa)) chi non à mestiere né denaro; chi vive alla meno peggio;
etimologicamente è il part. pass. di disperare(dal lat. desperare, comp. del prefisso distrattivo dí- 'de-' e sperare 'sperare');
pezzente, agg.vo e s.vo m.le o f.le mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di grande miseria: jí vestuto comme a ‘nu pezzente(andare vestito come un pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il pezzente). Si tratta di unavoce di orig. merid., pervenuta anche nell’italiano, ed etimologicamente è propriamente il part. pres. del napol. pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. pètere 'chiedere';
arrepezzato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 in primis rattoppato, aggiustato con toppe;
2 (fig.) accomodato alla meglio, rimediato in qualche modo;
3(per traslato) malmesso, indigente vergognoso etimologicamente è un part. pass. marcato su di un tardo latino ad+repetiatu(m)→arrepetiatu(m)→arrepezzato; repetiatus è attestato nel Du Cange e lascia presupporre un repiare/ttiare= rattoppare;
scajente/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le
1 in primis sfortunato, disgraziato, misero, mancante;
2(per traslato)
malridotto, malconcio, malandato, cadente,etimologicamente è un part. pres. di scajenzà = rovinare, cadere in disgrazia, verbo denominale di scajenza = sfortuna, disgrazia etc. (dal lat. ex-cadentĭa);
sfessato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.leletteralmente stanco/a, debole,svigorito/a e per ampliamento semantico molto rovinato, povero, squattrinato, spiantato etimologicamente la voce a margine risulta essere il p.p. del verbo sfessà= bastonare, ridurre male, fiaccare, indebolire che va connesso all’acc.vo fessu(m)= stanco part. pass. di fatisci= 1 aprirsi, fendersi, sgretolarsi, dissolversi;
sbriscio/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le che sta per sbricio= 1 meschino, ridotto male;
2 grandemente malandato, ma pure infelice, sventurato, disgraziato, misero, tapino; etimologicamente è aggettivo deverbale del lat. volg. *brisare 'rompere'; da notare morfologicamente l’assimilazione di c con la s che produsse da sbricio→ sbrisio donde sbriscio con normale passaggio (come per il pregresso liscio) in napoletano della s seguita da vocale a sci+ vocale;
liscesbriscio/a agg.vo e s.vo m.le o f.le agglutinazione espressiva degli aggettivi liscio e sbriscio ai quali rimando per l’etimologia. per il significato occorre quasi sommare i due significati sino a giungere a povero, scarso, miserabile, misero, logoro, meschino, malmesso ; la voce or ora esaminata à anche una forma collaterale d’ uso ed estrazione popolare in liscesgriscio/a di identico significato ed etimo;
paccariato/a, agg.vo m.le o f.le misero, estremamente spiantato;etimologicamente è il part. pass. di paccarià =schiaffeggiare con riferimento semantico a gli schiaffi che la sorte si diverte a dare ai poveri, ai miserabili; paccarià a sua volta è un denominale di pàccaro = sberla, schiaffo; rammento al proposito che pàccaro o pàcchero è lo schiaffo a mano aperta e tesa indirizzato al volto, colpo che quando sia cosí violento da lasciare il segno è detto pàccaro a ‘ntorzafaccia; percossa violenta in tutto simile al mascone esaminato alibi; da non confondere con la pacca della lingua toscana che è un colpo amichevole assestato solitamente sulle spalle, colpo che – contrariamente al pàccaro – non connota intenzioni proditorie e/o aggressive; va da sé che il pàccaro napoletano non possa etimologicamente derivare dalla suddetta pacca toscana attesa la gran diversità delle funzioni e scopi dei due colpi; infatti mentre la pacca toscana à una derivazione probabilmente onomatopeica, il pàccaro napoletano è da collegarsi al termine pacca (natica) addizionato del suffisso di pertinenza arius→aro: la pacca di riferimento non è ovviamente quella onomatopeica toscana, bensí quella che viene da un basso latino pacca(m) forgiato su di un longobardo pakka che indica appunto la natica, ma pure la quarta parte ricavata in senso longitudinale di una mela o pera; con ogni probabilità, originariamente il pàccaro/pàcchero fu la sberla con cui si colpivano le natiche, una sorta di sculacciata cioè e da ciò ne derivò il nome che fu mantenuto, accanto ad altri, quando il colpo, lo schiaffo mutò destinazione; una gran copia di pàccare/i assestati in veloce combinazione prende il nome di paccariàta che oltre a sostanziare un’offesa è da intendersi anche quale forma di dileggio;
sfasulato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le estremamente indigente, povero in canna, sprovvisto quasicompletamente di danaro e/o mezzi di sostentamento; etimologicamente è voce costruita usando il suffisso aggettivale del participio pass. dei verbi in are: ato/a aggiunto al s.vo fasule= danari con protesi di una s distrattiva; fasule= fagioli son dal lat. phaseolu(m), dim. di phasílus, dal gr. phásílos e furono
usati, temporibus illis a mo’ di moneta o merce di scambio al pari ad es. dei ciceri ricordati alibi sub ‘e paparelle= i soldi;
smagliato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le sinonimo del precedente: estremamente indigente, povero in canna, sprovvisto completamente di danaro e/o mezzi di sostentamento; etimologicamente è voce costruita usando il suffisso aggettivale del participio pass. dei verbi in are: ato/a aggiunto al s.vo maglie= danari con protesi di una s distrattiva; maglie è dritto per dritto dal francese: maille=moneta, rammentado che chi è irrimediabilmente sprovvisto di danaro è indicato alternativamente o con, come ò détto, sfasulato (con riferimento ai fasule= monete) o – giustappunto: smagliato;
spullecone agg.vo e s.vo m.le e solo m.le non è attestata, sebbene morfologicamente possibile una spullecona; uomo sprovisto cronicamente di danaro, estremamente spiantato, poverissimo, aduso a rosicchiare, a spolpare sino all’osso pur di sopravvivere; etimologicamente è voce deverbale di spulecà/spullecà = rosicchiare, spolpare, spulciare che letteralmente è levar le pulci, quindi cercare minutamente ed a fondo (dal lat. s+ pulicare con raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (l);
sfrantummato/a, agg.vo e s.vo m.le o f.le in pretto napoletano l’aggettivo sfrantummato letteralmente (con derivazione quale participio passato dal verbo sfrantummà che è dall’agglutinazione di una esse intensiva + il verbo frantummà denominale di frantume ( derivato da franto p.p. di frangere + il suff.collettivo ume che nel napoletano comporta il raddoppiamento espressivo della labiale m), dicevo che letteralmente l’aggettivo sfrantummato vale
1 frantumato,smantellato, diroccato, spianato;devastato (détto di case, muri etc.) e
(per traslato,détto di persona)
2 del tutto rovinato, completamente squattrinato,assolutamentespiantato ma mai attestato nel senso di incapace, smidollato etc. come invece capitò erroneamente di intendere all’ ex sindaco di Napoli sig.ra Rosa Russo Iervolino, (anzi piú correttamente Rosa Iervolino in Russo) in riferimento a taluni assessori della giunta comunale napoletana.(cfr. alibi sub sfrantummato). trentapagnotte agg.vo m.le e f.le = povero/a,indigente, squattrinato/a servitorello/fantesca addetto/a ai lavori piú umili cui veniva dato quale ricompensa del lavoro un’unica pagnotta giornaliera; voce formata dall’agglutinazione funzionale dell’agg.vo numerale card. trenta con il s.vo pl. pagnotte (voce dal provenz. panhota, deriv. del lat. panis 'pane');
E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico P.G. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
SFRANTUMMATO
SFRANTUMMATO
Questa volta prendendo spunto da una richiesta formulatami dall’amico L.M. (al solito, motivi di riservatezza m’impongono di limitarmi alle sole iniziali del nome)che mi à chiesto dell’aggettivo sfrantummato usato, probabilmente impropriamente, dall’ ex-sindaco sig.ra Rosa Russo Jervolino, (anzi piú correttamente Rosa Iervolino in Russo) in riferimento a taluni assessori della giunta comunale napoletana,(assessori che, fortunatamente e sia pure con ritardo, à provveduto – passannose ‘a mana p’’a cuscienza - a mettere ‘mmiezo a ‘na via… parlerò delle seguenti voci del napoletano. Cominciamo con il dire che in pretto napoletano l’aggettivo sfrantummato letteralmente (con derivazione quale participio passato dal verbo sfrantummà che è dall’agglutinazione di una esse intensiva + il verbo frantummà denominale di frantume ( derivato da franto p.p. di frangere + il suff.collettivo ume che nel napoletano comporta il raddoppiamento espressivo della labiale m), dicevo che letteralmente l’aggettivo sfrantummato vale frantumato,smantellato, diroccato, spianato;devastato (détto di case, muri etc.) e per traslato (détto di persona) rovinato,squattrinato,spiantato e mai è attestato nel senso di incapace, smidollato etc. come nell’inteso del sindaco. Ahimé è certo che il sindaco Rosa Iervolino in Russo si è espressa impropriamente atteso che non mi pare proprio che gli assessori comunali partenopei risultino rovinati,squattrinati,spiantati tanto da giustificar per loro l’epiteto di sfrantummati, né trattandosi di persone e non di palazzi si possa accreditarli di essere frantumati,smantellati, diroccati, spianati,devastati. Avesse voluto, il sindaco correttamente rendere in napoletano le voci smidollato o incapace, avrebbe dovuto dire scatamellato (smidollato) o per indicare l’incapace, l’inetto avrebbe potuto scegliere tra
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,
da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca ;
chiafèo agg.vo e sost. m. antichissima voce, quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso, l’incapace etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophàîos;
fogliamolla non ci si lasci ingannare dalla desinenza femminile: la parola è un aggettivo sostantivato invariabile e lo si riferisce, senza alcuna variazione desinenziale, sia all’uomo che alla donna: ‘nu fogliamolla o ‘na fogliamolla nel significato di persona sciocca, neghittosa, gaglioffa, inetta, buona a nulla nonché molle tal quale la tenera foglia da cui deriva ed a cui è rassomigliata ; etimologicamente dai tardo latini: folia + molle(m);
fuceto/a agg.vo e sost. m.le o f.le antichissima voce, quasi desueta che indica l’impotente, il floscio, il vacuo e dunque lo sciocco,ilgrullo,ilmelenso,l’incapace,l’inetto; etimologicamente da collegarsi ad un tardo lat. fúngidu(m)= fungoso che semanticamente spiega il floscio, il vacuo tipico della vescia (fungo biancastro di forma globosa) normale il passaggio della dentale d a t in sillaba finale di parola sdrucciola (cfr. fòmeto = caldo da fúmidu(m), fràceto =fradicio da fràcidu(m),úmmeto= umido da umidu(m);
schiappa sost. m. e f. persona inetta, incapace (nel lavoro, nello sport, nel gioco ecc.); etimologicamente deverbale di un ant. schiappare 'spaccare legna', forse di origine onom.che diede sceppalegna/scippalegna= 'taglialegna', poi 'uomo rozzo, inetto';
sciacqualattuca agg.vo e sost. m e f. letteralmente guattero di cucina addetto alla lavatura delle verdure e dunque persona da poco, incapace, inetto, di nessun conto; etimologicamente voce formata dall’agglutinamento della voce verbale sciacqua (3° p. sg. ind. pres. dell’infinito sciacquare= lavare sommariamente o rilavare dal lat. tardo exaquare, deriv. di aqua 'acqua') + il sostantivo lattuca che in italiano è lattuga = pianta erbacea coltivata negli orti, le cui foglie larghe e tenere si mangiano in insalata; la voce napoletana, come la corrispondete italiana deriva dal lat. lactuca(m), deriv. di lac- lactis 'latte', per il liquido lattiginoso che secerne;da notare come la lattuca napoletana conservi l'occlusiva velare sorda c originaria del latino, mentre l’italiano à optato per l'occlusiva velare sonora g e non se ne comprendono i motivi;
sciaddeo/a –sciardeo/a agg.vo e s.vo m. o f. esattamente lo sciocco, l’incapace buono a nulla ; rammenterò qui che sciaddeo/a -sciardeo/a son la medesima parola: nella seconda si è verificato il fenomeno del parlato popolare di rotacizzare la prima d, ma la parola è la stessa; per quanto riguarda l’ etimologia di sciaddeo escludo a priori che la si debba riferire al nome dell’apostolo Giuda Taddeo che con sciaddeo à solo una tenua assonanza, non risultando da nessuna sacra scrittura (vangeli – atti degli apostoli – lettere etc.) che il suddetto Giuda Taddeo fosse uno sprovveduto o un incapace, e propendo per il verbo greco skedao= comportarsi da sbandato e/o sprovveduto; ancora ricorderò che dal femm. di sciardeo,cioè da sciardea si trasse il diminutivo sciardella nel significato di donna inetta, di casalinga incapace di fare i donneschi lavori di casa con attenzione e secondo i crismi dovuti; a Napoli è 'na sciardella la casalinga che lavi le stoviglie, facendosele scappare di mano e rompendole, che lavi i pavimenti con poca acqua, che spolveri superficialmente, che riponga gli abiti in modo raffazzonato, cosí che riprendendoli uno li trovi stazzonati e gualciti al punto di non poterli indossare, una donna insomma inetta ed inaffidabile, una sbadata patentata.
Esiste anche un peggiorativo del termine ed è sciuazza, peraltro addolcimento – attraverso l’epentesi di una efelchistica u – di un’originaria sciazza (che è dal latino ex-apta=inadatta)inteso troppo duro o volgare.
Scatamellato/a agg.vo m. o f. smidollato/a (fig.) privo di energie, snervato; debole, fiacco di carattere, privo di forza morale; etimologicamente p.p. del verbo scatamellà= cavare il midollo che è da un lat. volgare catamuellare con la protesi di una s distrattiva.
Proseguiamo dicendo che se invece il sindaco avesse voluto,per uno strano caso, esattamente accreditare i suoi assessori d’essere rovinati,squattrinati,spiantati, il sindaco avrebbe potuto, se non dovuto usare ad libitum uno dei seguenti aggettivi evitando fuorvianti traslati, scartando cioè quelli che potessero ingenerare confusione semantica, e scegliere tra
addecuotto/addecuttato- addecotta/addecottata agg.vo m. o f. letteralmente fallito,decotto: come chi è nello stato di decozione, quello nel quale si trova un imprenditore incapace di pagare con regolarità i propri debiti; è il presupposto della dichiarazione di fallimento. e quindi la voce a margine vale squattrinato, spiantato,rovinato; etimologicamente p. p.*addecoctus del tardo lat. *ad+decoquere;
arrojenato/a- arruinato/a agg.vo m. o f. . letteralmente rovinato e quindi squattrinato, spiantato etimologicamente p. p. di un lat. *ad+ ruinare→ arruinare/arroinare v. intr. [aus. essere];denominale di ruina (rovina):1 essere in o arrecare rovina a qualcuno o qualcosa; danneggiare/rsi, guastare/rsi, distruggere/rsi: arruinarse ‘a salute; l'ummeto arruina ‘e mure
2 crollare o far crollare; demolire, abbattere: ‘a furia ‘e ll’acqua à arruinato ‘o ponte
3 (fig.) essere o mandare in miseria, in fallimento: ‘o juoco mm’ à arruinato
Derrupato/a agg.vo m. o f.= . letteralmente dirupato = gettato da una rupe ||| v. intr. [aus. essere], 1 precipitare da una rupe o dall'alto;
2 per traslato: sciupare, essere rovinato e quindi squattrinato, spiantato etimologicamente p. p. di un lat. *de+ab +rupare→ derrupare denominale di rupes;
‘nnabbessato/a agg.vo m. o f.= . letteralmente inabissato, caduto in un abisso, sprofondato e quindi per traslato squattrinato, spiantato, rovinato;
etimologicamente p. p. di (i)nabissare denominale di abisso (dal lat. abyssu(m), che è dal gr. ábyssos, comp. di a- priv. e byssós 'fondo'); in napoletano abisso diventa abbisso con tipico raddoppiamento espressivo della labiale esplosiva b e da abbisso con il raddoppiamento conservato anche nel verbo che se ne trae, per cui inabissare diventa (i)nnabbissare→’nnabbessà;
paccariato/a agg.vo m.le o f.le= letteralmente percosso,schiaffeggiato (dall’indigenza) perciò misero, estremamente spiantato;etimologicamente è il part. pass. di paccarià =schiaffeggiare con riferimento semantico a gli schiaffi che la sorte si diverte a dare ai poveri, ai miserabili; paccarià a sua volta è un denominale di pàccaro = sberla, schiaffo; rammento al proposito che pàccaro o pàcchero è lo schiaffo a mano aperta e tesa indirizzato al volto, colpo che quando sia cosí violento da lasciare il segno è detto pàccaro a ‘ntorzafaccia; percossa violenta in tutto simile al mascone esaminato alibi; da non confondere con la pacca della lingua toscana che è un colpo amichevole assestato solitamente sulle spalle, colpo che – contrariamente al pàccaro – non connota intenzioni proditorie e/o aggressive; va da sé che il pàccaro napoletano non possa etimologicamente derivare dalla suddetta pacca toscana attesa la gran diversità delle funzioni e scopi dei due colpi; infatti mentre la pacca toscana à una derivazione probabilmente onomatopeica, il pàccaro napoletano è da collegarsi al termine pacca (natica) addizionato del suffisso di pertinenza arius→aro: la pacca di riferimento non è ovviamente quella onomatopeica toscana, bensí quella che viene da un basso latino pacca(m) forgiato su di un longobardo pakka che indica appunto la natica, ma pure la quarta parte ricavata in senso longitudinale di una mela o pera; con ogni probabilità, originariamente il pàccaro/pàcchero fu la sberla con cui si colpivano le natiche, una sorta di sculacciata cioè e da ciò ne derivò il nome che fu mantenuto, accanto ad altri, quando il colpo, lo schiaffo mutò destinazione; una gran copia di pàccare/i assestati in veloce combinazione prende il nome di paccariàta che oltre a sostanziare un’offesa è da intendersi anche quale forma di dileggio;
pezzente agg.vo e s.vo m.le e f.le= mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di estrema miseria; voce etimologicamente part. pres. di pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. petere 'chiedere';
sbriscio/a agg.vo m. o f. esattamente sbriciolato e poi squattrinato, privo di danaro, spiantato, messo male, misero costruito etimologicamente partendo dalla protesi di una s questa volta intensiva sul verbo lat. volg. *brisare 'rompere' denominale di brisa= briciola, pezzetto, frantume; da notare il passaggio della sibilante di brisare dal suono normale a quello palatale per cui s + a→sci+a come spessissimo nel napoletano ottenendosi da brisare, brisciare e poi sbrisciare; la voce or ora esaminata à anche una forma collaterale d’ uso ed estrazione popolare in sgriscio/a di identico significato ed etimo;
scarrupato/a oppuresgarrupato/a agg.vo m. o f. letteralmente abbattuto, demolito, rovesciato e poi rovinato e quindi squattrinato, spiantato etimologicamente p. p. di un ipotizzabile verbo greco -lat. formato partendo da una s(qui intensiva) + katá=giú + rupe(m) fino ad ottenere uno *sca(t)rupare→scarrupare;
sfasulato/a agg.vo m. o f. letteralmente privo di fagioli e dunque povero, squattrinato, spiantato; rammento che il termine fasule= fagioli è uno dei numerosissimi modi napoletani di indicare il danaro quasi certamente perché un tempo ‘efasule (dal t. lat. phasèolu(m))= fagioli furono usati, a mo’ di moneta o merce di scambio al pari dei ciceri (ceci) altro nome del danaro; la voce a margine si è dunque formata partendo da una s(qui distrattiva) +il s.vo fasule + il suff. aggettivale ato;
sfessato/a agg.vo m.le o f.le letteralmente stanco/a, debole,svigorito/a e per ampliamento semantico moltorovinato, povero, squattrinato, spiantato etimologicamente la voce a margine risulta essere il p.p. del verbo sfessà= bastonare, ridurre male, fiaccare, indebolire che va connesso all’acc.vo fessu(m)= stanco part. pass. di fatisci= 1 aprirsi, fendersi, sgretolarsi, dissolversi
2 (trasl.) mancare, cessare, stancarsi, esaurirsi, venir meno.
Sfrantummato della voce a margine ò già détto prima
smagliato/a agg.vo m. o f. letteralmente privo di monete, privo di danaro e dunque povero, squattrinato, spiantato; etimologicamentela voce a margine si è dunque formata partendo da una s(qui distrattiva) +il s.vo maglia che è dritto per dritto dal francese: maille=moneta + il suff. aggettivale ato;
rammentado che chi è sprovvisto di danaro s’usa indicarlo come: sfasulato (con riferimento ai pregressi fasule or ora esaminati ) oppure – giustappunto: smagliato;
spullecone/a agg.vo m. o f. letteralmente chi sbaccella i legumi freschi e poi privo di danaro, spiantato e dunque povero, squattrinato, rammento che il termine a margine deriva quanto all’etimo dal verbo spullecà (verbo denominale di pullum= pollone, germoglio, per il tramite di un lat. volg. *spulicare→spullicare=sbucciare, sbaccellare in cui si avverte la protesi di una s distrattiva); a spullecà è stato aggiunto il suff. qualitativo/accrescitivo one;
semanticamente la faccenda dell’accostamento tra chi sbaccella i legumi freschi e chi è privo di danaro, spiantato, oltre a richiamare ad un dipresso la precedente voce riguardante i fagioli, si spiega piú chiaramente col fatto che un tempo agli addetti (per solito poveri ed indigenti servi) che provvedevano all’operazione della sbaccellatura di fagioli freschi e/o piselli veniva accordato di trattenere i baccelli con cui preparare, in luogo di conferirli al nutrimento dei maiali, delle povere zuppe con cui sfamarsi, onde lo sbaccellatore (spullecone/a) divenne sinonimo di povero, indigente, squattrinato;
trentapagnotte agg.vo m.le e f.le = povero/a,indigente, squattrinato/a servitorello/fantesca addetto/a ai lavori piú umili cui veniva dato quale ricompensa del lavoro un’unica pagnotta giornaliera; voce formata dall’agglutinazione funzionale dell’agg.vo numerale card. trenta con il s.vo pl. pagnotte (voce dal provenz. panhota, deriv. del lat. panis 'pane');
zeffunnato/a agg.vo m. o f. letteralmente chi sia precipitato in un baratro, un abisso,chi sia andato completamente in rovina e dunque sia diventato privo di danaro, spiantato, povero, squattrinato; il termine a margine deriva quanto all’etimo quale p.p. dal verbo zuffunnà =sprofondare, inabissare, mandare in rovina ma pure ammucchiare, stipare, ammassare nascondeno derivato dall’ ant. spagnolo sofondar (con tipica assimilazione progressiva nd→nn ) a sua volta dal lat. volg. *suffundare collaterale del class. suffundere.
E qui mi fermo dichiarandomi sin d’ora immodestamente a disposizione (ma non per una qualche comunanza o vicinanza politica!) della sig.ra Rosa Iervolino in Russo se mai in avvenire avesse bisogno di qualcuno che - evitandole di incorrere in imprecisioni o strafalcioni - le desse un po’ di luce sulla parlata napoletana; tuttavia il miglior consiglio che penso le possa dare è quello di lasciar perdere di servirsi del napoletano trattandosi di idioma nel quale non è assolutamente versata!
Raffaele Bracale
giovedì 30 agosto 2012
VARIE 2027
1.È GGHIUTA 'A MOSCA DINT' Ô VISCUVATO...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenti d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame.In effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...Per significar ad un dipresso la medesima cosa,ma con altra sfumatura, alibi si usa anche dire: S’è arreccuto oppure s’è arrennuto Cristo cu ‘stu padrennosto id est: Non è sufficiente un solo pater noster per arricchire oppure per muovere a pietà il Signore!
2.CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
3.TENÉ'A SALUTE D' 'A CARRAFA 'E ZECCA.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
4.TENGO 'E LAPPESE A CQUADRIGLIÈ, CA M'ABBALLANO PE CAPA.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa però cosí alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" non indica le matite a quadretti, ma è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus→ quadrellatus, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo ed agitazione.È leggenda metropolitana o pura inesatta fantasia l’idea che l’espressione in esame si riferisca ad una pubblicità di matite da disegno laccate a quadretti bianchi e neri, matite poste a mo’ di capelli rizzati su di un buffo volto e ciò perché l’espressione risaliva ad una data molto antecedente a quella del cartello pubblicitario di matite da disegno (1750 circa).
5.PARÉ 'A SPORTA D''O TARALLARO.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa piú per indolenza che per magnanimità.
6.LÀSSEME STÀ CA STONGO'NQUARTATO!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
7.SE FRUSCIA PINTAURO, D''E SFUGLIATELLE JUTE 'ACITO.
Si vanta Pintauro delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo détto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
8.CARCERE, MALATIA E NECISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E LL'AMICE.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
9.MURÍ CU 'E GUARNEMIENTE 'NCUOLLO.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancora i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi vallo a trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intero il suo dovere...
10.NISCIUNO TE DICE: LÀVATE 'A FACCIA CA PARE CCHIÚ BBELLO 'E ME.
Nessuno ti dice: Lavati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
11.QUANN' UNO S'À DDA 'MBRIANCÀ, È MMEGLIO CA 'O FFA CU 'O VINO BBUONO.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
12.SCIORTA E CAUCE 'NCULO, VIATO A CCHI 'E TTÈNE!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
13.ANCAPPA PE PRIMMO, FOSSERO PURE MAZZATE!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
14.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
15.'NA VOTA È PRENA, 'NA VOTA ALLATTA, NUN 'A POZZO MAJE VATTE'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
Brak
VARIE 2026
1.PIGLIARSE 'O PPUSILLECO.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
2.NUN LASSÀ 'A VIA VECCHIA P''A VIA NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NUN SAJE CHELLO CA TRUOVE!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse, si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente prevedibili, valutabili e/o sopportabili.
3.PRUTUSINO, ÒGNE MENESTA.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse partenopee. prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
4.ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FFÈTE.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: Non bisogna fidarsi delle persone tranquille e taciturne in quanto sono quelle che rimuginano, almanaccano in silenzio senza farsi scorgere dagli altri, per poterli poi sorprendere;chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà per il tuo danno con tutta la sua puzza.
5.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINTO A 'NU PURTUSO!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
6.ASTÍPATE 'O MILO PE QUANNO TE VÈNE SETE.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire súbito o d’acchito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
7.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE 'NCHIUSE E MMIEDECE GUALLARUSE!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
8.AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
9.RICOTTA, LATTE E NNATTA, D'ORO VAJE VESTUTO, MA SEMPE FIETE ‘E LATTE !
Ricotta latte e panna, di oro ti puoi vestire, ma sempre di latte puzzi!. Con l’espressione ci si riferisce alle umili origini d’un ipotetico popolano che pretendesse di fare il signore con atteggiamenti nobili ed altolocali. Saranno sempre evidenti le origini plebee di un uomo anche se riccamente vestito da gran signore.
10.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
11.PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
12.'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
13.'A GATTA, PE GGHÍ 'E PRESSA, FACETTE 'E FIGLIE CECATE.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
14.FÀ 'E CCOSE A CAPA 'E 'MBRELLO.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
15.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÒ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
Brak
VARIE 2025
1. MENTRE O MIEDECO STURIA, 'O MALATO SE NNE MORE.
Letteralmente: Mentre il medico studia, il malato se ne muore. La locuzione è usata per sottolineare e redarguire il lento improduttivo agire di chi predilige il vacuo pensiero alla piú proficua, se rapida, opera.
2.M' HÊ DATO 'O LLARDO 'INT' Â FIJURA
Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli che gestivano in piazza Carlo III un ospedale per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi. Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna.
3.FÀ CUOFANO SAGLIE E CCUOFANO SCENNE
Ad litteram: Far (sí che un) corbello salga e (l’altro) scenda.
Antica icastica esopressione, mutuata dal lavoro dei muratori (come qui di seguito chiarirò) da intendersi nel senso di: evitare di intralciare il normale iter dell’umane faccende, cercando di non intervenire per mutarne il corso vuoi in senso positivo che in senso negativo; lasciare che tutto vada secondo il fato o il destino limitandosi ad osservare tenendosi estraneo da ogni faccenda e mostrandosi impassibile innanzi ad ogni accadimento , anche davanti a quelli che dovessero riguardarci tanto da presso da coinvolgerci e tutto ciò nella convinzione che sia impossibile ed inutile opporsi ai voleri del fato o destino che sia.L’espressione in eame è usata altresí con altra accezione quale imperioso consiglio a non affrettarsi nell’operare limitandosi a tenere il normale ritmo delle cose e ciò tenendo presente che l’operazione descritta nella locuzione à di per sé un andamento blando e non precipitoso. Come ò accennato l’espressione fu mutuata dal lavoro dei muratori e faceva riferimento al consiglio/ordine che il cosiddetto capomanipolo dava ad ogni sottoposto addetto allo sgombero dei calcinacci di demolizione o al trasporto dei materiali da costruzioni calati(i primi) o issati (i secondi) per il tramite di funi e carrucole affinché non impedissero con malaccorti interventi la salita e la discesa delle ceste ricolme. Un tempo il lavoro predetto veniva effettuato servendosi di un paranco provvisto di funi e carrucole cui erano attaccati due cesti, uno riempito del materiale di sgombero, l’altro vuoto; ora mentre il cesto pieno con il suo peso si spostava lentamente dall’alto in basso, contemporaneamente l’altro cesto svuotato risaliva con pari velocità. Oggidí nell’intento di accelerare le operazionisi sono aboliti paranco funi e carrucole e ci si serve di alcuni tronchi di cono di robusta plastica impilati l’uno sull’altro nei quali vengono versati icalcinacci di demolizione che velocemente precipitano dall’alto in basso ed ecco che la locuzione à perduto il suo sapido significato di partenza.
Cuofeno s.vo m.le [dal latino cophǐnus, marcato sul greco kóphinos] è un particolare cesto di vimini piú stretto alla base e provvisto di manici,usato per il trasporto delle merci piú varie.
4.SE PAVA NIENTE? E SEDÚGNEME DA CAPA A 'O PEDE!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente.
5.'A CH' È MMUORTO 'O CUMPARIELLO, NUN SIMMO CCHIÚ CUMPARE.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi ci aveva uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
6.LL' AMMORE DA LUNTANO È COMME A LL' ACQUA 'INT' Ô PANARO.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
7.SANTA CHIARA: DOPP'ARRUBBATO, 'E PPORTE 'E FIERRO!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo aver subíto il furto, (apposero) le porte di ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare; l’espressione ironizza sul correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
8.'MBARCARSE SENZA VISCUOTTE.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
9.S'À DDA FÀ 'O PIRETO PE CQUANTO È GGRUOSSO 'O CULO.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
10.CHI SE METTE CU 'E CRIATURE, CACATO SE TROVA.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa, come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini.
11.'A GALLINA FA LL'UOVO E Ô VALLO LL'ABBRUSCIA 'O MAZZO.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora e un altro si lamenta della fatica che non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non à compiute, e di cui invece fa le viste di portare il peso.
12.MO ABBRÚSCIALE PURE 'A BARBA E PPO DICE CA SO' STAT' IO!
Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdí santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
13.QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
14.QUANNO SI 'NCUNIA STATTE E QUANNO SI MARTIELLO VATTE
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
15.À FATTO 'O PIRETO 'O CARDILLO.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
Brak
VARIE 2024
1.TENÉ 'A SALUTE D' 'A CARRAFA 'E ZECCA.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di litri 0,727 (usata per le tarature) esistente presso la Zecca di Napoli, ampolla che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
2.TENGO 'E LAPPESE A CQUADRIGLIÈ, CA MM'ABBALLANO PE CCAPA.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellata, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, così costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo ed agitazione.
3.PARÉ 'A SPORTA D''O TARALLARO.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa più per indolenza che per magnanimità.
4.LÀSSEME STÀ CA STONGO'NQUARTATO!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le più varie reazioni.
5.SE FRUSCIA PINTAURO, D''E SFUGLIATELLE JUTE 'NNACITO.
Si vanta PINTAURO delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo detto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
6.CARCERE, MALATIA E NNECISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E LL'AMICE.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
7.MURÍ CU 'E GUARNEMIENTE 'NCUOLLO.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini, tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancóra i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi vallo a trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intero il suo dovere...
8.NISCIUNO TE DICE: LÀVATE 'A FACCIA CA PARE CCHIÚ BBELLO 'E ME.
Nessuno ti dice: Lavati il volto così sarai più bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
9.QUANN' UNO S'À DDA 'MBRIANCÀ, È MMEGLIO CA 'O FFA CU 'O VINO BBUONO.
Quando uno si deve ( cioè:decide) d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è più opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
10.SCIORTA E CAUCE 'NCULO, VIATO A CCHI 'E TTÈNE!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
11.ANCAPPA PE PRIMMO, FOSSERO PURE MAZZATE!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
12.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando più tardio sia possibile! E' la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
13.'NA VOTA È PPRENA, 'NA VOTA ALLATTA, NUN 'A POZZO MAJE VATTE'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
14.LÈVATE 'A MIEZO, FAMME FÀ 'O SPEZZIALE.
Letteralmente: togliti di torno, lasciami fare lo speziale...Id est:lasciami lavorare in pace - Lo speziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie. Sia l'erborista che il farmacista erano soliti approntare specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
15.ARTICOLO QUINTO:CHI TÈNE 'MMANO À VINTO!
La locuzione traduce quasi in forma di brocardo scherzoso il principio civilistico per cui il possesso vale titoloInfatti chi tène 'mmano, possiede e non è tenuto a dimostrare il fondamento del titolo di proprietà.In nessuna pandetta giuridica esiste un siffatto articolo quinto, ma il popolo à trovato nel termine quinto una perfetta rima al participio vinto.
16.CU MMUONECE,FEMMENE PRIEVETE E CCANE, HÊ 'A STÀ SEMPE CU 'A MAZZA 'MMANO.
Con monaci, preti e cani devi tener sempre un bastone fra le mani. Id est: ti devi sempre difendere: da monaci e preti per le richieste di oboli,dalle donne per non essere oppressi con analoghe richieste di danaro,o con pretese comportamentali, dai cani per non essere morsicati.
17.CHI FRAVECA E SFRAVECA, NUN PERDE MAJE TIEMPO.
Chi fa e disfa, non perde mai tempo. La locuzione da intendersi in senso antifrastico, si usa a commento delle inutili opere di taluni, che non portano mai a compimento le cose che cominciano, di talché il loro comportamento si traduce in una perdita di tempo non finalizzata a nulla.
Brak
‘NZÀTECO,’NZÒTECO & DINTORNI
‘NZÀTECO,’NZÒTECO & DINTORNI
Anche questa volta faccio sèguito ad un quesito rivoltomi dall’amico V.R. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi delle voci napoletane in epigrafe e di altri eventuali sinonimi.
Mi accingo a contentarlo chiarendo súbito che in realtà le voci in epigrafe sono un’unica voce con una piccola differenza morfologica vocalica che non leva e non mette.
Mette conto invece precisare che ampio è il ventaglio delle accezioni della parola nzàteco/’nzòteco e che essa à numerosi sinonimi. E vediamo dunque le une e gli altri:
‘nzàteco/a agg.vo e s.vo m.le o f.le 1 in primis selvatico/a, esotico/a, forestiero,spurio/a; 2 per traslato sciocco, stupido, balordo; 3 per ampliamento semantico come s.vo selvaggio, rozzo, zotico, incivile; quanto all’ etimologia non v’è identità di vedute: F.sco D’Ascoli propose un poco convincente lat. asiaticus→(a)zateco (dell’Asia) che chiaramentenon spiega donde derivi l’attacco ‘nz atteso che la voce è attestata sempre con una ‘n aferizzata che è residuo di un in→(i)n→’n e non una n eufonica priva di segno diacritico; trovo molto piú convincente l’idea di chi legge in ‘nzàteco un latino in+silvaticu-m→(i)ns(ilv)aticu-m→’nzateco
’nzòteco/a agg.vo e s.vo m.le o f.le lo stesso che il pregresso ‘nzàteco/a con un piccolo adattamento del parlato popolare comportante la differenza morfologica vocalica; talora sia ’nzòteco/a che ’nzàteco/a sono attestati come’nsòteco/a oppure ’nsàteco/a con addolcimento in (s) della l'affricata alveolare sorda (z).
E veniamo ai sinonimi, che sono:
furesto/a agg.vo m.le o f.le 1 in primis straniero; estero, esotico/a; 2 per ampliamento semantico scontroso, asociale, poco socievole; voce etimologicamente da un acc.vo lat. foreste-m = di fuori città;
furestico/a agg.vo m.le o f.le 1 in primis forestiero; 2 per ampliamento semantico schivo, ritroso/a, timido, riservato, chiuso, introverso; anche questa voce etimologicamente è da un acc.vo lat. foreste-m addizionata però dal suff. ico/a suffisso di relazione o appartenenza per aggettivi anche sostantivati di origine latina (-icum) o tratti in italiano da sostantivi(fanatico/teca;simpateco/tica;dummeneca,urganico/neca)
sarvateco/a agg.vo o s.vo m.le o f.le 1 si dice di pianta o animale che nasce e cresce liberamente, senza l'intervento dell'uomo: rose sarvatiche; cuniglio sarvatico | puorco selvatico,
2 (estens.) di animale, poco docile; di persona, non socievole, ritrosa
3 detto di luogo, ricco di vegetazione spontanea; incolto, selvaggio
4 barbaro, rozzo;
voce etimologicamente dal lat. silvaticu-m. con adattamento locale in sar della sillaba sil.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico V.R. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
mercoledì 29 agosto 2012
VARIE 2023
1.'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi addosso vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche.
2.AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA.
Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; non viene meno la vera amicizia per futili motivi.
3.TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura.
4.TRE CCALLE E MMESCÀMMECE.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui, che vuol sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di calle. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui.
5.CHI SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
6.TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
7.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri!
8. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, viaggiatore inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
9.FÀ COMME A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
10.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO.
Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta cosí massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto.
Brak
VARIE 2022
1)‘A FEMMENA È COMME A LL’ONNA: O TE SULLEVA O T’AFFONNA
Letteralmente: la donna è come un’onda: o ti solleva o ti manda a fondo; id est: la donna può sollevarti, ma può anche determinare la tua rovina.
2)FEMMENE, CIUCCE E CRAPE TENONO TUTTE UNA CAPA.
Donne, asini e capre ànno tutti la medesima testa nel senso che sia le donne che gli asini e le capre sono testardi alla stessa stregua ed indocili a qualsiasi comando, consiglio o raccomandazione, convinti sempre di far bene agendo di proprio istinto o iniziativa.
3) FEMMENE, CIUCCE E VVARCHE SO’ ‘E CHI ‘E CCARCA
Le donne,come gli asini e le barche, appartengono a chi le monti (e solo ad essi devono rispondere);id est: donne, asini e barche vanno dominati se si vogliono ottenere buoni risultati.
4) FEMMENE CANE E BBACCALÀ P’ESSERE BBUONE S’ÀNN’ ‘A MAZZIÀ
Donne, cani e baccalà per dare i risultati migliori devono esser percossi: le donne ed i cani sono indocili e devono devono essere bastonati per ridurli alla ragione; ugualmente il baccalà (merluzzo salato ed essiccato) per essere gustato al meglio , prima d’esser cucinato va opportunamente ammollato a forza di acqua fredda e percosse.
5)È MMEGLIO NASCERE SENZA NASO CA SENZA SCIORTA
È preferibile nascere senza naso piuttosto che senza buona fortuna! In effetti ad una menomazione fisica ci si fa l’abitudine ed in qualche modo si sopperisce, ma non si può fare a meno della buona fortuna molla propulsiva d’ogni accadimento umano.
6) L’OMMO, P’ESSERE NU BBUÒNU PARTITO, À DDA TENÉ: ARGIÉNTO DINT’Ê CCHIOCCHE,DIAMANTE „DINT’ A LL’UÒCCHIE, ORO DINT’Ê SSACCHE E ‘O FIERRO DINT’ô CAZÓNE!
Letteralmente ’uomo, per essere considerato un buon partito, deve avere le tempie imbiancate, (indice di maturità),gli occhi luccicanti (indice di vivida intelligenza), oro nelle tasche (cioè ricchezza) ed un (attrezzo di) ferro nel calzone (cioè essere sessualmente dotato).
onna: s.vo f.le, onda. Voce dall‟accusativo latino unda(m), con assimilazione progressiva nd→nn, come in fronna e funnaco.
varche: s.vo f.le pl. di varca = barca.Voce dall’accusativo tardo latino *barca-m, con normale trasformazione di b→v, come basiāre e bíbere in vasà e vévere.
carca: voce verbale per carreca (3° p.sg. ind. pr. dell’inf. carrecà/carcà, nel senso di caricare, far sentire il proprio peso, montar su. Si tratta di un denominale di carrus: latinismo medievale,.
crape s.vo f.le pl. di crapa = capra.Lettura metatetica dell’accusativo latino capra-m,
ciucce s.vo m.le o f.le (qui f.le) pl.del sg. ciuccio o ciuccia;
per l’etimo rinvio ad un mio lungo articolo alibi.
bbaccalà s.vo neutro = baccalà, merluzzo essiccato e conservato sotto sale: etimologicamente dallo sp. bacalao, e questo dal fiammingo kabeljauw.
sciorta: s.vo f.le = sorte, destino, ma qui buona sorte, fortuna. Voce dall’acc. lat. sorte-m, con normale evoluzione della sibilante (s) seguita da vocale nel gruppo palatale sci..
chiocche =meningi, tempie s.vo f.le pl. di chiocca = meninge, tempia e per ampiamento semantico anche testa.
Voce dal tardo lat. clocca(m)incrociato con cochlea(m).
Mazzià: voce verbale infinito = percuotere.Denominale di mazza( dal lat. mattea(m)). Derivati: mazziata. Fraseologia: curnùte e mazziàte, mazze e panèlle.., pane senza mazze fanne „e figlie pazze.
ommo: s.vo m.le =uomo. voce dal nominativo latino homo, con raddoppiamento espressivo frequente della bilabiale nasale(m), come in cammísa, ammore etc.
cazone, o cauzone: s,vo m.le . che nel significato di braghe aderenti è un accrescitivo di cauza= calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto'); normale in napoletano il passaggio di al ad au semplificato in a(u)(cfr. auto/aveto per al-to oppure autro/ato per al-tro);
uocchie: occhi s,vo m.le pl. del sg uocchio; voce dall’acc.latino oculu-m→oclu(m)→uocchio, con tipica evoluzione del gruppo cl→chj→cchi, come recchia ( che è dal lat. auricula(m)→(au)ricla(m)→recchia,), denucchio(che è dal at. volg. genuculu(m)→genuclu(m)→ denuclu(m)→ denucchio), etc. . Metaforicamente il s.vo plurale è inteso pure come attività malefica: fattura, maledizione, invidia cattiva.
fierro: = ferro; il s.vo a margine in napoletano può essere di due generi: neutro o maschile se è neutro indica l’elemento chimico (di simbolo Fe) cioè un metallo grigio-argenteo, tenero, duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran numero di minerali, da cui si estrae fin dalla più remota antichità; ed indica altresí l'acciaio dolce (lega di ferro a basso tenore di carbonio) e spesso anche gli acciai non legati; allorché sia neutro la scrizione preceduta dall’articolo neutro ‘o (lo) comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o ffierro; allorché invece il s.vo in esame sia inteso maschile serve ad indicare 1 in primis qualsiasi oggetto, attrezzo, utensile, arma di ferro o piú gener. metallico: ferro da stiro, ferro per arricciare i capelli etc. 2 per traslato giocoso come nel caso che ci occupa qualsiasi altra cosa accreditata anche iperbolicamente d’essere dura e resistente come il ferro; in questi casi la scrizione preceduta dall’articolo maschile ‘o (lo) non comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o fierro.
Brak
VARIE 2021
1. I' faccio pertose e tu gaveglie.
Letteralmente: Io faccio buchi e tu cavicchi. Id est: mi remi contro. La locuzione la si usa quando si voglia redarguire qualcuno che proditoriamente e senza apparenti motivi, anzi quasi per dispetto, si adopera per vanificare l'opera di chi si sta affannando in un'azione di senso contrario come nella locuzione càpita a chi si sta adoperando a fare buchi e trova chi invece si dà da fare per confezionare cavicchi atti a turare detti buchi.
2.Quanno scioscia viento 'e terra, 'o pesce nun zompa dint' â tiella.
Letteralmente: quando spira il maerstrale il pesce non salta in padella. Id est: i giorni spazzati dal vento maestrale sono i meno adatti per la pesca. Piú in generale il proverbio sta a significare che per ottenere buoni risultati occorre attendere il momento propizio e non bisogna avventurarsi in alcuna opera quando spiri vento avverso.
3. Tre songo 'e putiente: 'o papa 'o rre e chi nun tène niente.
Letteralmente: Tre sono i potenti: il papa il re e chi non possiede nulla. E' facile capire il perché della locuzione. Il Papa non à concorrenti, per cui nel suo ambito è da ritenersi veramente un potente; idem valga per il re inteso come despota. E non meravigli che sia considerato un potente il nullatenente, che basa proprio sulla sua penuria di mezzi la propria forza, potendosi infischiare di tutti, non temendo assalti da parte di nessuno, giacchè a nessuno verrebbe in mente di attaccare qualcuno a cui in caso di vittoria non si avrebbe che cosa sottrarre.
4. Signore 'e unu cannelotto.
Letteralmente: signore da un solo candelotto. Cosí a Napoli viene appellato chi pretende di avere nobili ascendenti, ed invece risulta essere di nessuna nobiltà. La locuzione risale al tempo in cui l'illuminazione dei palchi del teatro san Carlo, massimo teatro lirico della città partenopea, era assicurata da alcuni candelabri che venivano noleggiati dalla direzione del teatro agli spettatori che ne facessero richiesta. Il prezzo del noleggio variava con il numero dei candelabri richiesti e questo dalle possibilità economiche dello spettatore. Va da sè che minore era il numero di candele, minore era la possibilità economica dimostrata e conseguenzialmente minore il grado di nobiltà; per cui un signore da un candelotto era da ritenersi proprio all'infimo gradino della scala sociale.
5. Carta vène e giucatore s'avanta.
Letteralmente: carta (vincente) viene e giocatore (vittorioso) si vanta. La locuzione prendendo spunto dal giuoco delle carte stigmatizza il comportamento ridicolo e pretestuosamento presuntuoso - tipico peraltro di coloro che ànno scarse capacità intellettive - di chi tenti di farsi merito di successi ottenuti non per propria capacità, intelligenza e valore, ma per mera fortuna che lo abbia condotto al primato, come avviene in taluni giuochi di carte dove basta il possesso di determinate carte vincenti a procurare la vittoria e conta veramente poco il modo di giocare le predette carte.
6. Chella 'a mana è bbona; è 'a valanza ca vo’ essere accisa!
Letteralmente: Quella la mano è buona, è la bilancia che vuole essere uccisa cioè che si comporta in modo tale da meritarsi d'essere ammazzata. La locuzione va riferita a chi proditoriamente tiri a derubare sul peso e tenti di far ricadere la colpa sul tramite ossia sulla bilancia. Per traslato la locuzione la si usa sarcasticamente nei confronti di chiunque, per un motivo o l'altro non si voglia assumere le responsabilità del proprio truffaldino comportamento.
7. Chisto è n'ato d''a pasta fina.
Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina. Letta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di offesa.
8. Fattélle cu cchi è mmeglio 'e te e fance 'e spese.
Letteralmente: Intrattieni duraturi rapporti con chi è migliore di te e sopporta le spese che ne derivano.Id est: le proprie amicizie bisogna sceglierle tra chi ti è moralmente superiore , e occorre poi coltivarle anche se per fare ciò bisogna por mano alla tasca anche figurativamente parlando.
9. Addó sperdettero a Giesú Cristo.
Letteralmente: dove dispersero Gesú Cristo. Lo si dice di un luogo lontano ed impervio, difficile da raggiungere... La locuzione fa certamente riferimento all'episodio dell'evangelo allorché Maria e Giuseppe persero di vista il Redentore che s'era attardato in Gerusalemme ed impiegarono alcuni giorni prima di ritrovarlo.
10. 'A coppa sant' Ermo, pesca 'o purpo a mmare.
Letteralmente: Di sopra sant' Elmo pesca un polpo a mare. Lo si dice, ironizzando sull'azione di chi si affanna a voler raggiungere un risultato, che certamente invece gli mancherà, stanti le errate premesse da cui parte la propria opera, come chi volesse appunto pescare un polpo nel mare del golfo partenopeo e si trovasse a farlo assiso sulla collina di sant'Elmo, che è vero che guarda il mare, ma lo fa da un'altezza di circa 250 metri...
11. Va' fà ll'osse ô ponte
Letteralmente: vai a racimolare le ossa al ponte. Id est: mandare qualcuno a quel paese. Infatti la locuzione suona pure: mannà ô ponte, con il medesimo significato. Un tempo a Napoli presso il ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello, dove il popolo si recava ad acquistare le carni delle bestie macellate. I meno abbienti si accontentavano di prelevare gratis et amore Dei le ossa, per farne del brodo, per cui spingere qualcuno a fare le ossa al ponte significa augurargli grande miseria. La medesima accezione vale per la locuzione mannà a ‘o ponte; (mandare al ponte) tenendo presente che questa seconda locuzione la si usa nei confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi e dall’età ecco che essa locuzione à una valenza un po’ piú amara della prima giacché la si rivolge a chi - probabilmente - non à la capacità di ripigliarsi ed è costretto a subire gli strali dell’avversa fortuna.
12. Nè femmena, nè ttela a lume de cannela.
Letteralmente: Né donne, né tessuti alla luce artificiale. Id est: la luce artificiale può nascondere parecchi difetti, che - invece - alla luce del sole - vengono in risalto e ciò vale sia per la consistenza dei tessuti, sia - a maggior ragione - per la bellezza muliebre.
13. Jí cercanno:’mbruoglio aiutame!
Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che possa aiutarti. Id est: quando ci si trovi in situazioni o circostanze tali che non lascino intravedere vie d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di rifugiarsi in un non meglio identificato ‘mbroglio seu imbroglio,astuzia, inganno, moto di destrezza che in un modo o in un altro consenta di risolver la faccenda. La locuzione è usata a salace commento delle azioni di chi, per abitudine non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per àbitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido.
Brak
VARIE 2020
1.TRE CCOSE NCE VONNO P''E PICCERILLE: MAZZE, CARIZZE E ZIZZE!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi: busse, carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose: il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportino bene.
2.'E PEJE JUORNE SO' CCHILLE D''A VICCHIAIA.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino di Varrone: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si ànno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che in vecchiaia non mancano mai...
3.DIMMÈNNE N'ATA, CA CHESTA GGIÀ 'A SAPEVO.
Ad litteram: raccontamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi e vanificare il tuo operato.
4.DENARO 'E STOLA, SCIOSCIA CA VOLA.
Ad litteram: denaro di stola, soffia che vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso.
5.FATTE CAPITANO E MAGNE GALLINE.
Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: infatti chi sale di grado migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser salito di grado, cosí vedrai migliorato il tuo tenore di vita.
6.'E MARIUOLE CU 'A SCIAMMERIA 'NCUOLLO, SO' PPEJE 'E LL' ATE.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità
7.DICETTE FRATE EVARISTO:"PE MMO, PÍGLIATE CHISTO!"
Ad litteram: disse frate Evaristo: Per adesso, prenditi questo!"Il proverbio viene usato a mo' di monito, quando si voglia rammentare a qualcuno, (che si stia eccessivamente gloriando di una sua piccola vittoria), che per raggiungerla à dovuto comunque sopportare qualche infamante danno. Il frate del proverbio fu tentato dal demonio, che per indurlo al peccato assunse l'aspetto di una procace ragazza discinta; il frate si lasciò tentare e partí all'assalto delle grazie della ragazza che - nel momento culminante della tenzone amorosa riprese le sembianze del demonio e principiò a prendersi giuoco del frate, che invece portando a compimento l'operazione sodomitica iniziata pronunciò la frase in epigrafe.
8.CHI RIDE D''O MMALE 'E LL'ATE, 'O SSUĴO STA ARRET' Â PORTA.
Ad litteram: chi ride delle digrazie altrui, à le sue molto prossime; id est: chi o per cattiveria o per insipienza si fa beffe del male che à colpito altre persone, dovrebbe sapere che - presto o tardi - il male potrebbe colpire anche lui...
9.È 'NA BBELLA JURNATA E NISCIUNO SE 'MPENNE.
Ad litteram: È una bella giornata e nessuno viene impiccato.Con la frase in epigrafe, un tempo erano soliti lamentarsi i commercianti che aprivano bottega a Napoli nei pressi di piazza Mercato dove erano innalzate le forche per le esecuzioni capitali; i commercianti si dolevano che in presenza di una bella giornata non ci fossero esecuzioni cosa che, richiamando gran pubblico, poteva far aumentare il numero dei possibili clienti. Oggi la locuzione viene usata quando si voglia significare che ci si trova in una situazione a cui mancano purtroppo le necessarie premesse per il conseguimento di un risultato positivo.
10.'E MEGLIO AFFARE SO' CCHILLE CA NUN SE FANNO.
Ad litteram: i migliori affari sono quelli che non vengono portati a compimento; siccome gli affari - in ispecie quelli grossi - comportano una aleatorietà, spesso pericolosa, è piú conveniente non principiarne o non portarne a compimento alcuno.
11.QUANNO 'E FIGLIE FÒTTONO, 'E PATE SO' FUTTUTE.
Ad litteram: quando i figli copulano, i padri restano buggerati Id est: quando i figli conducono una vita dissoluta e perciò dispendiosa, i padri ne sopportano le conseguenze o ne portano il peso; va da sé che con la parola fòttono non si deve intendere il semplice, naturale, atto sessuale, ma piú chiaramente quello compiuto a pagamento.
12.PRIMMA T'AGGI''A 'MPARÀ E PPO T'AGGI''A PERDERE....
Ad litteram: prima devo insegnarti(il mestiere) e poi devo perderti. Cosí son soliti lamentarsi, dolendosene, gli artigiani partenopei davanti ad un fatto incontrovertibile: prima devono impegnarsi per insegnare il mestiere agli apprendisti, e poi devono sopportare il fatto che costoro, diventati provetti, lasciano la bottega dove ànno imparato il mestiere e si mettono in proprio, magari facendo concorrenza al vecchio maestro.
13.'NA MELA VERMENOSA NE 'NFRACETA 'NU MUNTONE.
Basta una sola mela marcia per render marce tutte quelle con cui sia a contatto. Id est: in una cerchia di persone, basta che ve ne sia una sola cattiva, sleale o peggiore, per rovinare tutti gli altri.
14.CHELLA CA LL'AIZA 'NA VOTA, LL'AIZA SEMPE.
Ad litteram: quella che la solleva una volta, la solleverà sempre. Id est: una donna che tiri su le gonne una volta, le tirerà su sempre; piú estesamente: chi commette una cattiva azione, la ripeterà per sempre; non bisogna mai principiare a delinquere , altrimenti si corre il rischio di farlo sempre.
15.CHELLA CAMMISA CA NUN VO' STÀ CU TTE, PIGLIALA E STRÀCCIALA!
Ad litteram: quella camicia che non vuole star con te, strappala! Id est: allontana, anche violentemente, da te chi non accetta la tua amicizia o la tua vicinanza.
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