lunedì 31 dicembre 2012
“'O SANCO SAGLIE 'NCANNA E TT'AFFOCA” & dintorni
“'O SANCO SAGLIE 'NCANNA E TT'AFFOCA” & dintorni
Questa volta risponderò alla cortese richiesta della mia amica S.P. ( della quale i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome)che mi à chiesto, qualora lo conoscessi, di illustrare significato e portata del proverbio in epigrafe ed in caso positivo di farne partecipe lei ed anche gli altri consueti ventiquattro lettori delle mie paginette. Le ò risposto testualmente nel modo seguente: Sí cara amica
conosco il proverbio che viene di lontano, ma fu sempre usato – a mia memoria quasi a completamento avversativo di altri due proverbi che furono: 1)'O SANGO NUN è ACQUA, 2)'O SANCO VO' DICERE, MA NUN VO' SENTERE che erano – come ò détto - completati in maniera avversativa con la precisazione E ciò a malgrado del fatto che 3)'O SANCO SAGLIE 'NCANNA E TT'AFFOCA; Entriamo in medias res e chiariamo súbito che in tutti e tre i proverbi il fenomeno ematico è ovviamente usato non in senso reale ma in quello figurato per indicare i legami di parentela e/o affetti. Nel caso sub 1) si afferma che il legame di sangue è fortissimo e di valore ben superiore a quello dell’acqua a cui non si apparenta; nel caso sub 2) si afferma che si è pronti a sparlar della propria parentela, ma non si accetta che ne parlino male i terzi; nel caso sub 3) si afferma che i legami di sangue, per fortissimi ed importanti che siano possono diventare cosí insidiosi facendosi pericolosi fino a nuocerti! Soffermiamoci su qualche voce.
- sanco s.vo neutro = sàngue [ voce dall’acc.vo lat. sangue(m) accus. collaterale di sanguĭnem attraverso un metaplasmo del lat. volg. *sangu(m)→sancu(m) con passaggio espressivo della occlusiva velare sonora (g) a quella sorda (c).]
1.
a. Liquido organico, opaco, viscoso, di colore rosso (rosso vivo il sangue arterioso, rosso scuro il venoso) che, sotto l’impulso dell’attività cardiaca, circola nell’apparato cardiovascolare (cuore, arterie, capillari, vene), distribuendosi in tutti i distretti dell’organismo, nei quali esplica fondamentali funzioni di nutrizione; è fisicamente una sospensione, risultante di una parte corpuscolata (globuli rossi o eritrociti, globuli bianchi o leucociti e piastrine) e di una parte liquida, il plasma; funzionalmente, rappresenta il vero tessuto di correlazione dell’organismo: per suo mezzo, infatti, gli organismi aerobici attuano lo scambio di ossigeno e di anidride carbonica fra l’ambiente esterno e i proprî tessuti (v. respirazione), e in esso passano i principî nutritivi assorbiti a livello della mucosa intestinale per essere trasportati e distribuiti ai varî organi e tessuti, dove sono utilizzati a scopi energetici e plastici oppure immagazzinati come materiali di riserva. Locuzioni: s. arterioso, s. venoso (anche, s. rosso, s. blu); la formazione del s., o emopoiesi; la circolazione del s.; s. ricco, s. povero di globuli rossi; animali a (o di) s. caldo, i vertebrati che ànno la temperatura corporea costante, come i mammiferi e gli uccelli (detti perciò omeotermi); animali a (o di) s. freddo, i vertebrati con temperatura interna variabile in relazione alla temperatura ambiente, come i rettili, gli anfibî, i pesci (detti perciò eterotermi); coagulazione del s.; prelievo di s.; analisi, esame del s.; trasfusione di s.; datori o donatori di s. (anche volontarî del s.), v. datore. Nel linguaggio com.: avere il s. sano, essere di buon s.; avere il s. malato, guasto, infetto; pop., avere il s. grosso o ingrossato, avere la pressione alta (espressione che risale alla vecchia teoria umorale, nella quale si contrapponeva a s. sottile); prov., il riso fa buon s., fa bene alla salute; occhi iniettati di s., espressione con cui si indica comunem. l’iperemia dei vasi superficiali dell’occhio, soprattutto in quanto sia conseguente a uno stato di violenta eccitazione.
b. Il liquido organico stesso considerato nel suo apparire all’esterno dell’organismo, in quanto eliminato o perduto per cause fisiche, patologiche, traumatiche, ecc.: un getto, un fiotto, un grumo, una goccia, una stilla di s.; s. rosso, nerastro; la ferita fa s., getta s.; perdere s. (fam. fare s.); dal taglio il s. esce, spiccia, sprizza, sgorga abbondante; filare s., quando esce con getto continuo (la mano ferita gli filava s.); nell’uso com., perdere s. dal naso, avere un’epistassi; avere una perdita di s., un’emorragia; sputare s., avere uno sbocco di s., avere un’emottisi; fermare, fare stagnare o ristagnare il s., quando viene perduto per una ferita o un’emorragia; cavare, levare il s., fare un salasso; non avere s. nelle vene, non rimanere piú s. nelle vene, in usi fig. (v. vena2, n. 1 b); un apporto di s. fresco, in senso fig., un apporto di elementi nuovi, giovani, freschi, capaci di ridare vigore a situazioni in stato di debolezza, precarietà, esaurimento (la concessione del mutuo rappresenta un apporto di s. fresco per l’azienda). Per il modo prov., scherz., levare o cavare s. da una rapa. Pietra del s. (o sanguinella), altro nome del diaspro rosso, cosí chiamato perché anticamente ritenuto efficace contro le emorragie.
c. Con riferimento al colore: rosso come il s., o, in funzione appositiva, rosso sangue, rosso vivo, fiammante (a volte anche rosso di s.); con allusione al colore della carnagione: à gote latte e s.; quel bambino è tutto latte e s., à un viso bianco e rosso, segno di buona salute.
d. In frasi di tono enfatico, con allusione al fatto che il sangue è essenziale alla vita, e quindi cosa assai preziosa: amare qualcuno piú del proprio s.; darei metà del mio s., tutto il mio s. pur di vederlo guarito.
e. Come simbolo di fatica e dolore, in senso sia fisico sia morale: costare s., sudare s., richiedere, sopportare un’enorme fatica; piangere lacrime di s., piangere amaramente, sconsolatamente; succhiare il s., esigere da una persona tutto ciò, o anche piú di ciò, ch’essa possa dare, per quanto riguarda il lavoro, un’attività e, soprattutto, il denaro: governo, fisco che succhia il s. dei cittadini; usurai arricchitisi succhiando il s. della povera gente.
2.
a. Sangue umano uscito dal corpo in seguito a ferite, spec. mortali, inferte volontariamente: battere, percuotere, mordere a s., con tanta violenza da far sanguinare; duello all’ultimo s., combattere fino all’ultimo s., fino a che uno dei contendenti resti ucciso (propriam., fino a che rimanga nel corpo ancora una goccia di sangue); duello al primo s., battersi al primo s., con l’accordo di sospendere il duello alla prima ferita; iperb., la vittima giaceva in una pozza, in un lago, in un mare di sangue.
b. Con valore simbolico, ferimento, uccisione, strage: spargere s., commettere delitti, stragi: Io che sparsi di s. ampio torrente (T. Tasso), che feci grandi stragi; sacrificio con, senza, spargimento di s., cruento, incruento; delitto, reato, crimine di s.; nella cronaca giornalistica, un grave fatto di s., un delitto; uomo di s., sanguinario, portato alla violenza: io ’l vidi omo di s. e di crucci (Dante); avere le mani lorde di s., imbrattate di s., che grondano s., che ànno ucciso; lavare un’offesa nel s., onta vendicata col s., con la vita dell’offensore; il s. innocente grida vendetta; che il suo s. ricada su di voi!; prezzo del s., presso popoli antichi o primitivi, somma di denaro che dev’esser pagata dall’omicida ai congiunti dell’ucciso come riscatto del proprio delitto (con altro senso, ottenere, raggiungere qualche cosa a prezzo del s., a costo della vita); avere sete, essere assetato di s., essere spinto al delitto da follia omicida o da grande desiderio di vendetta: Sangue sitisti, e io di sangue t’empio (Dante); al contrario, aborrire il s., aver orrore del s., di persona d’animo mite, aliena per natura dalla violenza. Il fiume di s. bollente, nell’Inferno dantesco, il Flegetonte (Inf. XII, 47-48: La riviera del s. in la qual bolle Qual che per vïolenza in altrui noccia), che attraversa il cerchio 7° e nel quale sono puniti i violenti contro il prossimo.
c. In partic., sangue versato nelle lotte o discordie civili, nelle guerre, o comunque per motivi politici o sociali: temprando lo scettro a’ regnatori, Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela Di che lagrime grondi e di che sangue (Foscolo); spargere, versare s. fraterno, nelle lotte intestine; soffocare una rivolta nel s., uccidendo i ribelli; l’insurrezione è finita in un bagno di s., si è conclusa con un massacro; scorreva per le vie il s. dei cittadini; notte di s., giornate di s., in cui siano state compiute gravi stragi di cittadini, di avversarî politici, ecc.; Natale di s. (v. natale, n. 2 b); in tono enfatico, essere scritto a lettere o a caratteri di s., di eventi storici grandi e solenni che siano maturati attraverso lotte dolorose e con molte perdite di vite umane. Con sign. piú prossimo a «vita umana»: dare, versare il s. per la patria, morendo sul campo di battaglia; Ove fia santo e lagrimato il sangue Per la patria versato (Foscolo); essere pronto a donare il s. per un’idea, per un ideale, a sacrificare la vita; l’indipendenza fu conquistata con il s. degli eroi; una vittoria che costò molto s.; quanto s. è costata la riconquista della libertà!; pagare un tributo di s., subire gravi perdite di vite umane. Nel linguaggio religioso e nella storia della Chiesa: fede rinvigorita dal s. dei martiri; battesimo di s., il martirio (v. battesimo, n. 1 a); l’umanità è stata redenta dal s. di Gesú; Nel tempo che ’l buon Tito ... vendicò le fóra Ond’uscí ’l sangue per Giuda venduto (Dante); il preziosissimo S., o il S. preziosissimo, anche senz’altra determinazione, quello sparso da Gesú Cristo sulla croce, e nel quale si trasforma quotidianamente il vino nel sacrificio della Messa.
3. In senso fig.:
a. Essenza vitale, sede della vita e dei sentimenti: non avere piú una goccia di s. nelle vene, sentire che la vita, le forze vengono meno; avere (una qualità) nel s., avere una disposizione, buona o cattiva, profondamente radicata in sé (à la musica nel s.; à la disonestà nel sangue); sentirsi qualcosa nel s., avere un presentimento particolarmente vivo e insistente; con riferimento a persona, avere qualcuno nel s., amarlo profondamente, essergli intimamente assai legato.
b. Lo stato d’animo, l’insieme degli atteggiamenti spirituali e delle passioni, spec. violente, di una persona, in quanto tutto ciò sembra essere in stretta relazione con diversi stati della circolazione del sangue, esercitando influenza su questi o, al contrario, essendone influenzato: guastarsi il s., irritarsi fortemente, arrabbiarsi; farsi cattivo s. (o il s. cattivo; anche, il s. amaro), tormentarsi, rodersi l’animo, prendersela molto a cuore; avere, non avere buon s. per qualcuno, averlo o no in simpatia; ant., andare a s., andare a genio; tra loro non corre buon s., non ci sono buoni rapporti, esiste animosità, acredine; il s. gli salí alla faccia, come manifestazione esteriore d’ira, di sdegno, di vergogna; il s. gli andò o gli montò alla testa, di chi è improvvisamente invaso dalla collera, dal furore; sentirsi rimescolare, rivoltare il s., provare grande turbamento, avvertire un sentimento di ribellione, di ripugnanza, di sdegno; sentirsi ribollire il s., esser vicino a scattare per lo sdegno, per l’ira; il s. gli fece un tuffo, a causa di una violenta e improvvisa emozione; sentirsi gelare o agghiacciare il s., allibire per il terrore; avere il s. caldo, il s. bollente, avere un temperamento focoso, facilmente infiammabile d’ira, d’amore, di passione, o anche d’entusiasmo; con senso affine, sentirsi bollire o ribollire il s. nelle vene; al contrario, non avere s. nelle vene, essere di temperamento freddo, insensibile, incapace di entusiasmo, di calore, di reazione e sim. (con sign. analogo, bisognerebbe non avere s. nelle vene, per non sdegnarsi, per non reagire, per non sentirsi invasi dalla passione o dall’entusiasmo). Come locuz. avv., a s. caldo, nel pieno dell’entusiasmo, dell’ira, della passione; piú com. il contrario, a s. freddo, a mente fredda, con piena consapevolezza delle proprie azioni, oppure freddamente, senza scomporsi: lo uccise a s. freddo. In altri casi, s. freddo, impassibilità, piena padronanza di sé e dei proprî nervi, che permette la visione realistica delle cose e una fredda obiettività di giudizio: tra tanti appassionati, c’eran pure alcuni piú di s. freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l’acqua s’andava intorbidando (Manzoni); conservare, mantenere il s. freddo; non gridavano, non perdevano il s. freddo (Ottieri); mostrare s. freddo; e come raccomandazione a mantenere il controllo di sé: s. freddo, mi raccomando!; calma e s. freddo!, spesso in tono iron. con riferimento a chi si agita troppo o mostra impazienza.
4. Sempre in senso fig.:
a. Veicolo dei caratteri ereditarî, espressione della costituzione genetica (secondo un concetto scientificamente superato, ma tuttora vivo nel linguaggio com.): essere di s. nobile (pop. o scherz., di s. blu), di s. patrizio, appartenere a una famiglia di origine nobile, patrizia; al contr., essere di s. popolano, plebeo; príncipi di s. reale, discendenti di una famiglia reale; con sign. piú ristretto, príncipi del s., quelli che appartengono alla famiglia stessa del sovrano; uomo ... per costumi o per virtú, molto piú che per nobiltà di s., chiarissimo (Boccaccio); buon s. non mente, frase prov. che si usa pronunciare nel vedere risvegliarsi o manifestarsi in una persona, spec. un giovane o un bambino, certe inclinazioni, buone o cattive, che si ritengono ereditarie.
b. Sempre in senso fig.come nel caso che ci occupa:
Relazione di parentela, continuità della famiglia, della stirpe, in quanto si ritiene che il sangue si trasmetta dai genitori nei figli: ci sono tra loro stretti vincoli di s.; legami di s. tra due famiglie, tra due tribú, tra due popoli; avere lo stesso s., essere dello stesso s., appartenere allo stesso s.; tutti quelli del suo s., tutti i suoi parenti; la voce del s., l’istinto che fa riconoscere o amare i proprî parenti (sentire, ascoltare la voce del s.); il s. non è acqua, frase prov. che esprime, come ò anticipato la forza con cui si fanno spesso sentire i legami di parentela (con altro senso, la frase serve a giustificare la facile eccitabilità dell’animo, gli impulsi all’amore, all’ira, allo sdegno, e sim.).
c. Con sign. concr., famiglia, stirpe; piú spesso, unito ad un agg. possessivo, indica i membri di una stessa famiglia, i discendenti, i figli, o anche un singolo parente, un singolo figlio; ll’aggi’ ‘a ajutà è pur’isso sanco mio(devo aiutarlo, è anche lui s. mio); piú enfaticamente,è ssanco d’ ‘o sanco mio (è s. del mio s.), con riferimento a un figlio);lle vuleva bbene comme fósse sanco suĵo (l’amava come se fosse s. suo).
d. Con riferimento a unità etniche: essere di s. italiano, di s. tedesco, di s. arabo; à s. gitano nelle vene; s. misto, v. sanguemisto; anche, il complesso dei caratteri piú genuini e distintivi di un popolo: si vede che à s. siciliano; è il vero s. latino. Con sign. concr. e collettivo, l’insieme dei componenti di una stirpe o progenie, di una nazione, di un’unità etnica; non com., un bel s., una bella stirpe, una bella razza.
e. Analogam., nel linguaggio degli allevatori di cavalli e di altri animali domestici, puro s. (animale, cavallo di puro s., piú spesso in funzione di sost., un puro s., anche in grafia unita: v. purosangue), animale di razza pura; mezzo s. (anche in grafia unita: v. mezzosangue), l’ibrido o meticcio fra due razze diverse; quarto di s., l’individuo che discende da un mezzosangue, incrociato a sua volta con un’altra razza.
5. Sangue di un animale macellato: il sanguinaccio si fa con il s. di maiale; bistecca al s., poco cotta. Sangue di bue, nome con cui viene comunem. indicato in commercio un concime organico azotato ottenuto dal sangue di bovini macellati, seccato e ridotto in polvere, che viene poi usato di solito diluito in acqua.
6. Come elemento di espressioni esclamative o imprecative, in tono talvolta scherz. talvolta volg.: sanco ‘e Giuda!; sanco. ‘e Bacco! sanco ‘e chi t’è vvivo/’e chi t’è mmuortoecc.; (s. di Giuda!; s. di Bacco!; sangue di chi ti è vivo/ di chi ti è morto!)
- saglie voce verbale qui 3ª p. sg. ind. pr. dell’infinito saglí/sàgliere = salire, montar su (voce da un lat. volg. *salíjere→sàljere per il class. salíre, con cambio di coniugazione e consueto passaggio di lj a gli+ vocale come in olju(m)→uoglio, allju(m)→ aglio); alibi anche 2ª p. sg. imperativo del medesimo infinito.
- ‘ncanna= in gola espressione usata sia in senso reale come nel caso di funa ‘ncanna= corda alla gola – annuzzà ‘ncanna= soffocare per non riuscire a deglutire un boccone di cibo finito per traverso oppure in senso figurato come nel caso che ci occupa, oppure in senso metaforico restà ‘ncanna= restare in gola détto di ciò a cui non sia pervenuti e/o non si sia potuto conseguire; ‘ncanna è: in+canna→(i)ncanna→’ncanna; (canna deriva dal latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale della gola); l’altra voce usata per indicare propriamente il canale della gola il gorgozzúle (dall'ant. gorgozzo o gorgozza, che è dal lat. volg. *gurgutiam, per il class. gurges -gitis 'gola’) è cannarone palesemente accrescitivo della pregressa canna; cannarone tuttavia non dovrebbe indicare la trachea (dal lat. tardo trachia(m), dal gr. trachêia (artìría), propr. '(arteria) ruvida', f. sost. dell'agg. trachys 'ruvido', perché al tatto risultano sensibili i passaggi fra un anello cartilagineo e l'altro) che è poi l’organo dell'apparato respiratorio a forma di tubo, costituito da una serie di anelli cartilaginei, compreso fra la laringe e i bronchi, organo cui si fa riferimento con il napoletano canna; cannarone è usato infatti soprattutto nelle espressioni in cui occorra sottolineare una pretesa vastità del tratto del tubo digerente che va dalla faringe allo stomaco, cioè dell’esofago (dal gr. oisophágos, comp. di óisein 'portare, trasportare' e phaghêin 'mangiare') di chi ingurgiti molto cibo e lo faccia voracemente; possiamo perciò dire che in napoletano – contrariamente da ciò che ritengono i piú avvezzi a far d’ogni erba un fascio, la voce canna corrisponde alla trachea mentre il cannarone è l’esofago.
A margine rammenterò che nell’uso del parlato soprattutto provinciale e/o dell’entroterra accanto al termine cannarone ne esistono altri due da esso derivati e che ne sono una sorta di dispregiativo e sono: cannaruozzo e cannaruozzolo; il suffisso ozzo/uozzo di matrice tardo latino volgare fu usato per indicare (cfr. Rohlfs G.S.D.L.I.E S.D. sub 1040 )qualcosa di rozzo, grossolano, contadinesco e dunque di pertinenza di voci dispregiative; tuttavia nel caso di cannaruozzolo ci troviamo in presenza di una sorta di divertente ossimoro determinato dall’aggiunta d’un suffisso diminutivo olus→olo ad un termine accrescitivo e dispregiativo come cannaruozzo (che in origine è cannar(one)+uozzo).
-affoca voce verbale 3ª p. sg. ind. pr. dell’infinito
affocare v. tr. usato soprattutto nella forma riflessiva affucarse; nella forma normale à svariati significati:
1 uccidere qualcuno immergendolo in acqua o altro liquido; annegare, soffocare;
2 (fig.) spegnere: affogare una delusione nell'alcol, bere per dimenticarla ||| v. intr. [aus. essere]
1 morire per soffocamento in acqua o altro liquido; annegare: cadde nel fiume e affogò | affogare in un bicchier d'acqua, (fig.) perdersi di fronte alle più piccole difficoltà | o bere o affogare, (fig.) dover scegliere fra due cose ugualmente sgradite
2 (fig. non com.) essere oppresso, oberato: affogare nei debiti
affucarse v. rifl. che ci occupa come sinonimo dei precedenti vale:
1 togliersi la vita per annegamento; annegarsi
2 (fig. fam.) immergersi totalmente: affogarsi nel lavoro
(fig. fam. ed è il caso che ci occupa) mangiare con grandissima avidità, con tale voracità da restarne soffocati.
Etimologicamente è da un lat. volg. *affocare per offocare 'strozzare', da ob e fauces, pl. di faux -cis 'gola'.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amica S.P. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
ARRAPATO COMME A ‘NA SCIGNA
ARRAPATO COMME A ‘NA SCIGNA
Ad litteram: Sessualmente eccitato al pari di una scimmia
Espressione usata iperbolicamente per burlarsi di chi non riuscendo a dominarsi si mostri costantemente su di giri, acceso, agitato anche quando le circostanze non lo richiedano; ancòr piú l’espressione si attaglia a chi non sa porre un freno al proprio istinto ed alla prima occasione proprizia faccia le viste di essere cosí tanto infoiato/a da non potersi frenare ed esser costretto/a quasi a dare spettacolo di sé tal quale uno scimpanzé di sesso maschile aduso a soddisfarsi, anche onanisticamente, senza alcuna remora coram populo et ceteris. Va da sé che l’agitazione che è propria delle scimmie antropomorfe è presa a riferimento per schernire chi sia molto eccitato anche non sessualmente.
arrapato è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare) che è v.bo tr.vo di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. [denominale del lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa!
scigna s.vo f.le = scimmia; voce deriva dal lat. simia→simja, con un consueto passaggio di s+ vocale a sci: (cfr. alibi semum→scemo) e con passaggio di mj a gn (come in ca(m)mjare→cagnà).
Brak
FARSE VENí A MMENTE ‘E SPECIE ANTICHE
FARSE VENí A MMENTE ‘E SPECIE ANTICHE
Ad litteram: Rammentarsi delle specie antiche; id est: riportare in auge i metodi antichi. Locuzione usata soprattutto in forma esclamativa e quasi minacciosa: Me faccio vení a mmente ‘e specie antiche!” da chi voglia mettere sull’avviso qualcuno,principalmente un minore, affinché receda da un comportamento sbagliato o non consono per non incorrere nelle riprimende di chi lo stia mettendo sull’avviso. Costui potrebbe infatti richiamare in vita, a tutto danno dell’ avvisato, i vecchi sistemi correttivi cioè quelli antichi procedimenti educativi energici, aspri, bruschi, rudi, sgradevoli ispirati non all’ indulgenza, alla mitezza, al dialogo, alla clemenza, ma all’imperio,alla durezza, alla severità, alla inflessibilità,persino alla crudeltà, condite di percosse spesso tali da lasciare il segno.
In napoletano il s.vo f.le inv. specie [voce dal lat. specie-m]à numerose accezioni:
1 insieme di individui con caratteri simili che li distinguono dagli altri individui dello stesso genere; in biologia, raggruppamento di organismi simili che, incrociandosi fra loro, generano una discendenza feconda;
2 (estens.) sorta, qualità, tipo: ggente d’ògne specie;che specie ‘e libbro vuó?(gente di ogni specie; che specie di libro vuoi?)
3 forma esteriore, apparenza: | sotto specie ‘e, sotto forma, in aspetto di; con il pretesto di 'na specie ‘e, si dice di cosa che nell'aspetto ne ricorda vagamente un'altra analoga: purtava ‘na specie ‘e cappotto militare;aggiu mangiato ‘na specie ‘e pasta overamente brutta (indossava una specie di pastrano; ò mangiato una specie di dolce veramente cattivo | me fa specie, (fam.) mi sorprende, mi meraviglia: me fa specie ca s’è cumpurtato accussí (mi fa specie che si sia comportato in questo modo) |
4 (in uso avverbiale) specie, specialmente: me piace ‘a canzona, specie chella napulitana classica (amo la canzone , in ispecie quella classica napoletana
5 (per traslato, come nel caso che ci occupa.) metodo, sistema, criterio, norma, regola.
Brak
VARIE 2204
1. Â CASA D’’O FERRARO, ‘O SPITO ‘E LIGNAMMO
In casa del fabbro lo spiedo è di legno.
Il proverbio consiglia di non meravigliarsi del fatto che spesso chi dovrebbe, per il suo status, essere in possesso di confacenti ferri del mestiere o adeguati arnesi, deve invece accontentarsi di vili succedanei.
Talvolta il proverbio non è usato come tale, ma - nell'identica formulazione - come locuzione a sarcastico commento dei risibili risultati ottenuti da chi faceva le viste di fare mirabílie ed invece, per sua insipienza e dappocaggine, con la sua erronea azione, à prodotto scadenti risultati.
2. Â GGATTA CA ALLICCA 'O SPITO NUN CE LASSÀ CARNE P'ARROSTERE
Ad una gatta adusa a leccar lo spiedo, non lasciarle carne da arrostire
È bene non fidarsi di chi abbia già dimostrato di essere inaffidabile e non meritevole di stima o fiducia; a costui non è ipotizzabile concedere una seconda opportunità: come un gatto abituato a leccare lo spiedo dove si sia cotta della carne, divorerà anche quella cruda, cosí di chi anche una sola volta si sia dimostrato inaffidabile è opportuno non fidarsi per non correre il rischio di essere nuovamente tradito o prevaricato.
3. Â ALDARE SGARRUPATO, NUN S'APPICIANO CANNÉLE
Ad altare diruto non si accendono candele
Ad una donna ormai avanti negli anni e perciò non piú avvenente,è inutile e non conveniente fare moine, né corteggiamenti.
4. Â PPRIMMA ENTRATURA, GUARDATEVE 'E SSACCHE
Nell'accedere per la prima volta (in un luogo sconosciuto) badate alle tasche!
Occorre essere molto attenti e guardinghi con le persone o i luoghi sconosciuti che si frequentano per la prima volta: c'è sempre il rischio d'esser defraudati o vilipesi.
5- Â BBELLA FIGLIOLA NUN MANCA 'O 'NNAMMURATO
Ad una bella donna non difetterà un innamorato
La bellezza è arma vincente.
6- 'A BBELLA ZITA, 'NCHIAZZA SE MMARITA
La bella ragazza trova marito appena arriva in piazza
Il proverbio ripete un noto assunto e cioè che la bellezza è arma vincente quando però sia esposta palesamente a tutti.
7 - 'A BBONA CAMPANA SE SENTE 'A LUNTANO
La buona campana s'ode di lontano
I buoni consigli vengono di lontano, cioè dai vecchi e si propagano in giro, mostrando tutto il loro valore e la loro efficacia.
8-'A BBONA MERCANZIA TROVA SEMPE N'ATA VIA
Una buona mercanzia trova sempre un'altra via da percorrere
La merce buona viene venduta facilmente o anche viene facilmente rubata; per traslato: tutto ciò che è buono può trovare una giusta ed adeguata destinazione.
9 - 'A BBONA PAROLA MOGNE, 'A TRISTA POGNE
La buona parola produce buoni risultati, quella cattiva punge (e dolendo è improduttiva.)
10 - 'A BRISCOLA SE JOCA CU 'E DENARE
La briscola si gioca con denaro contante
Per traslato: gli affari vanno fatti con denaro sonante.
11 - 'A CAMPANA FA DAMME E DONGO
La campana emette un suono alternato
Nella vita, come succede con il suono della campana bisogna alternare il dare con l'avere; come sarebbe impensabile il suono monotòno di una campana, cosí è impensabile una vita nella quale si riceva sempre e non si dia mai, né una nella quale si dia sempre e non si riceva mai..., pure se questa seconda evenienza non è improbabile.
12 - Â CCANE CA SE FA VIECCHIO, 'A GOLPE 'O PISCIA 'NCUOLLO
Al cane che diventa vecchio, la volpe gli minge indosso
Chi è importante e/o autorevole, una volta che abbia perduto il potere o l'incarico importante, non viene piú tenuto in nessuna considerazione.
13 - 'A CAPA NUN S'À DDA FÀ MAJE MALE PATÉ
La testa non va fatta mai patire
Id est: il capo non va portato mai scoperto per modo che non incorra in malanni come cefalee o emicranie; con diversa valenza: bisogna sempre secondare le proprie inclinazioni, dando libero corso alle proprie idee.
14 - 'A CAPA 'E SOTTO PÔ FÀ PERDERE 'A CAPA A CCHELLA 'E COPPA
La testa di sotto può far perdere la testa alla testa di sopra
Id est: il sesso può fare instupidire o ammattire .
15 -'A CARCIOFFOLA S'AMMONNA FRONNA A FFRONNA
Il carciofo si monda brattea a brattea
Id est: le cose vanno fatte paulatim et gradatim(poco per volta e con gradualità ) se si vogliono raggiungere buoni risultati.
Brak
VARIE 2203
1. ‘A SOTTO P’’E CHIANCARELLE!
Ad litteram: Di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli: strette doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano l’impiantito dei solai.
2. ASTIPATE 'O PIEZZO JANCO PE QUANNO VÈNONO 'E JUORNE NIRE.
Ad litteram: conserva il pezzo bianco per quando verranno le giornate nere. Id est: cerca di comportarti come una formica; non dilapidare tutto quel che ài: cerca di tener da parte sia pure un solo scudo d'argento (pezzo bianco) di cui potrai servirti quando verranno le giornate di miseria e bisogno.
3. ARRICIETTE ‘E FIERRE E GHIAMMUNCENNO
Ad litteram: raccogli i ferri del mestiere ed andiamo via. Locuzione usata a mo’ di perentorio comando dagli artieri e rivolta ai propri, meglio al proprio garzone affinché raccolti i ferri usati per svolgere il lavoro, li riponga in un contenitore da asporto e ci si possa allontanare dal luogo, ove si lavori o si sia lavorato, per far ritorno alla bottega. Il verbo arricettà, reso con l’italiano raccogliere deriva originariamente dal termine ricietto che significa tregua, pace e nella locuzione vorrebbe quasi intendere che ai ferri occorre dare,dopo una giornata di lavoro, finalmente tregua, non tenendoli pi ú sparsi a dritta e mancina, ma raccolti nel loro contenitore.
Modernamente la locuzione è usata all’incirca con la stessa valenza della precedente quando si voglia sollecitare un importuno a lasciarci liberandoci della sua sgradita presenza.
4. A PESIELLE PAVAMMO oppure NE PARLAMMO.
Ad litteram: al tempo dei piselli pagheremo oppure ne parleremo. Locuzione con la quale si tenta di rimandare la soluzione dei debiti o dei problemi a tempi migliori. In tempi remoti la locuzione posta sulla bocca di un contadino voleva dire: pagherò i miei debiti al tempo della raccolta dei piselli, quando farò i primi guadagni della stagione; posta invece sulla bocca di un medico o peggio d’un becchino aveva l’aria di una minaccia vvolendo significare: al tempo dei piselli ti necessiterà la mia opera o perché cadrai in preda di coliche che l’ortaggio ti procurerà, o - peggio ancora - ne decederai!
5.  FACCIA E D’’O CASACAVALLO o anche  FACCIA ‘E GIORGIO o ancóra  FACCIA E D’’O SISCO
Ad litteram: Alla faccia del caciocavallo o anche alla faccia di Giorgio o ancóra alla faccia del fischio.
Locuzione pronunciata con risentimento davanti ad avvenimenti che dèstino meraviglia non disgiunta da stupore o sorpresa, in quanto tali avvenimenti erano inattesi o macroscopicamente incredibili; sia il termine casocavallo (caciocavallo) che il fischio ed il nome Giorgio sono usati eufemisticamente in luogo di altro termine facilmente intuibile certamente pi ú becero, ma senza dubbio pi ú corposo e colorito. Il caciocavallo è un gustoso formaggio a pasta dura prodotto dai casari dei monti Lattari casari adusi a trasportarlo a valle, a dorso di cavallo legato a coppie con una corda; da ciò il nome.
6. ABBRUSCIÀ ‘O PAGLIONE
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica di voler procure a colui cui è rivolta un grave anche se non specifico danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato, usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata per minacciar imprecisati ma totali danni.
7. ADDÓ MAJE?
adlitteram: dove mai?
Domanda retorica che si suole rivolgere ai responsabili di azioni discutibili se non ripropevoli, per indurli a recedere dal loro comportamento ritenuto non esistente in nessun altro luogo e tanto sbagliato da doversi necessariamente evitare.
8. Â ‘NTRASATTA
ad litteram: all’improvviso detto di cose che accadono inaspettatamente, senza che nulla lo lasci prevedere, nel bel mezzo di altri avvenimenti proprio secondo la traduzione ad litteram del latino: intra res acta da cui scatuisce la locuzione in epigrafe.
9. Â CASA D’’O FERRARO, ‘O SPITO ‘E LIGNAMMO.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti vengono a mancare elementi che invece si presupponeva non potessero mancare e ci si deve accontentare di succedanei spesso non confacenti.
10. ‘A CARNA TOSTA E ‘O CURTIELLO SCUGNATO.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o pi ú elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione illustrata al numero successivo.
11. ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Pi ú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando.
12. AIZARSE ‘NU CUMMÒ
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente e, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da pesanti lastre di marmo.
13. Ê CANE DICENNO
letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani ciò che stiamo dicendo!
14. A MMORTE ‘E SÚBBETO.
Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto di ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina.
15. AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE.
Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.
Brak
domenica 30 dicembre 2012
BOLLITO & BRODO DI MANZO
BOLLITO & BRODO DI MANZO
Eccovi alcuni ottimi modi di preparare e servire del bollito o lesso di manzo.
Cominciamo con il ricordare che il miglior lesso si ottiene ponendo a cuocere per circa 2 ore ed a fuoco sostenuto la carne di manzo (pancettone e gamboncello corrispondenti a geretto posteriore (muscolo) e scalfo) in acqua già bollente, addizionata di una grossa cipolla dorata mondata e divisa in quattro parti , una grossa carota grattata e divisa longitudinalmente in quattro parti , una costa di sedano mondata e tagliata a tocchetti di 4 cm. cadauno,alcuni chiodi di garofano infissi per comodità nella cipolla, due foglie d’alloro, un mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, , porro,aneto,piperna,basilico ),tre pomidoro (roma o san marzano) sbollentati e pelati, un pugnetto di sale grosso alle erbette e pepe nero in grani, mentre se con i medesimi ingredienti si vuole ottenere un buon brodo, bisogna che il tutto sia messo in acqua fredda e prolungare la cottura per circa 3 ore a fuoco dolcissimo per modo che la carne ceda tutti i suoi succhi al brodo, rendendolo gustoso.
Nella fattispecie a noi interessa il lesso, non il brodo e dunque acqua bollente! Chi volesse il brodo, rammenti d’usare acqua fredda!
Eccovi la prima ricetta:
1 - BOLLITO DI MANZO e VITELLA IN INSALATA
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
2 cipolle bianche di cui una intera l’altra affettata ad anelli,
1 carota,
1 gambo di sedano,
2 foglie d’alloro,
, 1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna)
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso un pugno
pepe nero in grani q.s.
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p. s. a f.
1 tazzina d’aceto bianco,
il succo d’un limone non trattato,
1 cucchiaino di senape forte,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
2 etti di olive nere di Gaeta denocciolate,
1 etto di olive bianche di Spagna denocciolate,
1 cucchiaio di capperi di Pantelleria, dissalati e lavati.
Nota propedeutica:
Il modo di preparare il lesso di manzo o di manzo e vitello è identico per tutte le preparazioni che qui di sèguito indicherò.
procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamenti e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro, un mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna)
sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare a temperatura ambiente (tempo occorrente circa 1 ora); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello spinto verso l’esterno, con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in una capace zuppiera, lasciate che la carne intiepidisca al massimo e frattanto in una ciotola, versate l’olio, l’aceto, il succo di limone, il cucchiaino di senape un pizzico di sale e due di pepe e sbattete il tutto velocemente con una forchetta fino ad ottenere una salsetta fredda con la quale irrorerete la carne sulla quale avrete distribuito gli anelli di cipolla, i capperi ed i due tipi di olive; rimestate accuratamente e servite o come pietanza o come ottimo antipasto.
E eccovi la seconda ricetta:
2 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO.
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
4 uova,
½ etto di pecorino grattugiato,
1 ciuffo di prezzemolo tritato,
farina q.s.,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
olio di semi q.s.
procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, due foglie d’alloro,un mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna)
, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; frattanto aprite in una ciotola le uova, aggiungete un pizzico di sale e due di pepe, il pecorino ed il prezzemolo tritato e sbattete lungamente a spuma; infarinate accuratamente i pezzi di carne e tuffateli nell’uovo sbattuto, sgrondateli ed in una padella di ferro nero friggeteli fino a che siano croccanti, in olio di semi profondo e bollente; prelevate i pezzi fritti con una schiumarola, adagiateli su carta paglia a perdere l’eccesso d’unto, regolate eventualmente di sale e servite caldo con antipasto o secondo piatto.
Per ambedue le ricette precedenti, come per le seguenti: corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
3 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO IN PADELLA
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna)
sale fino e pepe nero macinato q.s.
1 tazzina di cognac o brandy.
procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro, 1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna)
, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; versate in un’ampia padella di ferro nero l’olio e mandatelo a temperatura, unite gli anelli di cipolla ed a temperatura sostenuta fateli dorare se non arsicciare; regolate di sale e pepe, unite i pezzetti carne bollita e ripassateli accuratamente per circa 10 minuti, infine versate il cognac o brandy, alzate il fuoco, fate evaporare, rimestate e cospargete con il trito di prezzemolo; impiattate e servite questo gustosissimo bollito, caldo di fornello, o come antipasto o come pietanza.
A questo punto vi suggerisco altri due modi: quarto e quinto modo di preparare e servire un ottimo lesso;
4 – BOLLITO IN SALSA VERDE
Per preparare il lesso si procede come ò indicato nelle due prime ricette; indi (per il terzo modo) si serve il bollito che sia ancóra tiepido diviso in grossi pezzi di cm. 5x4x3 accompagnati dalla seguente, gustosa
SALSA VERDE
ingredienti:
Prezzemolo gr.100,
rucola 100 gr.
1 spicchio d'aglio mondato,
6 filetti di acciughe sott’olio,
la mollica di una fetta di pane casareccio bagnata in aceto di vino bianco e poi strizzata,
50 gr di piccoli capperi di Pantelleria,
2 cucchiai di cetriolini sott'aceto,
1 piccola carota lavata, grattata e lessata al dente,
1 bicchiere d’olio d'oliva e.v. p. s. a f.,
1 uovo sodo sgusciato.
sale grosso alle erbe q.s.
procedimento:
Mondare, lavare accuratamente ed asciugare la rucola ed il prezzemolo eliminando i gambi troppo duri; lessare la carotina; rassodare l’uovo in acqua bollente (sette minuti) e sgusciarlo sotto un getto d’acqua fredda.
Porre nel frullatore con lame da umido il prezzemolo e la rucola trinciati grossolanamente,i filetti di acciughe, la carota troncata in piú pezzi, i cetriolini, l’aglio mondato, i capperi, l’uovo sodo diviso in quattro parti ed un pizzico di sale grosso alle erbette e tritare con cura tutti gli ingredienti a velocità bassa aggiungendo a mano a mano tutto l’olio.
5 – BOLLITO CON SOTTACETI
Per l’ultimo modo (il quarto) di servire il bollito preparato come indicato nelle prime due ricette, lo si divide ancòra tiepido in grossi pezzi di cm. 5x4x3 e lo si accompagna con verdurine ed ortaggi (carote,sedano, sedano-rapa) sott’aceto tagliati a julienne, sgrondati del liquido di conservazione (aceto) leggermente salati, pepati ed irrorati con un filo d’olio e.v.
In qualsiasi modo lo si gusti il bollito è sempre comunque buonissimo, se buonissima è la carne con cui lo si prepara !
Ovviamente vini rossi corposi serviti a temperatura ambiente.
raffaele bracale
BOCCONCINI DI MAIALE CON FRICASSEA DI VERDURE
BOCCONCINI DI MAIALE CON FRICASSEA DI VERDURE
Ingredienti per 6 persone:
1,200 kg. di spalla di maiale in fette spesse cm. 1,5, ridotte in bocconcini di cm. 3 x 4,
4 carote,
4 carciofi,
500 gr di fave sgusciate (anche surgelate),
2 grosse patate,
1 grosso finocchio
4 rossi d’uovo,
2 limoni,
1 bicchiere d'olio d'oliva e.v.p.s. a f. ,
1 cipolla dorata,
sale grosso alle erbe, pepe q. s.
semi di finocchio un cucchiaio,
1 gran ciuffo di menta lavato, asciugato e tritato finemente,
farina q.s.
un cucchiaio di fecola.
Preparazione
Mondare i carciofi, spuntandoli e togliendo le brattee piú dure, tagliarli in due, eliminare il fieno, affettarli sottilmente longitudinalmente e metteteli in acqua acidulata con poco succo di limone per non farli annerire. Sbucciare le carote e le patate e tagliarle a pezzi piuttosto grossi. Mondare il finocchio (conservando la barba verde!) lavarlo e tagliarlo a spicchi.
Lessare insieme per circa 20 minuti in acqua salata carote spuntate e pulite, fave e patate sbucciate e tagliate a grossi tocchi.
Lessare separatamente gli spicchi di finocchio per circa 10 minuti.
Scolare tutte le verdure e conservare l'acqua di cottura di patate e carote. Scaldare l'olio in una padella antiaderente e farvi appassire insieme i carciofi ben scolati e la cipolla tagliata a rondelle. Unire le altre verdure e lasciare insaporire per 5 minuti, quindi bagnare con circa 3 dl dell'acqua di cottura delle carote, unire la menta tritata ed il pizzico di semi di finocchio e lasciar cuocere, a padella scoperta, per 10 minuti a fuoco medio; salare adeguatamente solo a fine cottura!
Togliere le verdure dalla padella con un cucchiaio forato (salvando il liquido di cottura) e conservarle in un piatto di portata caldo. Frattanto infarinare adeguatamente i bocconcini di maiale lavati e sgrondati e farli rosolare per circa 15 minuti adagiati nel fondo di cottura delle verdure addizionato di un bicchiere d’acqua calda, nella medesima padella dove sono state stufate le verdure. Regolare di sale e di pepe. Mescolare i rossi d’uovo con il succo del limone e versarlo sui bocconcini ormai rosolati.
Aggiungere un cucchiaio di farina setacciata e fare ispessire il tutto a fuoco basso mescolando sempre ed alla fine unire tutte le verdure. Impiattare, pepare ancóra con pepe macinato al momento e portare in tavola caldo di fornello questo gustoso maiale con fricassea.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Per chi, come il sottoscritto, ama la carne di maiale questo è un modo gustosissimo di approntarla!
Mangia Napoli, bbona salute!E sciàlateve!
raffaele bracale.
MANCIA
MANCIA
Questa volta su suggerimento/richiesta dell’amico D. C. amico di cui al solito (per questione di riservatezza) mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome, prendo in esame la voce italiana in epigrafe altre omologhe,(se esistono e/o ne troverò) e le numerosissime corrispondenti del napoletano. Cominciamo dunque parlando di mancia e dicendo súbito che l’italiano, per questo termine non à che due sinonimi: extra e ricompensa quantunque talora impropriamente si usino quali sinonimi come voci dell’italiano: regalía e mazzetta voci che come vedremo sono voci d’origine centro-meridionale (laziali/campane) e ne dirò tra le voci del napoletano. Proseguiamo dunque e consideriamo le tre voci indicate:
mancia s.vo f.le
1 denaro che si dà, oltre al dovuto, a chi presta un servizio: dare, lasciare, ricevere una mancia | mancia competente, mancia adeguata che si promette a chi restituirà un oggetto smarrito.
2 (ant.) dono, regalo; ricompensa: così od'io che solea far la lancia / d'Achille e del suo padre esser cagione / prima di trista e poi di buona mancia (DANTE Inf. XXXI, 4-6). Etimologicamente è voce dal fr. manche 'manica', con riferimento all'uso delle dame del medioevo di donare ai cavalieri nei tornei i loro guanti e talora addirittura le lunghe maniche dei loro abiti, maniche che lunghe a dismisura giungevono a coprire le mani facendo quasi da guanti;
extra in origine prep. ed agg.vo e poi s.vo m.le invar.
come prep. fuori di: spese extra bilancio
come agg.vo invar.
1 fuori del previsto, dell'ordinario: spese extra
2 della qualità migliore: burro extra
come s.vo m.le invar. tutto ciò che costituisce un soprappiú; in partic., servizio o consumazione forniti da un albergo, da un ristorante e sim. fuori del prezzo prestabilito.
Etimologicamente è dal lat. extra 'fuori di';
ricompensa, s.vo f.le premio, atto generoso teso a ricambiare una prestazione, un aiuto o un favore, o a premiare per un’azione buona, valida: come potrò ricompensarti di un favore cosí grande?; non volle essere ricompensato per quello che aveva fatto; i risultati mi ricompensano a usura delle fatiche spese; sono stata ricompensata con un bellissimo mazzo di fiori; sono stato mal ricompensato. Con l’oggetto della cosa: r.di un lavoro, di una buona azione; il successo sarà la r. della tua fatica. Ironicam.: siamo stati davvero ben ricompensati! ; ciò che si dà a qualcuno in cambio di un favore ricevuto, o come atto di liberalità oltre il pattuito, per un un lavoro compiuto, o come riconoscimento di un'azione meritevole (anche iron.): per aver studiato tanto, ti meriti una ricompensa; come ricompensa farai un bel viaggio; dare, ricevere una ricompensa in denaro; bella ricompensa per tutto quello che ò fatto per lui! | ricompensa al valore, segno di onore conferito a chi abbia dimostrato eccezionale coraggio in un atto militare o civile.
Etimologicamente è voce dal lat. tardo recompínsa(m), deriv. di recompensare; cfr. ricompensare.
Esaurite le poche, contenute voci dell’italiano veniamo a quelle numerose del napoletano e cioè:
abbusco s.vo m.le in primis voce generica per indicare un lucro, un ricavo, un introito,un provento,un profitto,un frutto, un’entrata,una rendita; poi in senso piú circoscritto
a.piccolo o grosso regalo in denaro che si usa dare a chi abbia reso un servizio o una cortesia, in aggiunta al compenso dovuto: ll’abbusco ‘e Natale, Pasca e Ferragosto dato ô guardaporta(la mancia di Natale, di Pasqua, di Ferragostodato al portinaio.).
b. Regalo in denaro fatto dal datore di lavoro ai proprî dipendenti in occasioni solenni o in riconoscimento di particolari meriti; in questo sign., la parola è oggi sostituita da premio( gratifica).
c. non com. Grosso dono che si fa a una persona al fine di corromperla:si fa accussí, è ssigno ca à avuto ‘nu bbuono abbusco ( se agisce così, significa che à avuto la sua buona mancia.)
d. Dono in genere e, per estens., tutto ciò che si dà o si fa a qualcuno.
Etimologicamente è voce deverbale di abbuscà/are = trovare, procacciarsi, guadagnare,ottenere, prendersi; (dallo spagnolo ad→ab + buscar.
bbonamana s.vo f.le buona mano; più com. bòna mano (pl. bbonimmane o bbone mane). – Mancia che si dà in aggiunta del prezzo pattuito per un servizio. Etimologicamente è voce ricavato accostando o agglutinando l’agg.vo bbona (buona) al/ con il s.vo mana (mano);bbona è dal lat.tardo *bonam=buona e sta per buona o alibi piacente, appetibile, che risveglia i sensi;mana è dal lat.volgare *mana(m) per il cl. manus
chétta s.vo f.le mancia data ai posteggiatori e/o suonatori ambulanti, saltimbanchi ed affini; trattandosi di voce gergale nata nell’àmbito di posteggiatori, suonatori ambulanti, saltimbanchi etc. è pressoché impossibile trovarne l’etimo, ma poi che con la voce a margine si indica per sineddoche oltre che la mancia anche il piattello o secchiello usati per raccoglierla, non si è lontani dal vero se si sospetta che la voce piú che dal francese quête=ricerca/elemosina(come frettolosamente ipotizzò il D’Ascoli) sia un adattamento al femminile del lat. cadu(m) (greco kàdos) (= brocchetta per il vino) attraverso il seguente percorso morfologico cadu(m)→cada(m)→cheda→cheta→chetta con sostituzione dell’ occlusiva dentale sonora(d) con la corrispondente l'occlusiva dentale sorda (t) e suo raddoppiamento espressivo;
mancianza/mangianza s.vo f.le voce desueta
in primis 1. Esca per la pesca con le nasse: m. semplice, costituita di piccoli pesci e crostacei; m. mista, mescolanza di pane, formaggio, alghe, piccoli pesci e altri ingredienti pestati grossolanamente. Anche, punto del mare dove si trovano banchi di pesci piccoli, oggetto di caccia da parte dei pesci più grandi (per es., le sardine per i tonni).
2. (come nel caso che ci occupa) Compenso offerto o corrisposto in vista di fini non onesti.
Si tratta di un’unica voce dalla doppia morfologia ( una volta con l'affricata palatale sonora (g) ed una volta con la piú espressiva affricata palatale sorda (c) Etimologicamente è voce denominale di mangià per magnà
mazzetta s.vo f.le voce ripresa pari pari nell’italiano:
1 quale dim. di mazza : denominazione di attrezzi in forma di piccola mazza o di grosso martello, usati in diversi mestieri e attività:’a mazzetta d’’o fravecatore, d’ ‘o scrastatore ( la mazzetta del muratore,del minatore);
2 (edil.) spalletta che sporge ai due lati delle aperture dei muri e su cui poggia il telaio dei serramenti;
3 (raro) bastone da passeggio leggero ed elegante.
4 piccolo fascio di banconote (100 pezzi) del medesimo taglio, tenute insieme da una fascetta cartacea;
5 (come nel caso che ci occupa) piccola mancia data ad inservienti (camerieri,baristi etc.);
6 (spreg.) In usi gergali e allusivi: compenso dato o ottenuto in cambio di particolari favori (sinonimo di bustarella), soprattutto da parte di esponenti politici, di pubblici funzionarî o amministratori, e sim.; tangente imposta da organizzazioni mafiose in cambio della protezione accordata; somma che una prostituta dà come compenso al suo protettore. In epoca fascista, il sussidio quotidiano pagato dallo stato ai confinati;
7. Gruppo di campioni di stoffe uniti fra loro per un lato in modo che si possano sfogliare come le pagine di un libro; per i significati sub 2,4,5, 6 e 7 è impossibile risalire all’aggancio semantico con la mazza (dal lat. matea) per cui in tali accezione l’etimo resta sconosciuto a meno che non si voglia leggervi un addattamento al femminile di mazzetto=insieme di piú cose, (spec. fiori o altri vegetali), legate o comunque unite insieme;
‘nferta s.vo f.le
1regalo, dono, offerta varia (in particolare quelle fatte in occasioni di feste solenni: Natale, Pasqua, Capodanno);
2 pubblicazione saltuaria di contenuto vario che viene redatta e venduta in occasione del Capodanno, strenna;
voce etimologicamente deverbale come adattamento al femminile del lat. infertum→(i)nfertu(m)→’nferto (supino di infercio) = infarcito, riempito come infarciti, riempiti sono regali, doni ed offerte varie o le pubblicazioni di inizio d’anno.
paraguanto s.vo m.le
1 mancia, omaggio, piccolo regalo in danaro;
2 presente, pensiero, elargizione, donativo fatto ai proprii subalterni (camerieri, servitori, domestici);
interessantissimo l’etimo della voce in esame che deriva dall’espressione iberica: para guantes che era in tempo medievale la richiesta che i maggiordomi facevano ai proprî padroni con la scusa di abbisognare di guanti bianchi nuovi che sostituissero quelli in uso probabilmente logori o sporchi o sciupati al segno che il lavarli non avrebbe servito a ridar loro la decenza necessaria.
pezzotto s.vo m.le La voce a margine nel passato valse modesta mancia,contenuto omaggio di un oggetto prodotto artigianalmente se non domesticamente e manualmente senza supporto di macchinarii (ad es.tappetini,centrini di merletti, piccoli ricami etc. a volte sostituiti da modestissime somme di danaro; oggi nel gergo,o meglio nello slang giovanile partenopeo vale cosa, oggetto falsificato, contraffatto, non originale; per cui (messi da parte i significati di modesta mancia,contenuto omaggio per i quali etimologicamente la voce in esame è da collegarsi al s.vo pezza nel significato di moneta, pezza di cui pezzotto è il diminutivo, ipocoristico reso maschile ) mi soffermerò sul significato moderno della voce in esame; ad es. oggi s’usa dire ‘stu CD è pezzotto (questo compact disk è falsificato)quando il CD de quo risulti essere una copia prodotta con sistemi piú o meno truffaldini, da un originale, allo scopo di eludere tasse e tenere bassi i costi; come ò segnalato la voce pezzotto è un sostantivo (e dunque apposizione) mentre piú correttamente per indicare un oggetto falsificato, andrebbe usato un aggettivo che è ed un tempo fu appezzuttato, aggettivo che poi cadde in disuso in favore del piú sbrigativo sostantivo pezzotto;in effetti l’aggettivo appezzuttato starebbe a significare prodotto con il pezzotto che di per sé quale diminutivo di pezzo e non di pezza , risulta essere un arnese del falegname détto tecnicamente in lingua nazionale ascialone (accrescitivo di asciale da un lat. volg. axale(m), deriv. di axis 'perno, asse) ed è una parte del morsetto con il quale i falegnami serrano due pezzi di legno da incollar tra loro, di tal che le voci appezzuttato e/o pezzotto stanno modernamente ad indicare cosa o oggetto prodotto in maniera artigianale, non industriale e quindi non originale;
rammenterò poi che in lingua nazionale esistette già il termine pezzotto usato per indicare ( con derivazione da pezzo) un tappeto tipico della Valtellina, fatto con ritagli di tessuti vari arrotolati e cuciti insieme.
Nulla osta poi che un tempo – come riportato dalla Serao – le artigianali sartine napoletane fornissero alla loro minuta clientela piccolo borghese abiti copiati artigianalmente da originali modelli francesi e dunque abiti pezzotti o appezzuttati; è pur sempre, ora come allora, una dimostrazione della partenopea arte d’arrangiarsi; peccato che oggidí la cosa, finita nelle mani di camorra ed orientali stia prendendo d’acido o se sta azzeccanno sotto! (giacché una cosa è copiare per un amico un costoso C.D. , un’ altra è vedere inondare bancarelle e negozi con C.D.pezzotti la cui vendita ingrassa le tasche di camorristi ed affini!!!)
rialía/realía s.vo f.le voce ripresa poi nell’italiano come regalía:
1 mancia,omaggio , dono, regalo in denaro; :realía natalizzia (regalía natalizia);
2 nel medioevo, ciascuno dei diritti considerati di pertinenza del sovrano, spec. quelli di riscuotere imposte su terre, strade, caccia, pesca ecc.;
3 pl. doni in natura che in certi contratti agrari il colono doveva al proprietario del fondo. Etimologicamente voce dal lat. regàlia 'le cose del re', neutro pl. sost. dell'agg. regalis 'regale'; da regàlia→re(g)alía/rialía con cambio d’accento e caduta espressiva della l'occlusiva velare sonora (g); l’italiano à poi ripreso la voce napoletana recuperando la voce etimologica originaria con l'occlusiva velare sonora (g), ma adottando il cambio d’accento;
sbruffo s.vo m.le s.vo dai molti significati che in primis sono:1 sbuffo, ventata;
2Spruzzo violento d’acqua o d’altro liquido emesso, per lo piú rumorosamente, dalla bocca o dalle narici da persone o da animali; spesso con usi estens. o anche con sign. affine a sbuffo: la locomotiva avanzava con allegri s. di vapore; non riuscì a trattenere uno s. di riso.
3. In pirotecnica, tipo particolare di fuochi d’artificio, usato per lanciare stelle con accompagnamento di scoppî.
4. (In senso fig) refurtiva; in tale accezione anche bbruffo;
5. (In senso fig.ed è il caso che ci occupa), mancia, regalía, bustarella data di nascosto a impiegati, funzionarî e sim. in cambio di agevolazioni e favori; compenso dato sottobanco per ottenere illecitamente un favore; voce etimologicamente deverbale di sbruffare (dal lat.exproflare→(e)xproffare→sbroffare→sbruffare;
sottamana avv. e s.vo m.le [comp. di sotto→sotta (dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto' e mana= mano (dal lat. volg. *mana(m) per il cl. manus]. – 1. a. avv. A portata di mano:tene sempe sottamana’e fierre d’ ‘a fatica (tiene sempre a portata di mano gli arnesi del lavoro). Rammento però che in tale accezione in napoletano è d’uso la locuzione avverbiale a manese b. Come s. m. (pl. sottomani), cartella ricoperta di pelle, tela o plastica, che si usa tenere sulla scrivania per appoggiarvi il foglio su cui si deve scrivere e come custodia per fogli, buste e sim.
2. avv., ant. Con la mano tenuta in basso rispetto alla spalla. In partic., nella scherma: bbotta, stuccata sottamana (colpo, stoccata sottomano), e cògliere, tirà sottamana (tirare, ferire sottomano.), con la mano che impugna l’arma tenuta piú in basso della spalla; nell’ippica, sferzare s., tenendo bassa la mano che impugna il frustino. Ancora in uso le espressioni condurre, tenere un cavallo s., tenerlo per la briglia alla propria destra, con la mano bassa, stando in sella a un altro cavallo (spec. guidando pariglie, carriaggi militari, ecc.); e, in alcuni sport con la palla menà ‘a palla sottamana (lanciare la palla sottomano ), dal basso verso l’alto.
3. fig.
a. avv. Di nascosto, senza farsi vedere da altri: passà ‘nu viglietto sottamana( passare un bigliettino sottomano); sigarrette ‘e contrabbandio accattate sottamana (sigarette di contrabbando comprate sottamana;dà, piglià ‘nu rialuccio sottamana (dare, prendere un regaluccio sottomano.)
b. (come s.vo m.le nel caso che ci occupa), raro,ma non desueto: mancia, regalía data o presa senza che altri sappia o veda: dà, piglià ‘nu sottamana (dare, prendere un sottomano.) Anticam., l’emolumento dato a un pubblico ufficiale, oltre allo stipendio, con carattere di gratifica.
4. ancóra come avv. Nel gioco degli scacchi: jucà sottamana (giocare sottomano s., cioè giocare con il Nero, che per consuetudine muove dopo il Bianco.
A margine di questa voce, avendone accennato, fa d’uopo ch’io parli delle locuzioni avverbiali a manese/a mmannese che rendono le italiane a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata. Per la verità si tratta di due forme, ampiamente attestate dapprima nella forma a mmannése e poi quasi esclusivamente nella forma a mmanése forma nella quale perdura nel parlato popolare partenopeo. Si tratta, dicevo, di due forme leggermente diverse d’un’ unica locuzione che in origine – come chiarirò – fu a mmannése e solo in prosieguo di tempo sotto la patente influenza della voce mana divenne manése con la nasale scempia mantenendo invariato il significato di a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata.
Cominciamo súbito col chiarire che nell’ idioma napoletano la voce mannése non à nulla a che dividere con l’omografa ed omofona della lingua italiana; in italiano mannése è un aggettivo che viene riferito agli abitanti dell’isola di Man e connota in particolare una lingua che è appunto la lingua mannese o manx (chiamata anche Gaelg) che è una lingua goidelica parlata sull'Isola di Man,che è un’isola conosciuta anche come Mann o Manx (Isle of Man in inglese, Ellan Vannin o Mannin in mannese) ed è situata nel Mar d'Irlanda; sul piano politico, essa non fa parte del Regno Unito né dell'Unione Europea, ma è una dipendenza della Corona britannicaLa lingua che vi si parla è risalente al V secolo ed è derivante dall'antico irlandese; infatti non di rado viene chiamata gaelico mannese.
Tutt’altra cosa è il mannése della parlata napoletana dove è un sostantivo, non aggettivo masch. e vale carpentiere,falegname ma piú ancóra carradore,fabbricante di carri e carretti, artigiano che fabbrica o ripara carri e barocci; carraio con derivazione da un acc.vo lat. manuense(m) che diede il lat. volg. *manuese donde *mann(u)ese; per il raddoppiamento della nasale cfr. alibi crebui→ crebbi, venui→venni, stetui→stetti etc.
Affrontiamo il problema semantico e diciamo che tra la fine del 1700 ed i primi del 1800 in Napoli furono moltissimi gli artigiani che si dedicarono al mestiere di carradore, di fabbricante di carri e carretti,di riparatore di carri e barocci ed aprirono bottega in talune strade della città lasciandovi poi addirittura il nome: cfr. Carmeniello ai Mannesi, Crocelle ai Mannesi etc. Il fatto importante (per quel che ci occupa) fu che per quanto ampie o spaziose fossero le botteghe (e non lo erano!...) esse erano comunque insufficienti a contenere carri e/o carretti in lavorazione o riparazione con tutti i necessari corollari di ruote, pianali, sponde e stanghe ed un po’ tutti i carradori finirono per lavorare in istrada invadendo i marciapiedi antistanti le loro botteghucce ed ovviamente, per risparmiarsi la fatica di recarsi continuamente in bottega a procurarsi gli strumenti di lavoro (‘e fierre d’’a fatica), presero l’abitudine di tenerli tutti a portata di mano; da questo fatto nacque l’espressione tené a mmannése (id est: avere a portata di mano, alla maniera del mannése). In prosieguo di tempo e quasi certamente ad opera d’un qualche letterato fattosi influenzare dalla voce mana (mano)l’espressione popolare a mmannése divenne a mmanése con la nasale scempia mantenendo invariato il significato di a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata. Ed ancóra oggi nel parlato partenopeo s’usa dire a mmanése ed inopinatamente l’espressione a mmannése cosí ricca di storia ed onesto lavoro artigianale è stata confinata in taluni vocabolarî d’antan.
Dispiace il dirlo, ma talvolta taluni letterati fanno danni alla lingua!
varva/vàvera s.vo f.le di per sé il s.vo in esame nella sua prima morfologia varva sta per barba (dal lat. barba(m) con consueta alternanza nel napoletato di b/v (cfr. barca→varca – bibere→vevere – bucca(m)→vocca – basiu(m)→vaso etc.); nella seconda morfologia vavera (ricavata da varva con anaptissi della e e metatesi) vale mento, bazza punto su cui maggiore è la presenza della barba; ora per intendere il significato di varva/vàvera intese come bustarelle, come tangenti e/o mazzette occorre riferirsi ad un’espressione figurata un tempo in uso nel parlato popolare della città bassa tra i venditori al minuto con riferimento ai camorristi della zona mercatale: aggio avuto farlo ‘a varva o ‘a vavera (Ò dovuto servirlo di barba) nel senso di avergli dovuto corrispondere una mazzetta per non subire danni nel proprio commercio; e fu cosí che il s.vo varva/vàvera usato figuratamente finí per significare oltreché la barba ed il mento, la bustarella, tangente, mazzetta, sottomano etc. ed in tale significato fu usato fino a tutti gli anni ’50 del 1900, cadendo successivamente in disuso e resistendo solo sulle labbra di qualche vecchio mercante ambulante d’antan, costretto a... servir di barba i camorristi e/o guappi sfruttatori che imperano nelle varie zone della città dove il mercante ambulante si sposta per vendere la propria merce. Ciò che ò detto per il s.vo in esame vale altresí per s.vo successivo:
vagno s.vo m.le che di per sé vale bagno ( dal lat. balneu(m) ) con consueta alternanza nel napoletato di b/v (cfr. barca→varca – bibere→vevere – bucca(m)→vocca – basiu(m)→vaso etc.); anche in questo caso nell’icastico idioma/parlato della città bassa, per indicare il fatto d’essere stati costretti a pagare una tangente, una bustarella s’usò dire con gran rammarico: “aggiu pigliato ‘nu vagno”(Ò preso un bagno) e la parola in esame figuratamente finí per significare oltreché l’ immersione del corpo nell'acqua o in un'altra sostanza a scopo igienico, curativo o ricreativo, anche la bustarella, tangente, mazzetta, sottomano etc. ed in tale significato fu usato nel passato ed ancóra non è caduta in disuso e resiste nel parlato della città bassa, anzi à esteso il campo d’applicazione ed oggi piglià ‘nu vagno (prendere un bagno) non si riferisce solo alla corresponsione forzosa di bustarelle, tangenti, mazzette, sottomano etc., ma s’usa anche per significare qualsiasi inopinato tracollo finanziario.
veveraggio s.vo m.le letteralmente beveraggio 1 (non com.) bevanda; in partic., quella che si dà alle bestie, beverone | pozione preparata con vari ingredienti, a scopo medicinale e sim.; intruglio
2 (ant.e desueto) mancia, ricompensa (per pagarsi da bere).
Etimologicamente è voce adattamento del fr. ant. bevrage→vevrage→veverage→veveraggio, deriv. del lat. bibere 'bere'
E qui penso di poter far punto avendo – a mio avviso – esaurito l’argomento, nella speranza d’avere accontentato, o - quanto meno - interessato oltreché l’amico D.C., qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori e chi altro dovesse leggermi. Satis est.
Raffaele Bracale
LASSÀ ‘O MUORZO D’ ‘A CRIANZA.
LASSÀ ‘O MUORZO D’ ‘A CRIANZA.
Anche questa volta prenderò spunto da una richiesta fattami da un caro amico: P.G.,del quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa all’espressione napoletana in epigrafe, sulla quale mi soffermo ben volentieri dicendo che si tratta di un’antichissima espressione che tradotta ad litteram vale: lasciare (nel piatto) il boccone della buona educazione, cioè che sia indice della propria buona educazione. In realtà si tratta d’un’espressione /consiglio che in principio venne usato con la morfologia della voce imperativa: Lassa ‘o muorzo d’ ‘a crianza! E tale fu l’imperativo rivolto, da genitori piccolo-borghesi, ai propri figliuoli affinché, se invitati a desinare in casa di amici e/o parenti, evitassero di divorare tutto ciò che fosse loro ammannito e ne lasciassero nel piatto un sia pure solo boccone, mascherato come boccone di una buona educazione, boccone che in realtà dovesse servire a salvaguardare il buon nome della famiglia di provenienza ed a dimostrare a gli ospiti che l’invitato non era cosí affamato in quanto non era povero e/o bisognoso, e si poteva perciò permettere il lusso di lasciare nel piatto una piccola parte della porzione ricevuta. Successivamente quando questo amaro sotterfugio fu nascosto, l’espressione venne coniugata all’infinito ed il boccone lasciato nel piatto fu détto muorzo d’ ‘a crianza cioè boccone della buona educazione, cosa che in realtà non è contemplata in nessun galateo.
Lassare/lassà v. tr.
1 smettere di tenere, di sostenere, di stringere: lassà ‘a fune, ‘e rétene, ‘o sterzo (lasciare la fune, le briglie, il volante)
2 non prendere con sé; far rimanere in un luogo, per dimenticanza o volontariamente: lassà ‘e piccerille â casa (lasciare i bambini a casa);lassà ‘nu pacco pe quaccheduno (lasciare un pacco per qualcuno); lassà ‘e llente dint’ â machina(lasciare gli occhiali in macchina) |lassarse arrete quaccheduno (lasciarsi dietro qualcuno), sopravanzarlo, passargli davanti (anche fig.) lassarce ‘e ppenne (lasciarci le penne) (fig. fam.) morire; anche, essere battuto in un confronto, in una prova | lassarce ‘na jamma, ‘nu vraccio (lasciarci una gamba, un braccio), perderli in guerra, in un incidente o sim. | o piglià o lassà ((o) prendere o lasciare), si dice nel fare un'offerta che dev'essere accettata o respinta súbito e definitivamente
3 separarsi da qualcuno, allontanarsi da qualcosa; in partic., abbandonare qualcuno dopo un sodalizio, una convivenza, un legame amoroso:lassà ‘o ‘mpiego,’o paese;lassà mugliera e ffiglie; (lasciare l'impiego, il paese natale; lasciare moglie e figli); lassà ‘o munno (lasciare il mondo), (fig.) morire; anche, farsi religioso; chi lassa ‘a via vecchia p’ ‘a nova, sape chello ca lassa, ma no chello ca trova prov. : chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova.
4 far restare qualcuno o qualcosa in un particolare stato: lassà dint’ ê guaje, lassà ‘mbarazzato(lasciare nei guai, nell'imbarazzo);’o lassajeno libbero (lo lasciarono libero;) lassà ‘a casa urdinata, ‘a fenesta aperta(lasciare la casa in ordine, la finestra aperta);lassà ‘mpace (lasciare in pace), non disturbare; | lassà ditto, scritto (lasciare détto, scritto,) comunicare a qualcuno assente
5 non togliere; dare, consegnare, affidare: lassà ‘na ‘nferta ô cammariere (lasciare una mancia al cameriere);’o tribbunale à lassato ‘e figlie â mamma (il tribunale à lasciato i figli alla madre); | trasmettere per testamento: ll’ à lassato tutto cosa ô primmo figlio (à lasciato tutto il patrimonio al primo figlio)
6 permettere (seguito da un inf. o da che e il congiunt.): lassa passà(lasciar passare)lassa correre! (lascia correre!); disinteressarsi di qualcosa, non intervenire per modificarla; sorvolare lassa ca te racconto; lassaje ca ce penzasse(lascia che ti racconti; lasciò che ci pensasse) | lassà assaje a desiderà(lasciare (molto) a desiderare), non soddisfare affatto o appieno; lassarse jí(lasciarsi andare), abbandonarsi: | lassarse piglià dâ nervatura(lasciarsi prendere dall'ira), , cedere ad essa
7 in alcuni giochi di carte, non prendere o non partecipare al gioco, anche avendone la possibilità.
Etimologicamente è un verbo derivato dal lat. laxare 'allargare, sciogliere', deriv. di laxus 'largo, allentato';
muorzo s.vo m.le = morso, boccone sostantivo derivato da un acc. lat. morsu(m) part. pass. sostantivato di mordere dal lat. mordíre, con cambio di coniugazione.
crianza s.vo f.le = il complesso delle maniere di una persona ben educata; compitezza, gentilezza:bbona, mala crianza: senza crianza (buona, mala creanza; senza creanza) voce derivata dritto per dritto dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare'.
Interessanti icastiche espressioni che chiamano in causa la voce a margine sono: 1)parlanno cu crianza ((pur) parlando con compitezza e gentilezza, garbo, urbanità) usata introduttivamente o quale chiosa a mo’ di scusante allorché si sia o sia stati costretti a parlare o a toccare argomenti scabrosi o disdicevoli: è gghiuto dint’ô cesso, parlanno cu crianza(è andato nel cesso, parlandone con urbanità) ;2) fà ‘na ‘mparata ‘e crianza (impartire a qualcuno (a parole o pure ricorrendo alle maniere forti) una severa lezione per insegnargli a tenere un comportamento da persona ben educata, garbata, gentile, civile, compita). ; il termine ‘mparata è una voce partenopea, usata peraltro solo nell’espressione indicata nel senso di lezione, insegnamento, monito, ammonimento, castigo, richiamo; voce che è la sostantivazione al femminile del p. pass. del verbo ‘mparà ; di per sé il verbo napoletano ‘mparare/’mparà (con derivazione dal latino volg. imparare, comp. di in→’m davanti alla esplosiva consonante occlusiva bilabiale sorda(p) o a quella sonora (b) illativo e parare 'procurare'; propr. procurarsi cognizioni,) varrebbe il toscano imparare, ma spesso – come ad es. nel caso di una notissima poesia di Raffaele Viviani: “Guaglione”, o nel caso che ci occupa - esso vale: insegnare, rendere edotto; per cui l’ espressione usata dal poeta stabiese: tu, pate ll’hê ‘a ‘mparà sta per: tu, padre, devi insegnargli (a vivere, a comportarsi nella maniera piú giusta etc.) e la voce ‘mparata sta per – come ò détto - lezione, insegnamento, monito, ammonimento, castigo, richiamo;
Esaminando da presso questa stramberia, reputo che probabilmente il verbo toscano insegnare fosse totalmente sconosciuto nella parlata meridionale sia sulla penna dei letterati che sulla bocca del popolino (che è poi quello che fa l’idioma) e si fosse preferito attribuirne il significato al già noto imparare (‘mparà) piuttosto che tentare di coniare un nuovo verbo marcandolo su insegnare;in effetti nel napoletano di per sé non esiste,né esistette, né si usò o usa un generico vebo insegnare che valga:fare apprendere con metodo, teorico o pratico, una disciplina o un'arte e si preferisce usare di volta in volta accanto al generico ‘mparà che à tutta l’aria quasi d’essere un ossimoro nei significati opposti di insegnare ed apprendere si preferisce usare di volta in volta verbi che valgono sí insegnare ma che ànno particolari nuances e sfumature,e per i quali rimando tra le cose che ò scritto alibi; in coda alla voce crianza rammento che il napoletano ne conserva il diminutivo crianzella che però non vale piccola buona maniera, contenuta educazione, limitata civiltà, cortesia etc. né piccola lezione di vita, scarso, esiguo, sparuto monito, ammonimento, castigo, richiamo;ma vale modesto donativo, contenuto regalino, modica mancia,misurato presente fatto per disobbligarsi, o per onorare una persona; donativo,regalino,presente ritenuti necessarî e dovuti; non è semplice cogliere il rapporto semantico che corre tra le buone maniere di crianza e la modica mancia, il misurato presente fatto per disobbligarsi di crianzella; non è semplice, ma non è impossibile se si pensa che dal verbo criar 'allevare, educare' che è alla base di crianza lo spagnolo e poi il napoletano ricavarono altresí il s.vo criado donde il napoletano criato = domestico allevato in casa, educato alle costumanze familiari, ai comportamenti amicali, confidenziali, intimi quelli che sono alla base delle norme di buona maniera(crianza) ed altresí delle azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona (crianzelle). E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico P.G. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
REGALO,DONO & DINTORNI
REGALO,DONO & DINTORNI
Ancóra una volta mi trovo a raccogliere una garbata provocazione del mio caro amico P.D.F.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che,memore ch’io abbia piú volte affermato che il napoletano sia piú preciso e circostanziato dell’italiano, mi à sfidato ad elencare ed a parlare delle eventuali voci del napoletano che rendano meno genericamente e piú acconciamente quelle italiane dell’epigrafe e di loro eventuali sinonimi . Come ò già détto alibi e qui ripeto il caro amico – come diciamo dalle mie parti - m’ à rattato addó me prore (letteralmente: mi à grattato dove mi prude, id est: mi à sollecitato sul mio terreno preferito) per cui raccolgo pure questo guanto di sfida cominciando, come è mio solito, con l’esaminare dapprima (prima di trattare le voci partenopee) le voci dell’italiano:
regalo s.vo m.le
1genericamente ciò che si regala; dono, omaggio: fare, ricevere un regalo; dare in regalo un libro. 2 (fig.) cosa gradita, favore: se vieni, mi fai un regalo
3 (iperb.) ciò che costa cosí poco da sembrare regalato: a un tale prezzo questa moto è un regalo
voce dallo sp. regalo, a sua volta dal lat. regalis 'regale'; propr. 'dono al re';
dono s.vo m.le
1 il donare: il dono à spesso un valore simbolico | offrire, dare qualcosa in dono; fare dono di qualcosa
2 la cosa donata; regalo: un dono gradito; ricevere un dono | i doni della terra, i prodotti agricoli | i sette doni dello Spirito Santo, (teol.) disposizioni infuse da Dio, che rendono l'anima docile all'influsso dello Spirito Santo
3 (fig.) qualità, virtù, dote: avere il dono di una buona memoria | dono di natura, dote naturale | dono della parola, facoltà di parlare propria dell'uomo; per estens., eloquenza
4 (ant.) abbuono d'imposta accordato a chi pagava anticipatamente;
voce dal lat. donu(m), dalla stessa radice di dare;
omaggio s.vo m.le
1 l'atto con cui il vassallo si univa nel vincolo feudale al suo signore
2 atto di ossequio, di devozione: rendere omaggio a qualcuno, a qualcosa | in omaggio alla verità, a onore del vero
3 pl. saluto rispettoso, spec. in formule di cortesia: le porgo i miei omaggi
4 (lett.come nel caso che ci occupa) offerta, dono: fare, ricevere un omaggio; dare, avere qualcosa in omaggio | (estens.) prodotto distribuito in regalo a scopo pubblicitario: un omaggio della ditta || Usato anche come agg. invar. : buono, confezione omaggio. Voce dal fr. hommage, deriv. di homme 'uomo' che nel medioevo significò 'vassallo';
E veniamo alle voci napoletane dove troviamo:
abbusco s.vo m.le
in primis voce generica per indicare un lucro, un ricavo, un introito,un provento,un profitto,un frutto, un’entrata,una rendita; poi in senso piú circoscritto
a.piccolo o grosso regalo in denaro che si usa dare a chi abbia reso un servizio o una cortesia, in aggiunta al compenso dovuto: ll’abbusco ‘e Natale, Pasca e Ferragosto dato ô guardaporta(la mancia di Natale, di Pasqua, di Ferragosto dato al portinaio.).
b. Regalo in denaro fatto dal datore di lavoro ai proprî dipendenti in occasioni solenni o in riconoscimento di particolari meriti; in questo sign., la parola è oggi sostituita da premio( gratifica).
c. non com. Grosso dono che si fa a una persona al fine di corromperla:si fa accussí, è ssigno ca à avuto ‘nu bbuono abbusco ( se agisce così, significa che à avuto la sua buona mancia.)
d. Dono in genere e, per estens., tutto ciò che si dà o si fa a qualcuno.
Etimologicamente è voce deverbale di abbuscà/are = trovare, procacciarsi, guadagnare,ottenere, prendersi; (dallo spagnolo ad→ab + buscar.
bonamana s.vo f.le
buona mano; più com. bòna mano (pl. bbonimmane o bbone mane). – Mancia che si dà in aggiunta del prezzo pattuito per un servizio. Etimologicamente è voce ricavato accostando o agglutinando l’agg.vo bbona (buona) al/ con il s.vo mana (mano);bbona è dal lat.tardo *bonam=buona e sta per buona o alibi piacente, appetibile, che risveglia i sensi;mana è dal lat.volgare *mana(m) per il cl. manus
cresemisso s.vo m.le
1.(in primis)dono, omaggio natalizio;
2. (genericamente ) dono, regalo di grande valore sulla falsariga dei doni preziosi che i Re Magi offrirono al Bambino Gesú;
trattasi di voce moderna nata in tempi post-bellici quando a Napoli si venne a contatto con le truppe anglo-americane e con il loro linguaggio; infatti etimologicamente la voce a margine è un adattamento corruttivo della voce anglo-americana christmans
chétta s.vo f.le omaggio, mancia data ai posteggiatori e/o suonatori ambulanti, saltimbanchi ed affini; trattandosi di voce gergale nata nell’àmbito di posteggiatori, suonatori ambulanti, saltimbanchi etc. è pressoché impossibile trovarne l’etimo, ma poi che con la voce a margine si indica per sineddoche oltre che la mancia anche il piattello o secchiello usati per raccoglierla, non si è lontani dal vero se si sospetta che la voce piú che dal francese quête=ricerca/elemosina(come frettolosamente ipotizzò il D’Ascoli) sia un adattamento al femminile del lat. cadu(m) (greco kàdos) (= brocchetta per il vino) attraverso il seguente percorso morfologico cadu(m)→cada(m)→cheda→cheta→chetta con sostituzione dell’ occlusiva dentale sonora(d) con la corrispondente l'occlusiva dentale sorda (t) e suo raddoppiamento espressivo;
crianzella s.vo f.le il misurato presente fatto per disobbligarsi, azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona; voce derivata quale diminutivo dal s.vo crianza [dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare']; rammento che dal verbo criar 'allevare, educare' che è alla base di crianza lo spagnolo e poi il napoletano ricavarono altresí il s.vo criado donde il napoletano criato = domestico allevato in casa, educato alle costumanze familiari, ai comportamenti amicali, confidenziali, intimi quelli che sono alla base delle norme di buona maniera(crianza) ed altresí delle azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona
cumprimento s.vo m.le 1 atto, parola, atteggiamento che può esprimere ammirazione, apprezzamento, ossequio, congratulazione: un complimento sincero, affettato; fare, ricevere un complimento | cortesia: visita di complimento
2. pl. gesti o espressioni di cortesia, spec. se formali o cerimoniosi: fare complimenti, esitare, per cortesia formale o per timidezza, nell'accettare ciò che viene offerto; non fare complimenti, anche, usare modi decisi, bruschi, talora villani, o non avere scrupoli | senza (tanti) complimenti, senza formalità o, anche, in modo sbrigativo o addirittura villano: una cena alla buona, senza complimenti; lo misero alla porta senza tanti complimenti
3. (merid.) rinfresco
4. (come nel caso che ci occupa) offerta conviviale in occasioni speciali
5. (usato in senso ironico, come ultra presiento) dono sgradito o sorpresa spiacevole: m’ànnu fatto ‘stu cumprimento!
voce dallo sp. cumplimiento, deriv. di cumplir 'compiere (i propri doveri verso gli altri)', dal lat. complíre; cfr. compiere
fiélece s.vo f.le 1. (in origine) dono, offerta di prodotti ortofrutticoli fatta dal mezzadro al padrone del fondo lavorato;
2.(per estensione in provincia ) dono di cibarie;
di per sé la voce è dal lat. filice(m) =felce che per sineddoche, semanticamente indicò il dono, l’offerta di prodotti ortofrutticoli in quanto i doni offerti erano solitamente presentati in un cesto guarnito di felci che facevano da strame ai prodotti della terra.
mancianza/mangianza s.vo f.le voce desueta
(in primis) 1. Esca per la pesca con le nasse: m. semprice, costituita di piccoli pesci e crostacei; m. mista, mescolanza di pane, formaggio, alghe, piccoli pesci e altri ingredienti pestati grossolanamente. Anche, punto del mare dove si trovano banchi di pesci piccoli, oggetto di caccia da parte dei pesci più grandi (per es., le sardine per i tonni).
2. (come nel caso che ci occupa) Compenso offerto o corrisposto in vista di fini non onesti.
Si tratta di un’unica voce dalla doppia morfologia ( una volta con l'affricata palatale sonora (g) ed una volta con la piú espressiva affricata palatale sorda (c) Etimologicamente è voce denominale di mangià per magnà
mazzetta s.vo f.le voce ripresa pari pari nell’italiano:
1 quale dim. di mazza : denominazione di attrezzi in forma di piccola mazza o di grosso martello, usati in diversi mestieri e attività:’a mazzetta d’’o fravecatore, d’ ‘o scrastatore ( la mazzetta del muratore,del minatore);
2 (edil.) spalletta che sporge ai due lati delle aperture dei muri e su cui poggia il telaio dei serramenti;
3 (raro) bastone da passeggio leggero ed elegante.
4 piccolo fascio di banconote (100 pezzi) del medesimo taglio, tenute insieme da una fascetta cartacea;
5 (come nel caso che ci occupa) piccola mancia data ad inservienti (camerieri,baristi etc.);
6 (spreg.) In usi gergali e allusivi: compenso dato o ottenuto in cambio di particolari favori (sinonimo di bustarella), soprattutto da parte di esponenti politici, di pubblici funzionarî o amministratori, e sim.; tangente imposta da organizzazioni mafiose in cambio della protezione accordata; somma che una prostituta dà come compenso al suo protettore. In epoca fascista, il sussidio quotidiano pagato dallo stato ai confinati;
7. Gruppo di campioni di stoffe uniti fra loro per un lato in modo che si possano sfogliare come le pagine di un libro; per i significati sub 2,4,5, 6 e 7 è impossibile risalire all’aggancio semantico con la mazza (dal lat. matea) per cui in tali accezione l’etimo resta sconosciuto a meno che non si voglia leggervi un addattamento al femminile di mazzetto=insieme di piú cose, (spec. fiori o altri vegetali), legate o comunque unite insieme;
‘nferta s.vo f.le
1regalo, dono, offerta varia (in particolare quelle fatte in occasioni di feste solenni: Natale, Pasqua, Capodanno);
2 pubblicazione saltuaria di contenuto vario che viene redatta e venduta in occasione del Capodanno, strenna;
voce etimologicamente deverbale come adattamento al femminile del lat. infertum→(i)nfertu(m)→’nferto (supino di infercio) = infarcito, riempito come infarciti, riempiti sono regali, doni ed offerte varie o le pubblicazioni di inizio d’anno.
paraguanto s.vo m.le
1 mancia, omaggio, piccolo regalo in danaro;
2 presente, pensiero, elargizione, donativo fatto ai propri subalterni (camerieri, servitori, domestici);
interessantissimo l’etimo della voce in esame che deriva dall’espressione iberica: para guantes che era in tempo medievale la richiesta che i maggiordomi facevano ai propri padroni con la scusa di abbisognare di guanti bianchi nuovi che sostituissero quelli in uso probabilmente logori o sporchi o sciupati al segno che il lavarli non avrebbe servito a ridar loro la decenza necessaria.
presiento s.vo m.le 1. (in primis)dono, regalo fatto in occasioni di onomastici o compleanni: fà ‘nu presiento ô criaturo.
2. (usato in senso ironico) dono sgradito o sorpresa spiacevole: m’ànnu fatto ‘stu presiento!
voce dal fr. présent, deriv. di présenter 'offrire';
rialía/realía s.vo f.le voce ripresa poi nell’italiano come regalía:
1 mancia,omaggio , dono, regalo in denaro; :realía ‘e Pasca (regalía pasquale);
2 nel medioevo, ciascuno dei diritti considerati di pertinenza del sovrano, spec. quelli di riscuotere imposte su terre, strade, caccia, pesca ecc.;
3 pl. doni in natura che in certi contratti agrari il colono doveva al proprietario del fondo. Etimologicamente voce dal lat. regàlia 'le cose del re', neutro pl. sost. dell'agg. regalis 'regale'; da regàlia→re(g)alía/rialía con cambio d’accento e caduta espressiva della l'occlusiva velare sonora (g); l’italiano à poi ripreso la voce napoletana recuperando la voce etimologica originaria con l'occlusiva velare sonora (g), ma adottando il cambio d’accento;
sbruffo s.vo m.le s.vo dai molti significati che in primis sono:1 sbuffo, ventata;
2Spruzzo violento d’acqua o d’altro liquido emesso, per lo piú rumorosamente, dalla bocca o dalle narici da persone o da animali; spesso con usi estens. o anche con sign. affine a sbuffo: la locomotiva avanzava con allegri s. di vapore; non riuscì a trattenere uno s. di riso.
3. In pirotecnica, tipo particolare di fuochi d’artificio, usato per lanciare stelle con accompagnamento di scoppî.
4. (In senso fig) refurtiva; in tale accezione anche bbruffo;
5. (In senso fig.ed è il caso che ci occupa), mancia, regalía, bustarella data di nascosto a impiegati, funzionari e sim. in cambio di agevolazioni e favori; compenso dato sottobanco per ottenere illecitamente un favore; voce etimologicamente deverbale di sbruffare (dal lat.exproflare→(e)xproffare→sbroffare→sbruffare;
sottamana avv. e s.vo m.le [comp. di sotto→sotta (dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto' e mana= mano (dal lat. volg. *mana(m) per il cl. manus]. – 1. a. avv. A portata di mano:tene sempe sottamana’e fierre d’ ‘a fatica (tiene sempre a portata di mano gli arnesi del lavoro). Rammento però che in tale accezione in napoletano è d’uso la locuzione avverbiale a manese b. Come s. m. (pl. sottomani), cartella ricoperta di pelle, tela o plastica, che si usa tenere sulla scrivania per appoggiarvi il foglio su cui si deve scrivere e come custodia per fogli, buste e sim.
2. avv., ant. Con la mano tenuta in basso rispetto alla spalla. In partic., nella scherma: bbotta, stuccata sottamana (colpo, stoccata sottomano), e cògliere, tirà sottamana (tirare, ferire sottomano.), con la mano che impugna l’arma tenuta piú in basso della spalla; nell’ippica, sferzare s., tenendo bassa la mano che impugna il frustino. Ancora in uso le espressioni condurre, tenere un cavallo s., tenerlo per la briglia alla propria destra, con la mano bassa, stando in sella a un altro cavallo (spec. guidando pariglie, carriaggi militari, ecc.); e, in alcuni sport con la palla menà ‘a palla sottamana (lanciare la palla sottomano ), dal basso verso l’alto.
3. fig.
a. avv. Di nascosto, senza farsi vedere da altri: passà ‘nu viglietto sottamana( passare un bigliettino sottomano); sigarrette ‘e contrabbandio accattate sottamana (sigarette di contrabbando comprate sottamana;dà, piglià ‘nu rialuccio sottamana (dare, prendere un regaluccio sottomano.)
b. (come s.vo m.le nel caso che ci occupa), raro,ma non desueto: mancia, regalía data o presa senza che altri sappia o veda: dà, piglià ‘nu sottamana (dare, prendere un sottomano.) Anticam., l’emolumento dato a un pubblico ufficiale, oltre allo stipendio, con carattere di gratifica.
4. ancóra come avv. Nel gioco degli scacchi: jucà sottamana (giocare sottomano s., cioè giocare con il Nero, che per consuetudine muove dopo il Bianco.
A margine di questa voce, avendone accennato, fa d’uopo ch’io parli delle locuzioni avverbiali a manese/a mmannese che rendono le italiane a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata. Per la verità si tratta di due forme, ampiamente attestate dapprima nella forma a mmannése e poi quasi esclusivamente nella forma a mmanése forma nella quale perdura nel parlato popolare partenopeo. Si tratta, dicevo, di due forme leggermente diverse d’un’ unica locuzione che in origine – come chiarirò – fu a mmannése e solo in prosieguo di tempo sotto la patente influenza della voce mana divenne manése con la nasale scempia mantenendo invariato il significato di a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata.
Cominciamo súbito col chiarire che nell’ idioma napoletano la voce mannése non à nulla a che dividere con l’omografa ed omofona della lingua italiana; in italiano mannése è un aggettivo che viene riferito agli abitanti dell’isola di Man e connota in particolare una lingua che è appunto la lingua mannese o manx (chiamata anche Gaelg) che è una lingua goidelica parlata sull'Isola di Man,che è un’isola conosciuta anche come Mann o Manx (Isle of Man in inglese, Ellan Vannin o Mannin in mannese) ed è situata nel Mar d'Irlanda; sul piano politico, essa non fa parte del Regno Unito né dell'Unione Europea, ma è una dipendenza della Corona britannicaLa lingua che vi si parla è risalente al V secolo ed è derivante dall'antico irlandese; infatti non di rado viene chiamata gaelico mannese.
Tutt’altra cosa è il mannése della parlata napoletana dove è un sostantivo, non aggettivo masch. e vale carpentiere,falegname ma piú ancóra carradore,fabbricante di carri e carretti, artigiano che fabbrica o ripara carri e barocci; carraio con derivazione da un acc.vo lat. manuense(m) che diede il lat. volg. *manuese donde *mann(u)ese; per il raddoppiamento della nasale cfr. alibi crebui→ crebbi, venui→venni, stetui→stetti etc.
Affrontiamo il problema semantico e diciamo che tra la fine del 1700 ed i primi del 1800 in Napoli furono moltissimi gli artigiani che si dedicarono al mestiere di carradore, di fabbricante di carri e carretti,di riparatore di carri e barocci ed aprirono bottega in talune strade della città lasciandovi poi addirittura il nome: cfr. Carmeniello ai Mannesi, Crocelle ai Mannesi etc. Il fatto importante (per quel che ci occupa) fu che per quanto ampie o spaziose fossero le botteghe (e non lo erano!...) esse erano comunque insufficienti a contenere carri e/o carretti in lavorazione o riparazione con tutti i necessari corollari di ruote, pianali, sponde e stanghe ed un po’ tutti i carradori finirono per lavorare in istrada invadendo i marciapiedi antistanti le loro botteghucce ed ovviamente, per risparmiarsi la fatica di recarsi continuamente in bottega a procurarsi gli strumenti di lavoro (‘e fierre d’’a fatica), presero l’abitudine di tenerli tutti a portata di mano; da questo fatto nacque l’espressione tené a mmannése (id est: avere a portata di mano, alla maniera del mannése). In prosieguo di tempo e quasi certamente ad opera d’un qualche letterato fattosi influenzare dalla voce mana (mano)l’espressione popolare a mmannése divenne a mmanése con la nasale scempia mantenendo invariato il significato di a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata. Ed ancóra oggi nel parlato partenopeo s’usa dire a mmanése ed inopinatamente l’espressione a mmannése cosí ricca di storia ed onesto lavoro artigianale è stata confinata in taluni vocabolarî d’antan.
Dispiace il dirlo, ma talvolta taluni letterati fanno danni alla lingua!
E qui faccio punto fermo augurandomi d’essere stato chiaro ed esauriente ed aver soddisfatto la curiosità dell’amico P.D.F. quella dei miei ventiquattro lettori e di chi forte si imbattesse in queste paginette.Satis est.
R.Bracale Brak
sabato 29 dicembre 2012
VARIE 2202
1.FARSE ‘NTERESSE
Locuzione intraducibile ad litteram che fotografa l’amara situazione di chi per conseguire una merce o altro quid sia costretto a sborsare una somma di danaro cosí eccedente il preventivato da essere costretto ad intaccare altre somme di danaro e perderne cosí un eventuale interesse che gli fruttavano tenendole ferme in banca.
2. FARSE PASSÀ ‘A FANTASIA
Locuzione intraducibile ad litteram in quanto di duplice valenza: una positiva ed una negativa, valenze che per esser comprese necessitano di un’ ampia spiegazione, non riducibile ai tre termini della locuzione che se intesa nella sua valenza positiva sta per: concedersi un gusto spirituale o, piú spesso, materiale, raggiungere finalmente e far proprio un oggetto del desiderio lungamente agognato e bramato; in senso negativo la locuzione è usata quando ci si convice che determinati gusti a lungo covati, purtroppo non possono essere soddisfatti o non possono esser fatti propri determinati oggetti a lungo bramati e ci si impone di farsi passar di testa l’idea di raggiungere quegli oggetti o soddisfare quei gusti.
3.FÀ SCENNERE ‘O PARAVISO ‘NTERRA
Ad litteram: far scendere il paradiso in terra Becera locuzione con la quale si significa il profferire bestemmie in maniera eccezionalmente violenta e prolungata chiamando quasi sulla terra con una sineddoche tutti gli... abitanti del paradiso.
4. FARSE CHIOVERE ‘NCUOLLO
Ad litteram: lasciarsi piovere addosso; id est:: lasciarsi cogliere impreparato in situazioni nelle quali non si sono prese adeguate preacauzioni e che pertanto posson solo essere foriere di pessimi o anche deleterii risultati, come chi nell’imminenza d’un temporale, si avventuri per istrada senza nemmeno munirsi d’un semplice ombrello e vada perciò certamente incontro a quanto ricordato altrove, cioè vada incontro ad un bagno fuori programma .
5. FARSE VENÍ ‘E RISCENZIELLE
Ad litteram: farsi venire le convulsioni, i deliquii Simpatica locuzione che fotografa l’isterico e falso comportamento di chi, si lasci andare a piccole strane convulsioni, vere o metaforiche condite di sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamento tipico tenuto dalle donne quando vogliono forzare la mano a qualcuno per ottenere ciò che, adducendo normali ragioni o pretesti, non potrebbero raggiungere o quando voglion far pesare su gli altri le responsabilità di taluni accadimenti che sono invece da addebitare unicamente alle medesime donne che ànno messo in atto quegli accadimenti di cui intendono discolparsi.
Il termine riscenziello, rotacizzazione del piú classico discenziello deriva dal latino descensus, col significato di deliquio. ed è usato nel linguaggio popolare oltre che per significare quanto qui sopra illustrato, anche per indicare quei brevi deliqui , piú esattamente eclampsie cui vanno soggetti i neonati o i bambini molto piccoli.
6. FÀ SCIACQUA ROSA E BIVE AGNESE.
Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, ma densa di significato; con essa si indica la deleteria gara che incorre tra chi piú sperperi o dilapidi comuni sostanze; di tale fatto sono emblematiche figure la Rosa e l’Agnese dell’epigrafe; delle due la Rosa continuava a satollarsi di vino magari accontendandosi di una sciacquatura ossia di vino addizionato d’acqua, o anche di vino puro usato a mo’ di riscicquo della bocca da una precedente bevuta, e l’Agnese lo faceva ancora di piú bevendo senza ritegno come nell’antico giuoco del del padrone e sotto (gioco derivato da quello détto tuocco) che si svolgeva nelle bettole tra due giocatori di cui uno – il padrone – poteva imporre o negare all’altro – il sotto – innumerevoli bevute di vino con l’aggravio di dover pagare il vino bevuto.
7. FÀ TREMMÀ ‘O STRUNZO ‘NCULO.
Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo ; id est: incutere in qualcuno, attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente, un convulso tremore degli intestini e del loro contenuto prossimo ad essere espulso.
8. FÀ CACÀ L’UVA, L’ACENO E ‘O STREPPONE.
Ad litteram: far defecare la pigna d’uva, gli acini ed il raspo relativi.Locuzione con la quale si significa l’azione violenta di chi costringe un ladro o anche solo un profittatore a restituire tutto il mal tolto, come chi pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli acini e persino il vuoto raspo.
9. FÀ ASCÍ ‘E SSÒVERE ‘A CULO
Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; id est: percuotere qualcuno, torchiandolo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo iperbolicamente ad emettere le emorroidi (eufemisticamente dette sorbe).
10. FÀ ASCÍ ‘E CAZZE ‘A CANNA
Letteralmente: far emettere i péni dalla gola (introdotti per altra via) Becera e ruvida espressione di portata simile alla precedente da cui si distingue per una iperbolicità di molto superiore, attesa l’impossibilità di realizzare materialmente quanto minacciato in epigrafe.Nell’espressione in esame si minacciano pratiche sodomitiche con iperboliche fuoriuscite…
11. FA ASCÍ ‘O SERPE D’’A MANECA ‘E LL’ATE.
Ad litteram:fare uscire il serpente dalla manica altrui. Id est: riuscire con ogni mezzo a far comunicare da altri ciò che non si ha il coraggio di fare da se medesimi; intesa in senso piú cattivo la locuzione significa: far malevolmente ricadere su terzi le colpe e perciò le responsabilità di proprie azioni.
12. FÀ CCA ‘E PPEZZE E CCA ‘O SSAPONE
Ad litteram: fare qui le pezze e qui il sapone id est: adottare l’economia spicciola delle contestuali prestazioni e controprestazioni, ma anche assumere ed accettare reciprocamente patti semplici e chiari da rispettare comunque; la locuzione ripete l’antico uso esistente nei vicoli napoletani allorché in cambio di pochi stracci o abiti dismessi ceduti ad un robivecchi ambulante, détto sapunaro, se ne riceveva immediata contropartita sotto forma appunto di sapone da bucato detto sapone ‘e piazza in quanto sapone artigianale (spesso prodotto dal medesimo robivecchio) che, un tempo, non si vendeva in negozi atti alla bisogna, ma ceduto esclusivamente in piazza o per istrada dai summenzionati robivecchi.
13. FÀ AVUTÀ ‘A CAPA O ‘E PPALLE ‘E LL’UOCCHIE
Ad litteram: far girare la testa o i bulbi oculari. Iperboliche locuzione atte a significare le sgradevoli sensazioni che si provano allorché ci si trovi coinvolti in confuse situazioni tra irrequieti ragazzi o assillanti vuoti parolai logorroici capaci e gli uni e gli altri di procurare sensi di vertigini con giramenti di testa o vorticoso roteare dei bulbi oculari, dovuti al fastidio procurato o dagli irrequeti ragazzi o dai suddetti logorroici parolai. Locuzione da intendersi sia in senso reale che figurato.
14. FÀ UN’ANEMA E CURAGGIO.
Ad litteram: raccogliere insieme anima e coraggio; id est: disporsi con slancio ad unire l’animo e le forze occorrenti ad affrentare una situazione che si presenti a prima vista densa di incognite e pericolosi risvolti di talché per venirne a capo occorra quasi stringere in un unicum la mente ed il cuore non essendo bastevole usarli separatamente.
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