sabato 30 novembre 2013
VARIE 2670
1.Ll' avimmo fatto 'e stramacchio.
Letteralmente: l'abbiamo compiuto alla chetichella,- o anche di straforo, di soppiatto, quasi "alla macchia", ai margini della legalità. L'espressione di stramacchio deriva pari pari dal latino extra mathesis, id est: al di fuori dei retti insegnamenti, dalle buone regole di condotta e perciò clandestinamente.
2.Chisto è cchillo ca tagliaie 'a recchia a Mmarco.
Letteralmente: Questo è quello che recise l'orecchio a Marco. La locuzione è usata per indicare un attrezzo che abbia perduto le proprie precipue capacità di destinazione; segnatamente p. es. un coltello che abbia perduto il filo e non sia piú adatto a tagliare, come la tradizione vuole sia accaduto con il coltello con il quale Simon Pietro, nell'orto degli ulivi recise l'orecchio a Malco (corrotto in napoletano in Marco), servo del sommo sacerdote.
3'O cummannà è mmeglio d''o ffottere.
Letteralmente: Il comando è migliore del coito. Id est: c'è piú soddisfazione nel comandare che nel coitare. La locuzione viene usata per sottolineare lo scorretto comportamento di chi - pur non avendone i canonici poteri - si limita ad impartire ordini e non partecipa alla loro esecuzione.
4.Se pava niente? E sedúgneme dâ capa ô pede!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente. La stessa espressione fu posta sulla bocca di vecchietto che stava ricevendo l’estrema unzione.
5 'A ch' è mmuorto 'o cumpariello, nun simmo cchiú cumpare.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi ci teneva uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che nella fattispecie esemplificativa, la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
6.Ll' ammore da luntano è comme a ll' acqua 'int' ô panaro.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
7.Santa Chiara: dopp'arrubbato, 'e pporte 'e fierro!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo subíto il furto, apposero le porte di ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare.
8.'Mbarcarse senza viscuotte.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
9.'O sparagno nun è mmaje guadagno...
Il risparmio non è mai un guadagno...
10.S'à dda fà 'o pireto pe quanto è ggruosso 'o culo.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
11.Chi se mette cu 'e criature, cacato se trova.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa, come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini.
12.'A gallina fa ll'uovo e ô gallo ll'abbruscia 'o mazzo.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora e un altro si lamenta della fatica che non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non à compiute, e di cui invece fa le viste di portare il peso.
13.Mo abbrusciale pure 'a bbarba e ppo dice ca so'
stat' io!
Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdí santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
14.Quanno 'a gallina scacatea, è ssigno ca à fatto ll'uovo.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
15.Quanno si 'ncunia statte e quanno si martiello vatte
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
16.Miettele nomme penna!
Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, come sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non restituisce ciò che à ottenuto in prestito. A maggior conferma del fatto si usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la moglie...
17Fà 'o farenella.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli, ma prende le mosse dall'ambito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú tanto giovane e allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla piú economica farina.
18 À fatto 'o píreto 'o cardillo.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
19.Nun lassà 'a via vecchia p''a via nova, ca saje chello ca lasse e nun saje chello ca truove!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
20.Petrusino, ogne menesta.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse parttenopee.
21 Acqua ca nun cammina, fa pantano e ffète.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
22 'Nfila 'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
brak
23. Astipate 'o milo pe quanno te vène sete.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire subito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
24. Puozz'avé mez'ora 'e petriata dinto a 'nu vicolo astritto e ca nun sponta, farmacie 'nchiuse e miedece guallaruse!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
25. Aje voglia 'e mettere rumma, 'nu strunzo nun addiventa maje babbà.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
26. Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
27.Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
28.'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
29.'A gatta, pe gghí 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
30. Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
31.Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murí addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
32.È gghiuta 'a mosca dint' ô Viscuvato...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
33. Cu 'nu sí te 'mpicce e cu 'nu no te spicce.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
34.Tené'a salute d' 'a carrafa d’ ‘a zecca.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di circa un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
35.Tengo 'e lappese a quadrigliè, ca m'abballano pe ccapa.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellatum, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo et similia.
brak
VARIE 2669
1.Abbiarse a curalle.
Letteralmente: avviarsi verso i coralli. Id est: Anticiparsi, muovere rapidamente e prima degli altri verso qualcosa. Segnatamente lo si dice delle donne violate ed incinte che devono affrettare le nozze. La locuzione nasce nell'ambito dei pescatori torresi (Torre del Greco -NA ), che al momento di mettersi in mare lasciavano che per primi partissero coloro che andavano alla pesca del corallo.
2. Aggiu visto 'a morte cu ll' uocchie.
Letteralmente: Ò veduto la morte con gli occhi. Con questa locuzione tautologica si esprime chi voglia evidenziare di aver corso un serio pericolo o rischio mortale tale da portarlo ad un passo dalla morte e di esserne fortunatamente restato indenne.
3. Vulé piscià e gghí 'ncarrozza.
Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.
4. Ve dico 'na buscía.
Vi dico una bugia. E' il modo sbrigativo e piuttosto ipocrita di liberarsi dall'incombenza di dare una risposta, quando non si voglia prender posizione in ordine al richiesto e allora si avverte l'interlocutore di non continuare a chiedere perché la risposta potrebbe essere una fandonia, una bugia...
5. Fà 'o francese.
Letteralmente: fare il francese, id est: mostrare, dare a vedere o - meglio - fingere di non comprendere, di non capire quanto vien detto, allo scoperto scopo di non dare risposte, specie trattandosi di impegnative richieste o ordini perentorii. È l'equivalente dell'italiano: fare l'indiano, espressione che, storicamente, a Napoli non si comprende, non avendo i napoletani avuto nulla a che spartire con gli indiani, sia d'India che d' America, mentre ànno subíto una dominazione francese ed ànno avuto a che fare con gente d'oltralpe.
6.'O pesce fète d''a capa.
Letteralmente: Il pesce puzza dalla testa. Id est: il cattivo esempio viene dall'alto, gli errori maggiori vengon commessi dai capi. Per cui: ove necessario, se si vogliono raddrizzare le cose, bisogna cominciare a prender provvedimenti innanzi tutto contro i comandanti.
7. 'O purpo s' à dda cocere cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo va fatto cuocere con la sola acqua di cui è pieno. La locuzione si usa quando si voglia commentare l'inutilità degli ammonimenti, dei consigli et similia, che non vengono accolti perché il loro destinatario, è di dura cervice e non intende collaborare a recepire moniti e o consigli che allora verranno da lui accolti quando il soggetto si sarà autoconvinto della opportunità di accoglierli.
8. Acqua 'a 'nnanze e vviento 'a reto...
Letteralmente: Acqua da davanti e vento da dietro. È il malevolo augurio con cui viene congedato una persona importuna e fastidiosa cui viene indirizzato l'augurio di essere attinto di faccia da un violento temporale e di spalle da un impetuoso vento che lo spingano il piú lontano possibile.
9.Abbuffà 'a guallera.
Letteralmente: gonfiare l'ernia. Id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno al punto di procurargli una metaforica enfiagione di un'ipotetica ernia. Si consideri però che in napoletano con il termine "guallera"(dall’arabo wadara) si indica oltre che l'ernia anche il sacco scrotale, ed è ad esso che con ogni probabilità fa riferimento questa locuzione.
10.Tené 'e gghiorde.
Letteralmente: essere affetto da giarda, malattia che colpisce giunture ed estremità di taluni animali; le parti colpite si gonfiano impedendo una corretta andatura. La locuzione è usata nei confronti di chi appare pigro, indolente e scansafatiche quasi avesse difficoltà motorie causate da enfiagione delle gambe che appaiono come contratte ed attanagliate da nodi. In turco, con il termine jord si indica il tipico doppio nodo dei tappeti - da jord a gghiorde il passo è breve.
11.Farse chiovere 'ncuollo.
Letteralmente: farsi piovere addosso, ossia lasciarsi cogliere impreparato a qualsivoglia bisogna, non prendere le opportune precauzioni e sopportarne le amare conseguenze.
12.Fà 'o calavrese.
Fare il calabrese, ossia non mantenere la parola data, esser mendace e spergiuro..., atteggiamento tipico del calabrese che (non per cattiva abitudine, ma per paura) in un rapporto contrattuale – temendo di essere ingannato o vessato dalla controparte – viene meno a quanto pattuito, per non incorrere in un cattivo mercato.
13.Farse 'a passiata d''o rraú.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che à bisogno di una lunghissima cottura, tanto che la sua preparazione cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata domenicale.
14.Stà sempe 'ntridice.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo, e poiché nella smorfia napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che viene fuori l'espressione con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti...
15.Aspettà cu ll'ove 'mpietto.
Letteralmente: attendere con le uova in petto. Id est: attendere spasmodicamente, con impazienza, preoccupazione... L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la spasmodicità dell'attesa di un qualsivoglia avvenimento. E prende le mosse dall'uso invalso in certe campagne del napoletano, allorché le contadine, accortesi che la chioccia, per sopraggiunti problemi fisici, non portava a termine la cova, si sostituivano ad essa e si ponevano tra le mammelle le uova per completare con il loro calore l'operazione cominciata dalla chioccia.
16.'A sciorta 'e Cazzette:jette a piscià e se ne cadette.
La cattiva fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.
17.Attacca 'o ciuccio addó vo’ 'o patrone
Letteralmente: Lega l'asino dove vuole il padrone Id est: Rasségnati ad adattarti alla volontà altrui, specie se è quella del capintesta(e non curarti delle conseguenze) È una sorta di trasposizione nel quotidiano del militaresco: gli ordini non si discutono...
18.'E maccarune se magnano teniente teniente
I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione degli affari.
teniente è il plur. di tenente = tenente(part. pres. del verbo tenere e non omofono ed omografo grado militare), e con l’iterativo teniente,teniente ci si riferisce al modo di cottura della pasta che occorre far lessare brevemente, senza che si disfaccia e nell’iterazione quasi superlativa teniente teniente vale molto pronti, quasi duretti come cosa che abbia tenuto la cottura evitando di ammollarsi eccessivamente; letteralmente tenente e teniente sono, come ò detto, il participio presente del verbo tené (tenere) che è dal latino teníre, corradicale di tendere 'tendere'.
19.Quanno 'a femmena vo’ filà, l'abbasta 'nu spruoccolo.
Letteralmente: quando una donna vuol filare le basta uno stecco - non à bisogno cioè di aspo o di fuso.Id est: la donna che vuole raggiungere uno scopo, una donna che voglia qualcosa, è pronta ad usare tutti i mezzi pur di centrare l'obbiettivo, non si ferma cioè davanti a nulla...
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r.
20.'Nu maccarone, vale ciento vermicielle.
Letteralmente: Un maccherone, vale cento vermicelli. Ma la locuzione non si riferisce alla pietanza in sè. Il maccherone della locuzione adombra la prestanza fisica ed economica che la vincono sempre sulle corrispondenti gracilità. brak
VARIE 2668
1.TENÉ 'E FRUVOLE DINT' Ô MAZZO.
Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole (dal latino fulgor con roticizzazione e successiva metatesi della elle, nonché alternanza metaplasmatica g→v o v→g come in gallo→vallo, gallina→vallina,vorpa→gorpa, vulio→gulio) sono i fulmini, le folgori.
2. Rummané â prevetina o comme a don Paulino.
Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, sacerdote nolano che, non avendo di che comprare ceri per celebrar messa, si doveva accontentare di tizzoni accesi.
Rammento altresí che anticamente (anni 1850 e ss.) con il termine prevetina si indicò una moneta= pari a 13 GRANI = 56,745 lire italiane; ebbe questo nome perché con essa si pagava la celebrazione d’ una messa piana e fu quindi moneta di pertinenza quasi esclusiva dei preti; va da sé che potendo un prete quotidianamente – per solito – celebrare una sola messa, non avesse da stare allegro contando per tutte le sue esigenze giornaliere sulla modicissima somma di una prevetina
3.Tanto va 'a lancella abbascio ô puzzo, ca ce rummane 'a maneca.
Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto più icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella (dal t. lat. lancula diminutivo di lanx) della locuzione è propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi dal secchio.
4.Signore mio scanza a mme e a chi coglie.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. È la locuzione invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da perizia.
5.'O piezzo cchiú gruosso à dda essere 'a recchia.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il più grande avrebbe dovuto essere l'orecchio.
6. Essere 'na guallera cu 'e filosce.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica iperbolica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova.
Guallera s.f. = ernia (dall’arabo wadara= ernia)
Filosce s.n. pl. di filoscio = frittatina sottile (dal fr. filoche ← fil= sottile)
7. Mettere a uno 'ncopp' a 'nu puorco.
Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito di condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale affinché venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie. Questa abitudine era tipica della città partenopea dove v’era abbondanza di maiali che circolavano liberamente per strade e vicoli, allevati com’erano in libertà assoluta per esser poi destinati oltre che all’uso personale di chi li allevasse, anche come offerta ai monaci del TAU che conducevano nei pressi della chiesa di S. Antonio Abate (in piazza Carlo III) uno loro piccolo ospedale dove curavano affezioni dermatologiche usando pomate confezionate anche con il lardo dei maiali; altrove (ad es. a Roma) ci si serviva di asini.
8. Oramaje à appiso 'e fierre a sant' Aloja.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al Mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
9. Si me metto a ffà cappielle, nàsceno criature senza capa.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica.
10. A - Nun fa pérete a chi tène culo.
B - Nun dà ponie a chi tène mane.
I due proverbi in epigrafe, con parole diverse mirano in fondo allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salve di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salve. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani.
11. Chi se fa masto, cade ‘int' ô mastrillo.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
masto s.vo m.le =mastro, capoperaio,esperto d’un settore lavorativo; voce derivata dal lat. ma(gi)st(r )u(m)→masto;
mastrillo s.vo m.le = trappola per topi; voce derivata dal tardo lat. mustricula con cambio e maschilizzazione del suffisso diminutivo cula→illo ed alterazione espressiva della vocale nella sillaba d’avvio: u→a.
12 Tutto a Giesú e niente a Maria.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni, distribuzione di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente e resta solo l’amara espressione dell’epigrafe che riproduce quella pronunciata da un anziano curato di una piccola chiesa popolare nei confronti del suo sacrestano che, delegato ad addobbare i due altari presenti nella chiesuola, aveva riservato gli addobi all’altare del Salvatore tenendo sguarnito quello dedicato alla Vergine.
brak
VARIE 2667
1.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, TÈNE BBONI CCOSCE...
Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli derivanti dal proprio cattivo intendere.
2.METTERE 'O PPEPE 'NCULO Â ZÒCCOLA.
Letteralmente:introdurre pepe nell’ano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora ci si serviva in primis, come mezzo di trasporto, delle navi , capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci, attratti dalle granaglie, solcassero i mari grossi topi ( in napoletano zoccole al sg zoccola dal lat. sorcula diminutivo di sorex), che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie e poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa,si diverte e gode ad attizzare il fuoco della discussione fra terzi...
3.PURE 'E PULICE TENONO 'A TOSSE...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia vogliono esprimere il proprio parere.Espressione usata a sarcastico commento delle risibili azioni di chi mancando di forza e/o argomenti voglia ugualmente farsi notare esprimendo (ovviamente a sproposito) pareri o giudizi in ordine ad accadimenti cui assistano o passivamente partecipino.
4.DICE BBUONO 'O DITTO 'E VASCIO/ QUANNO PARLA DELLA DONNA: “UNA BBONA CE NE STEVA/ E 'A FACETTENO MADONNA...”
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: “Ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna...” Id est: La donna, in quanto tale, è un essere inaffidabile - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'MPARAVISO del grande poeta Ferdinando Russo
5.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi, adattandosi alle circostanze. La locuzione è usata altresí a sapido e divertito commento di situazioni in cui regni l’inopia piú grande tale da costringere, ad esempio, un povero curato a celebrar messa illuminando l’altare con un economico tizzone ardente e non con i previsti costosi ceri …
6.JAMMO, CA MO S'AIZA!
Muoviamoci ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per esortare all’azione in modo generico nell'imminenza di una qualsiasi attività per la quale occorre prepararsi.
7.CHELLO È BBELLO 'O PRUTUSINO, VA 'A GATTA E NCE PISCIA ‘A COPPA...
Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione già di per sé precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...
8.QUANNO VIDE 'O FFUOCO Â CASA 'E LL'ATE, CURRE CU LL'ACQUA Â CASA TOJA...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura.
9.GIORGIO SE NNE VO’ JÍ E 'O VESCOVO N' 'O VO’ MANNÀ.
Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno per rispetto o per timore dell’altro à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
10.FA MMIRIA Ô TRE 'E BASTONE.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare addirittura l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato da un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio, mascherone sovrastante l'incrocio di tre nodosi randelli.
11.SI 'A FATICA FOSSE BBONA, 'A FACESSERO 'E PRIEVETE.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente. Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
12. AVIMMO CASSATO N' ATU RIGO 'A SOTT' Ô SUNETTO.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni di per sé non abbondanti...
13.È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
È finito il cacio di sotto ed i maccheroni al di sopra. Cioè:La situazione si è voluta in maniera contraria alle attese e/o alla loicità; si è rivoltato il mondo.Normalmente infatti il cacio grattugiato dovrebbe guarnire dal di sopra una portata di maccheroni, non farle da strame.
14. À FATTO MARENNA A SSARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.In senso esteso: non à ottenuto dalla propria azione i risultati sperati…
15. FÀ LL'ARTE 'E MICHELASSO: MAGNÀ, VEVERE E GGHÍ A SPASSO.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
16.SO' GHIUTE 'E PRIEVETE 'NCOPP'Ô CAMPO
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:un tempo, quando era loro concesso i preti erano comunque costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...
17.NUN VULÈ NÈ TIRÀ, NÈ SCURTECÀ...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità; locuzione mutuata dall’atteggiamento di taluni operai conciatori di pelli quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla scuoiatura.
18. PURTA'E FIERRE A SSANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa napoletana di sant'Eligio ( nei pressi di piazza Mercato) i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
19.'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE 'NU PURTONE.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
20. NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E GGHÍ A SFOTTERE Ô BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che pur mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si voglia ergere e ci si erge ad ipercritico e spaccone.
21.ACQUA O FUOCO,FUJE PE CQUANTO AJE LUOCO!
Ad litteram:Acqua o fuoco,scappa per quanto spazio ài. Id est:
Due sono le minacce che bisogna temere in assoluto: l’alluvione o l’incendio allontanandosene il piú possibile.
brak
VARIE 2666
1 -SCIÚ, Â FACCIA TOJA!
Espressione volgare di schifo e disprezzo, intraducibile ad litteram, che viene pronunciata, accompagnata spesso dal gesto di un finto sputo, all'indirizzo di chi è tanto spregevole da meritarsi di esser raggiunto da uno sputo al volto: infatti la parola sciù altro non è se non l'onomatopeica riproduzione di uno sputo, che - come precisato nel prosieguo della locuzione – à come destinazione proprio la faccia di colui che si intende disprezzare! Talvolta l’espressione è limitata al solo sciú mantenendo però inalterato il senso di schifo e disprezzo contenuto nell’intera espressione.
2. -SCUMMIGLIÀ 'A RAMMA
Ad litteram: scoprire il rame Id est : togliere i coperchi alle pentole di rame (per controllarvi il cibo in cottura). Invito che si rivolgeva temporibus illis alle donne di casa addette alla cucina perchè controllassero attentamente la cottura delle pietanze, evitando di distrarsi con chiacchiere inutili.
In senso traslato: mettere a nudo i difetti di qualcuno, come nell’espressione che segue.
3. - SCUMMIGLIÀ 'E ZZELLE
Ad litteram: scoprire le tigne e per traslato scoprir le magagne, le manchevolezze. Id est: mettere a nudo i difetti altrui .
Locuzione della medesima portata del senso traslato della precedente. In particolare la zella (da un lat. reg.(capitem) *psilla(m)) è la tigna che veniva coperta con un cappelluccio e veniva così tenuta celata agli occhi indiscreti, fino a che un rompiscatole non strappasse il cappelluccio dalla testa del tignoso, mettendone proditoriamente a nudo i difetti.Per estensione si dice di chiunque si diverta a render note, quali che siano, le manchevolezze altrui battezzate pur sempre: zelle anche se non realmente attinenti alla tigna.
4. -SCUNTÀ A FFIERRE 'E PUTECA
Ad litteram:sdebitarsi con i ferri della bottega Cosí si dice quando - non riuscendo ad ottenere il pagamento di un debito in moneta contante - il creditore si contenta di chiedere al debitore che lo soddisfi mediante l'opera lavorativa servendosi dei propri ferri del mestiere, cioè conferendogli artigianalmente un servizio in cui il debitore sia versato.
5. –SGUMMÀ/SCUMMÀ 'E SANGO
Ad litteram: far perdere la gomma al sangue. Id est: percuotere tanto violentemente qualcuno e segnatamente colpirlo sul volto fino a fargli copiosamente emettere dalle fosse nasali fiotti di sangue divenuto a seguito delle percosse cosí fluido da scorrere liberamente quasi avesse perduto la gomma o l’ipotetico collante che ne determinano la naturale vischiosità perduta a sèguito delle percosse.
6. -S' È AVUTATO 'O CANISTO
Ad litteram: si è invertito il canestro Locuzione che, con amaro senso di dispetto viene pronunciata da chi vede che una situazione che lo riguarda da che era positiva e favorevole, cambia improvvisamente diventando sfavorevole e negativa. Originariamente la locuzione ripeteva la delusione che si ascoltava sulla bocca dei giocatori del lotto che dopo alcune estrazioni favorevoli vedevano sortire numeri che non attendevano ed attribuivano la faccenda al fatto che l'urna (il canestro della locuzione) contenente i bussolotti con i numeri fosse stata - eccessivamente - ruotata.
7. -S'È AVUTATO 'O MUNNO
Ad litteram: à ruotato il mondo Amaro ed indispettito commento pronunciato da chi - specie anziani - si trovi ad essere coinvolto o anche a fare da semplice spettatore ad accadimenti ritenuti paradossali, assurdi ed inattesi che mai si erano verificati, né mai si riteneva si potessero verificare e che solo il capovolgimento del mondo à reso possibili.
8 -SEDOGNERE L'ASSO oppure 'A FALANCA
Ad litteram:ungere l'asse oppure la trave. Inveterata necessità che nel corso dei secoli à assunto le piú svariate connotazioni e modi di realizzarsi, ma restando sempre ineludibile nella sua reale funzione di permettere un adeguato movimento degli elementi ruotanti (asse)
o assicurare la scorrevolezza della trave(falanca) su cui far scivolar le barche, e per traslato, consentire che una pratica non si intoppi ed anzi proceda speditamente verso la sua realizzazione. Falanca s.f. = trave di supporto per lo scorrimento dei natanti; dal lat. phalanga(m)→phalanca(m)= palo.
9 -S'È 'MBRIACATA 'A ÚSCIOLA
Ad litteram:S'è ubriacata la bussola Amaro commento pronunciato da chi si trovi improvvisamente davanti a situazioni inopinatemente ingarbugliate, quando non scombussolate, al segno che non ci si raccapezzi piú, come quando per un'improvvisa tempesta magnetica la bussola (ùsciola) non indichi piú il nord, o come quando il contenitore delle offerte ( pur'esso: úsciola) ingarbugliatosi non trattenga piú le monete, ma le lasci cadere in terra.
10 -SE NE PARLA A VVINO NUOVO
Ad litteram: se ne parla al tempo del vino nuovo Modo di dire che sebbene indichi un preciso momento - quello della nuova vinificazione - non corrisponde ad un tempo certo, ma è usato per significare la volontà di voler rimandare sine die un impegno a cui non si à molto desiderio di applicarsi.
11. -SE PAVA NIENTE? E SEDUGNEME DÂ CAPA Ô PERE!
Ad litteram:Si paga nulla? Ed ungimi dalla testa al piede!
Con questa espressione si suole fare il verso al comportamento degli avari, spilorci e profittatori, sempre pronti a godere gratuitamente di beni e/o occasioni al pari di un non meglio identificato avaro che, sul letto di morte, informatosi dal sacerdote che l'estrema unzione non comportava tariffa alcuna, né che fosse commisurata all'estensione dell'unzione, pretese che fosse unto completamente dalla testa ai piedi.
12. -SENTIRSE 'E PRÓRERE 'E MMANE
Ad litteram:Avvertire un prurito alle mani Cosí afferma chi sia in procinto di usare le mani per percuotere qualcuno.E cosí solevano dire, temporibus illis, i genitori quando erano stati inutilmente esperiti tutti i tentativi di convincere i propri piccoli figliuoli a desistere dal far confusione, o dalle loro reiterate marachelle .per avvertire i ragazzi che era prossimo il momento in cui essi genitori sarebbero passati a vie di fatto e avrebbero fatto ricorso alle percosse.
13. -SENTIRSE 'E SCENNERE QUACCOSA
Ad litteram:avvertire che qualcosa stia per accadere Id est: avere la sensazione che stia per succedere qualcosa, positiva o negativa che sia ed accada quasi calando dall'alto, in modo inatteso ed imprevedibile.
Allorché il qualcosa sia negativo la locuzione diventa:Sentirse 'e scennere quaccosa pe dereto ê rine (avvertire che qualcosa stia per accadere dietro le spalle).
14. -SENTIRSE 'E TREMMÀ 'O STRUNZO 'NCULO
Ad litteram:avvertire di esser prossimi ad evacuare Cosí, in modo sorridente ma becero,si dice che questa sia la situazione di chi lungamente minacciato di violenze e percosse sia assalito da spavento cosí grande da dover precipitarsi a cavalcare la tazza del cesso.
15. -S'È SCUNTRATO 'O SANGO CU 'A CAPA
Ad litteram:è avvenuto lo scontro (incontro) del sangue e della testa
Id est: si è verificata la circostanza favorevole perché si potesse verificare ciò che si voleva o desiderava o anche si è verificato l'atteso incontro tra due persone di interessi collimanti, incontro foriero di buoni, sperati accadimenti positivi per loro ed altri.
Mi spiego. Quando ancora le sacre reliquie (cranio ed ampolle del sangue) di san Gennaro santo protettore della città di Napoli, non erano conservate nella a Lui dedicata cappella del Duomo napoletano, nel giorno della memoria del santo (19 settembre) partivano due distinte processioni: una, recante le ampolle con il sangue, muoveva da Pozzuoli alla volta di Antignano (ameno sito della collina vomerese), l'altra processione partiva dal Duomo e puntava su Antignano recando il busto argenteo contenente il cranio del santo; quando le due processioni venivano a contatto, ossia si verificava quanto previsto nella locuzione, spesso accadeva che si compisse il miracolo della liquefazione del sangue contenuto nelle ampolle rinserrate in un'artistica teca d'argento. Ancora oggi che la processione è una sola, la teca con le ampolle del sangue viene posta accanto al busto contenente il cranio del santo, appena il canonico incaricato dà inizio alle preghiere impetrative e si attende che l'incontro abbrevi i tempi di attesa del miracolo.
Altre volte la locuzione riportata in epigrafe è intesa pedissequamente ad litteram ed il luogo dell'incontro qui sopra descritto, fa riferimento ad un vero e proprio scontro tra due persone che non collimando in niente non lasciano presagire nulla di buono; in tal caso la locuzione deve essere intesa con valenza negativa in luogo della positiva prospettata dall'incontro enunciato precedentemente.
16. - SFILÀ 'A CURONA
Ad litteram: sfilare la corona Id est: dar la stura ad una lunga sequela di ingurie e contumelie dirette a chi se le meriti, ingiurie reiteratamente ripetitive quasi alla stregua di grani di una corona che però per la verità, viene usata per reiterare preghiere e non contumelie. La reiterazione delle ingiurie è tanto lunga e violenta da determinare lo sfilarsi dei grani dell’ipotetica corona usata per contare le contumelie.
17. - SFRUCULIÀ 'A MAZZARELLA 'E SAN GIUSEPPE
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi, come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco tenore espose nel suo palazzo il bastone e vi pose a guardia un suo servitore con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecole) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià.
Normalmente, a mo' di ammonimento, la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON.
18. -SFRUCULIÀ 'O PASTICCIOTTO
Ad litteram: sbreccare il dolcino. Id est:annoiare, infastire, molestare qualcuno; locuzione di valenza simile alla precedente, usata anch'essa in tono imperativo preceduta da un canonico NON. Qui, in luogo della mazzarella, l'oggetto fatto segno di figurate sbreccature è un ipotetico pasticcino, chiaramente usato eufemisticamente al posto di un intuibilissimo sito anatomico maschile.
19. -SICCO, PELIENTO E OSSA
Ad litteram: magro, pallido e ossuto Cosí viene divertentemente apostrofato chi sia estremamente magro,pallido: latinamente pallente(m)→ (peliento) e cosí poco in carne da potergli contar le ossa.
20 - SONA CA PIGLIE QUAGLIE
Ad litteram: suona ché prenderai quaglie. Locuzione ironica da intendersi in senso antifrastico, usata per mettere a tacere gli importuni saccenti ai quali si vuol dire: state perdendo il vostro tempo e state inutilmente dando fiato alla bocca: non riuscirete a nulla di ciò che pensate, né con le vostre chiacchiere riuscirete ad irretire qualcuno, che (come le quaglie che non si lasciano attirare da alcun richiamo) resisterà ad ogni vostra insistenza e/o miraggio.
brak
venerdì 29 novembre 2013
VARIE 2665
1. A GGHÍ A GGHÍ
letteralmente: ad andare ad andare;detto a commento di tutte quelle azioni condotte a termine per un pelo ed i cui risultati siano stati raggiunti risicatamente.Locuzione di carattere temporale, ma intesa talora anche in senso modale.
2. A NNOMME ‘E DDIO
letteralmente: nel nome di Dio Espressione quasi religiosa che si usa nel principiare alcunché, segnandosi, e chiamando il nome di Dio nella speranza che presti il suo soccorso nell’opera intrapresa.
3. Â BBONA ‘E DDIO
letteralmente: con il benvolere di Dio espressione che si discosta molto dalla precedente, in quanto questa pur avendo un suo sostrato fideistico, è meno permeata di religiosita, anzi è quasi scaramantica e (riproducendo ad litteram il saluto che i naviganti iberici si scambiavano nel salpare: “A la buena de Dios!”) significa: vada come vada, purché vada...
4. A LL’ ANEMA D’’A PALLA!
Letteralmente: All’anima della palla! Espressione esclamativa con cui si usa commentare notizie riferite a cose od accadimenti cosí incredibili o palesamente falsi da farli ritenere essere la quintessenza delle sciocchezze, paragonabili solo ad un sesquipedale contenitore sferico,privo di sostanza, fatto di aria e contenente aria...
5. A STRACCE E PPETACCE
Ad litteram: A stracci e brandelli; locuzione modale usata per indicare sarcasticamente tutte le azioni fatte in modo discontinuo, con scarsa applicazione, a morsi e bocconi, azioni che lasciano presagire risultati pessimi.
stracce s. m. plurale di straccio= pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare (in quest'ultimo caso, anche come prodotto commerciale specificamente fabbricato a tale scopo); nella loc. ‘nu straccio ‘e, (fam.) per indicare cosa o persona qualsiasi, di poco conto: nun tène ‘nu straccio ‘e vestito ‘a metterse ‘ncuollo=addosso; ‘nu straccio ‘e marito, ‘e; nun tene neppure ‘nu straccio ‘e amico pe se cunfidà; spec. pl. indumento logoro e dimesso: jí in giro vestuto ‘e stracce.
quanto all’etimo, straccio è un deverbale di stracci-are/à che è dal lat. volg. *extractiare, deriv. di tractus, part. pass. di trahere 'trarre';
petacce s.f. plurale di petaccia = cencio, brandello, straccio ed estensivamente abito di tessuto logoro; piú in generale con tutte le accezioni del precedente straccio, ma con valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia!
quanto all’etimo, petaccia appare a taluno un derivato dello spagnolo pedazo= pezzo ma a mio avviso non è errato vedervi un derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) + il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia è anche ipotizzato un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia= cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m).
6. ‘A SOTTO P’’E CHIANCARELLE!
Ad litteram: Di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli: strette doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano l’impiantito dei solai.
7. AÍZA, CA VENONO ‘E GGUARDIE
Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni.
Oggi la locuzione è usata per convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge.
8. A PPESIELLE PAVAMMO oppure NE PARLAMMO.
Ad litteram: al tempo dei piselli pagheremo oppure ne parleremo. Locuzione con la quale si tenta di rimandare la soluzione dei debiti o dei problemi a tempi migliori. In tempi remoti la locuzione posta sulla bocca di un contadino voleva dire: pagherò i miei debiti al tempo della raccolta dei piselli, quando farò i primi guadagni della stagione; posta invece sulla bocca di un medico o peggio d’un becchino aveva l’aria di una minaccia vvolendo significare: al tempo dei piselli ti necessiterà la mia opera o perché cadrai in preda di coliche che l’ortaggio ti procurerà, o - peggio ancora - ne decederai!
9.  FACCIA D’’O CASACAVALLO o anche  FACCIA ‘E GIORGIO o ancora  FACCIA D’’O SISCO
Ad litteram: Alla faccia del caciocavallo o anche alla faccia di Giorgio o ancora alla faccia del fischio.
Locuzione pronunciata con risentimento davanti ad avvenimenti che dèstino meraviglia non disgiunta da stupore o sorpresa, in quanto tali avvenimenti erano inattesi o macroscopicamente incredibili; sia il termine casocavallo (caciocavallo) che il sisco (fischio) ed il nome proprio Giorgio sono usati eufemisticamente in luogo di altro termine facilmente intuibile certamente piú becero, ma senza dubbio piú corposo e colorito. Il caciocavallo è un gustoso formaggio a pasta dura prodotto dai casari dei monti Lattari casari adusi a trasportarlo a valle, a dorso di cavallo legato a coppie con una corda; da ciò il nome.
10. ABBRUSCIÀ ‘O PAGLIONE
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica di voler procure a colui cui è rivolta un grave anche se non specifico danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato, usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata per minacciar imprecisati ma totali danni.
11. ADDÓ MAJE?
adlitteram: dove mai?
Domanda retorica che si suole rivolgere ai responsabili di azioni discutibili se non ripropevoli, per indurli a recedere dal loro comportamento ritenuto non esistente in nessun altro luogo e tanto sbagliato da doversi necessariamente evitare.
12. Â ‘NTRASATTA
ad litteram: all’improvviso detto di cose che accadono inaspettatamente, senza che nulla lo lasci prevedere, nel bel mezzo di altri avvenimenti proprio secondo la traduzione ad litteram del latino: (i)ntra (re)s actas→’ntrasacta(s)→’ntrasatta da cui scatuisce la locuzione in epigrafe.
13. Â CASA D’’O FERRARO, ‘O SPITO ‘E LIGNAMMO.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti vengono a mancare elementi che invece si presupponeva non potessero mancare ed in loro assenza ci si deve accontentare di succedanei spesso non confacenti.
14. ‘A CARNA TOSTA E ‘O CURTIELLO SCUGNATO.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o più elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione illustrata al numero successivo.
15 – ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Piú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando.
brak
VARIE 2664
1. A GGHÍ A GGHÍ
letteralmente: ad andare ad andare;detto a commento di tutte quelle azioni condotte a termine per un pelo ed i cui risultati siano stati raggiunti risicatamente.Locuzione di carattere temporale, ma intesa talora anche in senso modale.
2. A NNOMME ‘E DDIO
letteralmente: nel nome di Dio Espressione quasi religiosa che si usa nel principiare alcunché, segnandosi, e chiamando il nome di Dio nella speranza che presti il suo soccorso nell’opera intrapresa.
3. Â BBONA ‘E DDIO
letteralmente: con il benvolere di Dio espressione che si discosta molto dalla precedente, in quanto questa pur avendo un suo sostrato fideistico, è meno permeata di religiosita, anzi è quasi scaramantica e (riproducendo ad litteram il saluto che i naviganti iberici si scambiavano nel salpare: “A la buena de Dios!”) significa: vada come vada, purché vada...
4. A LL’ ANEMA D’’A PALLA!
Letteralmente: All’anima della palla! Espressione esclamativa con cui si usa commentare notizie riferite a cose od accadimenti cosí incredibili o palesamente falsi da farli ritenere essere la quintessenza delle sciocchezze, paragonabili solo ad un sesquipedale contenitore sferico,privo di sostanza, fatto di aria e contenente aria...
5. A STRACCE E PPETACCE
Ad litteram: A stracci e brandelli; locuzione modale usata per indicare sarcasticamente tutte le azioni fatte in modo discontinuo, con scarsa applicazione, a morsi e bocconi, azioni che lasciano presagire risultati pessimi.
stracce s. m. plurale di straccio= pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare (in quest'ultimo caso, anche come prodotto commerciale specificamente fabbricato a tale scopo); nella loc. ‘nu straccio ‘e, (fam.) per indicare cosa o persona qualsiasi, di poco conto: nun tène ‘nu straccio ‘e vestito ‘a metterse ‘ncuollo=addosso; ‘nu straccio ‘e marito, ‘e; nun tene neppure ‘nu straccio ‘e amico pe se cunfidà; spec. pl. indumento logoro e dimesso: jí in giro vestuto ‘e stracce.
quanto all’etimo, straccio è un deverbale di stracci-are/à che è dal lat. volg. *extractiare, deriv. di tractus, part. pass. di trahere 'trarre';
petacce s.f. plurale di petaccia = cencio, brandello, straccio ed estensivamente abito di tessuto logoro; piú in generale con tutte le accezioni del precedente straccio, ma con valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia!
quanto all’etimo, petaccia appare a taluno un derivato dello spagnolo pedazo= pezzo ma a mio avviso non è errato vedervi un derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) + il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia è anche ipotizzato un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia= cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m).
6. ‘A SOTTO P’’E CHIANCARELLE!
Ad litteram: Di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli: strette doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano l’impiantito dei solai.
7. AÍZA, CA VENONO ‘E GGUARDIE
Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni.
Oggi la locuzione è usata per convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge.
8. A PPESIELLE PAVAMMO oppure NE PARLAMMO.
Ad litteram: al tempo dei piselli pagheremo oppure ne parleremo. Locuzione con la quale si tenta di rimandare la soluzione dei debiti o dei problemi a tempi migliori. In tempi remoti la locuzione posta sulla bocca di un contadino voleva dire: pagherò i miei debiti al tempo della raccolta dei piselli, quando farò i primi guadagni della stagione; posta invece sulla bocca di un medico o peggio d’un becchino aveva l’aria di una minaccia vvolendo significare: al tempo dei piselli ti necessiterà la mia opera o perché cadrai in preda di coliche che l’ortaggio ti procurerà, o - peggio ancora - ne decederai!
9.  FACCIA D’’O CASACAVALLO o anche  FACCIA ‘E GIORGIO o ancora  FACCIA D’’O SISCO
Ad litteram: Alla faccia del caciocavallo o anche alla faccia di Giorgio o ancora alla faccia del fischio.
Locuzione pronunciata con risentimento davanti ad avvenimenti che dèstino meraviglia non disgiunta da stupore o sorpresa, in quanto tali avvenimenti erano inattesi o macroscopicamente incredibili; sia il termine casocavallo (caciocavallo) che il sisco (fischio) ed il nome proprio Giorgio sono usati eufemisticamente in luogo di altro termine facilmente intuibile certamente piú becero, ma senza dubbio piú corposo e colorito. Il caciocavallo è un gustoso formaggio a pasta dura prodotto dai casari dei monti Lattari casari adusi a trasportarlo a valle, a dorso di cavallo legato a coppie con una corda; da ciò il nome.
10. ABBRUSCIÀ ‘O PAGLIONE
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica di voler procure a colui cui è rivolta un grave anche se non specifico danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato, usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata per minacciar imprecisati ma totali danni.
11. ADDÓ MAJE?
adlitteram: dove mai?
Domanda retorica che si suole rivolgere ai responsabili di azioni discutibili se non ripropevoli, per indurli a recedere dal loro comportamento ritenuto non esistente in nessun altro luogo e tanto sbagliato da doversi necessariamente evitare.
12. Â ‘NTRASATTA
ad litteram: all’improvviso detto di cose che accadono inaspettatamente, senza che nulla lo lasci prevedere, nel bel mezzo di altri avvenimenti proprio secondo la traduzione ad litteram del latino: (i)ntra (re)s actas→’ntrasacta(s)→’ntrasatta da cui scatuisce la locuzione in epigrafe.
13. Â CASA D’’O FERRARO, ‘O SPITO ‘E LIGNAMMO.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti vengono a mancare elementi che invece si presupponeva non potessero mancare ed in loro assenza ci si deve accontentare di succedanei spesso non confacenti.
14. ‘A CARNA TOSTA E ‘O CURTIELLO SCUGNATO.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o più elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione illustrata al numero successivo.
15 – ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Piú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando.
brak
VARIE 2663
1. ESSERE RICCO ‘E VOCCA.
Ad litteram: essere ricco di bocca Id est: : essere un vuoto parolaio che parla a sproposito, a vanvera, e si autocelebra vantando doti fisiche e/o morali che in realtà non possiede, nè possiederà mai; essere un millantatore a cui fanno difetto i fatti, ma non le chiacchiere, essere insomma un miserabile la cui unica ricchezza è rappresentata dalla bocca.
2. ESSERE N’ ACCA ‘MMIEZO Ê LLETTERE oppure N’ ÍCCHESE DINTO A LL’AFFABBETO.
Ad litteram: essere un’acca fra le lettere oppure una ics nell’alfabeto Id est: non contare nulla, essere una nullità assoluta, valere quanto uno zero e non servire che poco o nulla al pari della muta acca che è solo una consonante di tipo diacritico o , peggio ancora, valere quanto la consonante ics che non è usata né in italiano, né in napoletano e che a stento serve per connotare un’incognita.
3. ESSERE ‘NU BBABBÀ A RRUMMA
Ad litteram: essere un babà irrorato di rum
Locuzione dalla doppia valenza, positiva o negativa. In senso positivo la frase in epigrafe è usata per fare un sentito complimento all’avvenenza di una bella donna assimilata alla soffice appetitosa preparazione dolciaria partenopea; in senso negativo la locuzione è usata per dileggio nei confronti di ragazzi ritenuti piuttosto creduloni e bietoloni, eccessivamente cedevoli sul piano caratteriale al pari del dolce menzionato che è morbido ed elastico.
4. FÀ ABBATE A QUACCHEDUNO.
Ad litteram: fare abate qualcuno; id est: gabbare, imbrogliare, ingannare chi sia sciocco e credulone.Un tempo per ricevere la nomina ad abate non occorreva si fosse in possesso di grandi doti intellettive, o di particolari meriti; spesso anzi piú si era stupidi piú si avevano probabilità d’esser nominati; la locuzione prende a suo fondamento proprio l’evenienza qui ricordata.
5. FÀ ‘A CHIERECA Ê SCIGNE.
Ad litteram: fare la tonsura alle scimmie; id est: applicarsi ad un’operazione inutile, assolutamente balorda e certamente improduttiva.
6. FÀ ‘A FATICA D’’E PRIEVETE.
Ad litteram: fare il lavoro dei preti. Id est: fare un’attività tranquilla e non impegnativa quale, ingiustamente, si riteneva fosse quella svolta dai sacerdoti al segno che, altrove si diceva che se il lavoro fosse stato una cosa buona, lo avrebbero fatto i preti.
7. FÀ ‘NA BBOTTA, DDOJE FUCETOLE.
Ad litteram: centrare con un sol colpo due beccafichi. Id est: conseguire un grosso risultato con il minimo impegno; locuzione un po’ piú cruenta, ma decisamente piú plausibile della corrispondente italiana: prender due piccioni con una fava: una sola cartuccia, specie se caricata di un congruo numero di pallini di piombo, può realmente e contemporaneamente colpire ed abbattere due beccafichi; non si comprende invece come si possano catturare due piccioni con l’utilizzo di una sola fava, atteso che quando questa abbia fatto da esca per un piccione risulterà poi inutilizzabile per un altro...
8. FÀ ‘ALLICCAPETTULE.
Ad litteram: fare il leccapettole cioè il lecchino; id est: comportarsi da servile adulatore, da servo sciocco, prosternandosi davanti al potente di turno, leccandogli metaforicamente la falda posteriore della camicia nominata eufemisticamente in luogo della parte anatomica su cui detta falda insiste.
9. FÀ ‘O SPALLETTONE oppure al femminile ‘A CCIACCESSA
Espressione intraducibile ad litteram in quanto in italiano manca un vocabolo unico che possa tradurlo, per cui bisogna dilungarsi nella spiegazione per poter venire a capo delle espressioni in epigrafe.
Ciò premesso, dirò che esiste, o meglio, esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune, conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. E’ il vocabolo in epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis dirò che con esso vocabolo si indica il saccente, il supponente, il sopracciò, il millantatore, colui che anticamente era definito mastrisso ovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non aveva né la cultura, nè il carisma necessarii per essere preso in seria considerazione.
Piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie di quelli altrui , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per risolvere, naturalmente senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son frutto della propria saccenteria in virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui, mai dei propri !? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli; e cosí via non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che, specie quando non sia interpellato, si offre e tenta di imporre la propria presenza dispensando ad iosa consigli non richiesti che - il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di dizionarii della lingua napoletana, anche i piú moderni, con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco e del suo Alfabeto napoletano, non fanno riferimento alla lingua parlata, ma esclusivamente a quella scritta nei classici partenopei, va da sè che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei classici.
Orbene reputo che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di trovare l’etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S non eufonica, ma intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone:ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il pettegolo che è altra cosa e che in napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però un corrispondente termine femminile con i medesimi significati del maschile ed è come riportato nella variante in epigrafe: cciaccessa correttamente scritto con la geminazione iniziale della C: cciaccessa; l’etimo mi è sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare che possa essere un deverbale formatosi su di un iniziale ciarlare.
10. FÀ ‘AMMORE CU ‘E MONACHE.
Ad litteram: fare l’amore con le monache, id est: desiderare l’impossibile, richiedere o sperare l’irrealizzabile come sarebbe il godere dei favori di una suora.
11. FÀ LL’ARTA LEGGIA.
Ad litteram: praticare l’arte leggera; id est: esercitare il mestiere del ladruncolo, del borseggiatore; per praticare tali attività occorre aver leggerezza di mano ed accortezza di modi; eufemisticamente perciò il suddetti mestieri son definiti arte quasi che occorra essere degli artisti per poterli praticare ed in effetti non è da tutti possedere l’abilità necessaria in simili pur truffaldini mestieri: solo chi abbia lungamente fatto esercizio e si sia diligentemente applicato può poi lanciarsi nella mischia e sperare di conseguire risultati adeguati alla stregua di un vero artista.
12. FÀ LL’ARTE D’’O SOLE.
Ad litteram: fare l’arte del sole; id est: darsi alla bella vita, magari condita di disimpegnati amori, godendosela senza intralci o preoccupazioni, alla stregua del sole che una volta che sia sorto, può tranquillamente mirarsi il creato, senza problemi o altre faticose incombenze.
13. FÀ LL’OPERA D’’E PUPE
Letteralmente: fare la rappresentazione con i pupi; id est: fare il diavolo a quattro, agitarsi oltre misura per conseguire un quid qualsiasi anche non eccessivamente serio e concreto, sforzandosi di tener sotto controllo un gran numero di cose come i pupari costretti a destreggiarsi tra un inviluppo di fili e croci lignee atti alla manovra delle teste, braccia e gambe dei pupi di cui all’epigrafe. Da notare che l’espressione fa riferimento ai pupi, alti e grossi burattini di legno che vengon manovrati dal puparo, muovendoli dall’alto; cosa diversa sono le guarattelle o guattarelle, piccole marionette che vengono manovrate dal basso tenendole infilate sulla mano a mo’ di guanto. Talvolta, con riferimento alla agitazione che è propria dell’espressione in epigrafe, quando tra due interlocutori un discorso principiato in maniera calma si stia evolvendo pericolosamente può accadere che quello degli interlocutori dotato di maggior buona volontà possa invitare l’altro interlocutore a recedere dalla discussione con il dire: “Nun facimmo ll’opera ‘e pupe” (evitiamo di fare una rappresentazione con i pupi; calmiamoci!).
14. FÀ MMIRIA Ô TRE BASTONE
Ad litteram: fare invidia al tre di bastoni. Detto ironicamente di una donna che sia provvista di abbondante peluria sul labbro superiore al segno di detestar l’invidia del tre di bastoni la carta da giuoco del mazzo di carte napoletano che porta sovrapposto all’incrocio di tre grossi randelli un vistoso mascherone , provvisto di suo di consistenti baffoni a manubrio.
15. FÀ MARENNA A SSARACHIELLE
Ad litteram: far colazione con piccole aringhe affumicate; id est: accontentarsi di poco, stringer la cinghia, esser costretti a fare di necessità virtú come chi si debba contentare, per la propria colazione di piccole aringhe salate ed affumicate che oltre ad essere parva res, prospettano una successiva necessità di bere copiosamente per attutire gli effetti della congrua salatura. La locuzione è usata pure a sarcastico commento delle azioni di coloro che agiscano con parsimonia di mezzi e di applicazione al segno che i risultati che posson derivare dalle loro azioni sono miserevoli ed inconferenti. In tal caso alla locuzione in epigrafe si suole premettere un icastico: Eh, sî arrivato (che può esser tradotto a senso: “Cosa pensi d’aver fatto?) per poi far seguire la locuzione in epigrafe coniugata però con un tempo di modo finito in luogo dell’infinito qui riportato.
16. FÀ ‘A TREZZA D’’E VIERME.
Ad litteram: fare la treccia di vermi; id est: spaventarsi grandemente, esser colto da eccessiva paura. Olim a Napoli, si riteneva che , soprattutto i bambini, ma pure gli adulti, se fossero stati presi da grande spavento avrebbero potuto germinare nell’intestino una gran quantità di vermi organizzati nei visceri a mo’ di treccia; per liberare i colpiti da tale iattura si ricorreva a sostanziose somministrazioni di aglio da ingerire crudo; ragion per cui era auspicabile, specie per i bambini il non essere colti da spavento o paure.
17. FÀ SPUTAZZELLE ‘MMOCCA.
Ad litteram: fare l’acquolina in bocca La locuzione richiama, molto piú veristicamente dell’italiano, quelle situazioni in cui alla vista di cose piacevoli o appetitose aumenta a dismisura la secrezione delle ghiandole salivari fino a riempir quasi la bocca di saliva, quella che l’italiano per un malinteso senso estetico rende con la parola: acquolina. L’espressione si usa naturaliter allorché ci si trovi al cospetto di un appetitoso manicaretto la cui vista scatena la reazione di cui in epigrafe;ma è usata altresí allorché ci si trovi innanzi ad una bella donna desiderabile ed appetibile al pari di una succulenta pietanza; insomma sia il manicaretto che la bella donna posson far fare l’acquolina in bocca o – meglio ancòra – far fare sputazzèlle.
18. FÀ O ESSERE CARTA ‘E TRE (o meglio) ‘E TRESSETTE
Ad litteram: fare o essere una carta da tre (o meglio) di tressette; id est: essere o comportarsi da persona di vaglia, importante, capace di imporsi a tutti gli altri o per naturale carisma o per accertate capacità fisiche e/o morali; piú precisamente nel gergo malavitoso e per traslato nel linguaggio popolare la carta di tre o tressette è colui che con ogni mezzo, lecito o meno che sia riesce ad assurgere al posto di comando imponendo la propria volontà. La locuzione è mutuata dal giuco del tressette giuoco di carte nel quale alcune di esse per convenzione, pure essendo di valore facciale inferiore rispetto alle altre, nel corso del giuoco prevalgono sulle altre risultando vincitrici nelle singole prese; la scala gerarchica convenzionale del giuoco è cosí stabilita: tre, due, asso, re, cavallo, fante e poi dal sette fino al quattro secondo l’ordine decrescente;dal che si evince che la miglior carta, atta a catturare tutte le altre è il tre e a ciò si riferisce la locuzione in epigrafe.Talvolta però l’espressione viene usata a mo’ di dileggio nei confronti di chi non avendo né carisma, né capacità intellettuali, tenti di atteggiarsi ad individuo di vaglia o importante; a chi agisse in tal modo si suole raccomandar: nun fà ‘a carta ‘e tre ossia evita di assumere atteggiamenti da carta ditre (quella vincente al giuoco del tressette.)
brak
VARIE 2662
1. LEVARSE ‘E PÀCCARE ‘A FACCIA.
Ad litteram: togliersi gli schiaffi da faccia; poiché è impossibile fare materialmente ciò che è affermato nella locuzione,è chiaro ch’essa deve intendersi nel senso figurato di riscattarsi da un’onta subíta, lavarsene, in una parola: vendicarsi , fieramente ricambiando il male ricevuto.
2. LEVARSE ‘O SFIZZIO
Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di raggiungere, conquistandeselo, l’appagamento di una intensa voglia di un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto. il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta) deriva con qualche probabilità dal latino satis -facio e ne conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza.
Non manca però coloro (ed io mi ci accodo) che propendono non a torto per un’etimologia greca da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità.
3. LEVÀ ‘O FFRACETO ‘A MIEZO.
Ad litteram: togliere il fradicio di mezzo. Id est:mondare, far pulizia, dare un taglio netto per eliminare ciò che è corrotto e dunque corre il rischio di infettare il restante; per traslato la locuzione è usata quando in una situazione che corre l’alea di corrompersi, si prende il coraggio a due mani e si elimina ciò che possa compromettere il buon esito della situazione e l’eliminazione, magari, è fatta a proprio danno.
4. LEVÀ ‘A SOTTO
Ad litteram: togliere di sotto; id est: terminare di lavorare, cessare un’attività, smettere di operare, smobilitare, con riferimento ad ogni tipo di attività, ma soprattutto a quelle manuali; piú esattamente la locuzione in epigrafe in origine si riferí a ciò che facevano i carrettieri d’un tempo, i quali al termine della giornata di lavoro, liberavano i cavalli dai finimenti e toglievano le bestie di sotto le stanghe dei carri, e le conducevano, per rigovernarle, nelle stalle.Successivamente, per estensione, la locuzione venne riferita alla dismissione d’ ogni tipo d’attività.
5. LINDO E PINTO
Ad litteram: pulito e dipinto; modo di dire di diretta provenienza iberica (lindo= vezzoso, pinto=dipinto) con il quale si suole commentare il mostrarsi e ancor di piú l’incedere oltremodo elegante di chi, agghindato e ben messo, vada in giro pavoneggiandosi; la locuzione à però anche un non nascosto sapore di canzonatura del soggetto che incedendo lindo e pinto, si mostra artificioso ed affettato, quando non addirittura ridicolo.
6. METTERE LL’ASSISE Ê CETRÓLE nell’espressione VA METTENNO LL’ASSISE Ê CETRÓLE
Ad litteram: mettere il calmiere ai cetrioli nell’espressione va ponendo il calmiere sui cetrioli. Icastica espressione con la quale si stigmatizza il comportamento sciocco di chi dedica il proprio tempo ad attività inutili, pretestuose ed inconferenti quale quella di calmierare il prezzo dei cetrioli, ortaggio che sebbene sia di largo consumo, per solito è a buon mercato e non v’è bisogno che se ne calmieri il prezzo; per traslato, l’espressione in esame viene riferita ad ogni attività che si riveli inutile e per ciò stesso sciocca.
7. MIÉTTELE NOMME PENNA!
Letteralmente vale : Chiamala penna!; Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi vede qualcuno prestare un oggetto a persona che si ritiene non restituirà mai il prestito, volendo significare: “Ài prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non rivedrai mai piú il tuo oggetto che, come una piuma d’uccello è volato via!”
La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta (dal valore irrisorio di mezzo e poi un ventesimo di grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18 lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi.
8 MAL’ARIA A BBAJA o piú scorrettamente, ma piú in uso MAL’ARIA E BBA’.
Mal’aria a Baja o piú scorrettamente Mal’aria e vai.
Ambedue le espressioni, quantunque la seconda sia solo una frettolosa corruzione della prima, sono indicative di situazioni foriere di pessima evoluzione e sono usate proprio per indicare che ci si appressa a situazioni complicate e non gradevoli; nella fattispecie delle locuzioni in epigrafe tra la gente di mare era noto che se su la città di Baja il cielo fosse tempestoso, di lí a poco anche su Napoli si sarebbe scatenato il temporale; la seconda espressione in epigrafe, come ò détto è solo una corruzione della prima, ma d’uso piú comune nel parlato della città bassa.
9. MAGNÀ CULO ‘E GALLINA
Ad litteram: mangiare culo di gallina id est: essere logorroici, continuamente e fastidiosamente ciarlieri. Il culo della gallina, mosso spasmodicamente dall’animale, è preso a modello della bocca di chi parla eccessivamente al punto che alla vista di una persona che parli troppo e che muova perciò in continuazione la bocca, non ci si può esimere dal chiedersi: à magnato culo ‘e gallina? (à mangiato culo di gallina?)
10. MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA
Ad litteram: accidenti al topino e (alla) pezza bagnata;Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale specialmente davanti a situazioni negative sí, ma poco importanti.
Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia.
1 - L’illustre amico e scrittore di cose napoletane(avv. Renato De Falco) reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico De Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione, ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato De Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2 -(prof. Francesco D’Ascoli) Il vecchio professore (parce sepulto!) , sbrigò la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione.
3 - (dr. Sergio Zazzera) L’ottimo dr. Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via un non meglio identificato stoppaccio che non si comprende perché sia umido.
A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di détta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare. Volendo dire: È entrato il topino? Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare: lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura e procediamo alla cattura!
Ma poiché fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente.
Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. A. Messina che vede nel suricillo - per il tramite di un xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula - il membro maschile...
Peraltro il prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano - oltre quelle che significavano il danaro - quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna, quando ancóra non esistevano mediatici assorbenti con le ali o senza.
Ecco dunque che, messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna, penso si possa addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre, sia pure dolendosene che non era il tempo adatto in quanto ‘a pezza ...era ‘nfosa dal mestruo in atto.
11. MIETTE ‘NU SPRUOCCOLO DINTO A ‘NU PERTUSO
Ad litteram: poni un legnetto in un buco! Frase che si usa pronunciare a commento di un avvenimento cosí poco usuale (quale - a mo’ d’esempio - una liberalità da parte di qualcuno notoriamente avaro) da doverselo rammentare con l’introduzione di un ipotetico stecco in un altrettanto ipotetico buco. Probabilmente la locuzione rammenta la consuetudine in uso nel periodo della res publica romana, allorché il praetor maximus conficcava ogni anno - a fini eponimi - un chiodo nel tempio di Giove .
12. MAGNÀ ‘E GRASSO
Ad litteram: mangiare di grasso id est: possedere tante di quelle disponibilità economiche da esser sempre fornito di adeguato cibo abbondandemente condito; la locuzione però si usa anche in senso antifrastico ad ironico commento di pasti eccessivamente parchi.
13. MAGNÀ NEMMICCULE CU ‘A SPINGULA
Ad litteram: mangiare lenticchie con lo spillo. Detto di coloro che, eccessivamente parchi, forse perché avari, si limitano ad un pasto cosí frugale da ridursi a sole lenticchie, consumate lentamente, addirittura infilzandole una per volta con l’ausilio di uno spillo.In senso traslato l’espressione è usata per commentare sarcasticamente l’agire eccessivamente lento e misurato di chi ami perdere tempo.
14. MAGNARSE ‘E MMANE
Ad litteram: mangiarsi le mani Cosí, per modo di dire, si comporta chi à veduto svanire, per propria insipienza,o accidia o mancanza d’intuito una situazione favorevole e si sia lasciato sfuggire l’occasione proprizia; davanti all’insuccesso non gli resta che autopunirsi mordendosi, figuratamente, le mani.
15. MAGNARSE ‘O LIMONE
Ad litteram: mangiarsi il limone; id est: accusare il colpo, subire un non preventivato , amaro risultato e rassegnarsi ad accettarlo con tutto il suo acre sapore, quasi che fosse un metaforico aspro limone .
16. MAGNARSE ‘O TUPPO ‘E SANT’ANNA
Ad litteram: mangiarsi la crocchia di sant’Anna; id est : ridursi in miseria, privarsi di tutte le proprie sostanze[e farlo addirittura senza pentirsi di incorrere in furti sacrileghi (come quello di sottrarre i capelli di un effige di sant’Anna...) pur di procurarsi beni o sostanze da dilapidare] Detto innanzitutto di donne, ma anche - per estensione - di uomini che non solo per riprevevole liberalità, ma innanzitutto per imperizia, negligenza, sciatteria e trascuraggine dilapidano tutte le loro sostanze riducendosi in miseria tale da dover vendere persino la crocchia o il ciuffo dei propri capelli o (come ò anticipato) darsi persino al furto sacrilego per procurarsi sostanze da dilapidare!
Brak
VARIE 2661
1 – E TTE PAREVA!?
Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!”,ma che va addizionata di un sottinteso che cosí non fósse per darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e viene usata con un senso di risentito rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai da tale pessima linea di condotta.
2 -TE SÎ FFATTO ‘E SORDE?!
Scorrettamente ad litteram: Ti sei fatto i soldi?! Id est: ti sei arricchito?! Domanda retorica pronunciata ovviamente non nei confronti di un falsario,ma di chi, normalmente sodale con qualcuno, abbia fatto insospettabilmente perdere le proprie tracce e si sia fatto rivedere solo dopo lungo tempo, facendo quasi supporre di essere stato baciato dalla fortuna, ma (non volendola condividere con i vecchi amici) si sia reso irreperibile per parecchio tempo.
3 -TIÉNEME CA ME TENGO
Ad litteram: Règgimi, ché mi reggerò Locuzione usata per sarcasticamente descrivere il pessimo stato di salute di qualcuno, cosí debole e male in arnese che solo se retto da un soccorritore potrà reggersi in piedi.
4 - TINCO TINCO specie nella locuzione venirsene tinco tinco
Modo di dire che è impossibile tradurre ad litteram, non esistendo un vocabolo preciso in italiano che ne indichi il significato, ma che si può rendere con un: venirsene alla maniera del tincone id est in maniera sollecita, ma subdola.
Rammenterò qui che il napoletano non conosce il superlativo assoluto e lo rende con l'iterazione dell'aggettivo di grado positivo; ciò premesso dirò che la locuzione è usata per descrivere il comportamento pronto e sollecito, sebbene imperturbabile di chi, senza darlo a vedere o ad intendere persegue scaltramente uno scopo che si sia prefissato .
5 -TIRÀ 'A RECCHIA
Ad litteram: tirare l'orecchio ma il padiglione auricolare non c'entra nulla; la locuzione è un simpatico modo di dire per intendere: giocare a carte, con riferimento al noto tipico movimento che compiono le mani per spizzicare le carte tenute con una mano, mentre con l'altra si stropicciano l'una contro l'altra stringendone l'angolo superiore , per solito, destro e soffregandolo contro il similare di un' altra carta, tenuta sotto, per scoprire lentamente il seme ed il valore della carta nascosta; la posizione dell'angolo fa pensare quasi che si tratti di un metaforico orecchio della carta da giuoco.
6 -TIRA A CCAMPÀ!
Ad litteram: continua a vivere! Invito perentorio ad andare avanti, senza mollare, procedendo per la strada intrapresa, senza lasciarsi condizionare né dalle persone, né da imprevisti accadimenti ostativi, senza dar peso a nulla e non ostante tutto, senza fermarsi.
7 -TIRARSE 'A CAUZETTA
Ad litteram: tirar su la calza Id est: estraniarsi da una vicenda, star sulle proprie, disinteressandosi di ciò che avviene attorno; ma anche: lasciarsi molto pregare o attendere prima di concedere alcunché; la locuzione richiama l'abitudine che avevano le iberiche persone di medio-alto rango che negli anni del 17° secolo, erano usi indossare lunghe calze di seta, e per distinguersi da quelli di piú basso ceto, che indossavano calze corte o cadenti, usavano tirarle continuamente verso il ginocchio. Tali altolocati personaggi erano quelli che, per abitudine evitavano di interessarsi a ciò che accedeva intorno a loro sia per non lasciarsi coinvolgere sia per non esser fatti destinatari di richieste o aiuti ai quali - comunque - avrebbero provveduto solo dopo molte preghiere.
8 -TRICA E VVENE PESANTE
Ad litteram: Ritarda, ma giungerà pesante; ottimistica locuzione usata per rincuorare o assicurare qualcuno impegnato in un'operazione apparentemente lunga ed inconferente, rammentandogli che, sí: l'attesa sarà lunga e sofferta, ma - quasi certamente - il risultato sarà importante e sostanzioso, per cui non bisogna perdersi d'animo ed insistere nell'operato.
trica voce verbale (3ª p.sg. ind. pr. dell’infinito tricà= indugiare, tardare, perder tempo; dal lat. tèrere→tricere→tricare con l’infisso frequentativo –ic- e cambio di coniugazione).
9 -TRASÍ 'E SPICHETTO
Ad litteram: entrare di straforo; id est: entrare alla chetichella, per il rotto della cuffia, obliquamente; per estensione: godere immeritatamente di un qualche beneficio; lo spichetto in realtà è un ritaglio di stoffa tagliato obliquamente in forma triangolare ed inserito nei margini di un taglio per consentire uno slargamento dell'indumento cui venga applicato;per traslato sta ad indicare lo straforo della traduzione.
10 -TRUVÀ 'A FORMA D''A SCARPA SOJA
Ad litteram: trovare la forma della (propria) scarpa id est: imbattersi in qualcuno fatto come noi e perciò capace di contrastarci adeguatamente, rendendoci pan per focaccia, mettendoci un freno e magari riducendoci al silenzio atteso che costui abbia la nostra medesima conformazione, anzi iperbolicamente sia titolare di quella forma su cui è stata impiantata la nostra scarpa, ossia il nostro modo di essere.
11 -TRASÍ DINT' Â SCAZZETTA D''O PARRUCCHIANO
Ad litteram:entrare nello zucchetto del prevosto; id est: ficcare il naso in faccende altrui che non dovrebbero riguardare, tentare di por bocca nelle questioni riservate degli affari non di nostra competenza, come non ci dovrebbe riguardare cosa nasconda lo zucchetto del sacerdote.
12 -TU ME CIECHE E I' TE FOCO nella locuzione facimmo tu me cieche e io te foco.
Ad litteram: Tu mi accechi ed io ti strangolo nella locuzione facciamo tu mi accechi ed io ti strangolo.
Espressione usata, in ispecie con la locuzione indicata, per indicare che si intende rispondere per le rime ad ogni azione ricevuta, ricambiando male con male, cattiveria con cattiveria, al segno che i rapporti derivanti saranno di lotta perenne, atteso che nessuno dei contendenti à in animo di voler recedere e di sopportare un torto subíto ; la locuzione un tempo era normalmente usata a sapido commento dei rapporti turbolenti dei ragazzi di casa in perenne contrasto tra di loro.
13 -TURNÀ A CCOPPE
Ad litteram: tornare a coppe id est: ribadire continuamente ed ostinatamente i medesimi concetti, ritornare impudentemente sui medesimi argomenti, già abbondandemente trattati e sceverati e farlo quindi inutilmente se non irritantemente. Modo di dire richiamante una ipotetica fase del giuoco del tressette, allorché un cattivo giocatore, contravvenendo i desideri del compagno, ritornasse erroneamente a mettere in tavola il seme di coppe, seme di cui il compagno sia sprovvisto di buone carte e dunque seme non confacente ad un proficuo continuar del gioco.Difficile, se non impossibile stabilire perché, dei quattro possibili: denari, spade, coppe e bastoni, per il modo di dire in epigrafe si sia scelto il seme di coppe; azzardo l'ipotesi, sulla quale però non son disposto a giurare, che sia avvenuto per un inconscio richiamo al manuale del giuoco del tressette scritto in latino maccheronico e napoletano arcaico da un giocatore del 1700, tale Chitarrella, il quale ebbe a scrivere: si nun tiene che ghiucà, joca coppe(se non ài di che giocare, gioca coppe) ammantando di immeritata importanza il seme ricordato; ma è solo un'ipotesi che per quanto probabile, non è avvalorata da alcun riscontro storico.
14 -TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE: TANTA GLIUOMMERE 'A DO' T''E CCACCE?
Ad litteram: Tu non cuci, non fili, né tessi, tanti gomitili da dove li tiri fuori?
E' questa l'ironica e chiaramente retorica domanda che si suole rivolgere a chi, notoriamente non occupato a fare oneste attività produttive, sia improvvisamente ed inspiegabilmente pervenuto ad accumulare ingenti quantità di danaro; lo gliummero della locuzione, normalmente - con derivazione dal lat. glomere(m) - significa gomitolo , ma talvolta sta per peculio, ed in particolare per una somma pari a ca. cento ducati d'argento che poteva esser messa insieme, senza lavorare , solo truffaldinamente.
15 -TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA
Ad litteram: Tutto a Gesú e niente a Maria Cosí si suole stigmatizzare l'errato comportamento di chi, per mere simpatie, non supportate - per altro - da alcuna ragione, prediliga e privilegi qualcuno, a discapito di altri ugualmenti meritevoli di stima ed attenzione. Con la frase in epigrafe un anziano prevosto ebbe a redarguire il suo sacrista che, comandato ad addobbare gli altari dedicati al Cristo ed alla Vergine, riempí di fiori e ceri quello del Salvatore e lesinò gli addobbi a quello di Maria Ss.
16 -TRÒVATE CHIUSO E PIERDETE CHIST'ACCUNTO Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione sarcastica da intendersi:Mai possa accaderti di star chiuso e non potere offrire i tuoi servigi ad un tal cliente!... Tale locuzione si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si stia per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente. Accunto =s.vo m.le e solo m.le =cliente (dal lat. ad-cognitu(m)→accognitu→accu(g)n(i)tu→accunto (conosciuto, noto come è ogni assiduo frequentatore di un esercizio commerciale).
17 -TUTT''O STUORTO, S''O PPORTA 'A ZAPPA
Ad litteram:Tutto l'irregolare viene portato via dalla zappa ; id est: il lavoro appiana le deformità, pone rimedio all'errato; per estensione: l'impegno attento,costante e - se del caso – deciso, se non violento fa superare ogni difficoltà, come i colpi assestati con il taglio della zappa che appianano le asperità del terreno.
18 -TUTTE 'E CANE PISCIANO 'NFACCI' Ô MURO
Ad litteram: Tutti i cani mingono sul muro; id est: allorché un atteggiamento, anche se errato o riprovevole , sia tenuto da tutti quanti finisce per esser considerato giusto ed accettabile; locuzione che in maniera icastica rende a suo modo l'antico brocardo latino: error communis facit jus (l'errore comune diventa legge).
19 -TOMO TOMO
Locuzione avverbiale che pur partendo da un aggettivo di grado positivo, nell'evidente iterazione non intende configurare, come invece nel caso di tinco tinco, un superlativo, ma solo ribadire fortemente un concetto e coè la subdola flemma di chi con apparente noncuranza e studiata seriosità mira ad un preciso scopo, senza volerlo far capire. Spesso la locuzione in epigrafe si accompagna (allo scopo di aumentarne la portata) a quella di cacchio, cacchio.
20.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la comoda filosofia e/o strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
Brak