sabato 31 maggio 2014
SCIPPACENTRELLA
SCIPPACENTRELLA
La scippacentrella napoletana è di per sé una caduta rovinosa procurata da un intoppo tale da far saltar via (scippare dal lat. ex-cerpere) le bullette (centrelle dal greco kentros= chiodo) delle scarpe, quelle bullette usate a protezione della suola per farla durare di più. Per estensione ed ampiamento semantico poi con il termine scippacentrella si intende qualunque malanno, disgrazia, calamità, guaio, acciacco, malattia capace di debilitare l'individuo.
Brak
TAGLIATELLE MANTECATE
TAGLIATELLE MANTECATE
Ingredienti e dosi per 4 persone:
4 etti di tagliatelle all’uovo fresche o secche,
3 grossi funghi porcini freschi o congelati,
1 bicchiere d’olio evo,
1 spicchio d’aglio mondato e tritato,
2 etti di ricotta ovina stemperata con
½ bicchiere di latte intero caldo,
un gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
sale grosso un pugno,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
procedimento
Fare scongelare i funghi lentamente a temperatura ambiente, indi asciugarli; pulire con uno straccetto umido ed un affilatissimo coltellino i porcini e tagliarli a fettine lungo l’asse maggiore con taglio francese. Scaldare la metà dell’olio in una proporzionata padella larga, unire l'aglio tritato e lasciarlo rosolare per 4 minuti a fiamma vivace, unire i funghi, aggiustare di sale e di pepe decorticato macinato a fresco e cuocere per 8 minuti; a questo punte aggiungere la ricotta stemperata, coprire e lasciare insaporire per 5 minuti. Lessare le tagliatelle in abbondante acqua salata (pugno sale grosso), scolarle al dente e trasferirle nella padella con il sugo; tenerle a mezza fiamma mescolando velocemente in modo da mantecarle; trasferirle nel piatto di portata,versarsi l’olio residuo, spolverarle con il trito di prezzemolo e con altro del pepe decorticato macinato a fresco e servire. Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
Raffaele Bracale
BUCATINE ALLA VATECARE
BUCATINE ALLA VATECARE
ingredienti e dosi per 6 persone:
600 g di bucatini,
1 kg di pomidoro freschi,sbollentati pelati e tritati in piccoli pezzi,
1 trito abbondante di basilico con 3 spicchi d'aglio mondato, peperoncino piccante a pezzetti,
½ etto di ricotta salata di pecora stemperata con un cucchiaio d’acqua di cottura della pasta ,
100 g di pecorino piccante grattugiato,
1 bicchiere e mezzo d'olio d'oliva e.v.,
sale grosso alle erbette un pugno,
sale fino alle erbette ed una presa.
procedimento
Pelare e tagliare a pezzetti i pomidoro nettati e metterli in infusione per due ore in un’ampia terrina col trito d'aglio e basilico, con una presa di sale fino alle erbette e con pezzetti di peperoncino; lessare al dente in moltissima (8 litri) acqua salata( un pugno di sale grosso alle erbette) i bucatini spezzati in pezzi di circa 4 cm.
A fime cottura scolarli ed amalgamarli velocemente (per non far perdere di calore) con la salsetta preparata prima, aggiungendo la ricotta salata stemperata ed il pecorino, impiattare e servire súbito.
* sale fino o doppio alle erbe
sale fino o doppio alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla, erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
VERMICELLONI CON SALSICCIA E FINOCCHIETTO
VERMICELLONI CON SALSICCIA E FINOCCHIETTO
ingredienti e dosi per 6 persone
6 etti di vermicelloni,
7 etti di salsiccia lavata, asciugata, privata di budello e sgranata,
2 grosse cipolle dorate mondate ed affettate finemente,
1 cucchiaio abbondante di pinoli,
1 cucchiaio abbondante di uvetta ammollata in acqua bollente e strizzata,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v. p. s. a f.,
un gran mazzo di finocchietto selvatico lavato ed asciugato,
3 bustine di zafferano,
1 dado da brodo vegetale,
1 bicchiere di vino rosso,
sale grosso un pugno,
pepe decorticato macinato a fresco q.s.
preocedimento
Fare bollire il finocchio selvatico in abbondante acqua salata e conservare l’acqua di cottura. sale.Versare l’olio in un’ampia padella di ferro nero ed a fuoco sostenuto rosolarvi le cipolle affettate finemente;aggiungere la salsiccia sgranata, bagnare con una tazza da tè di acqua bollente in cui sia disciolto il dado e lasciar cuocere a fuoco medio fino a che la salsiccia risulti rosolata; bagnare con il vino rosso e fare evaporare; indi unire lo zafferano disciolto in poca acqua bollente ed il finocchio scolato e tritato e continuare la cottura per circa cinque minuti a fuoco molto basso. Quando il composto sarà ben amalgamato, pepare ed aggiungere i pinoli e l’uva sultanina. Lessare al dente i vermicelloni nell’acqua di cottura dei finocchietti, sgrondarla bene e versarla nella padella con la salsa preparata.A mezza fiamma rimestare a lungo lasciando che si insaporisca a dovere. Impiattare aggiungendo altro pepe su ogni porzione e mandare in tavola caldi di fornello questi gustosissimi vermicelloni.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
DITALONI CON RAGÚ DI SALSICCIA
DITALONI CON RAGÚ DI SALSICCIA
Dosi per 4 persone
4 etti di ditali grossi,
2 etti di doppio concentrato di pomidoro,
1 carota,
2 spicchi d'aglio,
½ cipolla,
4 etti di salsiccia lavati, spellati e sgranati,
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 etto di pecorino a scaglie piccole,
1 bicchiere d’ olio d’oliva e.v. p.s. a f. ,
sale fino e pepe nero q.s.
sale doppio un pugno.
procedimento
In una proporzionata padella mettere a fuoco allegro con l’olio un trito sottile con l’aglio, la cipolla e la carota grattata; appena sia dorato aggiungere le salsicce lavate, spellate e sgranate;aggiungere il vino e lasciarlo evaporare; súbito dopo unire il concentrato di pomidoro sciolto con mezzo bicchiere d’acqua calda; regolare di sale e di pepe, abbassare il fuoco e lasciar cuocere il tutto per 20 minuti. La pasta, una volta lessata molto al dente in 8 litri di acqua salata (sale doppio), va prelevata con una schiumarola e versata nel tegame con il sugo pronto, e va fatta insaporire per circa 5 minuti aggiungendo le scaglie di pecorino ed abbondante pepe nero. Impiattare e servire caldi di fornello.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale
PASTA E ZUCCHINE RUSTICA
PASTA E ZUCCHINE RUSTICA
Dosi per 4 persone
4 etti di vermicelloni,
1/2 kg. di zucchine piccole verdi e sode,
1 cipolla dorata tritata finemente,
1 spicchio d'aglio
1 bicchiere di olio d'oliva e.v.p.s. a f.,
8 sottilette di formaggio fuso ridotte a quadrucci di cm. 1 per 1,
un ciuffo di mentuccia, lavato, asciugato e spezzettato a mano,
sale doppio un pugno,
sale fino q.s.,
pepe decorticato macinato a fresco q.s
Procedimento
Lavare ed asciugare le zucchine, spuntarle ed affettarle con taglio obliquo in rondelle ovali di 1/2 cm. di spessore, sciacquarle e distenderle ad asciugare su di un canevaccio di bucato;in un'ampia proporzionata padella versare l'olio ed aggiungere la cipolla affettata e l'aglio in camicia schiacciato sotto la lama d'un coltello; far appassire la cipolla ed imbiondire l'aglio che poi va tolto appena sia dorato. Friggere a a fiamma bassa le zucchine nel fondo preparato;dopo circa 10 o 15 minuti di cottura salare a piacere. Nel frattempo spezzettare i vermicelloni in pezzetti di circa 3 cm. di altezza e lessarli al dente in molta acqua opportunamente salata (pugno di sale doppio). A cottura ultimata prelevare i vermicelloni dalla pentola e versarli súbito nella padella con le zucchine fritte; rimestare, lasciare insaporire per tre minuti e tenere in caldo; a questo punto versare nella padella i quadrucci di sottiletta, rimestare ancóra ed incoperchiare attendendo che il formaggio si sciolga;a fuoco spento aggiungere il trito di menta, rimestare ed impiattare servendo la pasta ben calda cosparsa di abbondante pepe decorticato macinato a fresco.
Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
Raffaele Bracale
venerdì 30 maggio 2014
VARIE 3919
1. FÀ ZITE E MURTICIELLE E BATTESIME BUNARIELLE.
Letteralmente: fare(partecipare a)matrimoni e funerali e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose portate di pesce fresco.
2. VIESTE CICCONE, CA PARE BARONE.
Letteralmente:vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco. Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone...
3. PIGLIARSE 'E PENZIERE D''O RUSSO.
Letteralmente: Prendersi i pensieri del Rosso. Id est: preoccuparsi di faccende senza importanza, trascurandone altre ben piú importanti.Il Rosso della locuzione fu un famoso ladro, che condannato al capestro, invece di preoccuparsi della propria sorte, si chiedeva chi sarebbe stato incaricato di portare la scala necessaria all'esecuzione.
4.JÍ FACENNO 'E SSETTE CHIESIELLE.
Letteralmente: Andar visitando le sette chiesine. Id est: andar perdendo tempo occupato nella visita delle altrui abitazioni e non per una reale necessità o incombenza, ma solo per il gusto di bighellonare, soffermandosi nelle case di amici e conoscenti, magari per scroccare un caffè o un pasto che a Napoli non si nega a nessuno! Le sette chiese indicate nella locuzione, a Napoli sono ben note a tutti essendo quelle disseminate sulla famosa strada di Toledo partendo da piazza Dante per giungere a piazza del plebiscito o Largo di PALAZZO. Esse nell'ordine sono:Spirito santo - San Nicola alla Carità - San Liborio - Santa Maria delle Grazie - Santa Brigida - San Ferdinando - San Francesco di Paola e vengon visitate da tutti i napoletani che nel pomeriggio del giovedí santo si recano a fare il tradizionale "struscio" ossia la passeggiata rituale che comporta la visita (da farsi in numero dispari)dei cosí detti Sepolcri ossia delle solenni esposizioni del SS. Sacremento, che si tiene in tutte le chiese cattoliche per ricordare l'istituzione del sacramento dell' Eucarestia.
5. VESTIRSE 'A FESSO.
Letteralmente: indossare l'abito dello stupido. Id est: comportarsi in maniera volutamente sciocca, fare lo gnorri, tenere un comportamento da stupido nella speranza che cosí facendo si possa indurre una ipotetica controparte a non calcar la mano con pretese e richieste e raggiungere cosí il fine sperato con poca fatica e minimo impegno.È l'atteggiamento che temporibus illis tenevano taluni chiamati alle armi per evitare la partenza per il fronte.Il fatto era compendiato nella frase: fà 'o fesso pe nun gghí â guerra(fare lo sciocco per non andare in battaglia; spesso si raggiungeva lo scopo, giacché non erano graditi soldati stupidi.
6.FÀ 'NU SIZIA-SIZIA.
Letteralmente: fare un sitio- sitio Id est: richiedere ripetutamente e lamentosamente qualcosa con ossessiva petulanza. La locuzione nasce prendendo spunto dal Sitio! pronunciato da Cristo sulla croce. Alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli dell'aceto misto ad acqua e non per vilipenderlo ancóra di piú,come si è - da sempre - cercato di far credere, ma perché l’aceto misto ad acqua è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
Brak
VARIE 3918
1. ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Pi ú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando.
Pacifica la etimologia della voce strummolo che indica lo strumento di un gioco addirittura greco se non antecedente e greca è l’etimologia della parola che viene dritta dritta dal greco strómbos trasmigrato nel latino strumbus con consueta assimilazione progressiva strummus addizionato poi del suffisso diminutivo olus→olo (per cui strummus+olus→strummolus→strummolo) con il suo esatto significato di trottola.
la voce tiriteppeto, talvolta usata, ma erroneamente, anche come tiriteppola è voce onomatopeica riproducente appunto il rumore prodotto dalla trottolina nel suo incerto movimento inclinato e ballonzolante.
Rammento che la voce strummolo s.vo m.le à due plurali: l’uno maschile: ‘e strummole = le trottoline e l’altro f.le: ‘e strommole dove il termine, con evidente traslato, le cui ragioni illustrerò a seguire, indica le fandonie, le sesquipedali sciocchezze,le panzane,le frottole gratuite; semanticamente la faccenda si spiega con il fatto che di per sé lo strummolo = trottolina è un semplice giocattolino con cui trastullarsi; alla stessa maniera le frottole, panzane, fandonie altro non sono che una sorta di innocente mezzo dilettovole con cui prendersi giuoco di qualcuno; ugualmente semplice da spiegarsi la differenza di morfologia tra il maschile strummole ed il f.le strommole, rammentando il fatto che nel napoletano un oggetto (o cosa che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; va da sé che essendo la fandonia certamente piú grossa della trottolina necessitasse d’un genere femminile (per cui ‘e strommole = le sciocchezze, fandonie, frottole etc. da non confondersi con il maschile ‘e strummole= le trottoline).
2. AIZARSE ‘NU CUMMÒ
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente ed, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da ponderose lastre di marmo.
cummò s.vo m.le = canterano,cassettone dal fr. commo(de)
3. Ê CANE DICENNO
letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani ciò che stiamo dicendo!
4. A MMORTE ‘E SUBBETO.
Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto di ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina.
5. AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE.
Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.
brak
VARIE 3917
1.QUANNO SIENTE 'O LLATINO DÊ FESSE, È SSIGNO 'E MAL' ANNATA.
Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti...
2.PARE 'O SORICE 'NFUSO 'A LL'UOGLIO.
Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleipàr=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante.
3.'A CARNE SE JETTA E 'E CANE S'ARRAGGIANO.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe.
4.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di coloro che si atteggino a giovani, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
5.JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
6.PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine nulla di ciò che intraprende.
7.'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
8.JÍ CASCIA E TURNÀ BBAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BBACCALÀ.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi (per parlar figuratamente) inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzoche diventa stoccafisso se eviscerato, essiccato ed affumicato o baccalà se eviscerato e conservato in barile sotto sale Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.
9.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
10.'E DENARE SO' COMM'A 'E CHIATTILLE: S'ATTACCANO Ê CUGLIUNE.
Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente.
Brak
VARIE 3916
1 PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il Pasquale richiamato nella locuzione fu un tal Pasquale Barilotto lamentoso personaggio di farse pulcinelleche del teatro di A. Petito.
2 PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.
2bis PARÉ 'O VOCCAPIERTO ‘E SAN GIUVANNE
Letteralmente: sembrare il bocca-spalancata di San Giovanni. Id est: avere l'aria attonita stupita, allibita, meravigliata,tal quale i mascheroni apotropaici (con occhi spiritati e bocca spalancata) che ornavano una villa fatta edeficare nel 1535 da Bernardino Martirano, segretario del regno ( Cosenza
1490,† Portici (NA) 1548) in contrada Leucopreta adiacente il quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio; l’espressione viene altresí, sebbene impropriamente, riferita a tutti coloro che siano pettegoli e linguacciuti al segno di tener sempre la bocca aperta per riferire fatti ed avvenimenti che, per altro, non li riguardano e non sarebbero perciò tenuti a propalare. Qualcuno erroneamente (come si evince da ciò che ò già detto) pensa che la locuzione si riferisca agli abitanti di san Giovanni a Teduccio, zona periferica di Napoli, abitanti ritenuti ( però gratuitamente ), linguacciuti e pettegoli
3 MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.
4 FUTTATENNE!
Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. E' il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma.
5 FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
6 FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno non v'è che un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, per mera liberalità (non essendovene reale necessità) un trentunesimo non previsto in origine.
6 ESSERE CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
7 ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato.
8 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Berta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res.
9 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche
10.TRE CCALLE E MMESCÀMMECE.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, senza verun sacrificio di mezzi o di azioni, si intromette nelle faccende altrui,volendo sempre, da saccente e supponente, dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di callo. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui.
11.CHI SE FA MASTO, CADE DINT'Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. Il mastrillo, dal lat. mustricula, è la piccola trappola per topi.
12.TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MARIA!
Letteralmente: Tutto a Gesú e niente a Maria! Ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú ed a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni, distribuzione di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. Le parole in epigrafe ripetono quelle pronunciate da un anziano pievano che redarguí il proprio sacrestano che, delegato ad addobbare gli altari laterali della pieve, aveva riservato gli addobbi al solo altare del Cuore di Gesú, lesinando sugli addobbi all’altare della Vergine.
13.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! Perché meravigliarsi se gli amministratori della cosa pubblica son usi a rimpiunguire i propri conti correnti? È un fatto ineluttabile a cui bisogna abituarsi!
14.PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce,pagliaccio inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860,ad esibirsi in un circo equestre; fu uomo molto piccolo e ridicolo e per questo fu preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo come maniglia del coperchio delle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
15.FÀ COMME A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATO CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti sacrileghi a danno della antica chiesa partenopea.
16.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO.
Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta cosí massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto.
Rammento che con il vocabolo tina (dal t. lat tina(m)←tinu(m)) si è creato il femminile di tino per indicare un oggetto piú grande del corrispondente maschile In napoletano infatti un oggetto che sia o sia inteso di volume o ampiezza piú grande e/o grosso di un corrispettivo oggetto maschile, viene inteso femminile (cfr. cucchiaro piú piccolo e cucchiara piú grande, carretto piú piccolo e carretta piú grande, tammurro piú piccolo e tammorra piú grande,tino piú piccolo e tina piú grande etc.; uniche eccezioni caccavella piú piccola, ma femminile e caccavo piú grande, ma maschile e tiana piú piccola, ma femminile e tiano piú grande, ma maschile).
17.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.
Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. È il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla.
18.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à né l'autorità, né la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.
19.TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A DO' 'E CCACCE?
Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali affari. È da ricordare anche che il termine gliuommero (dal lat. glomeru(m)(gomitolo))indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento.
20.MENARSE DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (b. lat. *braca(m)(imbracature)) proprio perché imbracano la bestia.
Brak
VARIE 3915
1.FA’ COMME T’ È FFATTO, CA NUN È PPECCATO.
Ad litteram: Rendi ciò che ti è fatto, ché non è peccato Id est: render pan per focaccia non è peccato, per cui si è autorizzati anche a vendicarsi dei torti subìti, usando i medesimi sistemi; locuzione che, stranamente per la morale popolare napoletana, adusa ad attenersi, quasi sempre, ai dettami evangelici si pone agli antipodi dell’evangelico: porgi l’altra guancia, ma in linea con l’antico principio romano: vim, vi repellere licet (è giusto respingere la forza con la forza).
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2.‘E SCIABBULE STANNO APPESE E ‘E FODERE CUMBATTONO.
Ad litteram: le sciabole stanno inoperosamente al chiodo ed i foderi combattono Id est: chi dovrebbe combattere o - fuor di metafora - operare fattivamente, nicchia e si defila, lasciando che altri prendano il suo posto; locuzione usata nei confronti di tutti coloro che per inettitudine o negligenza non compiono il proprio dovere, delegandolo pretestuosamente ad altri.
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3.FOSSE ANGIULO ‘A VOCCA TOJA!
Ad litteram: sia (di) angelo la tua bocca Locuzione che viene usata con un sostrato scaramantico ottativo, quando - fatti segno di un augurio - ci si augura altresí che quanto profferito si realizzi certamente e a breve tenendo la bocca di colui che ci à fatto l’augurio come bocca di veritiero messaggero ( ciò etimologicamente significa il termine angiolo) per cui - ritenuto proveniente da bocca di autentico messaggero - ciò che ci viene augurato si è certi che si realizzerà concretamente o - almeno - lo si spera .
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4.FRIJERE ‘O PESCE CU LL’ACQUA.
Ad litteram: friggere il pesce con l’acqua; locuzione usata per significare situazioni di così marcata indigenza da non potersi permettere l’uso dell’olio per friggere il pesce e doversi accontentare dell’acqua per compiere l’operazione con risultati evidentemente miseri, non essendo chiaramente l’acqua l’elemento adatto alla frittura; per traslato la locuzione è usata per significare qualsiasi situazione in cui predomini l’indigenza se non l’inopia più marcata.
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5.FÀ ‘NA BBOTTA, DDOJE FUCETOLE*.
Ad litteram: centrare con un sol colpo due beccafichi. Id est: conseguire un grosso risultato con il minimo impegno; locuzione un po’ più cruenta, ma decisamente più plausibile della corrispondente italiana: prender due piccioni con una fava: una sola cartuccia, specie se caricata di un congruo numero di pallini di piombo, può realmente e contemporaneamente colpire ed abbattere due beccafichi; non si comprende invece come si possano catturare due piccioni con l’utilizzo di una sola fava, atteso che quando questa abbia fatto da esca per un piccione risulterà poi inutilizzabile per un altro... *fucetola= beccafico dal lat.ficedula(m)
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6.ESSERE ‘NU BBABBÀ A RRUMMA.
Ad litteram: essere un babà irrorato di rum Locuzione dalla doppia valenza, positiva o negativa. In senso positivo la frase in epigrafe è usata per fare un sentito complimento all’avvenenza di una bella donna assimilata alla soffice appetitosa preparazione dolciaria partenopea; in senso negativo la locuzione è usata per dileggio nei confronti di ragazzi o adulti ritenuti piuttosto creduloni e bietoloni, eccessivamente cedevoli sul piano caratteriale al pari del dolce menzionato che è morbido ed elastico.
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7.ESSERE ‘E TENTA CARMUSINA.
Ad litteram: essere di tinta cremisi (rossiccia) id est: essere inaffidabile come il colore cremisi che anticamente, prodotto con metodi artigianali ed empirici, era di scarsa consistenza e poco sopportava le ingiurie del tempo; con altra valenza la locuzione sta ad indicare sia le persone di malaffare di cui diffidare e da cui tenersi alla larga, sia le persone ad esse equiparate e si ricollega al fatto che al tempo dei romani le prostitute erano aduse a vestirsi di rosso, a truccarsi con il carminio e ad indossare vistose parrucche fulve.
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8.ESSERE ‘NU VOCCAPIERTO ‘E SAN GIUANNE.
Ad litteram: essere un bocca aperta di san Giovanni. Espressione riferita a tutti coloro che sono pettegoli e linguacciuti al segno di tener sempre la bocca aperta per riferire fatti ed avvenimenti che, per altro, non li riguardano e non sarebbero perciò tenuti a propalare. Qualcuno erroneamente pensa che la locuzione si riferisca agli abitanti di san Giovanni a Teduccio, zona periferica di Napoli, abitanti ritenuti ( però gratuitamente ), linguacciuti e pettegoli; la località invece è da considerarsi solo perché in contrada Leucapetra adiacente la detta zona esistette un tempo una sontuosa villa fatta edeficare nel 1535 da Bernardino Martirano, segretario del regno ( Cosenza
1490,† Portici (NA) 1548) villa sulle cui pareti esterne erano collocati grandissimi mascheroni apotropaici rappresentanti dei volti con occhi spiritati ed a bocca spalancata.
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9.ESSERE MASTO A UNU FUOGLIO.
Ad litteram: esser maestro ad un solo foglio. Locuzione che si usa a mo’ di dileggio nei confronti di coloro che son ritenuti o si autoritengono maestri, ma siano di limitatissime conoscenze e di competenze molto ristrette, ai quali è inutile chiedere che vadano al di là di ciò che essi stessi propongano o facciano, come si diceva di un tal violinista, bravissimo esecutore, quasi virtuoso, ma di un unico pezzo, violinista che si scherniva davanti alla richiesta di eseguire altri brani musicali.
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10.ESSERE CCHIÙ FFESSO ‘E LL’ACQUA CAURA.
Ad litteram: essere più sciocco dell’acqua calda. Così si dice di chi sia, per innata insipienza o acclarata stupidità, talmente sciocco e vuoto ed insignificante al punto di non aver alcun gusto e/o sapore al pari di una pentola d’caqua riscaldata cui difettino ogni aggiunta di aromi e/o condimenti e pertanto sia incolore ed insapore.
Brak
giovedì 29 maggio 2014
VARIE 3914
1.Ll' avimmo fatto 'e stramacchio.
Letteralmente: l'abbiamo compiuto alla chetichella,- o anche di straforo, di soppiatto, quasi "alla macchia", ai margini della legalità. L'espressione di stramacchio deriva pari pari dal latino extra mathesis, id est: al di fuori dei retti insegnamenti, dalle buone regole di condotta e perciò clandestinamente.
2.Chisto è cchillo ca tagliaie 'a recchia a Mmarco.
Letteralmente: Questo è quello che recise l'orecchio a Marco. La locuzione è usata per indicare un attrezzo che abbia perduto le proprie precipue capacità di destinazione; segnatamente p. es. un coltello che abbia perduto il filo e non sia piú adatto a tagliare, come la tradizione vuole sia accaduto con il coltello con il quale Simon Pietro, nell'orto degli ulivi recise l'orecchio a Malco (corrotto in napoletano in Marco), servo del sommo sacerdote.
3'O cummannà è mmeglio d''o ffottere.
Letteralmente: Il comando è migliore del coito. Id est: c'è piú soddisfazione nel comandare che nel coitare. La locuzione viene usata per sottolineare lo scorretto comportamento di chi - pur non avendone i canonici poteri - si limita ad impartire ordini e non partecipa alla loro esecuzione.
4.Se pava niente? E sedúgneme dâ capa ô pede!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Cosí si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente. La stessa espressione fu posta sulla bocca di vecchietto che stava ricevendo l’estrema unzione.
5 'A ch' è mmuorto 'o cumpariello, nun simmo cchiú cumpare.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi ci teneva uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che nella fattispecie esemplificativa, la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
6.Ll' ammore da luntano è comme a ll' acqua 'int' ô panaro.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorio inutile che si tramuta in tormento.
7.Santa Chiara: dopp'arrubbato, 'e pporte 'e fierro!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo subíto il furto, apposero le porte di ferro. La locuzione è usata per redarguire chi è tardo nel porre rimedi o aspetti di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre meglio del curare.
8.'Mbarcarse senza viscuotte.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
9.'O sparagno nun è mmaje guadagno...
Il risparmio non è mai un guadagno...
10.S'à dda fà 'o pireto pe quanto è ggruosso 'o culo.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
11.Chi se mette cu 'e criature, cacato se trova.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa, come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini.
12.'A gallina fa ll'uovo e ô gallo ll'abbruscia 'o mazzo.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora e un altro si lamenta della fatica che non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non à compiute, e di cui invece fa le viste di portare il peso.
13.Mo abbrusciale pure 'a bbarba e ppo dice ca so'
stat' io!
Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdí santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
14.Quanno 'a gallina scacatea, è ssigno ca à fatto ll'uovo.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
15.Quanno si 'ncunia statte e quanno si martiello vatte
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
16.Miettele nomme penna!
Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, come sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non restituisce ciò che à ottenuto in prestito. A maggior conferma del fatto si usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la moglie...
17Fà 'o farenella.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli, ma prende le mosse dall'ambito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú tanto giovane e allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla piú economica farina.
18 À fatto 'o píreto 'o cardillo.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienznon può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
19.Nun lassà 'a via vecchia p''a via nova, ca saje chello ca lasse e nun saje chello ca truove!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
20.Petrusino, ogne menesta.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse parttenopee.
21 Acqua ca nun cammina, fa pantano e ffète.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
22 'Nfila 'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
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23. Astipate 'o milo pe quanno te vène sete.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire subito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
24. Puozz'avé mez'ora 'e petriata dinto a 'nu vicolo astritto e ca nun sponta, farmacie 'nchiuse e miedece guallaruse!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
25. Aje voglia 'e mettere rumma, 'nu strunzo nun addiventa maje babbà.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
26. Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
27.Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
28.'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
29.'A gatta, pe gghí 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
30. Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
31.Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murí addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
32.È gghiuta 'a mosca dint' ô Viscuvato...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
33. Cu 'nu sí te 'mpicce e cu 'nu no te spicce.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
34.Tené'a salute d' 'a carrafa 'e zecca.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
35.Tengo 'e lappese a quadrigliè, ca m'abballano pe capa.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellatum, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo et similia.
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VARIE 3913
1.PIGLIARSE 'O PPUSILLECO.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
2.NUN LASSÀ 'A VIA VECCHIA P''A VIA NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NUN SAJE CHELLO CA TRUOVE!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse, si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente prevedibili, valutabili e/o sopportabili.
3.PRUTUSINO, ÒGNE MENESTA.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse partenopee. prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
4.ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FFÈTE.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: Non bisogna fidarsi delle persone tranquille e taciturne in quanto sono quelle che rimuginano, almanaccano in silenzio senza farsi scorgere dagli altri, per poterli poi sorprendere;chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà per il tuo danno con tutta la sua puzza.
5.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINTO A 'NU PURTUSO!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
6.ASTÍPATE 'O MILO PE QUANNO TE VÈNE SETE.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire súbito o d’acchito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
7.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE 'NCHIUSE E MMIEDECE GUALLARUSE!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
8.AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
9.RICOTTA, LATTE E NNATTA, D'ORO VAJE VESTUTO, MA SEMPE FIETE ‘E LATTE !
Ricotta latte e panna, di oro ti puoi vestire, ma sempre di latte puzzi!. Con l’espressione ci si riferisce alle umili origini d’un ipotetico popolano che pretendesse di fare il signore con atteggiamenti nobili ed altolocali. Saranno sempre evidenti le origini plebee di un uomo anche se riccamente vestito da gran signore.
10.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
11.PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
12.'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
13.'A GATTA, PE GGHÍ 'E PRESSA, FACETTE 'E FIGLIE CECATE.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
14.FÀ 'E CCOSE A CAPA 'E 'MBRELLO.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
15.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÒ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
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VARIE 3912
1.AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
2.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
3.PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati (cioè gli scherniti, i derisi, i dileggiati, i gabbati) vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando per loro o autoprefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato napoletano è il corbellato cioè il portatore di un peso anche figurato; il corbello è in arabo: quffa donde il cuffiato napoletano.
4.'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
5. 'A GATTA, PE GGHÍ 'E PRESSA, FACETTE 'E FIGLIE CECATE.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
6.FÀ 'E CCOSE A CAPA 'E 'MBRELLO.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione è usata sarcasticamente a commento di chi colpevolmente agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
7.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÓ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
8.È GGHIUTA 'A MOSCA DINT' Ô VISCUVATO...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta di un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame. In effetti un boccone nello stomaco, vi si disperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
9.CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... in quanto si impegna a fornire opere o largizioni che possono comportare seccature, impicci, beghe, grane; molto meglio, dunque, è il rifiutare, cosa che può evitare fastidi prossimi o remoti.
10. TENÉ 'A SALUTE D''A CARRAFA D''A ZECCA
Ad litteram:tenere la salute (consistenza) della caraffa della Zecca.
Id est: essere molto cagionevoli di salute al segno di poter essere figuratamente rapportati alla estrema fragilità della ampolla di sottilissimo vetro, (la cui capacità era di litri 0,727= ampolla che marcata, tarata e conservata presso la Regia Zecca Napoletana era la unica atta ad indicare la precisa quantità dei liquidi contenuti ed alla sua capacità dovevano uniformarsi le ampolle poste in commercio.
11.TENGO 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ, CA M'ABBALLANO PE CAPA.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus o opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo et similia. lapis quadratus fu corrotto nel parlato in lapis quadrella(tus) donde làppese a quadrigliè.
12.PARÉ 'A SPORTA D''O TARALLARO.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa piú per indolenza che per magnanimità.
13.LÀSSEME STÀ CA STONGO'NQUARTATO!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
14.SE FRUSCIA PINTAURO, D''E SFUGLIATELLE JUTE 'ACITO.
Si vanta PINTAURO delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico derivato per altro da uno analogo inventato dalle suore del convento amalfitano (Furore) di Santa Rosa e prodotte poi nel convento partenopeo detto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
15. CU CCARCERE, MALATIA E NNICISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E LL'AMICE.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
scanaglià = indagare, saggiare, tastare,investigare, sondare, andare a fondo; voce denominale di un lat. volg. *scandàc(u)lu(m)→scan(d)aclu→scanaglio, [deriv. del class. scandere];
16.MURÍ CU 'E GUARNEMIENTE 'NCUOLLO.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini, tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancóra i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano,anche figuratamente, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi temo sia impossibile trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intero il suo dovere...
17.NISCIUNO TE DICE: LÀVATE 'A FACCIA CA PARE CCHIÚ BBELLO 'E ME.
Nessuno ti dice: Làvati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
18.QUANN' UNO S'À DDA 'MBRIANCÀ, È MMEGLIO CA 'O FFA CU 'O VINO BBUONO.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
19.SCIORTA E CAUCE 'NCULO, VIATO A CCHI 'E TTÈNE!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni!
20.ANCAPPA PE PRIMMO, FOSSERO PURE MAZZATE!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
21.PARONO 'O SERVEZZIALE E 'O PIGNATIELLO.
Sembrano il clistere e il pentolino. La locuzione viene usata per indicare due persone che difficilmente si separano, come accadeva un tempo quando i barbieri che erano un po' anche cerusici,chiamati per praticare un clistere si presentavano recando in mano l'ampolla di vetro atta alla bisogna ed un pentolino per riscaldarvi l'acqua occorrente...
22.QUANNO CHIOVONO PASSE E FICUSECCHE.
Letteralmente: quando piovono uva passita e fichi secchi - Id est: mai. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare l'impossibilità di un accadimento che si pensa possa avverarsi solo quando dal cielo piovano leccornie, cosa che avvenne una sola volta quando il popolo ebraico ricevette il dono celeste della manna...
23.CHI ATO NUN TÈNE, SE COCCA CU 'A MUGLIERA...
Chi non à altre occasioni, si accontenta di sua moglie, id est:far di necessità virtú.
24.NUN SPUTÀ 'NCIELO CA 'NFACCIA TE TORNA!
Non sputare verso il cielo, perché ti ricadrebbe in volto! Id est: le azioni malevole fatte contro la divinità, ti si ritorcono contro.
25.CHIJARSELA A LIBBRETTA.
Letteralmente:piegarsela a libretto. È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non si possa farlo comodamente seduti al tavolo e si sia costretti a farlo in piedi; si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro (libbretta) e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento.Per estensione, locuzione usata per significare che si sta accettando una situazione contraria malvolentieri e per puro bisogno. Id est: obtorto collo, per necessità far buon viso a cattivo gioco.
26.VENNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO.
Letteralmente:Vendere una grossa insalatiera presentandola come un secchiello.Figuratamente,la locuzione la si adopera sarcasticamente nei confronti di chi decanti la nettezza dei costumi di una donna, che invece notoriamente sia stata conosciuta biblicamente da parecchi.
27.S'È ARRECCUTO CRISTO CU 'NU PATERNOSTRO. o anche S'È ARRENNUTO CRISTO CU 'STU PATERNOSTRO
Letteralmente: Si è arricchito Cristo con un padre nostro o anche Si è arreso Cristo con questo padre nostro! Ironiche locuzioni da ripetersi a commento dell’illusoria azione di chi speri di cavarsela con poca fatica e piccolo impegno, come chi volesse appunto ingraziarsi Iddio e trarlo dalla propria parte con la semplice recita di un solo pater.
28. 'E SÀBBATO, 'E SÚBBETO E SENZA PREVETE!
Di sabato, di colpo e senza prete! È il grave, malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
29. A PPESIELLE NE PARLAMMO.
Letteralmente: Parliamone al tempo dei piselli -(quando cioè avremo incassato i proventi della raccolta e potremo permetterci nuove spese...) Id est: Rimandiamo tutto a tempi migliori.
30. JÍ CERCANNO OVA 'E LUPO E PIETTENE 'E QUINNICE.
Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose introvabili o impossibili; nulla quaestio per le uova di lupo che è un mammifero per ciò che concerne i pettini bisogna sapere che un tempo i piú conosciuti nel popolo erano i pettini dei cardalana e tali attrezzi non contavano mai piú di tredici denti...
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REGALO,DONO & DINTORNI
REGALO,DONO & DINTORNI
Ancóra una volta mi trovo a raccogliere una garbata provocazione del mio caro amico P.D.F.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che,memore ch’io abbia piú volte affermato che il napoletano sia piú preciso e circostanziato dell’italiano, mi à sfidato ad elencare ed a parlare delle eventuali voci del napoletano che rendano meno genericamente e piú acconciamente quelle italiane dell’epigrafe e di loro eventuali sinonimi . Come ò già détto alibi e qui ripeto il caro amico – come diciamo dalle mie parti - m’ à rattato addó me prore (letteralmente: mi à grattato dove mi prude, id est: mi à sollecitato sul mio terreno preferito) per cui raccolgo pure questo guanto di sfida cominciando, come è mio solito, con l’esaminare dapprima (prima di trattare le voci partenopee) le voci dell’italiano:
regalo s.vo m.le
1genericamente ciò che si regala; dono, omaggio: fare, ricevere un regalo; dare in regalo un libro. 2 (fig.) cosa gradita, favore: se vieni, mi fai un regalo
3 (iperb.) ciò che costa cosí poco da sembrare regalato: a un tale prezzo questa moto è un regalo
voce dallo sp. regalo, a sua volta dal lat. regalis 'regale'; propr. 'dono al re';
dono s.vo m.le
1 il donare: il dono à spesso un valore simbolico | offrire, dare qualcosa in dono; fare dono di qualcosa
2 la cosa donata; regalo: un dono gradito; ricevere un dono | i doni della terra, i prodotti agricoli | i sette doni dello Spirito Santo, (teol.) disposizioni infuse da Dio, che rendono l'anima docile all'influsso dello Spirito Santo
3 (fig.) qualità, virtù, dote: avere il dono di una buona memoria | dono di natura, dote naturale | dono della parola, facoltà di parlare propria dell'uomo; per estens., eloquenza
4 (ant.) abbuono d'imposta accordato a chi pagava anticipatamente;
voce dal lat. donu(m), dalla stessa radice di dare;
omaggio s.vo m.le
1 l'atto con cui il vassallo si univa nel vincolo feudale al suo signore
2 atto di ossequio, di devozione: rendere omaggio a qualcuno, a qualcosa | in omaggio alla verità, a onore del vero
3 pl. saluto rispettoso, spec. in formule di cortesia: le porgo i miei omaggi
4 (lett.come nel caso che ci occupa) offerta, dono: fare, ricevere un omaggio; dare, avere qualcosa in omaggio | (estens.) prodotto distribuito in regalo a scopo pubblicitario: un omaggio della ditta || Usato anche come agg. invar. : buono, confezione omaggio. Voce dal fr. hommage, deriv. di homme 'uomo' che nel medioevo significò 'vassallo';
E veniamo alle voci napoletane dove troviamo:
abbusco s.vo m.le
in primis voce generica per indicare un lucro, un ricavo, un introito,un provento,un profitto,un frutto, un’entrata,una rendita; poi in senso piú circoscritto
a.piccolo o grosso regalo in denaro che si usa dare a chi abbia reso un servizio o una cortesia, in aggiunta al compenso dovuto: ll’abbusco ‘e Natale, Pasca e Ferragosto dato ô guardaporta(la mancia di Natale, di Pasqua, di Ferragosto dato al portinaio.).
b. Regalo in denaro fatto dal datore di lavoro ai proprî dipendenti in occasioni solenni o in riconoscimento di particolari meriti; in questo sign., la parola è oggi sostituita da premio( gratifica).
c. non com. Grosso dono che si fa a una persona al fine di corromperla:si fa accussí, è ssigno ca à avuto ‘nu bbuono abbusco ( se agisce così, significa che à avuto la sua buona mancia.)
d. Dono in genere e, per estens., tutto ciò che si dà o si fa a qualcuno.
Etimologicamente è voce deverbale di abbuscà/are = trovare, procacciarsi, guadagnare,ottenere, prendersi; (dallo spagnolo ad→ab + buscar.
bonamana s.vo f.le
buona mano; più com. bòna mano (pl. bbonimmane o bbone mane). – Mancia che si dà in aggiunta del prezzo pattuito per un servizio. Etimologicamente è voce ricavato accostando o agglutinando l’agg.vo bbona (buona) al/ con il s.vo mana (mano);bbona è dal lat.tardo *bonam=buona e sta per buona o alibi piacente, appetibile, che risveglia i sensi;mana è dal lat.volgare *mana(m) per il cl. manus
cresemisso s.vo m.le
1.(in primis)dono, omaggio natalizio;
2. (genericamente ) dono, regalo di grande valore sulla falsariga dei doni preziosi che i Re Magi offrirono al Bambino Gesú;
trattasi di voce moderna nata in tempi post-bellici quando a Napoli si venne a contatto con le truppe anglo-americane e con il loro linguaggio; infatti etimologicamente la voce a margine è un adattamento corruttivo della voce anglo-americana christmans
chétta s.vo f.le omaggio, mancia data ai posteggiatori e/o suonatori ambulanti, saltimbanchi ed affini; trattandosi di voce gergale nata nell’àmbito di posteggiatori, suonatori ambulanti, saltimbanchi etc. è pressoché impossibile trovarne l’etimo, ma poi che con la voce a margine si indica per sineddoche oltre che la mancia anche il piattello o secchiello usati per raccoglierla, non si è lontani dal vero se si sospetta che la voce piú che dal francese quête=ricerca/elemosina(come frettolosamente ipotizzò il D’Ascoli) sia un adattamento al femminile del lat. cadu(m) (greco kàdos) (= brocchetta per il vino) attraverso il seguente percorso morfologico cadu(m)→cada(m)→cheda→cheta→chetta con sostituzione dell’ occlusiva dentale sonora(d) con la corrispondente l'occlusiva dentale sorda (t) e suo raddoppiamento espressivo;
crianzella s.vo f.le il misurato presente fatto per disobbligarsi, azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona; voce derivata quale diminutivo dal s.vo crianza [dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare']; rammento che dal verbo criar 'allevare, educare' che è alla base di crianza lo spagnolo e poi il napoletano ricavarono altresí il s.vo criado donde il napoletano criato = domestico allevato in casa, educato alle costumanze familiari, ai comportamenti amicali, confidenziali, intimi quelli che sono alla base delle norme di buona maniera(crianza) ed altresí delle azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona
cumprimento s.vo m.le 1 atto, parola, atteggiamento che può esprimere ammirazione, apprezzamento, ossequio, congratulazione: un complimento sincero, affettato; fare, ricevere un complimento | cortesia: visita di complimento
2. pl. gesti o espressioni di cortesia, spec. se formali o cerimoniosi: fare complimenti, esitare, per cortesia formale o per timidezza, nell'accettare ciò che viene offerto; non fare complimenti, anche, usare modi decisi, bruschi, talora villani, o non avere scrupoli | senza (tanti) complimenti, senza formalità o, anche, in modo sbrigativo o addirittura villano: una cena alla buona, senza complimenti; lo misero alla porta senza tanti complimenti
3. (merid.) rinfresco
4. (come nel caso che ci occupa) offerta conviviale in occasioni speciali
5. (usato in senso ironico, come ultra presiento) dono sgradito o sorpresa spiacevole: m’ànnu fatto ‘stu cumprimento!
voce dallo sp. cumplimiento, deriv. di cumplir 'compiere (i propri doveri verso gli altri)', dal lat. complíre; cfr. compiere
fiélece s.vo f.le 1. (in origine) dono, offerta di prodotti ortofrutticoli fatta dal mezzadro al padrone del fondo lavorato;
2.(per estensione in provincia ) dono di cibarie;
di per sé la voce è dal lat. filice(m) =felce che per sineddoche, semanticamente indicò il dono, l’offerta di prodotti ortofrutticoli in quanto i doni offerti erano solitamente presentati in un cesto guarnito di felci che facevano da strame ai prodotti della terra.
mancianza/mangianza s.vo f.le voce desueta
(in primis) 1. Esca per la pesca con le nasse: m. semprice, costituita di piccoli pesci e crostacei; m. mista, mescolanza di pane, formaggio, alghe, piccoli pesci e altri ingredienti pestati grossolanamente. Anche, punto del mare dove si trovano banchi di pesci piccoli, oggetto di caccia da parte dei pesci più grandi (per es., le sardine per i tonni).
2. (come nel caso che ci occupa) Compenso offerto o corrisposto in vista di fini non onesti.
Si tratta di un’unica voce dalla doppia morfologia ( una volta con l'affricata palatale sonora (g) ed una volta con la piú espressiva affricata palatale sorda (c) Etimologicamente è voce denominale di mangià per magnà
mazzetta s.vo f.le voce ripresa pari pari nell’italiano:
1 quale dim. di mazza : denominazione di attrezzi in forma di piccola mazza o di grosso martello, usati in diversi mestieri e attività:’a mazzetta d’’o fravecatore, d’ ‘o scrastatore ( la mazzetta del muratore,del minatore);
2 (edil.) spalletta che sporge ai due lati delle aperture dei muri e su cui poggia il telaio dei serramenti;
3 (raro) bastone da passeggio leggero ed elegante.
4 piccolo fascio di banconote (100 pezzi) del medesimo taglio, tenute insieme da una fascetta cartacea;
5 (come nel caso che ci occupa) piccola mancia data ad inservienti (camerieri,baristi etc.);
6 (spreg.) In usi gergali e allusivi: compenso dato o ottenuto in cambio di particolari favori (sinonimo di bustarella), soprattutto da parte di esponenti politici, di pubblici funzionarî o amministratori, e sim.; tangente imposta da organizzazioni mafiose in cambio della protezione accordata; somma che una prostituta dà come compenso al suo protettore. In epoca fascista, il sussidio quotidiano pagato dallo stato ai confinati;
7. Gruppo di campioni di stoffe uniti fra loro per un lato in modo che si possano sfogliare come le pagine di un libro; per i significati sub 2,4,5, 6 e 7 è impossibile risalire all’aggancio semantico con la mazza (dal lat. matea) per cui in tali accezione l’etimo resta sconosciuto a meno che non si voglia leggervi un addattamento al femminile di mazzetto=insieme di piú cose, (spec. fiori o altri vegetali), legate o comunque unite insieme;
‘nferta s.vo f.le
1regalo, dono, offerta varia (in particolare quelle fatte in occasioni di feste solenni: Natale, Pasqua, Capodanno);
2 pubblicazione saltuaria di contenuto vario che viene redatta e venduta in occasione del Capodanno, strenna;
voce etimologicamente deverbale come adattamento al femminile del lat. infertum→(i)nfertu(m)→’nferto (supino di infercio) = infarcito, riempito come infarciti, riempiti sono regali, doni ed offerte varie o le pubblicazioni di inizio d’anno.
paraguanto s.vo m.le
1 mancia, omaggio, piccolo regalo in danaro;
2 presente, pensiero, elargizione, donativo fatto ai propri subalterni (camerieri, servitori, domestici);
interessantissimo l’etimo della voce in esame che deriva dall’espressione iberica: para guantes che era in tempo medievale la richiesta che i maggiordomi facevano ai propri padroni con la scusa di abbisognare di guanti bianchi nuovi che sostituissero quelli in uso probabilmente logori o sporchi o sciupati al segno che il lavarli non avrebbe servito a ridar loro la decenza necessaria.
presiento s.vo m.le 1. (in primis)dono, regalo fatto in occasioni di onomastici o compleanni: fà ‘nu presiento ô criaturo.
2. (usato in senso ironico) dono sgradito o sorpresa spiacevole: m’ànnu fatto ‘stu presiento!
voce dal fr. présent, deriv. di présenter 'offrire';
rialía/realía s.vo f.le voce ripresa poi nell’italiano come regalía:
1 mancia,omaggio , dono, regalo in denaro; :realía ‘e Pasca (regalía pasquale);
2 nel medioevo, ciascuno dei diritti considerati di pertinenza del sovrano, spec. quelli di riscuotere imposte su terre, strade, caccia, pesca ecc.;
3 pl. doni in natura che in certi contratti agrari il colono doveva al proprietario del fondo. Etimologicamente voce dal lat. regàlia 'le cose del re', neutro pl. sost. dell'agg. regalis 'regale'; da regàlia→re(g)alía/rialía con cambio d’accento e caduta espressiva della l'occlusiva velare sonora (g); l’italiano à poi ripreso la voce napoletana recuperando la voce etimologica originaria con l'occlusiva velare sonora (g), ma adottando il cambio d’accento;
sbruffo s.vo m.le s.vo dai molti significati che in primis sono:1 sbuffo, ventata;
2Spruzzo violento d’acqua o d’altro liquido emesso, per lo piú rumorosamente, dalla bocca o dalle narici da persone o da animali; spesso con usi estens. o anche con sign. affine a sbuffo: la locomotiva avanzava con allegri s. di vapore; non riuscì a trattenere uno s. di riso.
3. In pirotecnica, tipo particolare di fuochi d’artificio, usato per lanciare stelle con accompagnamento di scoppî.
4. (In senso fig) refurtiva; in tale accezione anche bbruffo;
5. (In senso fig.ed è il caso che ci occupa), mancia, regalía, bustarella data di nascosto a impiegati, funzionari e sim. in cambio di agevolazioni e favori; compenso dato sottobanco per ottenere illecitamente un favore; voce etimologicamente deverbale di sbruffare (dal lat.exproflare→(e)xproffare→sbroffare→sbruffare;
sottamana avv. e s.vo m.le [comp. di sotto→sotta (dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto' e mana= mano (dal lat. volg. *mana(m) per il cl. manus]. – 1. a. avv. A portata di mano:tene sempe sottamana’e fierre d’ ‘a fatica (tiene sempre a portata di mano gli arnesi del lavoro). Rammento però che in tale accezione in napoletano è d’uso la locuzione avverbiale a manese b. Come s. m. (pl. sottomani), cartella ricoperta di pelle, tela o plastica, che si usa tenere sulla scrivania per appoggiarvi il foglio su cui si deve scrivere e come custodia per fogli, buste e sim.
2. avv., ant. Con la mano tenuta in basso rispetto alla spalla. In partic., nella scherma: bbotta, stuccata sottamana (colpo, stoccata sottomano), e cògliere, tirà sottamana (tirare, ferire sottomano.), con la mano che impugna l’arma tenuta piú in basso della spalla; nell’ippica, sferzare s., tenendo bassa la mano che impugna il frustino. Ancora in uso le espressioni condurre, tenere un cavallo s., tenerlo per la briglia alla propria destra, con la mano bassa, stando in sella a un altro cavallo (spec. guidando pariglie, carriaggi militari, ecc.); e, in alcuni sport con la palla menà ‘a palla sottamana (lanciare la palla sottomano ), dal basso verso l’alto.
3. fig.
a. avv. Di nascosto, senza farsi vedere da altri: passà ‘nu viglietto sottamana( passare un bigliettino sottomano); sigarrette ‘e contrabbandio accattate sottamana (sigarette di contrabbando comprate sottamana;dà, piglià ‘nu rialuccio sottamana (dare, prendere un regaluccio sottomano.)
b. (come s.vo m.le nel caso che ci occupa), raro,ma non desueto: mancia, regalía data o presa senza che altri sappia o veda: dà, piglià ‘nu sottamana (dare, prendere un sottomano.) Anticam., l’emolumento dato a un pubblico ufficiale, oltre allo stipendio, con carattere di gratifica.
4. ancóra come avv. Nel gioco degli scacchi: jucà sottamana (giocare sottomano s., cioè giocare con il Nero, che per consuetudine muove dopo il Bianco.
A margine di questa voce, avendone accennato, fa d’uopo ch’io parli delle locuzioni avverbiali a manese/a mmannese che rendono le italiane a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata. Per la verità si tratta di due forme, ampiamente attestate dapprima nella forma a mmannése e poi quasi esclusivamente nella forma a mmanése forma nella quale perdura nel parlato popolare partenopeo. Si tratta, dicevo, di due forme leggermente diverse d’un’ unica locuzione che in origine – come chiarirò – fu a mmannése e solo in prosieguo di tempo sotto la patente influenza della voce mana divenne manése con la nasale scempia mantenendo invariato il significato di a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata.
Cominciamo súbito col chiarire che nell’ idioma napoletano la voce mannése non à nulla a che dividere con l’omografa ed omofona della lingua italiana; in italiano mannése è un aggettivo che viene riferito agli abitanti dell’isola di Man e connota in particolare una lingua che è appunto la lingua mannese o manx (chiamata anche Gaelg) che è una lingua goidelica parlata sull'Isola di Man,che è un’isola conosciuta anche come Mann o Manx (Isle of Man in inglese, Ellan Vannin o Mannin in mannese) ed è situata nel Mar d'Irlanda; sul piano politico, essa non fa parte del Regno Unito né dell'Unione Europea, ma è una dipendenza della Corona britannicaLa lingua che vi si parla è risalente al V secolo ed è derivante dall'antico irlandese; infatti non di rado viene chiamata gaelico mannese.
Tutt’altra cosa è il mannése della parlata napoletana dove è un sostantivo, non aggettivo masch. e vale carpentiere,falegname ma piú ancóra carradore,fabbricante di carri e carretti, artigiano che fabbrica o ripara carri e barocci; carraio con derivazione da un acc.vo lat. manuense(m) che diede il lat. volg. *manuese donde *mann(u)ese; per il raddoppiamento della nasale cfr. alibi crebui→ crebbi, venui→venni, stetui→stetti etc.
Affrontiamo il problema semantico e diciamo che tra la fine del 1700 ed i primi del 1800 in Napoli furono moltissimi gli artigiani che si dedicarono al mestiere di carradore, di fabbricante di carri e carretti,di riparatore di carri e barocci ed aprirono bottega in talune strade della città lasciandovi poi addirittura il nome: cfr. Carmeniello ai Mannesi, Crocelle ai Mannesi etc. Il fatto importante (per quel che ci occupa) fu che per quanto ampie o spaziose fossero le botteghe (e non lo erano!...) esse erano comunque insufficienti a contenere carri e/o carretti in lavorazione o riparazione con tutti i necessari corollari di ruote, pianali, sponde e stanghe ed un po’ tutti i carradori finirono per lavorare in istrada invadendo i marciapiedi antistanti le loro botteghucce ed ovviamente, per risparmiarsi la fatica di recarsi continuamente in bottega a procurarsi gli strumenti di lavoro (‘e fierre d’’a fatica), presero l’abitudine di tenerli tutti a portata di mano; da questo fatto nacque l’espressione tené a mmannése (id est: avere a portata di mano, alla maniera del mannése). In prosieguo di tempo e quasi certamente ad opera d’un qualche letterato fattosi influenzare dalla voce mana (mano)l’espressione popolare a mmannése divenne a mmanése con la nasale scempia mantenendo invariato il significato di a portata di mano, sottomano, a disposizione immediata. Ed ancóra oggi nel parlato partenopeo s’usa dire a mmanése ed inopinatamente l’espressione a mmannése cosí ricca di storia ed onesto lavoro artigianale è stata confinata in taluni vocabolarî d’antan.
Dispiace il dirlo, ma talvolta taluni letterati fanno danni alla lingua!
E qui faccio punto fermo augurandomi d’essere stato chiaro ed esauriente ed aver soddisfatto la curiosità dell’amico P.D.F. quella dei miei ventiquattro lettori e di chi forte si imbattesse in queste paginette.Satis est.
R.Bracale Brak
LASSÀ ‘O MUORZO D’ ‘A CRIANZA.
LASSÀ ‘O MUORZO D’ ‘A CRIANZA.
Anche questa volta prenderò spunto da una richiesta fattami da un caro amico: P.G.,del quale per problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa all’espressione napoletana in epigrafe, sulla quale mi soffermo ben volentieri dicendo che si tratta di un’antichissima espressione che tradotta ad litteram vale: lasciare (nel piatto) il boccone della buona educazione, cioè che sia indice della propria buona educazione. In realtà si tratta d’un’espressione /consiglio che in principio venne usato con la morfologia della voce imperativa: Lassa ‘o muorzo d’ ‘a crianza! E tale fu l’imperativo rivolto, da genitori piccolo-borghesi, ai propri figliuoli affinché, se invitati a desinare in casa di amici e/o parenti, evitassero di divorare tutto ciò che fosse loro ammannito e ne lasciassero nel piatto un sia pure solo boccone, mascherato come boccone di una buona educazione, boccone che in realtà dovesse servire a salvaguardare il buon nome della famiglia di provenienza ed a dimostrare a gli ospiti che l’invitato non era cosí affamato in quanto non era povero e/o bisognoso, e si poteva perciò permettere il lusso di lasciare nel piatto una piccola parte della porzione ricevuta. Successivamente quando questo amaro sotterfugio fu nascosto, l’espressione venne coniugata all’infinito ed il boccone lasciato nel piatto fu détto muorzo d’ ‘a crianza cioè boccone della buona educazione, cosa che in realtà non è contemplata in nessun galateo.
Lassare/lassà v. tr.
1 smettere di tenere, di sostenere, di stringere: lassà ‘a fune, ‘e rétene, ‘o sterzo (lasciare la fune, le briglie, il volante)
2 non prendere con sé; far rimanere in un luogo, per dimenticanza o volontariamente: lassà ‘e piccerille â casa (lasciare i bambini a casa);lassà ‘nu pacco pe quaccheduno (lasciare un pacco per qualcuno); lassà ‘e llente dint’ â machina(lasciare gli occhiali in macchina) |lassarse arrete quaccheduno (lasciarsi dietro qualcuno), sopravanzarlo, passargli davanti (anche fig.) lassarce ‘e ppenne (lasciarci le penne) (fig. fam.) morire; anche, essere battuto in un confronto, in una prova | lassarce ‘na jamma, ‘nu vraccio (lasciarci una gamba, un braccio), perderli in guerra, in un incidente o sim. | o piglià o lassà ((o) prendere o lasciare), si dice nel fare un'offerta che dev'essere accettata o respinta súbito e definitivamente
3 separarsi da qualcuno, allontanarsi da qualcosa; in partic., abbandonare qualcuno dopo un sodalizio, una convivenza, un legame amoroso:lassà ‘o ‘mpiego,’o paese;lassà mugliera e ffiglie; (lasciare l'impiego, il paese natale; lasciare moglie e figli); lassà ‘o munno (lasciare il mondo), (fig.) morire; anche, farsi religioso; chi lassa ‘a via vecchia p’ ‘a nova, sape chello ca lassa, ma no chello ca trova prov. : chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova.
4 far restare qualcuno o qualcosa in un particolare stato: lassà dint’ ê guaje, lassà ‘mbarazzato(lasciare nei guai, nell'imbarazzo);’o lassajeno libbero (lo lasciarono libero;) lassà ‘a casa urdinata, ‘a fenesta aperta(lasciare la casa in ordine, la finestra aperta);lassà ‘mpace (lasciare in pace), non disturbare; | lassà ditto, scritto (lasciare détto, scritto,) comunicare a qualcuno assente
5 non togliere; dare, consegnare, affidare: lassà ‘na ‘nferta ô cammariere (lasciare una mancia al cameriere);’o tribbunale à lassato ‘e figlie â mamma (il tribunale à lasciato i figli alla madre); | trasmettere per testamento: ll’ à lassato tutto cosa ô primmo figlio (à lasciato tutto il patrimonio al primo figlio)
6 permettere (seguito da un inf. o da che e il congiunt.): lassa passà(lasciar passare)lassa correre! (lascia correre!); disinteressarsi di qualcosa, non intervenire per modificarla; sorvolare lassa ca te racconto; lassaje ca ce penzasse(lascia che ti racconti; lasciò che ci pensasse) | lassà assaje a desiderà(lasciare (molto) a desiderare), non soddisfare affatto o appieno; lassarse jí(lasciarsi andare), abbandonarsi: | lassarse piglià dâ nervatura(lasciarsi prendere dall'ira), , cedere ad essa
7 in alcuni giochi di carte, non prendere o non partecipare al gioco, anche avendone la possibilità.
Etimologicamente è un verbo derivato dal lat. laxare 'allargare, sciogliere', deriv. di laxus 'largo, allentato';
muorzo s.vo m.le = morso, boccone sostantivo derivato da un acc. lat. morsu(m) part. pass. sostantivato di mordere dal lat. mordíre, con cambio di coniugazione.
crianza s.vo f.le = il complesso delle maniere di una persona ben educata; compitezza, gentilezza:bbona, mala crianza: senza crianza (buona, mala creanza; senza creanza) voce derivata dritto per dritto dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare'.
Interessanti icastiche espressioni che chiamano in causa la voce a margine sono: 1)parlanno cu crianza ((pur) parlando con compitezza e gentilezza, garbo, urbanità) usata introduttivamente o quale chiosa a mo’ di scusante allorché si sia o sia stati costretti a parlare o a toccare argomenti scabrosi o disdicevoli: è gghiuto dint’ô cesso, parlanno cu crianza(è andato nel cesso, parlandone con urbanità) ;2) fà ‘na ‘mparata ‘e crianza (impartire a qualcuno (a parole o pure ricorrendo alle maniere forti) una severa lezione per insegnargli a tenere un comportamento da persona ben educata, garbata, gentile, civile, compita). ; il termine ‘mparata è una voce partenopea, usata peraltro solo nell’espressione indicata nel senso di lezione, insegnamento, monito, ammonimento, castigo, richiamo; voce che è la sostantivazione al femminile del p. pass. del verbo ‘mparà ; di per sé il verbo napoletano ‘mparare/’mparà (con derivazione dal latino volg. imparare, comp. di in→’m davanti alla esplosiva consonante occlusiva bilabiale sorda(p) o a quella sonora (b) illativo e parare 'procurare'; propr. procurarsi cognizioni,) varrebbe il toscano imparare, ma spesso – come ad es. nel caso di una notissima poesia di Raffaele Viviani: “Guaglione”, o nel caso che ci occupa - esso vale: insegnare, rendere edotto; per cui l’ espressione usata dal poeta stabiese: tu, pate ll’hê ‘a ‘mparà sta per: tu, padre, devi insegnargli (a vivere, a comportarsi nella maniera piú giusta etc.) e la voce ‘mparata sta per – come ò détto - lezione, insegnamento, monito, ammonimento, castigo, richiamo;
Esaminando da presso questa stramberia, reputo che probabilmente il verbo toscano insegnare fosse totalmente sconosciuto nella parlata meridionale sia sulla penna dei letterati che sulla bocca del popolino (che è poi quello che fa l’idioma) e si fosse preferito attribuirne il significato al già noto imparare (‘mparà) piuttosto che tentare di coniare un nuovo verbo marcandolo su insegnare;in effetti nel napoletano di per sé non esiste,né esistette, né si usò o usa un generico vebo insegnare che valga:fare apprendere con metodo, teorico o pratico, una disciplina o un'arte e si preferisce usare di volta in volta accanto al generico ‘mparà che à tutta l’aria quasi d’essere un ossimoro nei significati opposti di insegnare ed apprendere si preferisce usare di volta in volta verbi che valgono sí insegnare ma che ànno particolari nuances e sfumature,e per i quali rimando tra le cose che ò scritto alibi; in coda alla voce crianza rammento che il napoletano ne conserva il diminutivo crianzella che però non vale piccola buona maniera, contenuta educazione, limitata civiltà, cortesia etc. né piccola lezione di vita, scarso, esiguo, sparuto monito, ammonimento, castigo, richiamo;ma vale modesto donativo, contenuto regalino, modica mancia,misurato presente fatto per disobbligarsi, o per onorare una persona; donativo,regalino,presente ritenuti necessarî e dovuti; non è semplice cogliere il rapporto semantico che corre tra le buone maniere di crianza e la modica mancia, il misurato presente fatto per disobbligarsi di crianzella; non è semplice, ma non è impossibile se si pensa che dal verbo criar 'allevare, educare' che è alla base di crianza lo spagnolo e poi il napoletano ricavarono altresí il s.vo criado donde il napoletano criato = domestico allevato in caso, educato alle costumanze familiari, ai comportamenti amicali, confidenziali, intimi quelli che sono alla base delle norme di buona maniera(crianza) ed altresí delle azioni fatte per dimostrare graditudine o per onorare una persona (crianzelle). E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico P.G. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
mercoledì 28 maggio 2014
VARIE 3911
1. QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
2. QUANNO SI 'NCUNIA STATTE E QUANNO SI MARTIELLO VATTE
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
3. MIÉTTELE NOMME PENNA! détto che letteralmente vale : Chiamala penna!;
La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi (penna) piuma d'uccello; La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta dal valore irrisorio, moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi.
4. FÀ 'O FARENELLA.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli(Andria, 24 gennaio 1705 – † Bologna, 16 settembre 1782),, ma prende le mosse dall'àmbito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú tanto giovane ed allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla piú economica farina.
5. À FATTO 'O PIRETO 'O CARDILLO.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienza non può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
6. NUN LASSÀ 'A VIA VECCHIA P''A VIA NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NUN SAJE CHELLO CA TRUOVE!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
7.PRUTUSINO, ÒGNE MENESTA.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse parttenopee. prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
8. ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FÈTE.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
9.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINTO A 'NU PURTUSO!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno ben visibile come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
10.ASTIPATE 'O MILO PE QUANNO TE VÈNE SETE.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire súbito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
11.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE 'NCHIUSE E MIEDECE GUALLARUSE!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
12.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altrove si dice: ‘a morte nun tène crianza... (la morte non à educazione), per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
13. PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
14. 'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
15.'A GATTA, PE GGHÍ 'E PRESSA, FACETTE 'E FIGLIE CECATE.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
16. FÀ 'E CCOSE A CAPA 'E 'MBRELLO.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
17.CHI NUN SENTE A MMAMMA E PPATE, VA A MURÍ ADDÓ NUN È NNATO...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
18.È GGHIUTA 'A MOSCA DINT'Ô VISCUVATO...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
19. CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
20. TENÉ'A SALUTE D' 'A CARRAFA 'E ZECCA.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di quasi un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
21. TENGO 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ, CA M'ABBALLANO PE CCAPA.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus→ quadrellatus, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo ed agitazione. È leggenda metropolitana o pura inesatta fantasia l’idea che l’espressione in esame si riferisca ad una pubblicità di matite da disegno laccate a quadretti bianchi e neri, matite poste a mo’ di capelli rizzati su di un buffo volto e ciò perché l’espressione risaliva ad una data molto antecedente a quella del cartello pubblicitario di matite da disegno (1750 circa).
Brak