lunedì 30 giugno 2014
‘NZUVARATO, ‘NZUARATO
‘NZUVARATO, ‘NZUARATO
Le voci in epigrafe sono morfologicamente due forme leggermente diverse di un unico part. passato del verbo ‘nzuvarà/’nzuarà = allappare, allegare i denti (riferito a della frutta( e su tutta rammenterò il cachi) che non avendo raggiunto la dovuta maturità, risulti alla masticazione aspro e legnoso tale appunto da allappare, allegare i denti; da notare che stranamente le voci in epigrafe pur essendo un participio passato, si traducono come se si trattasse di un participio presente per cui ‘nzuvarato, ‘nzuarato si rendono non (come sarebbe corretto) con allappato, allegato ma con allappante, allegante i denti, mentre in senso traslato valgono che rende trascurabile cosa che semanticamente si spiega con il fatto che un frutto non maturo poco si presta ad esser gustato rendendosi cosí quasi inavvertibile, trascurabile da parte di chi evita di mangiarne.
E passiamo alla questione morfologica ed etimologica.
Comincerò col dire che due dei piú consultati calepini della parlata napoletana ( il D’Ascoli e l’ Altamura) stranamente (che si siano copiati pedissequamente l’un l’altro?...) accanto alle corrette voci in epigrafe, elencano uno scorretto e – reputo - inesistente infinito ‘nzuvarí/‘nzuarí donde deriverebbero (che pretese!) nzuvarato, ‘nzuarato laddove chi appena appena mastichi di idioma napoletano può cogliere l’incongruenza di voler ottenere un participio passato in ato da un verbo della terza coniugazione cioè in ire che al massimo avrebbe potuto generare nzuvarito, ‘nzuarito, non certamente nzuvarato, ‘nzuarato che son figli dell’infinito ‘nzuvarà/‘nzuarà della 1° coniugazione.
Quanto all’etimologia una comune corrente di pensiero (cui peraltro aderí un tempo il D’Ascoli (parce sepulto!) ed oggi pure l’amico prof. Carlo Iandolo) parla di una derivazione dal lat.in (illativo) + suber = sughero, arzigogolando che un sughero addendato produca sui denti e tutta la bocca una sensazione spiacevole, tal quale quella che produce un frutto non maturo se addentato. Mi spiace per l’amico Iandolo, ma la strada semantica che propone mi pare impervia e perciò non percorribile (chi o perché mai dovrebbe addentare (per assaporarlo) un sughero?); reputo che sia piú corretto e semanticamente vicino al vero pensare per ‘nzuvarà/‘nzuarà, una derivazione dal lat.in (illativo) + una lettura metatetica di sorbum = sorbo il cui frutto sorba raccolta ancòra acerba è messa a maturare su di un letto di paglia e qualora questo frutto venga addentato prima della dovuta maturazione risulta (questo sí!) allappante ed allegante denti e bocca. Ò comunicato, per le vie brevi, all’amico Iandolo questa mia ipotesi e l’à riconosciuta piú corretta e semanticamente vicina al vero di quella sposata oggi da lui ed un tempo dal D’Ascoli.
Un ultima precisazione; mi si chiede quale delle due voci in epigrafe sia la piú corretta; dirò che nel linguaggio popolare sono usatissime ambedue, epperò la prima: ‘nzuvarato la si ritrova maggiormente nello scritto e mi appare quella morfologicamente piú rispondente all’etimo (sia pure con la tipica alternanza partenopea b/v) , laddove la seconda: ‘nzuarato è dell’àmbito del parlato con sincope della v ritenuta pleonastica e retaggio forse di un’antica epentesi eufonica.
raffaele bracale
GALLINA e dintorni.
GALLINA e dintorni.
Illustro qui di sèguito alcune locuzioni e proverbi partenopei in cui si coinvolge il bipede domestico indicato in epigrafe.
1-'A gallina fa ll'uovo e ô vallo ll'abbruscia 'o mazzo.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora o sopporta pesi e disagi ed un altro si lamenta della fatica che non à fatto, o fa le viste di avere sulle proprie spalle il peso di disagi altrui. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o quando si voglia esortar qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non abbia compiute, e di cui invece faccia le viste di portare il peso.
2- Quanno 'a gallina scacateja è ssigno ca à fatto ll'uovo.
Quando la gallina starnazza è segno che à fatto l'uovo. Al di là del senso letterale, il proverbio vuol significare(rendendo quasi il latino: excusatio non petita, accusatio manifesta) che quando ci si scusi reiteramente di qualcosa, tale fatto è indizio certo che si è colpevoli.
3- 'A gallina ca cammina torna â casa cu 'a vozza chiena.
La gallina che cammina torna a casa con il gozzo pieno. Id est: anche chi è sciocco ed inetto (come lo è, nell’inteso comune, una gallina), se si mette in azione riesce, in una maniera o in un'altra, a sbarcare il lunario o quanto meno – come si dice a Napoli – a sceppà ‘a campata (a vivacchiare)
4- Parla sulo quanno piscia 'a gallina!
Ad litteram: Parla solo quando orina la gallina! Perentorio icastico monito rivolto a chi (e segnatamente arroganti, saccenti o supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle faccende altrui; monito che è rivolto, prendendo (però erroneamente) a modello la gallina che pur non possedendo uno specifico organo deputato all’uopo, non è vero che non orini mai, ma compie le sue funzioni fisiologiche in un'unica soluzione attraverso un organo onnicomprensivo detto cloaca.
5- Aizammo 'a gallina e avasciammo 'a cecoria...
Letteralmente: aumentiamo la gallina e diminuiamo la cicoria... Id est: diamo maggior consistenza alla minestra aumentandone la carne e diminuendone i vegetali. La locuzione viene usata quando si voglia convincere qualcuno a curar maggiormente la sostanza delle faccende in cui si è impegnati e a non esagerare con il conferimento di aggiunte attinenti piú alla forma che alla sostanza.
Analizziamo le singole parole, cominciando da
gallina:tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';
uovo: l'uovo degli animali ovipari, che viene espulso dal corpo materno prima che l'embrione si sviluppi: uovo d'uccello, di pesce, d'insetto
ma in partic., l'uovo di gallina o altri bipedi: oche, struzzo etc., usati dall'uomo come alimento; etimologicamente il nome è dal lat.ovu(m);
vallo è il gallo: uccello domestico commestibile, con piumaggio brillante, testa alta con grossa cresta carnosa e bargigli, zampe fornite di speroni, coda falciforme dai colori spesso vivaci;
abbruscia: brucia – voce verbale (3° p.sing. ind. pres.) dell’infinito abbruscià = ardere, bruciare, tendere al bruciore; etimologicamente da un tardo latino *ad-brusiare = bruciare, tendere al bruciore, con tipica palatalizzazione di si→sci come per simia → scimmia ed altrove;
mazzo: di per sé è il culo, sedere, deretano, il complesso delle natiche ed ano che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo non son forniti di natiche, ma del solo ano; ciononpertanto si è preferito mantenere la voce mazzo riferito al gallo, piú rapido e forse meno volgare di ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano si indica l’ano;talora nel parlato per evitare il volgare ‘o buco d’’o culo, per indicare l’ano s’usa il termine fetillo semanticamente da ricondurre al fatto che l’ano è il foro donde sortiscono le maleolenti feci e/o i gas intestinali;etimologicamente la voce mazzo è dall’acc. lat. matia(m)=intestino, mentre la voce fetillo è un deverbale del lat. foetere= puzzare, e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;
scacateja: starnazza – voce verbale (3° p. sing. ind. pres.) dell’infinito scacatïà o anche scacateïà: starnazzare, schiamazzare (propr. dei polli) il verbo è stato evidentemente modellato sull’altro verbo scacà= smettere, cessare ( nella fattispecie: di fare temporaneamente le uova) con derivazione dal latino excacare;
vozza gozza = la voce risulta essere un adattamento regionale di gargozza/o, canna della gola (dal lat.gargutium), con soppressione semplificativa della prima sillaba (gar ) e successivo passaggio metaplasmatico della g a v come in gallo → vallo – gunnella→vunnella – golpe→volpe.
sceppà letteralmente strappare, togliere, svellere – è un infinito che si ritrova anche come scippà, ed ambedue le forme con etimo dal lat. ex-cippare; il verbo a margine in unione con il sostantivo campata(= necessario e sufficiente al sostentamento personale di un giorno, è un denominale di campus= campo, quello che un tempo fu il principale mezzo di procacciarsi il necessario per vivere) vale: vivacchiare quasi che fosse strappare alla vita il sostentamento quotidiano;
quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento; dal latino quando con tipica assimilazione progressiva nd>nn;
piscia = voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito piscià = orinare, espellere per via urinaria; etimologicamente derivato dal greco pytízein = gettar fuori che diede un basso latino *pitissare, pi(ti)ssare→pissare→pisciare;
aizammo = voce verbale (2° pers. plur. ind. pres., (ma pure 2° pers. plur. imperativo ) dell’infinito aizà = alzare, ma pure aumentare; etimologicamente da un lat. volg. * altiare, deriv. del lat. class. altus 'alto'; il napoletano antico dal verbo *altiare trasse dapprima auzà donde poi aizà;
avasciammo = voce verbale (2° pers. plur. ind. pres., (ma pure 2° pers. plur. imperativo ) dell’infinito avascià = abbassare, calare portare, mettere qualcosa piú in basso; etimologicamente derivato dal denominale latino ad+bassus donde dapprima un abbassà→abbascià e poi per semplificazione della labiale esplosiva →abascià che divenne, con consueta alternanza partenopea b/v avascià;
cecoria = cicoria; una delle piú comuni e famose piante erbacee coltivate un po’ dovunque, ma soprattutto negli orti napoletani per le foglie commestibili, la radice di detta pianta tostata fu anche usata – soprattutto in periodo bellico - come surrogato del caffè; la cicoria (dal lat. cicòría, neutro pl. di cicòríum, dal gr. kichórion ), in unione con altri teneri e gustosi vegetali quali scarola(voce napoletana pervenuta poi all’italiano, con derivazione dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ísca 'cibo, esca') e borraggine o borragine ( che a Napoli è vurraccia derivata dal lat. mediev. borragine(m), (prob. di origine araba), con tipica alternanza partenopea b/v) è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente vegetali ; quando poi si addizionano ai vegetali (cicoria, scarola, borraggine o borragine e verza) varî tipi di carni, bovine, avicole e suine si ottiene la famosa minestra maritata detta pure pignato grasso ed in terra iberica olla potrida.
Raffaele Bracale
VARIE 4014
1. CCA SOTTO NUN CE CHIOVE!
Letteralmente: Qui sotto non ci piove. L'espressione, tassativamente accompagnata dal gesto dell' indice destro puntato contro il palmo rovesciato della mano sinistra, sta a significare che oramai la misura è colma e non si è piú disposti a sopportare certe prese di posizioni o certi comportamenti soprattutto quelli di certuni che sono adusi a voler comandare, impartire ordini et similia, non avendone né l'autorità, né il carisma; la locuzione è anche usata col significato di: son pronto a render pane per focaccia , nei confronti di chi à negato un favore, avendolo invece reiteratamente promesso.
2. 'A CERA SE STRUJE E 'A PRUCESSIONA NUN CAMMINA.
Letteralmente: le candele si consumano, e la processione non cammina. La locuzione viene usata quando si voglia con sarcasmo e/o dispetto sottolineare una situazione nella quale, invece di affrontare concretamente i problemi, ci si impelaga in discussioni oziose, vani cavilli e dispersive chiacchiere pretestuose che non portano a nulla di concreto.
3.TUTTO PO’ ESSERE, FORA CA LL'OMMO PRIÉNO.
Tutto può essere, fuorché l'uomo incinto. La cosa è ancora vera anche se l'alchimie della moderna scienza non ci permette di essere sicuri... La locuzione viene usata per sottolineare che non ci si deve meravigliare di nulla, essendo, nella visione popolare della vita, almeno fino a che la scienza con i suoi marchingegni sòliti non provi il contrario, una sola cosa impossibile: la gravidanza maschile.
4.ABBIARSE A CCURALLE.
Letteralmente: avviarsi verso i coralli. Id est: Anticiparsi, muovere rapidamente e prima degli altri verso qualcosa. Segnatamente lo si dice delle donne violate ed incinte che devono affrettare le nozze. La locuzione nasce nell'ambito dei pescatori torresi (Torre del Greco -NA ), che al momento di mettersi in mare lasciavano che partissero per primi coloro che andavano alla pesca del corallo.
5.AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE.
Letteralmente: Ò veduto la morte con gli occhi. Con questa locuzione tautologica si esprime chi voglia evidenziare di aver corso un serio pericolo o rischio mortale tale da portarlo ad un passo dalla morte e di esserne fortunatamente restato indenne.
6. VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA.
Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.Altrove con identico significato si dice: Vulé fottere e sbattere ‘e mmane. Td est: voler coire sbattendo le mani cosa impossibile soprattutto per l’uomo nella posizione détta del missionario.
Piscià = míngere, orinare; quanto all’etimo dal t. lat. pi(ti)ssare→pisciare;
gghí = andare; forma collaterale di jí che è dal lat. ire. fottere/ffottere = 1coire, congiungersi carnalmente possedere sessualmente; (assol.) avere rapporti sessuali | va' a farti fottere!, lo stesso che 'va' all'inferno, al diavolo'
2 (fig.) imbrogliare, raggirare, rubare:m’ànnu futtuto!( mi ànno fottuto) sono stato derubato ||| fotterse v. intr. pron. (volg.) infischiarsi di qualcuno o di qualcosa (usato per lo piú nella forma fottersene): se ne fotte ‘e chello ca fa (se ne infischia di ciò che fa.) il verbo napoletano è dritto per dritto dal lat. volg. *fottere, per il class. futuere
7. VE DICO 'NA BUSCÍA.
Vi dico una bugia. È il modo sbrigativo e piuttosto ipocrita di liberarsi dall'incombenza di dare una risposta, quando non si voglia prender posizione in ordine al richiesto e si avverte allora l'interlocutore di non continuare a chiedere perché la risposta potrebbe essere una fandonia, una bugia...
buscía (al pl. buscíe ) = bugia, menzogna ed altrove piattello ansato per ragger le candele; nel significato di bugia/menzogna è parola derivante dal provenzale bauzía che è dal francone bausi = menzogna, malignità; nel senso di piattello ansato per regger candele deriva dal nome della città algerina Bugiaya dove si producevano tali piattelli e da dove, pare, s’importasse la cera per produrre le candele;
8. FÀ 'O FRANCESE.
Letteralmente: fare il francese, id est: mostrare, dare a vedere o - meglio - fingere di non comprendere, di non capire quanto vien detto, allo scoperto scopo di non dare risposte, specie trattandosi di impegnative richieste o ordini perentorii. È l'equivalente dell'italiano: fare l'indiano, espressione che, storicamente, a Napoli non si comprende, non avendo i napoletani avuto nulla a che spartire con gli indiani, sia d'India che d' America, mentre ànno subíto piú di una dominazione francese ed ànno avuto a che fare con gente d'oltralpe.
9.'O PESCE FÈTE DÂ CAPA.
Letteralmente: Il pesce puzza dalla testa. Id est: il cattivo esempio viene dall'alto, gli errori maggiori vengon commessi dai capi. Per cui: ove necessario, se si vogliono raddrizzare le cose, bisogna cominciare a prender provvedimenti innanzi tutto contro i comandanti.
10.'A SCIORTA 'E CAZZETTE:JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.
La cattiva fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.
11.ATTACCA 'O CIUCCIO ADDÓ VO’ 'O PATRONE
Letteralmente: Lega l'asino dove vuole il padrone Id est: Rassegnati ad adattarti alla volontà altrui, specie se è quella del capintesta(e non curarti delle conseguenze) È una sorta di trasposizione del militaresco: gli ordini non si discutono... Una curiosità: Un tempo vi fu chi usava dire e forse piú acconciamente, come chiarirò: Attacca ‘o ciuccio addó va ‘o varrone id est: Lega l’asino sul lato del carro dove la stanga principale tende ad inclinare (affinché faccia acconciamente da bilancino e secondi la fatica del cavallo o mulo che sopportano il peso principale); successivamente visto che l’espressione non era intesa pienamente se non da gli addetti ai lavori di trasporto, essa fu mutata in quella assonante in esame che comunque ne stravolse alquanto il significato originario che connotava un esatto consiglio pratico ed efficiente.
12.'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIENTE TENIENTE
Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo.
Teniente è il participio presente aggettivato del verbo tené (che è dal lat. teníre); nella fattispecie il verbo sta per mantenere (la cottura) e (poi che il participio è reiterato vale quase superlativo come quasi sempre nel napoletano) significa molto al dente; altrove l’espressione è riportata come 'E maccarune se magnano vierde vierde dove l’aggettivo reiterato vierde vierde = verdi verdi à la medesima valenza del teniente teniente: molto al dente e ciò perché qualunque cosa sia détta verde vale immatura perciò non ammorbidita, ancóra duretta, quasi acerba.
13.A ‘NU PASSO DÔ CULO MIO, FOTTE CHI VO’!
Letteralmente: Ad un passo dal mio sedere, coisca chi vuole! Significativa locuzione esclamativa da intendersi: Faccia chiunque ciò che vuole, prendendosi il divertimento che piú gli aggrada purché agisca ad una distanza di sicurezza dal mio fondoschiena e non mi coinvolga (soprattutto come parte soccombente) in ciò che fa; id est: assicuro a chi voglia la sua libertà di azione,sino alla sodomia, alla truffa ed all’imbroglio purché mi tenga fuori dai suoi comportamenti e non mi danneggi!
passo s.vo m.le passo: 1 ciascuno dei movimenti alterni che si compiono camminando; 2 la distanza che si può coprire con un passo, assunta anticamente come unità di misura di lunghezza; per estens.come nel caso che ci occupa, breve distanza:
Voce dal lat. passu(m), part. pass. di pandere 'stendere, aprire';
dô = preposizione articolata corrispondente alla preposizione dal dell’italiano in tutte le sue funzioni ed accezioni; morfologicamente è formata dall’agglutinazione di da +l’articolo ‘o analogamente alla prep. art. ô formata dall’agglutinazione di a +l’articolo ‘o;
vo’ corrisponde all’italiano vuole (3ª p. sg. ind. pres.) dell’infinito vulé con etimo dal lat. volg. *vōlere (accanto al lat. class. velle); normale il passaggio della vocale lunga o ad u; la grafia usata per la voce a margine è stata scelta in quanto vo’ è l’ apocope di vole) per cui la preferisco a vô (proposta da qualche pur valente linguista) dove però nella ô si riconosce la contrazione del dittongo uo di vuole; ma accettando tale tesi si corre il grosso rischio forse di far passare l’idea che il napoletano sia un derivato dell’italiano, cosa che non è! Il napoletano, ripeto e sottolineo non è mai, proprio mai tributario dell’italiano, ma filiazione diretta del latino volgare e parlato.
fotte voce verbale (3ª p. sg. ind. pr., ma anche – come qui - congiuntivo pr. dell’ infinito fottere = coire, sodomizzare, possedere sessualmente; avere rapporti sessuali ma anche figuratamente: imbrogliare, raggirare deriva dal latino volg. *futtere, per il class. futuere.
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GLI AGGETTIVI ED I PRONOMI INDEFINITI NEL NAPOLETANO
GLI AGGETTIVI ED I PRONOMI INDEFINITI NEL NAPOLETANO
Nell’idioma napetano esistono ad un dipresso, fatta salva qualche eccezione (alcuno/a, taluno/a,ciascuno/a) , i medesimi aggettivi e/o pronomi indefiniti del lessico italiano e cioè
gli agg.vi ogni,qualche, qualsiasi,qualunque (che non si usano mai come pronomi) nessuno/a,certi,altro/a,parecchio/a,
poco/a, quanto/a, tanto/a, troppo/a, tutto/a e chiunche, ognuno/a, quaccuno/a, quaccosa (che son solo pronomi) tutti nel medesimo uso e nelle medesime accezioni della lingua nazionale; si differenziano dalle voci italiane perchè alcune di quelle napoletane ànno spesso una doppia morfologia: una d’uso letterario e/o borghese, l’altra d’uso piú popolare e del parlato della città bassa o della provincia.
Analizzo analiticamente tutte le voci cosí come elencate:
ògne agg.vo indef.= ogni
1 ciascuno (indica genericamente una totalità di persone o di cose, riferendosi individualmente a un singolo elemento): ‘a fatica è ‘nu deritto d’ògne ommo; ògne sturente avette ‘nu manesiglio; ògne gghiuorno nc’ è ‘na nuvità(il lavoro è un diritto d'ogni uomo; ogni scolaro ebbe un quaderno; ogni giorno c'è una novità);
2 qualsiasi, qualunque: perzone d’ògne età;a ògne modo (persone d'ogni età; in ogni modo, a qualunque costo);
3 con valore distributivo: ògne vinte chilometre ce sta ‘na pompa ‘e benzina(ogni 20 km c'è una stazione di rifornimento); voce derivata dal lat. omne-m→ònne→ògne ed esige l’accento grave (aperto) sulla prima sillaba (ò) per evitar confusione con la voce ógne (unghie) che sulla prima sillaba à l’accento acuto (chiuso) (ó).
quacche/còcche/cacche agg.vo indef. m.le e f.le [solo sing.]
1 alcuni, piú d'uno (indica quantità, numero indefinito e non grande, e si riferisce sia a persona sia a cosa):quacche anno fa;’nfra cocche minuto; nce steva solo quacch’ata perzona; se ferma cu nnuje quacche gghiuono (qualche anno fa; fra qualche minuto; c'era solo qualche altra persona; si fermerà con noi qualche giorno;) | può indicare anche una sola persona o cosa indeterminata: à dda essere stato cocche amico d’ ‘o suĵo a ‘nfurmarlo; ll’aggiu ggià visto a cocch’ata parte; (deve essere stato qualche suo amico ad informarlo; l'ò già visto in qualche altro luogo); cacche gghiuorno ‘o vvène a sapé (qualche giorno lo verrà a sapere), un giorno o l'altro;
2 un certo (davanti ad un sostantivo astratto, per indicare una quantità indefinita): ‘na pellicula ‘e quacche ‘nteresse; azzettaje cu quacche sfunnacata(un film di qualche interesse; accettai con qualche esitazione;) | anche preceduto dall'art. indeterm.: êv’ ‘a succedere ‘nu quacche ‘mpiccio(doveva accadere un qualche fastidio!). Etimologicamente si tratta di una voce assimilazione regressiva di qual(e)che(è)→qualche→quacche; come ò già accennato questa voce à in quacche una morfologia letteraria e borghese ed una morfologia del parlato popolare e/o provinciale in còcche/cacche con mutazione della consonante occlusiva velare sorda (Q) nell’analoga l'occlusiva velare sorda (C) e trasformazione del il nesso labiovelare (qua) in (cò/ca).
quarsiase, agg. indef. m.le e f.le [pl. inv. ] qualunque, quale che sia: pe isso facesse quarsiase cosa; chiàmmame a quarsiase mumento (farei qualsiasi cosa per lui; telefonami in qualsiasi momento).
Etimologicamente prestito dell’italiano qual si sia→qualsiasi→quarsiase con normale alternanza delle liquide (l→r)
qualunque/a agg. indef. m.le o f.le l'uno o l'altro che sia, non importa quale; ogni: qualunqua cosa succede, a mme nun me ‘mporta (qualunque cosa accada non m’interessa!). Etimologicamente da quale addizionato del suff. unque suffisso che continua il lat. volg. *-unque, sorto dalla fusione del class. -cumque di ubicumque, quicumque ecc. con l'avv. umquam..; si tratta però di agg.vo raramente usato preferendoglisi il precedente quarsiase di analogo significato.
nisciuno/a, agg. indef. [manca del pl. ]; [sia al m.le che al f.le si elide apostrofandosi davanti ai nomi comincianti per vocale: nisciun’ommo, nisciun’ata femmena(nessun uomo nessun'altra donna); al m.le davanti a nomi nomi comincianti per consonante anche se sia s impura, gn, ps, x, z è usato nella morfologia nisciunu :nisciunu scemo, nisciunu cane,nisciunu zampugnaro, nisciunu gnastillo]
1 con valore negativo, neppure uno: nisciun’ommo è cchiú cucciuto d’isso; nun voglio nesciuna ricumpenza; nun tiene nisciunu mutivo pe criticarlo; nun ce sta nisciuna nuvità; senza nisciuna raggione; (nessun uomo è piú ostinato di lui; non voglio nessuna ricompensa; non ài nessun motivo per criticarlo; non c'è nessuna novità; senza nessuna ragione;) | con valore puramente rafforzativo: senza nisciuna pressa; nun ce sta nisciuna nicessità ‘e aizà ‘a voce (senza nessuna fretta; non c'è nessun bisogno di alzare la voce) | posposto al nome con effetto intensivo: uommene ciento, femmene nisciuna (uomini cento, donne nessuna) | reiterato à funzione di superlativo con valore enfatico-rafforzativo:nun me daje nisciuunu, nisciunu ‘mpiccio (non mi dai nessunissimo disturbo);
2 con valore positivo, qualche; per lo piú in proposizioni interrogative dirette;in quelle indirette è sostituito da quacche:tiene nisciunu suggerimento ‘a darme?Dimme si te serve quacche libbro; (ài nessun suggerimento da darmi?Dimmi se ti occorre nessun libro;) || anche pron. indef. [ in tal caso non è consentita la morfologia nisciunu,ed è sempre nisciuno/nisciuna;]
1 con valore negativo, neppure uno, riferito sia a persona sia a cosa; quando è posposto al verbo richiede la negazione: nunn è vvenuto nisciuno; è pussibbile ca nisciuno ‘o ssape? ; nun crere maje a nnisciuno; nisciuno ‘e nuje ll'à visto; «Tiene quacche dimanna ‘a farme?» «Nisciuna!» (non è venuto nessuno; è possibile che nessuno lo sappia?; non crede mai a nessuno; nessuno di noi l'à visto; «Ài qualche domanda da farmi?» «Nessuna!») | figlio ‘e nisciuno (figlio di nessuno), senza genitori, abbandonato dai genitori | rrobba, terra ‘e nisciuno(roba, terra di nessuno), senza proprietari o possessori
2 con valore positivo, qualcuno; per lo piú in frasi interrogative dirette; in quelle indirette è sostituito da quaccuno: hê visto nisciuno ‘e ll’amice nuoste?;Cóntame si è venuto quaccuno d’ ‘e lloro! (ài visto nessuno dei nostri amici?;Narrami se è venuto nessuno dei loro;)
|| s.vo m.le persona di nessun valore: tène tanta vavia, ma nunn è nnisciuno!(à tanta spocchia, ma non è nessuno). Etimologicamente è voce dal lat. n(e) ips(um) unu(m)→nissunu-m→ nisciuno ' neanche uno' con assimilazione regressiva ps→ss e consueta,normale risoluzione in sci seguíto da vocale della consonante fricativa dentale sorda o sonora (s) sia scempia che doppia purché seguíta da vocale(cfr.pitissare→pi(ti)ssare→pisciare etc.)
cierte/ciertiagg. indef.pl. m.le e f.le [à il sg. in certo/a ma si usa quasi sempre al plurale; usato al f.le pl. esige la geminazione della consonante iniziale del termine cui è anteposto: es.: cierti ffemmene, cierti ccose ]
1 indica qualità o quantità indeterminata; qualche, alcuno, alquanto: cierte vvote è assaje nervuso; tengo ‘nu certo appetito; ‘na perzona ‘e ‘na certa aità(certe volte è molto nervoso; ò un certo appetito; una persona di una certa età), attempata | con funzione correlativa: cierti juorne vène, ciert’ate no(alcuni giorni viene, alcuni altri no | con valore limitativo, attenuativo:tène ‘nu certo ngégnero (possiede un certo ingegno) | con valore enfatico:tengo cierti nierve ogge! (ò certi nervi oggi!) | con valore spreg.: certa umanità nun ‘a supporto(certa umanità non la sopporto) | (fam.) seguito da una consecutiva: teneva cierti dulure ca svenette(aveva certi dolori che svenne)
2 specifico, determinato: se po’ parchiggià solo a cert’ore(si può parcheggiare solo a certe ore)
3 per indicare cosa nota a chi parla e talora anche a chi ascolta, ma che non si vuole ulteriormente precisare: so’ gghiuto addu cierti amice miĵe (sono andato da certi miei amici)
4 seguito da un nome proprio, designa una persona poco o per nulla conosciuta, un tale: ‘nu certo Giuannino(un certo Giovannino)
5 indica qualcosa di indefinito, con valore neutro: chillu certo modo ‘e fà(quel certo modo di fare)
|| pron. indef. pl. alcuni, taluni: nun stanno tutte cca ‘e libbre, cierte stanno â casa ‘e papà(non sono tutti qui i libri, certi sono nella casa paterna) | con funzione correlativa:cierte appruvajeno, ciert’ ate no (certi approvarono, altri no).
Etimologicamente voce dal lat certu-m/certa-m;
auto/a ed anche autro/a o ato/a agg.vo indef. m.le o f.le anche sostantivato = altro
1 diverso, differente (con valore indeterminato): à sciveto n’auta cosa; piglià n’ata strata (à scelto un’altra cosa; prendere un'altra strada) | ll’atu munno (l'altro mondo), l'oltretomba; cose ‘e ll’atu munno (cose dell'altro mondo), (fig.) incredibili, inconcepibili | d’auta parte(d'altra parte), del resto
2 restante, rimanente (sempre preceduto dall'art. determinativo): che nne faje ‘e ll’autu ppane?(che ne farai dell'altro pane?); rummanette, mentre tutte ll’ate se nne jetteno(restai, mentre tutti gli altri se ne andarono)
3 che è successivo, nuovo, in piú rispetto a qualcosa di precedente: ce stanno ati ccose ca hê ‘a sapé(ci sono altre cose che devi sapere); accattà n’atu chilo ‘e percoche(comperare un altro chilo di pesche gialle); dillo n’ata vota! (ripetilo un'altra volta!) ' novello: è arrivato n’autru Francischiello(è giunto un altro Francesco II | secondo:p’isso è stata n’ata mamma (è stata una seconda mamma per lui)
4 con riferimento al tempo scorso, precedente o anche immediatamente anteriore a quello precedente:ll’ato anno; l’autriere (l'altr'anno; l'altro ieri) | seguente o anche immediatamente successivo a quello seguente; prossimo, venturo:ll’atu llunnerí, chist’auto anno, ‘a ‘nu mumento a ll’autro (l'altro lunedí, quest'altr'anno; da un momento all'altro), fra breve; da ‘nu juorno a ll’ato(da un giorno all'altro), prossimamente
5 unito ad aggettivo e pronome personale o indefinito à valore rafforzativo: chiunche ato; nuje aute, vuje aute, chist’autro, chill’autro;(chiunque altro; noi, voi altri (anche voialtri ecc.); quest'altro,quell'altro;)
6 in correlazione con uno indica cosa o persona diversa dalla precedente, ma che à relazione con essa: ll’uno e ll’atu nonno oramaje so’ mmuorte; ll’una o ll’autra vota(l'uno e l'altro nonno ormai sono morti; l'una o l'altra volta);
|| pron. indef.
1 un'altra persona o cosa (al sg. è sempre preceduto dall'art. indeterminativo): n’ato nun avesse fatto accussí; aggiu liggiuto ‘stu libbro, me ne puó dà n’ato?(un altro non avrebbe fatto cosí; ò letto questo libro, puoi darmene un altro?); addivintà, paré n’autro(diventare, sembrare un altro), essere, sembrare diverso, cambiato | ‘na cosa comme a n’autra(una cosa come un'altra), una cosa qualsiasi, senza grande importanza
2 in espressioni con valore partitivo: ne vuó ato?(ne vuoi dell'altro?), ne vuoi ancora?
3 in correlazione con uno, alcuno: in un modo o nell'altro; uno legge, n’ato joca;cierte venettere, ate no(uno legge, l'altro gioca; alcuni vennero, altri no); | ll’uno ll’ato(l'un l'altro), reciprocamente: s’ajutavano ll’uno ll’ato(si aiutavano l'un l'altro)
|| s.vo m.le
1 altra cosa: che ato te manca?; pe ttefaccio chesto e ato; nun fa ato ca chiagnere; penzava a tutt’autro(che altro ti manca?; per te farò questo e altro; non fa altro che piangere; pensava a tutt'altro), | busciardo ca nun sî ato!(bugiardo che non sei altro!), sei solo un gran bugiardo | ce vo’ ato!(ci vuol altro!), occorre ben di piú: ce vo’ ato pe stracquarme!( ci vuol altro per stancarmi!) | nun ce mancava autro!(non ci mancava altro!), ci voleva anche questa!
Usato in varie loc. avv. : p’auto (per altro, del resto, però);senz’ato (senz'altro, certamente; senza indugio); si nun autro (se non altro), almeno; nun fósse ato(non foss'altro), senza aggiungere altro, quanto meno; ‘nfra ll’autro(tra l'altro), tra le altre cose, inoltre; tutt’autro(tutt'altro), all'opposto, niente affatto: “Sî arrivato primmo?” “Tutt’autro!” (“Sei arrivato primo?” “Tutt’altro!”);
2 pl. preceduto dall'articolo determinativo, l'altra gente, il prossimo: nun dà audienza a cchello ca penzano ll’ate; nun fà a ll’ate chello ca nun vulisse te fósse fatto a tte(non badare a ciò che pensano gli altri; non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te)
Rammento che talvolta l’agg.vo in esame si trova anche apocopato in a’ (ato→a(to)→a’= altro) riscontrabile quasi esclusivamente nell’espressione n’atu ppoco resa con l’apocope n’ a’ ppoco = un altro poco.
Etimologicamente è voce dal lat. alt(e)ru-m con duplice dissimilazione sia della (L) per il tramite di *autru-m e poi anche della (R).
paricchio/u agg. indef.m.le [ al f.le parecchia pl. m.le paricchie/paricchi; pl. f.le parecchi davanti a parole f.li principianti per consonanti:parecchi ccase; pl. f.le parecchie davanti a parole f.li principianti per vocali: parecchie amiche→parecchi’amiche ] non poco; indica quantità o numero rilevante, ma leggermente inferiore rispetto ad assaje (molto) (tuttavia i due agg. vengono spesso usati come sinonimi): doppo paricchi juorne;ce stevano parecchi perzone; tengo paricchi diebbete; paricchi scieme redevano sempe; paricchie auture→paricchi’auture diceno ‘o ccuntrario; me serve ancòra paricchiu tiempo(dopo parecchi giorni; c'erano parecchie persone; ò parecchi debiti;parecchi scemi ridevano sempre; parecchi autori dicono il contraro; mi occorrerà ancora parecchio tempo);
|| pron. indef. 1 ciò che è in quantità o numero rilevante: «Tiene pacienza?» «Sí, ne tengo parecchia» («Ài pazienza?» «Sí, ne ò parecchia»)
2 pl.m.le parecchie persone: paricchie diceno ca nun è overo; èramo ‘mparicchie(parecchi dicono che non è vero; eravamo in parecchi)
3 in loc. ellittiche, con funzione di neutro: ” hê spiso paricchio?!(ài speso parecchio?!, parecchio denaro); è paricchio ca ll’aspiette?(è parecchio che l’ aspetti?, parecchio tempo); nc’è paricchio da cca â stanziona?(c'è parecchio da qui alla stazione?, parecchia distanza)
|| anche avv. alquanto: aggiu curruto paricchio;è stato criticato paricchio(ò corso parecchio; è stato criticato parecchio) Voce etimologicamente dal lat. volg.. *pariculu(m), dim. di par paris 'pari'; questo il percorso: *pariculu(m)→pariclu(m)→paricchio (cfr. clausu-m→chiuso); nel f.le parecchia si evidenzia il fenomeno della metafonesi che comporta l’apertura della vocale della seconda sillaba (ri→re).
pòco/u pòca agg.vo m.le o f.le, pron.m.le o f.le eD avv. [ dal lat. paucus] (pl. m.le poche [poche uommene] – pl. f.le poche [poche amiche→poch’amiche] e pochi[pochi ffemmene]).
1. agg.vo Indica in genere quantità o numero limitato, scarso, e si contrappone direttamente ad assaje (molto). Quindi, unito a un s.vo sg., che è in piccola quantità, in piccola misura: quanno magno bevo pocu vino; m’è rummaso pocu denaro; ‘a verdura s’ à dd’ àrvere ‘int’ a ppoca acqua; so’ mmise ca ce sta poca fatica; (quando desino bevo poco vino; mi è rimasto poco denaro; la verdura si deve lessare in poca acqua; son mesi con poco lavoro;) è ppoca cosa (è poca cosa) espressione di modestia con riferimento non solo alla quantità, ma anche spesso al pregio, al valore, all’importanza, in genere del proprio operato. Con sostantivi plur. (o collettivi), in piccolo numero: a ttriato nce stevano pochi spettature; aggiu visto poca ggente; lle so’ rummase pochi capille; hê fatto poche sbaglie; mancano poche minute â partenza; ‘nfra poche mise tutto è fernuto; (a teatro c’erano pochi spettatori; ò visto poca gente; gli sono rimasti pochi capelli; ài fatto pochi errori; mancano pochi minuti alla partenza; fra pochi mesi tutto sarà finito; ommo ‘e pochi pparole;(uomo di poche parole), che non parla molto, che bada piú ai fatti che alle parole; pochi chiacchiere!(poche chiacchiere!), risoluto invito a tagliar corto, a venire al dunque. Con sost. astratti: Tengo poca fiducia ‘e chillo; (Ò poca fiducia in quello); saje ca tengo poca pacienza!(sai che io ò poca pazienza); Avendo sign. generico, è spesso usato in sostituzione di aggettivi di senso piú determinato; con riferimento all’intensità, equivale a debole, tenue e sim.:tira pocu viento; è ‘na cantante cu ppoca voce (tira poco vento; è una cantante che à poca voce); abbastanza frequente, anche nell’uso ant., con il sign. di piccolo, per quantità o per grandezza: ‘na cosa ca se po’ avé cu ppoca spesa; aggio avuto ‘stu riloggio cu pochi sorde (una cosa che si può avere con poca spesa; ò avuto quest’orologio con pochi soldi;); in altri casi, à sign. analogo a breve (in senso spaziale o temporale), corto, stretto e sim.: nc’è ancòra poca strata, pocu cammino; cca ce sta pocu spazzio;c’è ancóra poca strada, poco cammino; qui c’è poco spazio;. Anche insufficiente, inadeguato, oltre che scarso: tene poca forza, poca saluta, poca mmemmoria;à sempe dimustrato poca vuluntà ( à poca forza, poca salute, poca memoria; à sempre dimostrato poca volontà).
Talvolta equivale in pratica a nessuno, rispetto al quale à però tono meno reciso: te so’ stato ‘e poco ajuto; ne tengo overo pocu ggenio; ormaje nc’é poca speranza (ti sono stato di poco aiuto; ne ò davvero poca voglia; ormai c’é poca speranza); con questo senso, anche in funzione di predicato: chist’anno ‘a recoveta è stata poca; ‘a semmana è overo poca (quest’anno il raccolto è stato p.; il compenso settimanale è esiguo).
2. Con uso sostantivato o pronominale:
Nel plur. masch., pochi uomini, poche persone: simmo ‘mpoche; poche facesseno ‘o stesso; poche rispunnetteno â chiammata;i’, isso e poche autre(siamo in pochi; pochi farebbero altrettanto; pochi risposero alla chiamata; io, lui e pochi altri); con un compl. partitivo: poche ‘e nuje; poche ‘nfra ‘e spettature sbattetteno ‘e mmane(pochi di noi; pochi fra gli spettatori applaudirono); per lo piú scherzosa la frase poche ma bbuone(pochi, ma buoni/valenti). Anche al fem.le: poche ‘e vuje; fujeno poche chelle ca passajeno ll’esame;(poche di voi; furono poche quelle che superarono l’esame). Per ellissi del sostantivo, il plurale m.le poche significa spesso pochi soldi, pochi denari: penzo ca ne tene poche;à dda campà cu chilli poche d’ ‘a penzione; so’ ppoche, ma sicure (penso che ne abbia pochi; deve campare con quei pochi della pensione; sono pochi ma sicuri); (e, insistendo sull’urgenza: poche, smarditte e súbbeto!(pochi, maledetti e subito!).
b. Nel sg., con valore neutro, sottintendendo un s.vo facilmente intuibile, per es. tempo, come nelle frasi: è poco ca ll’aggiu lassato;ce mette poco a riturnà; manca poco a miezojurne; me fermo poco(è poco che l’ò lasciato; ci metterà poco a ritornare; manca poco a mezzogiorno; mi fermo poco); aggi’avuto ‘aspettà poco; ogni bel gioco dura poco (ò dovuto aspettare poco; ògne bbellu juoco dura poco); e preceduto da preposizione:è arrivato ‘a poco;da mo a ppoco; torna ‘nfra poco (è arrivato da poco;da adesso a poco; torna fra poco); comunissima la locuz. avv.poco fa (poco fa), qualche momento prima d’ora. Con altri nomi sottintesi: da cca â casa nc’è poco (di qui alla casa c’è poco (spazio, cammino, tempo)(cfr. antea);
c. Molto com. con i sign. precedenti la locuz. ‘nu poco (un poco/ un po’) , usata con riferimento al tempo:aspetto ancòra n’ a’ ppoco; penzaje ‘nu poco primma ‘e risponnere;n’ a’ ppoco e tutto fósse stato inutile (aspetterò ancóra un poco; pensò un poco prima di rispondere; un altro poco e tutto sarebbe stato inutile;)
c.1 qualche volta equivale ad «alquanto, abbastanza a lungo»: pozzo trattenerme cca ‘nu poco?; vulesse parlà ‘nu poco cu ttico(posso trattenermi un poco qui ?; vorrei parlare un poco con te); qualche volta è in riferimento allo spazio: se saglieva ògne gghiuorno ‘nu poco; spòstate ‘nu poco cchiú a mancina; (si saliva un poco ogni giorno; spòstati un poco a sinistra); qualche volta è in riferimento alla quantità: damménne ‘nu poco â vota (dàmmene un po’ alla volta). Seguíta da ‘e (di) partitivo e preceduta dall’art. indetrminatino ‘nu (un):’nu poco ‘e pane, ‘e burro, ‘e latte (un po’ di pane, di burro, di latte); cu ‘nu poco ‘e bbona vuluntà ce ‘a putisse fà(con un poco di buona volontà ce la potresti fare) (non è ammesso il partitivo se il pronome non è preceduto da ‘nu(un), come, per es., nella locuz. letter. dell’italiano: in poco d’ora, in breve tempo[che non trova rispondenza nel napoletano]).
d. À piú esplicito valore pronominale quando significa genericamente «poche cose» o «piccola quantità»: ogge tengo poco ‘a fà; poco me resta ‘a dicere ‘ncopp’ a ‘stu fatto!; ne saccio poco, assaje poco, ma pe cquanto ne saccio poco, sempe cchiú ‘e te ne saccio!(oggi ò poco da fare; mi resta poco da dire su questo argomento; ne so poco, molto poco, ma per quanto poco ne sappia, ne saprò sempre piú di te); s’accuntenta ‘e poco;nun t’ ‘a piglià p’accussí ppoco;(si contenta di poco; non te la prendere per cosí poco); te pare poco?ve pare poco? (ti pare poco?, vi pare poco?) e sim., frasi usate per mettere in risalto il fatto che altri giudichino irrilevante l’importanza, il significato, il valore, che a noi sembra invece eccessivo, di qualcosa; scusa, scusate si è ppoco(scusa, scusate se è poco), con riferimento a quello che si offre agli altri, che si mette a loro disposizione nei limiti dei proprî mezzi; piú spesso in tono ironico, per sottolineare richieste esagerate, esorbitanti: pe cchello ca à dda fà pretennesse ‘a coppa a diece meliune, e scusate si è ppoco!(per ciò che deve fare pretenderebbe oltre dieci milioni e scusate se è poco); talvolta, piú che alla qualità, si fa allusione al valore intrinseco e sostanziale: aggiu liggiuto tutto ‘o rumanzo, ma ce aggiu truvato assaje poco (ò lètto tutto il romanzo, ma ci ò trovato molto poco). Con valore neutro preceduto da articolo o da altra determinazione: ‘o ppoco è mmeglio ‘e niente; ll’abbasta ‘o ppoco ca tène;à lassato ê nepute chellu ppoco ca teneva;pe chellu ppoco ca po’ serví (il poco è meglio del nulla; gli basta il poco che possiede; à lasciato ai nipoti quel poco che aveva; per quel poco che può servire.)
e. Usi e locuz. particolari come pron. neutro: nun è ppoco, è ggià avastante, ce putimmo cuntentà(non è poco, è già abbastanza, ci possiamo accontentare) e sim.:nun è ppoco ca ll’âmmu scanzata;nun è ppoco si po’ avé ‘o ssuĵo(non è poco che l’abbiamo scampata; non sarà poco se potrà avere il suo);etc. ce vo’ poco, (ci vuol poco) occorre poca fatica, basta un piccolo sforzo; in altri casi, indica la facilità con cui può capitare qualche cosa, soprattutto di spiacevole: ce vo’ poco o niente a gghí sotto e ‘ncoppa (ci vuol poco o nulla a cadere, a rovinarsi); come inciso: a ddicere poco,a ffà poco (a dir poco, a far poco =almeno) ce stanno, a ddicere poco, ancòra diece chilometre; a ffà poco, ne caccia vinte o trenta meliune(ci saranno, a dir poco, ancóra dieci chilometri; a far poco, ne ricaverà venti o trenta milioni); sapé ‘e poco(sapere di poco= aver poco sapore) ed, in senso figurato, essere insignificante, non destare interesse: ‘nu rumanzo, ‘na pellicula, ‘na guagliona ca sanno ‘e poco (un romanzo, un film, una ragazza che sanno di poco).
In unione con il verbo mancare,in posizione antecedente o successiva e seguíto da una negazione, indica che un determinato fatto era lí lí per verificarsi: poco mancaje ca nun ‘mbrugliasse pure a nnuje;mancaje poco ca nun ghiette sott’ô tramme(poco mancò che non imbrogliasse anche noi; mancò poco che non finisse sotto il tram); ed è tuttora in uso la locuz. pe ppoco nun (per poco non...): pe ppoco nun me cartiaje pure a mme(per poco non imbrogliò anche me); col sign. di «quasi quasi» è oggi ancóra viva la locuz. pocu poco (poco poco, per poco), nell’uso fam.: me facette tanto stezzí ca pocu poco e ‘o pigliavo a pacchere! (mi fece tanta rabbia che per poco (e) lo prendevo a schiaffi). Nc’è poco ‘a (C’è poco da), seguíto da un infinito, espressione con cui si ordina o si invita seccamente qualcuno a non fare, o a smettere di fare, una data cosa: Nc’è poco ‘a ridere, ‘a pazzià, ‘a fà ‘o ‘nzipeto(c’è p. da ridere, da scherzare, da fare lo sciocco); in altro senso: cu mme nc’è poco ‘a discutere (con me c’è poco da discutere), non ammetto che si discutano le mie parole, i miei ordini.
Come locuz. avv., a ppoco a ppoco (a poco a poco), gradatamente; pressappoco (press’a poco o pressappoco) all'incirca, piú o meno,approssimativamente.
f. À valore aggettivale anche la locuz. invariabile poco ‘e bbuono(poco di buono, di dubbia moralità) piú usata come sost. invar. ‘nu poco ‘e bbuono, ‘na poco ‘e bbuono(un poco di buono, una poco di buono), una persona poco raccomandabile, un cattivo soggetto.
quanto/u - quanta agg.vo e pronome indefinito m.le o f.le
[ voce dal lat. quantu(m); il pl. m.le è quanti : quanti uommene, quanti scieme, quello f.le quante/a: quanta femmene quante amicizzie→quant’amicizzie; il sg. m.le quanto è usato innanzi a vocali: qanto accio→qant’accio e quantu è usato innanzi a consonanti: quantu ppane, quantu cammino; la voce in esame à la particolarità che pur mantenendo la sua natura di agg.vo o pronome indefinito è sempre presente in frasi o interrogative dirette o indirette o esclamative ]
in frasi interrogative quale misura di, che numero di, che quantità di:quanta perzone so’ venute?;quantu denaro hê spiso?;quanti libbre tiene?; nun saccio quantu tiempo nce vo’, ma vengo ô stesso!;ll’addimannaje quant’anne teneva; (quante persone sono intervenute?; quanto denaro ài speso?; quanti libri ài?; non so quanto tempo ci vorrà, ma verrò ugualmente!; gli domandai quanti anni avesse) | in espressioni ellittiche, riferito a tempo: quanto hê ‘a faticà ancòra primma ‘e jí ‘mpenziona?; quant’è ca nun ‘o vide?quanto nce corre tra te e isso? (quanto dovrai lavorare ancóra, prima di pensionarti?; quanto è che non lo vedi?; quanto ci corre fra te e lui?), quanti anni di differenza ci sono? | riferito allo spazio: quanto ce sta ‘a cca â casa toja? (quanto c'è da qui a casa tua?), quanta strada | riferito al costo,al prezzo: a cquanto ‘e vvenne?; quanto costa?quanto n’addimanna? (a quanto li vende?; quanto costa?; quanto ne chiede?) | in altri usi: quanti n’avimmo ogge?; (quanti ne abbiamo oggi?), che giorno è? | quante me n’à ditte!(quante me ne à dette!), quanti rimproveri;quanti me nn’ à cumbinate! (quanti me ne à combinate!), quanti guai ||| in frasi esclamative si usa per sottolineare enfaticamente la quantità di qualcosa:quanti juorne so’ ppassate! (quanti giorni sono passati!) ' con ellissi del verbo: quantu tiempo sciupato!;quanta parole inutile! (quanto tempo sprecato!; quante parole inutili!) ' con ellissi del sostantivo: quanto nce fósse ‘a dicere ‘ncuollo a cchella! (quanto ci sarebbe da dire sul conto di quella!)
||| in frasi relative
1 (tutto) quello che, (tutti) quelli che: t’ ‘o puó ttené quantu tiempo vuó; pígliate quanta pasta vuó! (puoi tenertelo quanto tempo vuoi; prendi quanta pasta vuoi!)
2 in correlazione con tanto:ce stevano tanta poste quant’erano ‘e ‘mmitate;tene tanti ‘e chilli sorde quanto nun se po’ credere;tengo tanta preoccupazzione cquante nun te ne puó ‘mmagginà (c'erano tanti posti quanti erano gli invitati; possiede tanto denaro quanto non si può credere; ò tante preoccupazioni quante non immagini) ' come rafforzativo di tutto: partetteno tutte quante; à perzo tuttu quanto chello ca teneva;s’è zuzziato tuttu quanto; (partirono tutti quanti; à perso tutto quanto ciò che aveva; si è sporcato tutto quanto)
|| come pronome indef interr. o escl. à gli stessi usi e sign. dell'agg.vo corrispondente: quanto ne vuó?;quante n’hê pigliate?quante ànno azzettato?;(quanto ne vuoi?; quanti ne ài presi?; quanti ànno accettato?);
||| come pron. escl. à gli stessi usi e sign. dell'agg.vo corrispondente: quanto nn’hê pigliato!; che bbelli libbre e cquante!(quanto ne ài preso!; che bei libri e quanti!);
|||| come pronome indef. relativo
1 (tutti) coloro che; (tutti) quelli che: quante vonno participà, ponno ‘nvià ‘a dimanna; puó averne quante ne vuó (quanti desiderano partecipare, possono inviare la richiesta; puoi averne quante ne vuoi).
2 (tutto) quello che, (tutto) ciò che:tengo quanto avasta; ànnu fatto quanto putévano (ò quanto basta; ànno fatto quanto potevano);
seguito da un compl. partitivo:è quanto ‘e meglio se po’ ttruvà (è quanto di meglio si possa trovare); preceduto da prep.: à fatto cchiú ‘e quanto i’ penzasse; ll’aggiu ricavato ‘a quanto m’à ditto; (à fatto piú di quanto io pensassi; l'ò dedotto da quanto mi à detto) con valore limitativo:pe cquanto pozzo capí; pe cquanto ne saccio,nun è overo; (da quanto posso capire, per quanto io ne sappia, non è vero);| con valore concessivo:pe cquanto è ‘nzuccarato nun è ancòra doce (per quanto sia zuccherato, non è ancóra dolce) in espressioni ellittiche: chesto è cquanto! (questo è quanto), tutto ciò che c'era da dire; rispunnenno a cquanto me dicette; (in risposta a quanto mi disse), a ciò che si è detto precedentemente.
3 in correlazione con tanto:ne tengo tanto quanto ne tiene tu (ne ò tanto quanto ne ài tu).
assaje avv. ed agg.vo indefinitoindeclinabile [dal lat. ad satis] è in primis un avverbio ma in napoletano assolve anche la funzione dell’agg.vo (bigenere e binumero) indefinito corrispondente all’italiano molto; di per sé vale a sufficienza, quanto basta, ma – come ò détto piú spesso equivale a molto, tanto.
Con valore di avverbio: è ggià assaje chello ch’aggiu fatto pe vvuje (è già assai quello che ò fatto per voi); Con questo significato precede aggettivi o altri avverbî per la formazione del superlativo avverbiale: assaje bbuono, assaje bbello, assaje primma(assai buono, assai bello, assai prima); è piú spesso posposto:è bbello assaje; va male assaje; (è bello assai; va male assai;) e sim.
Usato antifrasticamente, ed in funzione di pron. neutro, spec. con i verbi sapere, importare, significa niente, nulla: me ‘mporta assaje ‘e chello ca dicite!, saccio assaje ‘e chello ca va facenno quanno jesce( non m’importa nulla di quello che dite!; non so nulla di ciò che fa quando esce.).
b. Con valore di agg.vo: assaje genta, assaje femmene, assaje pasta(assai gente,molte donne,tanta pasta)
tanto/u - tantaagg. indef. m.le/neutro o f.le [tanto è usato innanzi a vocali: tanto accio→tant’accio e tantu innanzi a consonanti: tantu ppane, tantu cammino; come agg.vo al pl. m.le è tante/tanti: tante uommene→tant’uommene, tanti guagliune, tante ‘e nuje pl. f.le tanti/tanta : tanti ffemmene, tanta guaglione; come pronome al pl. m.le è tante al f.le è ttante ed esige la geminazione nella sillaba d’avvio]
1 [solo sg.] riferito a cosa, cosí grande; per estens., cosí lungo, ampio, esteso, forte, intenso, vivo ecc.: arreposate, tiene ancòra tanta strata ‘a fà!; dppo tantu tiempo nun m’ ‘o pozzo arricurdà; cu tantu viento vulisse ascí senza palittò?
( riposati, ài ancóra tanta strada da fare!; dopo tanto tempo non posso ricordarmelo; con tanto vento vorresti uscire senza cappotto);
2 molto, in gran quantità; in gran numero: n’ommo ca tène tantu denaro; tenono tanta figlie e tanti ffiglie(un uomo che possiede tanto denaro; ànno tanti figli e tante figlie);ce ll’aggiu ditto tanti vvote; tant’ossequie â signora che ce fa cca tanta gente? (gliel'ò detto tante volte; tanti ossequi alla signora; che fa qui tanta gente?); viene cca senza fà tanti storie(vieni qui senza fare tante storie) | raddoppiato, con valore intensivo: à fatto tanti, ma tanti fessarie!;tène tante, ma tanta denare(à fatto tante ma tante sciocchezze!; à tanti ma tanti soldi)
3 in espressioni ellittiche: è ttanto ca nun me scrive; (è tanto che non mi scrive), molto tempo; nun c’è tanto da cca â casa soja(non c'è tanto da qui alla sua casa), molta distanza; nun ce vuleva tanto a capirlo (non ci voleva tanto a capirlo), molta intelligenza; guadagnà, spennere tanto(guadagnare, spendere tanto), molto denaro;vevere, magnà tanto (bere, mangiare tanto), in gran quantità | col valore di tante cose: aggiu fatto tanto pe tte;tanto dicette e facette ca ‘o cunvincette! (ò fatto tanto per te; tanto disse e tanto fece che lo convinse!) | come sinonimo di assai:è ggià tanto(è già tanto, è già gran cosa): è ggià tanto si ‘a fernimmo ‘nfra ‘nu mese(è già assai se finiremo tra un mese) || arrivà a ttanto(giungere, arrivare a tanto), a tal punto
4 in correlazione con che o da consecutivi: tène tantu denaro ‘a permetterse chello ca vo’; ce steva tanta ggente ‘a nun puté trasí (à tanto denaro da potersi permettere ciò che vuole; c'era tanta gente che non si poteva entrare).
5 in correlazione con quanto nelle proposizioni comparative (per indicare corrispondenza di numero o di quantità):tengo tantu denaro, quant’isso;nun tengo tanta libbre, quante ne tiene tu (ò tanto denaro quanto lui; non ò tanti libri quanti ne ài tu)
6 nella correlazione tanto... tanto, quanto... altrettanto: tanti pparole, tanti fessarie (tante parole, tanti errori);
7 con valore di altrettanto: se so’ cumpurtate comme a ttanta scieme(si sono comportati come tanti sciocchi)
8 indica numero o quantità generica o che non si può o non si vuol determinare:ô millesetticiento e ttante; ‘nu tanto pe cciento; ‘nu tanto ô mese; costa ‘nu tanto ô chilo (nell'anno millesettecento e tanti; un tanto per cento, (un) tanto il mese; costa un tanto il chilo); ê tante d’ ‘o mese (ai tanti del mese), ad una certa data tutti i mesi | si tanto me dà tanto(se tanto mi dà tanto), (fig.) se le cose stanno o vanno avanti cosí
9 preceduto da ogni, in locuzioni distributive:ògne tanta mise, juorne, anne; ògne ttanti semmane, ògne tanti pperzone. (ogni tanti mesi, giorni, anni; ogni tante settimane; ogni tante persone)
|| pron. indef.
1 pl. molti, riferito sia a persone sia a cose:tante diceno ca nun è overo; è una d’ ‘e ttanteca ànnu fatto ‘a dimanna; me piaceno ‘e strangulaprievete, damménne tante; (tanti dicono che non sia vero; è una delle tante che ànno fatto domanda; mi piacciono gli gnocchi, dammene tanti);
2 in correlazione con quanto, per indicare corrispondenza di numero o di quantità:pígliane tante quante te ne servono;accàttane tanto quanto avasta (prendine tanti quanti te ne occorrono; comprane tanto quanto basta)
||| pron. dimostr. ciò, questo: t’aggiu ditto chello ca t’avev’ ‘a dicere e tanto avasta (ti ò detto ciò che avevo da dirti, e tanto basta) | per tanto, lo stesso che pertanto | fraditanto lo stesso che intanto, frattanto |tanto ‘e guaragnato (tanto di guadagnato), meglio cosí
||| s. m. invar.
1 indica quantità determinata: ne vulesse tanto(ne vorrei tanto) | spesso accompagnando la parola col gesto:è cchiú aveto ‘e tanto (è piú alto di tanto) | nun cchiú ‘e tanto (non piú di (o che)) tanto, non molto, poco: nun me preoccupo cchiú ‘e tanto (non mi preoccupo piú di tanto)
2 (fam.) in usi enfatici, determinato da un compl. partitivo: cu ttanto ‘e bbaffe cu ttanto ‘e recchie;(con tanto di baffi, con tanto d'orecchi).
Etimologicamente voce dal lat. tantu-m.
troppo/u – troppa agg.vo indef.m.le o f.le [troppo s’usa davanti a parole m.li principianti per vocali ; troppu davanti a parole m.li principianti per consonanti; il pl. sia f.le che m.le è troppe davanti a parole principianti per vocali: troppe amice→tropp’amice,troppe aulive; troppi davanti a parole principianti per consonanti: troppi scieme, troppi femmene]
1 indica quantità o numero eccessivo:nc’è troppu casino ‘e machine; faceva troppu caudo; aggiu magnato tropp’arance e troppi sfugliatelle; (c'è troppo traffico; faceva troppo caldo; ò mangiato troppe arance e troppe sfogliatelle)
2 col valore di molto, senza l'idea di eccesso: cca ce sta troppa ggente (qui c’è troppa gente)
|| pron. indef.
1 quantità eccessiva di qualcosa:i’ aggiu vippeto pocu vino, tu troppo (io ò bevuto poco vino e tu troppo); "Ne vuó ancòra? " "Sí, ma nun troppo! " (ne vuoi ancóra?" "Sí, ma non troppo!") | in espressioni ellittiche: vide ‘e nun spennere troppo; nun magnà troppo;tengo ancòra troppo che ffà;(vedi di non spendere troppo, denaro; non mangiare troppo, cibo; ho ancora troppo da fare, troppo lavoro, troppe cose;)
2 pl. troppe persone: troppi credono ancòra ch’ ave raggione (troppi credono ancóra che abbia ragione);
|| s.vo neutro cosa eccessiva e superflua, che sarebbe meglio eliminare o ridurre; usato per lo piú in espressioni proverbiali: ‘o ttroppo sturcia;ll’assaje avasta e ‘o ttroppo guasta; tanto è ‘o ttroppo, quanto ‘o ttroppo poco (il troppo stroppia; l'assai basta e il troppo guasta; tanto è il troppo quanto il troppo poco);
||| avv.
1 eccessivamente; piú del dovuto, del conveniente:à faticato troppo;hê parlato troppo;nun fà troppo tarde;chesta bbirra è troppo fredda; (à lavorato troppo; ài parlato troppo; non far troppo tardi; questa birra è troppo fredda); troppo gentile!, troppo bbuono!, (troppo gentile!, troppo buono!), come espressioni di cortesia | rafforzato da pure/anche, piú di quanto sarebbe bene, necessario o opportuno: è ppure troppo scetato, sî ppure troppo ‘nteliggente(è anche troppo sveglio; sei anche troppo intelligente) | esprimendo il termine rispetto al quale qualcosa si ritiene eccessiva:è troppo scafato pe puterlo ‘mbriglià;costa troppo poco p’essere urigginale; (è troppo furbo perché lo si possa imbrogliare; costa troppo poco per essere autentico) | purtroppo (pur troppo), per esprimere rammarico,||
2 con valore simile a molto, assai, senza l'idea di eccesso: saje troppo bbuono chello c’aggiu ditto(sai troppo bene ciò che ò détto;
Etimologicamente è voce dal francone throp 'mucchio, branco, quantità'.
tutto/a agg.vo m.le o f.le [ al sg. m.le è talora ammessa, non obbligatoriamente la morfologia tuttu ma solo davanti alle voci quanto/quante; il pl. sia m.le che f.le è tutte e può essere eliso davanti a parole principianti per vocali : tutte ll’uommene, tutte ‘e ffemmene→tutt’ ‘e ffemmene; in funzione attributiva è seguito dall'art. o dal pron. dimostrativo, ma li rifiuta con i nomi di città e piccole isole, che comunemente non sono preceduti dall'articolo, ed in alcune altre espressioni]
1 riferito a un sostantivo sg., indica un'intera quantità o un'intera estensione (nello spazio o nel tempo), in usi propri e fig.: s’à magnato tutto ‘o ppane;hê cunzumato tutta ll’acqua;aggiu liggiuto tutt’ ‘o libbro;cu tutt’ ‘a bbona vuluntà nun pozzo ajutarte;fà quaccosa cu tutt’ ‘o core; tutta Capri è rummasa pe doje ore senza currente (à mangiato tutto il pane; ài consumato tutta l'acqua; ho letto tutto il libro;con tutta la buona volontà, non ti posso aiutare; fare qualcosa con tutto il cuore; tutta Capri è rimasta due ore senza elettricità;à sturiato tutto Ferdinando Russo, tutto ‘o Bbovio (à studiato tutto Ferdinando Russo, tutto il Bovio), l'intera loro opera | in funzione predicativa: ‘o ppane ca nce sta, sta tutto ‘ncopp’â ttavula; ‘o prubblema sta tutto cca! (il pane che c'è è tutto in tavola; il problema è tutto qui!) | rafforzato da 'quanto': aggiu penato pe tutta quanta ‘a vita...;hê spiso tuttu quanto ‘o stipendio (ò sofferto per tutta quanta la vita; ài speso tutto quanto lo stipendio ) | preceduto da a assume il valore di 'compreso, incluso': pe llunnerí s’ à dda sturià nfi’ a ttutto ‘o terzo capitulo; (per lunedí si dovrà studiare fino a tutto il terzo capitolo); a ttutt’ ogge, a ttutto dimane (a tutt'oggi, a tutto domani, compresa la giornata di oggi, di domani, fino a oggi, a domani); in altre locuzioni, con valore intensivo: a ttutta velocità (a tutta velocità, alla maggiore velocità possibile); a ttutta forza (a tutta forza, spingendo al massimo della forza); a ttutta prova (a tutta prova, che resiste a qualsiasi prova).
| in usi ellittici: tutta a dritta, a manca (tutta a dritta, a manca), (mar.) per ordinare la massima inclinazione del timone verso destra o sinistra;
2 riferito ad un sostantivo pl. o ad un nome collettivo, indica la totalità delle persone o delle cose considerate: ‘nu trascurzo fatto a tuttu quante;à ‘mmitato tutte ll’amice suĵe â festa; tutte sanno ‘e fatte comme so’ gghiute; (un discorso rivolto a tutti quanti(i presenti); à invitato tutti i suoi amici alla festa; tutti sanno come si sono svolti i fatti);
| in funzione predicativa:’e pastarelle stanno tutte dint’â scatula; ‘e guagliune stevano tutte sturianno; (i biscotti sono tutti nella scatola; i ragazzi stavano tutti studiando)
| rafforzato da 'quanto' :’a prutesta s’allargaje a tutte quante ‘e prisente; ‘a classe fuje promossa tutta quanta; (la protesta si allargò a tutti quanti i presenti; fu promossa la classe tutta quanta) | seguito dalla congiunzione E e da un numerale cardinale, indica che un determinato numero di persone o di cose sono considerate nel loro complesso: tutt’ e dduje ‘e frate; tutt’ e ttre ‘e ssore; (tutti e due i fratelli; tutt'e tre le sorelle); essere, fà tutt'uno (essere, fare tutt'uno), essere una sola cosa, costituire un'unica entità | in usi ellittici:’na vota pe tutte (una volta per tutte), una volta per sempre; ‘nventarle, pensarle tutte (inventarle, pensarle tutte), tutte le astuzie, le trovate possibili.
3 riferito a un sostantivo pl., può anche valere 'qualsiasi, ogni': riceve ggente a ttutte ll’ore;’o ffaccio a ttutte ‘e coste;(riceve persone a tutte le ore; lo faccio a tutti i costi); | ‘e tutto punto (di tutto punto), compiutamente, in ogni particolare; perfettamente: viéstete ‘e tutto punto(vestiti di tutto punto)
4 con valore intensivo assume significato equivalente a quello degli avv. 'interamente, completamente': era tutta felice, cummossa; s’ appresentaje tutto zuzzuso; ‘a campagna era tutta verde; (era tutta felice, commossa; si presentò tutto sporco; la campagna era tutta verde);a vvederla tremmaje tutto; (a vederla rabbrividí tutto), in tutta quanta la persona | essere tutto ‘na perzpna(essere tutto una persona), somigliarle moltissimo: ‘a figlia è tutta mamma soja (la figlia è tutta sua madre)| essere tutto naso, tutt’uocchie, tutto vocca (essere tutto naso, tutt'occhi, tutta bocca) e sim., averli molto grandi.
| in usi fig.: essere tutt'uocchie, tutto recchie; (essere tutt'occhi, tutt'orecchi), guardare, ascoltare con moltissima attenzione; essere tutto ‘e ‘nu piezzo (essere tutto d'un pezzo), essere inflessibile, incorruttibile; essere tutto casa, chiesia e famiglia (essere tutto casa,chiesa e famiglia; essere interamente dedito alla casa, alla religione ed alla famiglia;
5 in altre locuzioni, con uso analogo a quello del punto precedente: tutto ô cuntrario(tutto al contrario), proprio il contrario, l'esatto contrario | tutt’ ato/auto (tutt'altro), ben diverso: songo ‘e tutt’ato parere (sono di tutt'altro parere); nelle risposte, usato assol., equivale ad una negazione decisa: "Sî stanco?" "Tutt'ato!" ("Sei stanco?" "Tutt'altro!") | ‘ntutto, (in/del tutto), assolutamente, interamente:s’è dichiarata ‘ntutto cuntraria (si è dichiarata del tutto contraria);
|| pron. indef.
1 ogni cosa, per lo piú con valore indeterminato: p’isso tutto è bbello; penzo a tutt’i’; mammà e papà èrano tutto pe nnuje; (tutto è bello per lui; penserò a tutto io; mamma e papà erano tutto per noi);quanno ce sta ‘a saluta ce sta tutto! (quando c'è la salute c'è tutto!), la salute è la cosa piú importante | primma ‘e tutto(prima di tutto), innanzi tutto, prima di ogni altra cosa | chesto è ttutto, (questo è tutto), non c'è altro da aggiungere | e nun è ttutto!; (e non è tutto!), c'è dell'altro | o tutto o niente (o tutto o niente),prendere o lasciare, alternativa drastica che si pone per respingere una soluzione intermedia o un compromesso | tutto sta ca, a (tutto sta che, a...), l'importante è che...; tutto dipende da...: tutto sta ca nun s’ ‘affenne;tutto sta a arrivà a ttiempo;(tutto sta che non si offenda; tutto sta ad arrivare in tempo) | sapé fà (‘e) tutto(saper fare (di) tutto), ogni genere di lavoro, di servizio | fà ‘e tutto pe...(fare di tutto per...), adoperare ogni mezzo, non lasciare niente di intentato: facette ‘e tutto pe salvarla(fece di tutto per salvarla);i’ faccio ‘e tutto, ma aggio paura ca nun ‘o faccio capace (io farò di tutto, ma temo che non lo convincerò | essere capace ‘e tutto(esser capace di tutto), di qualsiasi azione, soprattutto negativa | tutto summato(tutto sommato), in somma, in complesso: tutto summato nun ce putimmo lamentà (tutto sommato non ci possiamo lamentare) | tutto cumpreso(tutto compreso), senza spese aggiuntive: costa cientumila lire ô juorno tutto cumpreso (costa centomila lire al giorno tutto compreso).
2 pl. tutte le persone: ce stanno tutte, ma nun tutte ‘a penzano comme a tte(ci sono tutti; non tutti la pensano come te); cuntent’essa, cuntente tutte; tutte pe uno e uno pe tutte;(contenta lei, contenti tutti; tutti per uno, uno per tutti)
|| s.vo neutro. invar. l'intero, il totale; l'insieme, il complesso: multipricà ‘o ttutto pe mmille; te dongo ‘o ttutto ‘nfra pochi juorne; ‘a parte p’ ‘o ttutto; (moltiplicare il tutto per mille; ti darò il tutto entro pochi giorni; la parte per il tutto); | tentà ‘o ttutto pe tutto (tentare il tutto per tutto), rischiare il massimo, ogni cosa.
Etimologicamente voce dal lat. volg. *tuctu(m), per il class. totu(m) 'intero, tutto'
E veniamo demum a quelli che sono pronomi e solo pronomi indefiniti:
chiunche pron. indef. [solo sg. presente solamente nel parlato popolare, quale prestito con adattamento fonetico (que→che) del pron. indef. chiunque della lingua nazionale (dalla loc. lat. qui unquam, propr. 'chi talvolta')]
qualunque, qualsiasi persona; chicchessia: chiunche putesse farlo; nun è ccosa ‘a dicere a chiunche (chiunque potrebbe farlo; non è cosa da dire a chiunque)
|| pron. rel. indef. [solo sing] qualunque persona che:nun arapí chiunche arrivasse, ‘o ddico a chiunche voglio; (non aprire, chiunque arrivi; lo dirò a chiunque vorrò).
ognuno/a, , pron. indef. m.le o f.le [solo sg.,agglutinazione funzionale del lat. omn(is) + unu-m/una-m] ciascun uomo, ciascuna persona: ognuno tène ‘e ‘mpicce suĵe;ognuna po’ ffà chello ca faje tu;(ognuno à i suoi guai; ognuna può far quello che fai tu); seguito dal partitivo:ognuno, ognuna ‘e nuje, ‘e vuje (ognuno, ognuna di noi, di voi) | ognuno pe ssé e dDio pe tutte!(ognuno per sé e Dio per tutti!), esprime l'intenzione di badare solo al proprio interesse abbandonando gli altri a sé stessi ed a confidare in Dio.
quaccuno/a, pron. indef.m.le o f.le [solo sg. agglutinazione funzionale di quacc(he) + unu-m/una-m ; talora, nel medesimo significato è attestato anche come quaccheduno/a←quacche + d(e)+unu-m/una-m; corrisponde all’italiano qualcuno, ma mentre l’italiano si tronca davanti a consonante: qualcun di loro e si tronca davanti ad altro mentre si elide davanti ad altra: qualcun altro, qualcun'altra, il napoletano quaccuno/a non contempla forme tronche e si elide sempre sia al m.le che al f.le: quaccun’ato, quaccun’ata ] indica numero indeterminato ma di solito non grande; si riferisce sia a persone sia a cose: aggiu liggiuto quaccuno d’ ‘e libbre suĵe;si te serve quacche lappese ne puó truvà quaccheduno ‘ncopp’â scrivania mia;cunusce a quaccheduno ‘e ll’amice suĵe?; (ò letto qualcuno dei suoi libri; se ti occorre qualche matita ne puoi trovarne qualcuna sulla mia scrivania; tavolo; conosci qualcuno dei suoi amici?);sulo quaccuno riuscette a salvarse; (solo qualcuno riuscí a salvarsi), pochi; | può indicare anche una sola persona o riferirsi ad una cosa sola: quaccuno à bussato; nc’è quaccheduna ca t’aspetta;si telefonasse quaccuno, tieneme avvisato; (qualcuno à bussato; c'è qualcuna che ti aspetta; se telefonasse qualcuno, avvertimi); nc’è quaccuno?(c'è qualcuno?), entrando in una stanza o chiamando dall'esterno; quaccuno ‘e famiglia; (qualcuno di famiglia), una persona di famiglia; | seguito da altro, altra:ne tiene ‘a darme quaccun’ato?quacchedun’ato,quacchdun’ata ‘o putesse fà!; ne ài qualcun altro da darmi?; qualcun altro, qualcun'altra potrebbe farlo!;
||s.vo m.le e f.le persona importante: essere, addivintà, crederse quaccuno/a (essere, diventare, credersi qualcuno/a)
quaccosa/caccòsa/coccosa pron. indef. [solo sg. fusione di quac(che) + il lat. causa-m→quaccosa; questa voce à in quaccosa la morfologia letteraria e borghese ed una morfologia del parlato popolare e/o provinciale in caccòsa/coccòsa con mutazione della consonante occlusiva velare sorda (Q) nell’analoga l'occlusiva velare sorda (C) e trasformazione del nesso labiovelare (qua) in (co/ca).] indica in modo indeterminato una o alcune cose; quaccosa se po’ uttené;famme sapé quaccosa primma ‘e partí; pozzo fà caccòsa pe tte?; vuó vevere quaccosa?; spero ‘e ne caccià coccosa;meglio quaccosa ca niente;(qualcosa si può ottenere; fammi sapere qualcosa prima di partire; posso fare qualcosa per te?; vuoi bere qualcosa?; spero di ricavarne qualcosa; meglio qualcosa che nulla) | seguito da altro o da un compl. partitivo: tiene quaccos’ato ‘a dicerme?tengo coccosa ‘e meglio ‘a pruporte; (ài qualcos'altro da dirmi?; ò qualcosa di meglio da proporti); è ‘nu masterascia o caccòsa ‘e símmele; (è un falegname o qualcosa di simile); quaccosa me dice ca nun ce vene;(qualcosa mi dice che non verrà), ò un presentimento; è ggià quaccosa ca à azzettato d’avé tuorto (è già qualcosa che abbia ammesso di aver torto), non è poco;so’ riuscito a ‘ncassà sulo ‘nu melione, ma è ggià quaccosa; (sono riuscito a incassare solo un milione, ma è già qualcosa), è meglio che niente;à pavato ‘o quartino suĵo quaccosa comme a ciento meliune; (à pagato il suo appartamento qualcosa come cento milioni), nientemeno che; anche, all'incirca |essere quaccosa ‘e bbello, divertente,schifuso eccetera; (essere qualcosa di bello, divertente, disgustoso ecc.) , essere particolarmente tale: chillu criaturo e quaccosa ‘e straurdinario(quel bambino è qualcosa di straordinario) | quaccosa meno (‘e), quaccosa cchiú(‘e) qualcosa meno (di), qualcosa piú (di), (un po' meno (di), un po' piú (di)): è custato quaccosa meno (‘e diecemila lire) (è costato qualcosa meno (di diecimila lire); à pavato ‘nu melione e quaccosa(à speso un milione e qualcosa), sottintendendo di piú.
|| s.vo neutro cosa vaga, di aspetto indefinibile (spesso preceduto dall'art. indeterm.): nc’è quaccosa ca nun me cunvince; nc’è ‘nu quaccosa ca nun me piace dint’â faccia ‘e chella (c'è qualcosa che non mi convince; c'è un qualcosa che non mi piace sul volto di quella.)
R.Bracale Brak
IL VERBO PISCIÀ, I SUOI DERIVATI E LA FRASEOLOGIA
IL VERBO PISCIÀ, I SUOI DERIVATI E LA FRASEOLOGIA
Questa volta prendendo spunto dalla richiesta dell’amico carissimo D.C. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)che nel riportarmi il quesito d’ un suo amico, mi à chiesto di illustrare, chiarire ed esaminare il significato l’ uso e l’ origine di un’ antica espressione partenopea (cfr. ultra sub 1); prendendo spunto appunto da tale richiesta mi soffermerò a dire del verbo in epigrafe dei suoi derivati e della relativa fraseologia. Cominciamo dunque con il dire che il verbo piscià vale mingere, orinare
ed è derivato dal tardo lat. pitissare→pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);normale nel napoletano risoluzione in sci seguíto da vocale della consonante fricativa dentale sorda o sonora (s) sia scempia che doppia purché seguíta da vocale; e veniamo súbito alle voci derivate dal verbo per agglutinazione (In linguistica l’agglutinazione è la riunione in una sola unità grafica e fonetica di due o piú elementi lessicali originariamente distinti, ma che si trovano spesso insieme in un sintagma (per es., disotto←di sotto , disopra←di sopra , perlopiú←per lo piú, eppure←e pure , ecc.). Il processo, che come fatto grafico è frequentissimo in antiche scritture e che spesso rispecchia fedelmente l’effettiva realtà fonetica (come in ammodo, eppure, ovvero, sebbene, macché, pressappoco, ecc.), à molta importanza nell’evoluzione diacronica in quanto può dare luogo alla formazione di nuove parole, soprattutto per la fusione (détta in questi casi anche concrezione) dell’articolo o di una preposizione, come per es. il region. loppio (da l’oppio, un albero), l’avv. ant. incontanente (dal lat. tardo in continenti [tempore]), l’ant. e pop. ninferno (da [i] n inferno).Rammento ad abundantiam che ad una agglutinazione e falsa deglutinazione dell’articolo si devono le antiche varianti oncenso, onferno per incenso, inferno, sviluppatesi dalle forme lo ’ncenso, lo ’nferno, scritte e pronunciate loncenso→l’oncenso, lonferno→l’onferno)dicevo agglutinazione di una voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià/are) con un avverbio o un sostantivo. Abbiamo dunque
pisciasotto s.vo ed agg.vo m.le e f.le = letteralmente: chi/ che si minge addosso; la voce nasce come s.vo e vale in primis bimbo/a, piccolo/a; neonato/a, poppante, lattante; usato come agg.vo m.le e fem.le vale timido/a,debole, pauroso/a, pavido/a ; schivo/a, chiuso/a,introverso/a insicuro; etimologicamente la voce, come ò già cennato e qui preciso è formata dall’ agglutinazione della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià) con avverbio sotto (dal lat. subtus→suttus→sotto, deriv. di sub 'sotto'; il collegamento semantico tra i significati del sostantivo e quelli dell’aggettivo si colgono se solo si considera il fatto che chi è piccolo/a; neonato/a, poppante, lattante è di per sé timido/a,debole, pauroso/a, pavido/a etc e mai potrebbe essere coraggioso/a, audace, intrepido/a, ardito/a, impavido/a audace, disinvolto/a, sicuro/a, deciso/a;
piscianzogna s.vo ed agg.vo m.le e solo m.le= letteralmente: chi/che minge strutto; id est pubere, adolescente; non si tratta di un’iperbolicità divertente o ironica (atteso che non è dato a nessuno poter mingere sugna...), ma solo di una rappresentazione icastica di una manifestazione dell’età evolutiva: è allorché un ragazzo abbia raggiunto la pubertà e sia diventato adolescente che può dar luogo, per la prima volta, all’emissione di seme spermatico, quel seme che per il suo colore biancastro e la sua viscidità viene assomigliato allo strutto; etimologicamente la voce, come ò già cennato e qui preciso è formata dall’ agglutinazione della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià) con il s.vo ‘nzogna= sugna, strutto sostantivo sul quale mette conto io mi soffermi alquanto; preciso súbito che la voce napoletana ‘nzogna che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta, come ò fatto ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, ( cosí erroneamente scritto e non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancòra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
Prima di illustrare la fraseologia costruita con il verbo pisciare rammento che esiste un solo s.vo derivato dal verbo in esame che connota non una persona, ma un oggetto; si tratta del s.vo
pisciaturo s. m. impianto dotato di apparecchiature igieniche per orinare, per uso pubblico maschile, orinatoio;voce derivata dal part. pass. di piscià addizionato del suffisso uro/a suffisso deriv. dal fr. -ure, usato al maschile (uro)per formare sostantivi per oggetti (cfr. pisciaturo, ballaturo) o termini tecnici, chimici etc.ed al f.le (ura) per formare sostativi astratti (cfr. friscura,bruttura, pensatura).
E veniamo alla fraseologia costruita con il verbo in epigrafe; comincio
1)pisciarse dê rrisa letteralmente mingersi dalle risate cioè orinarsi addosso per il troppo ridere, id est scompisciarsi, sbellicarsi;
2)si pisce chiaro, ffa’ ‘e ffiche ô miedeco oppure 2 bis) si pisce chiaro futtatenneoppure fruculeatenne d’ ‘o miedeco = letteralmente nel primo caso Se mingi chiaro fa’pure gli scongiuri alla vista d’un medico o scherniscilo (perché non ne avrai bisogno); nel caso sub 2 bis Se mingi chiaro (addirittura) impípitane del medico (perché mai ne avrai bisogno);
fa’ ‘e ffiche! =fai le fiche!;fà ‘e ffiche= far le fiche è un gesto internazionale di scongiuro e/o di scherno dileggio che à una tradizione millenaria ed appartiene ad un po’ tutto il mondo; consiste nell’introdurre il dito pollice della mano destra serrata a pugno,tra l' indice ed il medio e tenerlo ben dritto accompagnando il gesto con l’agitar la mano con un movimento ripetuto dal basso in alto nell’intento di mimare il coito in atto; rammento in proposito che trattasi di gesto che è diffusissimo ed addirittura nei paesi dell’America meridionale (Brasile in testa) si è soliti produrre delle minuscole statuine apotropaiche in legno di bosso riproducenti il gesto che è stato ovunque abbondantemente studiato e commentato;qui mi limito a rammentare che un tempo in origine il gesto non ebbe significato di scherno o scaramantico, ma fu un palese invito all’atto sessuale rivolto da un uomo alla sua donna o ad un’occasionale conoscenza; va da sé che linguisticamente parlando ‘e ffiche è il pl. di ‘a fica che in napoletano è sí il s.vo f.le usato per indicare il frutto del fico, ma è altresí il s.vo f.le volg. che è uno dei numerosi sinonimi(cfr. alibi) sia del napoletano che dell’italiano dell’insieme degli organi genitali esterni femminili:1 vulva;semanticamente la fica= frutto del fico frutto rosso e carnoso è preso a riferimento per indicar la vulva , cosí come l’altrove usato pummarola = pomodoro, non perché la vulva sia edula come il pomodoro o il frutto del fico, ma perché sia la vulva che il pomidoro o il frutto del fico ànno il loro interno rosso vivo; | 2 (estens.) donna bella e desiderabile. Etimologicamente è voce dal lat. tardo fīca per fīcus «fico, frutto del fico»; il sign. fig. era già nel gr. σῦκον «fico».
futtatenne e fruculeatenne
Queste in esame sono due delle piú concise, ma icasticamente significative espressioni del parlar napoletano, espressioni che si sostanziano in due imperativi (2 pers. sg.) addizionati in posizione enclitica da un ne che è una particella pronominale o locativa atona corrispondente al ne dell’italiano; come pron. m. e f. , sing. e pl. è forma atona che in genere si usa in posizione piú spesso enclitica, ma talora anche proclitica (ad es. nun me ne parlà); mentre è sempre posposta ad altro pron. atono che l'accompagni (come nei casi in epigrafe); esso nelle espressioni in epigrafe vale di ciò; altrove (cfr. ad es. vattenne= vattene) à altra valenza (locativa), ma comporta sempre in tutti i casi il raddoppiamento espressivo della nasale per cui ne→nne.
Ma torniamo alle due espressioni in esame e dandone il significato che ovviamente necessiterà d’un giro di parole; il napoletano infatti spessissimo è piú stringato ed gli occorrono meno parole dell’italiano per esprimere incisivamente un concetto. Nella fattispecie sia con l’espressione fruculeatenne (che letteralmente è: stropicciatene!) sia con l’espressione futtatenne (letteralmente impípatene!) si intende quasi imporre oppure pressantemente consigliare (ed ecco perché è usato
l’ imperativo piuttosto che un piú morbido congiuntivo ottativo...) si intende consigliare, dicevo, colui cui venga rivolta una o ambedue le espressioni di impiparsi di un qualcosa, di tenere in non cale un’accadimento, una faccenda, di non curarsi, di infischiarsi di qualcuno o piú spesso di qualcosa.
Piú esattamente l’espressione fruculeatenne(che, mi ripeto letteralmente è: stropicciatene!) è potremmo dire un modo piú dolce e meno duro, quando non addirittura piú frivolo, per significare il medesimo concetto dell’espressione futtatenne che risulta essere piú dura, salutarmente sanguigna pur se addirittura becera; ambedue gli imperativi in epigrafe risultano, comunque incisivamente piú significativi del corrispondente algido impípatene della lingua italiana!
Ora consideriamo piú da presso le due espressioni e cominciamo con
- fruculeatenne come ò già detto si tratta di un imperativo (2ª pers. sg.) del verbo riflessivo fruculearse-ne/fruculiarse-ne= impiparse-ne; e vale morfologicamente esattamentestropícciati di ciò, impípa-tene; l’etimo del verbo fruculeà/fruculià affonda nel lat. fricare= strofinare, stropicciare ed estensivamente frantumare in piccoli pezzi ed è a questa estensione che occorre pensare per percorrere la via semantica seguíta per comprendere il passaggio tra il verbo latino inteso come frantumare in piccoli pezzi ed il napoletano fruculearse-ne/fruculiarse-ne= impiparse-ne; in effetti di qualcosa che venga frantumato in minutissimi pezzi, non vale mettere conto, interessarsene per modo che se ne può impipare tranquillamente, cioè quasi fumarsi nella pipa quei minutissimi pezzi.
E passiamo a
- Futtatenne! Anche per la voce a margine, come ò già détto, ci troviamo a che fare con una voce verbale e cioè con l’imperativo (2ª pers. sg.) del verbo riflessivo fotterse-ne= impiparse-ne, infischiarse- ne nella medesima valenza del pregresso fruculeatenne quantunque la voce a margine abbia rispetto alla prima voce in esame un’espressività piú dura, sanguigna, impetuosa, anzi addirittura becera atteso che col verbo di cui è imperativo non richiama la frantumazione di qualcosa in piccoli pezzi di cui disinteressarsi, ma molto piú sanguignamente – direi – chiama in causa una... pratica sessuale (il coito) quasi che la faccenda di cui disinteressarsi sia di nessun conto o non abbia nerbo per cui se ne possa con ogni tranquillità abusare quasi congiungendovisi in un ... rapporto sessuale. In effetti l’etimo del verbo fottere donde il riflessivo fotterse-ne e l’imperativo a margine affonda nel lat. futúere→fúttere (con tipico raddoppiamento della consonante antecedente la ú seguíta da vocale e ritrazione dell’accento) verbo che sta per coire, avere rapporti sessuali oltre che raggirare, imbrogliare. Semanticamente anche in questo caso, come per la precedente voce fruculeatenne occorre pensare che di qualcosa che venga impunemente posseduto carnalmente ad libitum, non vale mettere conto, interessarsene per modo che uno se ne può impipare tranquillamente come si terrebbe in nessun cale un fortuito rencontre con un’occasionale donna.
Preciso ancóra, ad abundantiam, che letteralmente la voce a margine vale Infischiatene, Non dar peso, Lascia correre, Non porvi attenzione. È il pressante invito a tenere i comportamenti indicati rivolto a chi si stia adontando o si stia preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Rammento che tale icastico, sanguigno invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un offensivo declassamento del loro santo e allora scrissero a caratteri cubitali sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano consigliare al loro santo patrono di non adontarsi per l’offesa ricevuta e rassicuralo, al contempo, che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma e Gli avrebbero in ogni caso tributato tutta la dulía che sin dal 305 anno del martirio del santo vescovo, gli era stata devotamente riconosciuta.
3)SUNNARSE E PISCIÀ DINT’Ô LIETTO = Letteralmente; sognare e mingere nel letto; id est: dar credito ai sogni, spaventarsene al segno di mingere tra le coltri, reputar vere le ombre, prender per sostanza le apparenze, scambiar sogni e realtà.
sunnarse = sognarsi trattasi del verbo sunnà =sognare addizionato come frequentente accade della particella pronominale se = si in funzione riflessiva, intensiva e/o espressiva]
1 vedere, immaginare in sogno: sunnà(sognare),sunnarse ‘nu cane a ddoje cape( sognarsi un cane a due teste); sognare, sunnarse ‘e vulà(sognarsi di volare); me songo sunnato ca ire partuto(ò sognato che eri partito);
2 raffigurare nella fantasia come reale; desiderare con viva immaginazione; vagheggiare: sunnarse ‘na bbella casa(sognarsi una bella casa);sunnarse ‘e addivintà ricco (sognarsi di diventare ricco) | con riferimento al carattere irreale dei sogni: nun m’ ‘’o ssonno nemmeno!( non me lo sogno neanche!), non ci penso neanche, non lo farei mai, oppure non posso nemmeno sperarlo; nun mme ll’aggiu sunnato!(non me lo sono mica sognato), è vero, è accaduto realmente; ‘a villa ô mare s’ ‘a sonna, s’ ‘a po’ sunnà!(la villa al mare se la sogna, se la può sognare!), non l'avrà mai; nun sunnarte d’ ‘o ffà(non sognarti di farlo), non farlo assolutamente, non pensarci neanche | con riferimento al carattere divinatorio attribuito ai sogni: nun putevo sunnarmelo(non potevo sognarmelo), non potevo saperlo; chi s’ ‘o ffósse sunnato?(chi se lo sarebbe sognato?) chi poteva prevederlo? ||| v. intr. [ pure in napoletano come accade per l’italiano il sognare(quale intr.) vuole l’aus. avere, mentre se costruito con la particella pron.,vuole l’aus. essere, ] fare sogni: sonna tutte ‘e nnotte(sogna tutte le notti);aggiu sunnato ‘e mamma mia (ò sognato di mia madre); me so’ sunnato d’ ‘e tiempe passate(mi sono sognato dei tempi passati) | me pare ‘e sunna(mi sembra di sognare), si dice di fronte a cosa straordinaria, imprevista o meravigliosa 'sunnà a uocchie apierte ( sognare a occhi aperti), fantasticare. Voce dal lat. somniare→sonniare→sunnà, deriv. di somnium 'sogno'.
dint’ô corrisponde all’italiano nel/nello. Al proposito rammento che con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle; dinto è dal lat. dí intro→d(í)int(r)o→dinto 'da dentro'.
4)PISCIÀ ‘NCOPP’Â SCOPA
Prima di illustrare, chiarire ed esaminare il significato, l’ uso e l’ origine dell’espressione in esame mi corre l’obbligo d’una precisazione: l’espressione in esame è molto datata, ma stranamente, di essa non si occupa compiutamente nessuno (con una sola eccezione, di cui dirò…), non si occupa nessuno dei numerosi addetti ai lavori o degli appassionati cultori della napoletanità e suoi usi, costumi ed espressioni linguistiche; nessuno: né il D’Ascoli, né Iandolo, né Zazzera, né altri;quest’ultimo (Zazzera) – per la verità – né dà una timida, e peraltro, erronea interpretazione (pur senza chiarire o argomentare) parlando di un generico rimedio da usarsi quale antidoto del nervosismo; l’unico che ne fa menzione nel suo IL NAPOLETANARIO è l’amico avv.to Renato de Falco, ma anche lui ne dà (e ne dirò in sèguito) una spiegazione erronea o quanto meno riduttiva.
Mi corre perciò l’obbligo di fare da solo, senza il supporto d’altre penne e/o idee. Pazienza, poco male! Non mi spaventerò per questo. Cominciamo con il dire che tradotta ad litteram l’espressione è: Mingere sulla scopa. e piú spesso è usata nella forma imperativa piscia ‘ncopp’â scopa! ossia mingi sulla scopa!
Orbene, lètta cosí semplicementenella morfologia con l’infinito, l’espressione parrebbe quasi sostanziare, come ipotizza l’amico Renato, un innocuo dispettuccio meschino ed insulso fatto ad altri, come ad esempio, aggiungo io, quello fatto da un ragazzino, un monello che redarguito, sgridato e rimbrottato si vendichi mingendo sulla scopa che forse è stata usata per accompagnare i rimbrotti con qualche sana percossa…
Ma le cose non stanno cosí perché l’espressione non è usata quale fatto di cronaca, ossia non è usata per riportare e riferire il comportamento inurbano, dispettoso e di risentimento di un bambino; tutt’altro! L’espressione è usata (nella morfologia imperativa) a sapido provocatorio commento all’atteggiamento d’ un adulto che si dispiaccia, si adonti di/per qualcosa che gli accada e che non sia di suo gradimento; chiarisco con un esempio. Poniamo che un individuo (maschio o femmina, ma piú spesso càpita con una femmina, adusa piú del maschio a risentirsi, mettere il broncio etc.) abbia ricevuto, da persona a cui non ci si possa opporre o con cui non si possa competere reagendo, abbia ricevuto, dicevo, un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto un danno ed ovviamente se ne dispiaccia, quando non se ne dolga o lamenti adontandosi e piccandosi, a costui/costei provocatoriamente gli/le si può opporre l’espressione dispettosa dell’epigrafe: E piscia ‘ncopp’â scopa! (Mingi sulla scopa!) che però non è lo stupido consiglio di reagire al rimbrotto, all’offesa, al danno con un dispettuccio infantile, quanto la piú seria esortazione a fare buon viso a cattivo giuoco, a sopportare, ad arrangiarsi, a tollerare adattandosi a ciò che avviene.
L’espressione di origine rurale, nasce prendendo spunto da un’antica pratica dei contadini che allorché dovevavo pulire l’aia provvedevano a bagnarla abbondantemente per evitare di sollevare polvere e quando non avevano sufficiente acqua per inumidire l’aia, si limitavano a bagnare la ramazza, ottenendo un risultato pressoché simile.
Nella fattispecie dell’esempio in esame l’uomo o piú spesso la donna che abbia ricevuto, da persona a cui non ci si possa opporre o con cui non si possa competere reagendo, un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto addirittura un danno,l’indivuduo che cioè non possa bagnare la sua metaforica aia, deve adattarsi a ciò che avviene tollerando, facendo buon viso a cattivo giuoco magari arrangiandosi ad inumidire con il proprio metaforico piscio una metaforica scopa. Posta cosí la faccenda l’espressione assume un significato ben piú pregnante del semplice dispettuccio infantile ipotizzato dall’amico Renato, dispettuccio che mal s’attaglia al comportamento di un adulto.
piscia = mingi
voce verbale ( qui 2ª p. sg.imperativo, altrove anche 3 ª p. sg. ind. pres. dell’infinito piscià = orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);
‘ncopp’â = sopra alla; è il modo napoletano di rendere la preposizione articolata sulla; rammento che con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto alibi e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e.
Per tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano sono rese rispettivamente con sotto, ‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente altresí che occorre sempre rammentare che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero; ora sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta o crasi della preposizione articolataa+’a= alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a +’a/’o/’e→’ncopp’â/ô/ê...) o sotto (sott’a. +’a/’o/’e→sott’â/ô/ê...)...) in mezzo (‘mmiez’ a. +’a/’o/’e→’mmiez’â/ô/ê...)..) vicino al/allo (vicino a ‘o/’a/’e→ vicinoâ/ô/ê ) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati calepini (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
scopa s. f. arnese di forma varia per spazzare il pavimento, in genere consistente in una sorta di grossa spazzola fatta di rami di erica o saggina, oppure di setole o di filamenti di materia plastica, su cui si innesta un lungo manico 'avé magnato ‘o maneco d’ ‘a scopa (aver mangiato il manico della scopa), (fig.) si dice di persona che cammina rigida e impettita |sicco comme a ‘na scopa (magro come una scopa), (fig.) molto magro; voce dal lat. scopa(s) di scopae -arum pl., perché fatta con i rami della pianta omonima.
5)PISCIÀ ACQUA SANTA P’ ‘O VELLICULO = espressione ironica se non sarcastica che letteralmente è: mingere acqua santa attraverso l’ombellico; id est: accreditare (per il gusto però di burlarsene, non di lodarlo) qualcuno di esser migliore di quanto sia in realtà ritenendolo addirittura capace di poter mingere in luogo dell’orina, dell’acqua lustrale attraverso un orifizio peraltro inesistente! La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di bontà se non di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che buoni, santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa.
velliculo = ombelico; l’etimo di velliculo è il medesimo di ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós 'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi della prima sillaba um, il passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.), il raddoppiamento espressivo della liquida nella sillaba li→lli e l’aggiunta di un suffisso diminutivo ulo/olo← olus.
6)VULÉ PISCIÀ E GGHÍ ‘NCARROZZA
Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.
per il verbo gghí = andare cfr. ultra sub 8).
7)vulé piscià tutte dint'ô rinale oppure vulé piscià tutto dint'ô rinale
Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il muro. Nella variante si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può depositare tutto l’orina nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
rinale s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale.
8) ‘A SCIORTA 'E CAZZETTA:JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.
La (cattiva) fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.
jette = andò voce verbale (3ª p.sg. pass. remoto dell’infinito jí= andare); il verbo jí merita una particolare attenzione: Il verbo italiano andare ( che etimologicamente qualcuno pensa derivi dal lat. ambulare o da un lat. volg. *ambitare, ma che molto piú esattamente sembra derivi da *aditare frequentativo di adire è verbo che à alcune forme che ànno per tema vad- derivando dal lat. vadere/vadicare 'andare') è reso,in napoletano, con derivazione dal lat. ire, con l’infinito jí/ghí e son numerose le locuzioni formate con détto infinito. Premesso che alibi ò esaminato qualcuna di tali locuzioni, preciso qui che in napoletano la grafia corretta dell’infinito è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!) rendere in napoletano l’infinito di andare con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!, seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di jí oppure, ove del caso ghí, li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª ps. pl che è lloro vanno.
9) PARLA SULO QUANNO PISCIA 'A GALLINA! Ad litteram: Parla solo quando orina la gallina! Perentorio icastico monito rivolto a chi (e segnatamente arroganti, saccenti o supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle faccende altrui; monito che è rivolto, prendendo (però erroneamente) a modello la gallina che pur non possedendo uno specifico organo deputato all’uopo, non è vero che non orini mai, ma compie le sue funzioni fisiologiche in un'unica soluzione attraverso un organo onnicomprensivo détto cloaca.
Analizziamo le singole parole, cominciando da
quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento; dal latino quando con tipica assimilazione progressiva nd→nn;
gallina:tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';
10) JÍ ASCIANNO CHELLO CA PISCIA ‘A QUAGLIA
Ad litteram: Andare in cerca, desiderare, agognare (solo) ciò che minga la quaglia. Ma va da sé che la ricerca o il bisogno, il desiderio, la brama, la cupidigia, la smania, lo struggimento, la bramosia di cui sia accreditato il protagonista dell’espressione non siano quelli che mirano al conseguimento degli escrementi liquidi di una quaglia. L’espressione, nel suo sotteso autentico significato traslato vale infatti: Andare in cerca, desiderare, agognare (solo) quanto di meglio o di piú ricercato e/o raro ci sia e ciò in riferimento al fatto che il il protagonista dell’espressione, quello cioè che va in cerca, desidera, agogna ciò che minge la quaglia è inteso incontentabile, pretenzioso, inappagabile. La faccenda semanticamente si spiega tenendo presente che la quaglia è un uccello migratore diffuso nelle regioni temperate, cacciato e/o allevato per le sue carni prelibate, ma di dimensioni veramente piccole di talché anche le sue deiezioni solide o liquide sono veramente parva res tanto da poterle ritenere scarse, sporadiche quasi rare accostabili per ciò ai desideri dell’ incontentabile che va alla ricerca del pregiato, del ricercato dello straordinario.
jí voce verbale inf. = andare; questo infinito del napoletano è una derivazione del lat. ire; con tale infinito jí/ghí nel napoletano esistono numerose locuzioni e per esse rimando alibi. Qui preciso solo che in napoletano la grafia corretta dell’infinito è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!) rendere in napoletano l’infinito di andare con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!, seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di jí oppure, ove del caso, ghí li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª pers. pl che è lloro vanno.
ascianno voce verbale gerundio dell’infinito asciare = andare alla ricerca (di qualcosa), ma farlo con intensa applicazione comportandosi quasi come un cane che annusi per trovare la traccia cercata; il verbo asciare donde il gerundio ascianno della locuzione deriva infatti dal latino adflare (annusare) con il tipico mutamento partenopeo FL in SCI come per il latino flos diventato sciore in napoletano o come flumen→sciummo oppure flacces→scioccele.
quaglia letteralmente quaglia voce usata per indicare il volatile di cui ò détto, ma anche, alibi, per indicare icasticamente un’ernia addominale, inguinale, o ombelicale, che abbia la tipica forma ad uovo dell’uccello còlto nella posizione di riposo con le alucce chiuse e raccolte su se stesso; la voce nap. quaglia è dall'ant. fr. quaille, che è forse dal lat. volg. *coàcula(m), di probabile orig. onomat. se non, piú acconciamente, da un latino parlato *quà(r)uala→quàglia che richiamava il verso dell’uccello;
11) E GGIÀ, MO MORE CHILLO D’ ‘E PPISCIATORE... NUN PISCIAMMO CCHIÚ!
Ad litteram: E già, ora muore colui (che fabbrica)gli orinatoi... non mingiamo piú!
Sarcastica espressione esclamatoria usata irridentemente in riferimento si ritenga o sia ritenuto tanto essenziale ed importante da far pensare che se venisse meno la sua operatività si produrrebbero nei terzi molto danno quasi che con il rifiuto da parte del soggetto messo alla berlina, di volere adempiere al proprio ufficio ai terzi fósse precluso di portare a compimento addirittura delle funzioni fisiologiche imprescindibili. Nella fattispecie dell’espressione si ipotizza sarcasticamente che decesso il fabbricante degli orinatoi, addirittura non sia dia piú corso alla minzione! Cosa ovviamente assurda ed impensabile donde l’accezione ironica, il senso caustico dell’espressione.
pisciatóre pl. f.le dels.vo m.le sg. pisciaturo
1 in primis e come nel caso che ci occupa
orinatoio pubblico,
2 per traslato caustico e furbesco uomo dappoco, cattivo soggetto,vile, inetto, incapace, incompetente, inesperto, buono a nulla. Voce dal lat. pisciatoriu(m); faccio notare che si è usato un plurale femminile di un s.vo maschile per indicare che ci si intende riferire non ai vasi da notte,a gli orinali domestici(che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. m.le pisciaturi), ma ci si intende riferire a gli orinatoi pubblici (che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. f.le metafonetico pisciatore e ciò in ottemperanza del fatto che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie è ovvio che gli orinatoi pubblici siano piú grandi dei contenuti vasi da notte, degli orinali domestici; per cui per indicare al plurale gli orinatoi pubblici si fa ricorso al pl. f.le metafonetico pisciatóre, mantenento per i contenuti vasi da notte, e gli orinali domestici il pl. m.le pisciaturi).
Qui giunto penso proprio d’aver soddisfatto l’amico D.C. ed interessato qualche altro dei miei ventiquattro lettori e metto un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale