domenica 31 maggio 2015
VARIE 15/443
1.LL'AVVOCATO FESSO È CCHILLO CA VA A LLEGGERE DINT' Ô CODICE.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice piuttosto che le norme comportamentali del vivere pacifico; id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che - certamente - sarà stata piú dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
2. GGATTA CA ALLICCA 'O SPITO, NUN CE LASSÀ CARNE P'ARRÓSTERE.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...
3.'O FRIDDO Ê BBUONE 'E SCUTULÉA, I Ê MALAMENTE S''E CARRÉA.
Ad litteram: il freddo percuote chi gode buona salute e porta via con sé chi sta male. Id est: i rigori invernali fanno comunque danno; per solito, in inverno, chi gode buona salute, finisce per ammalarsi, mentre chi è già malato corre il grave rischio di morire.
4. S’ À DDA ÓGNERE L'ASSO.
Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti.
5.È MMEGLIO FÀ 'MMIDIA CA PIETÀ.
Ad litteram: è meglio essere invidiati che essere oggetto di commiserazione; ed il perché è intuitivo, comportando l'invidia uno status di opulenza,tale da meritarsi l'invidia del prossimo, mentre il commiserato versa - per solito - in pessime condizioni.
6.'NU STRUNZO CA CADETTE A MMARE, VEDENNO 'NU PURTUALLO CA LLA GALLIGGIAVA, DICETTE: SIMMO TUTTE PURTUALLE!
Uno stronzo che cadde in mare, vedendo un'arancia che ivi galleggiava, easclamò: siamo tutti arance! A Napoli si suole ripetere questo proverbio per canzonare e commentare le azioni di tutti gli sciocchi, i supponenti e gli stupidi che pretendono di farsi considerare per ciò che non sono...
7.Ô RICCO LLE MORE 'A MUGLIERA, Ô PEZZENTE LE MORE 'O CIUCCIO.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio; morta la moglie il ricco non à da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il povero che à perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
8.PAZZE E CCRIATURE, 'O SIGNORE LL'AJUTA.
Ad litteram: pazzi e bimbi, Dio li aiuta. Id est: gli irresponsabili godono di una particolare protezione da parte del Cielo. Con questo proverbio, a Napoli, si soleva disinteressarsi di matti o altri irresponsabili, affidandoli al buonvolere di Dio e alla Sua divina provvidenza.
9.SI COMME TIENE 'A VOCCA, TENISSE 'O CULO, FACíSSE CIENTO PIRETE E NUN TE N'ADDUNASSE.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per bollare l'eccessiva verbosità di taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di chi - come si dice - apre la bocca per prendere aria, non per esprimere concetti sensati.
10.SI 'ARENA È RROSSA, NUN CE METTERE NASSE.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile. Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna ànno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
11.TENÉ 'E FRUVOLE DINT' Ô MAZZO.
Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole (dal latino fulgor con roticizzazione e successiva metatesi della elle, nonché alternanza metaplasmatica g→v o v→g come in gallo→vallo, gallina→vallina,vorpa→gorpa, vulio→gulio) sono i fulmini, le folgori.
12. RUMMANÉ Â PREVETINA O COMME A DON PAULINO
Rimanere alla maniera dei preti o come un tal don Paolino, indigente sacerdote nolano. Id est: Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, sacerdote nolano che, non avendo di che comprare ceri per celebrar messa, si doveva accontentare di tizzoni accesi.
Rammento altresí che anticamente (anni 1850 e ss.) con il termine prevetina si indicò una moneta= pari a 13 GRANI = 56,745 lire italiane; ebbe questo nome perché con essa si pagava la celebrazione d’ una messa piana e fu quindi moneta di pertinenza quasi esclusiva dei preti; va da sé che potendo un prete quotidianamente – per solito – celebrare una sola messa, non avesse da stare allegro contando per tutte le sue esigenze giornaliere sulla modicissima somma di una prevetina
13.TANTO VA 'A LANCELLA ABBASCIO Ô PUZZO, CA CE RUMMANE 'A MANECA.
Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto piú icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella (dal t. lat. lancula diminutivo di lanx) della locuzione è propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi dal secchio.
14.SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI CÒGLIE.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. È la locuzione invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da perizia.
15.'O PIEZZO CCHIÚ GRUOSSO À DDA ESSERE 'A RECCHIA.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il piú grande avrebbe dovuto essere l'orecchio.
16. ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica iperbolica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova.
Guallera s.f. = ernia (dall’arabo wadara= ernia)
Filosce s.n. pl. di filoscio = frittatina sottile (dal fr. filoche ← fil= sottile)
17. METTERE A UNO 'NCOPP' A 'NU PUORCO.
Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito di condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale affinché venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie. Questa abitudine era tipica della città partenopea dove v’era abbondanza di maiali che circolavano liberamente per strade e vicoli, allevati com’erano in libertà assoluta per esser poi destinati oltre che all’uso personale di chi li allevasse, anche come offerta ai monaci del TAU che conducevano nei pressi della chiesa di S. Antonio Abate (in piazza Carlo III) uno loro piccolo ospedale dove curavano affezioni dermatologiche usando pomate confezionate anche con il lardo dei maiali; altrove (ad es. a Roma) ci si serviva di asini.
18. SI ME METTO A FFÀ CAPPIELLE, NÀSCENO CRIATURE SENZA CAPA.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica.
19. A - NUN FÀ PÉRETE A CCHI TÈNE CULO.
B - NUN DÀ PONIE A CCHI TÈNE MANE.
I due proverbi in epigrafe, con parole diverse mirano in fondo allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salva di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salva. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani.
20. CHI SE FA MASTO, CADE ‘INT' Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
masto s.vo m.le =mastro, capoperaio,esperto d’un settore lavorativo; voce derivata dal lat. ma(gi)st(r )u(m)→masto;
mastrillo s.vo m.le = trappola per topi; voce derivata dal tardo lat. mustricula con cambio e maschilizzazione del suffisso diminutivo cula→illo ed alterazione espressiva della vocale nella sillaba d’avvio: u→a.
21. CHILLO SE ‘MPIZZA 'E DDETE 'NCULO E CACCIA 'ANIELLE.
Ad litteram: Quello si ficca le dita nel sedere e tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che, a mo’ di un prestidigitatore, è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili.
22. AVIMMO PERDUTO 'APARATURA I 'E CENTRELLE.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
aparature s.vo fle pl. di aparatura = addobbo; voce deverbale dal part.pass. dello spagnolo aparar che è dal lat. parare=preparare seguendo il percorso a (prefisso intensivo)+ paratu(m) + il suff. di pertinenza ura;
centrelle s.vo fle pl. di centrella = chiodino;
la voce centrella è un diminutivo del greco kéntron= chiodo.
23. 'A FEMMENA È CCOMME Â CAMPANA: SI NUN 'A TUCULIJE, NUN SONA.
Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la donna à bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma pure i propri istinti.
24. 'A FEMMENA BBONA SI - TENTATA - RESTA ONESTA, NUN È STATA BUONO TENTATA.
Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata –(non cede e) resta onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza del compito...
25. TRE CCOSE NCE VONNO P''E PICCERILLE: MAZZE, CARIZZE E ZZIZZE!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi:mazze (cioè busse), carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportano bene.
26. 'E PEJE JUORNE SO' CCHILLE D''A VICCHIAIA.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si ànno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che, del resto,con l’eccezione dei fortunatissimi, in vecchiaia non mancano mai...
27. DIMMÉNNE N'ATA, CA CHESTA GGIÀ 'A SAPEVO.
Ad litteram: raccóntamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se (come pare) ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi, vanificando il tuo operato.
29. FATTE CAPITANO E MMAGNE GALLINE.
Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: in genere chi sale di grado migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser salito di grado, cosí vedrai migliorato il tuo tenore di vita.
30.'E MARIUOLE CU 'A SCIAMMERIA 'NCUOLLO, SO' PPEJE 'E LL' ATE.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità.
mariuole s.vo m.le pl. di mariuolo = ladro, il mariolo, ed estensivamente la persona in genere disonesta anche quando non sia dedita al furto continuato; per ciò che attiene all’etimologia del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un etimo incerto, qualche altro (D.E.I.) propende per un antico aggettivo francese mariol = furbacchione,forse da collegare ad un’origine orientale (turca) donde forse anche il greco mod. margiólos= astuto, furbo etc. qualche altro ancóra lo legherebbe allo spagnolo marraio e marrullero = imbroglione, monello;la proposta del D.E.I.sarebbe interessante se si fermasse al francese mariol e non chiamasse in causa (senza specificarla!) un’origine turca, ma Carlo Battisti che si prese la responsabilità della lettera M evita di chiarire o precisare e con la sua proposta non mi convince per cui non mi sento di accoglierla, come non posso accogliere l’idea dello spagnolo marraio o marrullero morfologicamente troppo lontana da mariuolo e non chiarita nel percorso morfologico da seguire per pervenirvi; trovo invece molto interessante la scuola di pensiero (C. Iandolo) che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→marevuolo con sincope definitiva della v donde mareólo→ mareuólo e mariuólo
quantunque nel napoletano siano rintracciabili piú frequentemente delle epentesi consonantiche eufoniche ( n, v) infisse a mezzo dittonghi o iati, che delle sincopi.
sciammeria s.vo f.le = giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) in senso traslato e giocoso vale coito.Etimologicamente la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese càmbre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo càmberga sempre che non derivi dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, fu resa in italiano col termine giamberga da cui non è lontana sciammeria; personalmente trovo però piú convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona;
come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che, ripeto, per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo ed al proposito rammento che con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria onirica (nella smorfia napoletana è codificata al numero 64), è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, giacché probabilmente la loro fantasia notturna fu accesa dalla scena d’una unione sessuale, piuttosto che dalla visione d’una giacca da cerimonia!
Brak
VARIE 15/442
1 -TENÉ 'A VOCCA SPORCA
Ad litteram:tenere la bocca sporca Detto di chi, per abitudine parli facendo uso continuato ed immotivato di volgarità e/o parole sconce ed oscene al segno da restarne figuratamente con la bocca sporcata.
2 - TENÉ 'E CHIRCHIE ALLASCATE
Ad litteram:tenere i cerchi allentati Detto di chi, vacillandogli la mente, sragioni o abbia vuoti di memoria, alla stregua di una botte che per essersi allentati i cerchi contentivi delle doghe, vacilla e perde il liquido contenuto.
3 -TENÉ 'E GGHIORDE
Ad litteram:tenere la giarda Cosí ironicamente si usa dire di chi, pigro, infingardo e scansafatiche mostri di muoversi con studiata lentezza, tardo e dolente all'opera, quasi come i cavalli che affetti dalla giarda ne abbiano le giunture e il collo delle estremità ingrossati al punto da esserne impediti nei movimenti.
4 -TENÉ 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ P''A CAPA
Letteralmente: Avere le matite a quadretti per la testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratum (corrotto poi in lapis quadrellatum), seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali di piccole piramidi di tufo o altra pietra, tenendone la base rivolta verso l'esterno ed il vertice verso l'interno, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare fastidio e ... mal di testa per la tensione ed il nervosismo, quelli che figuratamente sono indicati con la locuzione in epigrafe.Ricorderò che erroneamente qualche scrittore di cose napoletane chiama in causa le matite o lapis propriamente detti, ed in particolare una pubblicità d'inizio del 20° secolo che mostrava una testa su cui erano conficcate a mo' di raggiera delle matite laccate a quadrettini neri e bianchi; ma atteso che la locuzione in epigrafe è molto antecedente all'epoca di quando ( ca. 1790) furono commercializzate le matite, ne discende che l'ipotesi è da scartare.
5 - TENÉ 'E PPALLE QUADRATE
Ad litteram:tenere i testicoli quadrati. Icastico ed iperbolico modo di dire usato ad encomio di chi appaia nel proprio agire solerte, pronto ed attento, dotato di efficaci capacità operative attribuite all'inusuale quadratura dei suoi testicoli che risultano sia pure figuratamente non banalmente sferici.
6 -TENÉ 'E PECUNE
Letteralmente si può rendere con: avere, mostrar di avere pronunciati pichi (quella sorta di punte presenti sulla pelle dei volatili, prodromiche dello spuntar delle piume); non esiste un termine corrispondente nell’italiano; l’espressione
vale: essere ormai o finalmente cresciuto/maturato mentalmente e/o caratterialmente; lo si dice di solito degli adolescenti che si mostrino piú maturi di quel che la loro età farebbe sospettare; di per sé ‘o pecone(che per etimo è un derivato in forma di accrescitivo (cfr. il suff. one) del francese pique/piqué= punta/tessuto a rilievo) è una sorta di punta che appare sulla pelle del corpo dei volatili, punta, come ò détto, prodromica dello spuntar delle piume/penne; l’apparire di tali punte dimostra che il volatile non è piú un giovanissimo impllume, ma è cresciuto e fisicamente evoluto, pronto ad affrontar la vita; per similitudine degli adolescenti che siano già o ormai maturi e si dimostrino scafati e cioè attenti, svegli e smaliziati, si dice che abbiano ‘e pecune (pl. di pecone), quantunque realmente sulla pelle degli adolescenti non si riscontrino punte simili a quelle dei volatili.
7 -TENÉ 'E PAPPICE 'NCAPA
Ad litteram:tenere i tonchi in testa Id est: sragionare, non connettere. Locuzione usata nei confronti di coloro che con parole o atti adducano nei rapporti interpersonali, ragionamenti non consoni, assurdi, sciocchi e pretestuosi, quasi fossero generati da teste i cui cervelli fossero assaliti e lesi nelle capacità raziocinanti dai tonchi quei minuscoli insetti che talora infestano i cereali in genere e la pasta in particolare.
8 - TENÉ 'E PPIGNE 'NCAPO
Ad litteram:avere le pigne in testa. Locuzione di identica valenza della precedente, usata però quando si voglia intendere che la mancanza di raziocinio è ritenuta esser dovuta ad una ipotetica violenza subíta, come potrebbe esser quella di sentirsi cadere in testa i duri stròbili del pino.
9 -TENÉ 'E RRECCHIE 'E PULICANO
Ad litteram:tenere le orecchie di pubblicano Locuzione dalla duplice valenza usata sia per indicare sia dotato di udito finissimo , sia - piú spesso per indicare coloro che stiano sempre, con l'orecchio teso attenti ad ascoltare ciò che accade a loro intorno, vuoi per informarsi, vuoi per non lasciarsi cogliere impreparati, comportandosi alla medesima stregua degli antichi esattori pubblici: pubblicani da cui per sincope è ricavato pulicano (pubblicano→pu[bb]licano→pulicano), pronti ad ascoltar qualunque cosa venisse detta in giro sul conto di chiunque, per non lasciarsi sfuggire un eventuale contribuente.
10 - TENÉ 'E RRECCHIE PE FFINIMENTE 'E CAPA
Ad litteram:tenere le orecchie per guarnimento della testa. Divertente locuzione di portata esattamente contraria alla precedente, che viene usata nei confronti di chi sia cosí duro d'orecchio da fare ritenere i loro padiglioni auricolari buoni solo per agghindare la testa.
11.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, TÈNE BBONI CCOSCE...
Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli derivanti dal proprio cattivo intendere.
12.METTERE 'O PPEPE 'NCULO Â ZÒCCOLA.
Letteralmente:introdurre pepe nell’ano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora ci si serviva in primis, come mezzo di trasporto, delle navi , capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci, attratti dalle granaglie, solcassero i mari grossi topi ( in napoletano zoccole al sg zoccola dal lat. sorcula diminutivo di sorex), che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie e poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa,si diverte e gode ad attizzare il fuoco della discussione fra terzi...
13.PURE 'E PULICE TENONO 'A TOSSE...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia vogliono esprimere il proprio parere.Espressione usata a sarcastico commento delle risibili azioni di chi mancando di forza e/o argomenti voglia ugualmente farsi notare esprimendo (ovviamente a sproposito) pareri o giudizi in ordine ad accadimenti cui assistano o passivamente partecipino.
14.DICE BBUONO 'O DITTO 'E VASCIO/ QUANNO PARLA DELLA DONNA: “UNA BBONA CE NE STEVA/ E 'A FACETTENO MADONNA...”
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: “Ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna...” Id est: La donna, in quanto tale, è un essere inaffidabile - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'MPARAVISO del grande poeta Ferdinando Russo che pose le parole sulla bocca di sant’Antonio Abate.
15.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi, adattandosi alle circostanze. La locuzione è usata altresí a sapido e divertito commento di situazioni in cui regni l’inopia piú grande tale da costringere, ad esempio, un povero curato a celebrar messa illuminando l’altare con un economico tizzone ardente e non con i previsti costosi ceri …Altrove questa situazione è riferita ad un tale don Paolino, indigente sacerdote nolano.
16.JAMMO, CA MO S'AIZA!
Muoviamoci ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare.E fu altresí l’invito che l’imbonitore rivolgeva a chi stazionava fuori dei teatrini affinché si decidessero ad entrare acquistando il biglietto. Oggi lo si usa per esortare all’azione in modo generico nell'imminenza di una qualsiasi attività per la quale occorre prepararsi.
17.CHELLO È BBELLO 'O PRUTUSINO, VA 'A GATTA E NCE PISCIA ‘A COPPA...
Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra! – Espressione da intendersi, per la prima parte, in senso antifrastico;si tratta in realtà dell’amaro commento di chi si trova in una situazione già di per sé precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...
17bis .CHELLA MUGLIEREMA È BBELLA,CE VUó TU CA ‘A ZENNIJE...
Quella mia moglie è bella, ti ci metti anche tu che le ammicchi! – Espressione analoga alla precedente da intendersi,anche questa, per la prima parte, in senso antifrastico atteso che realisticamente nell’espressione non si fa riferimento all’avvenenza della moglie di chi parla, quanto al fatto spiecevole di una consorte propensa al tradimento[cosa eufemisticamente nascosta sotto il termine bella];anche nell’espressione in esame si tratta di amaro commento, quello di un marito che si duole della probabile infedeltà della moglie, la quale, a maggior disdoro,è fatta oggetto di attenzione e tentazione da parte di un terzo che le faccia l’occhiolino. Insomma ci troviamo nella medesima situazione illustrata sub 7, situazione già di per sé precaria nella quale chi è in istato di soccombenza non solo non riceve aiuto per migliorarlo, ma si imbatte in chi lo peggiora maggiormente...
zennije voce verbale (2ª p. sg. ind.pr. dell’infinito zennià = cennare, ammiccare, fare l’occhiolino, richiamare, far segni v. intr. [ dal lat. tardo *cinnare «ammiccare»].
18.QUANNO VIDE 'O FFUOCO Â CASA 'E LL'ATE, CURRE CU LL'ACQUA Â CASA TOJA...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura.
19.GIORGIO SE NNE VO’ JÍ E 'O VESCOVO
NN' 'O VO’ MANNÀ.
Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno per rispetto o per timore dell’altro à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
20.FA MMIRIA Ô TRE 'E BASTONE.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare addirittura l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato da un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio, mascherone sovrastante l'incrocio di tre nodosi randelli.
21.SI 'A FATICA FOSSE BBONA, 'A FACESSENO 'E PRIEVETE.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente). Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto erroneamente, attività che non implica lavoro.
22. AVIMMO CASSATO N' ATU RIGO 'A SOTT' Ô SUNETTO.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni di per sé non abbondanti...
23.È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO I 'E MACCARUNE 'A COPPA.
È finito il cacio di sotto ed i maccheroni al di sopra. Cioè:La situazione si è voluta in maniera contraria alle attese e/o alla loicità; si è rivoltato il mondo.Normalmente infatti il cacio grattugiato dovrebbe guarnire dal di sopra una portata di maccheroni, non farle da strame.
24. À FATTO MARENNA A SSARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.In senso esteso: non à ottenuto dalla propria azione i risultati sperati…e si è dovuto contentare di risibili risultati.
25. FÀ LL'ARTE 'E MICHELASSO: MAGNÀ, VEVERE E GGHÍ A SPASSO.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
26.SO' GHIUTE 'E PRIEVETE 'NCOPP'Ô CAMPO
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:un tempo, quando era loro concesso, i preti erano comunque costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...
27.NUN VULÈ NÈ TIRÀ, NÈ SCURTECÀ...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità; locuzione mutuata dall’atteggiamento di taluni operai conciatori di pelli quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla scuoiatura.
28. PURTA'E FIERRE A SSANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa napoletana di sant'Eligio ( nei pressi di piazza Mercato) i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
29.'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE 'NU PURTONE.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
30. NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E GGHÍ A SFOTTERE Ô BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che pur mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si voglia ergere e ci si erge ad ipercritico e spaccone.
31.ACQUA O FUOCO,FUJE PE CQUANTO AJE LUOCO!
Ad litteram:Acqua o fuoco,scappa per quanto spazio ài. Id est:
Due sono le minacce che bisogna temere in assoluto: l’alluvione o l’incendio allontanandosene il piú possibile.
32.LASSA CA VA A FFUNNO ‘O BBASTIMENTO, BBASTA CA MORENO ‘E ZZOCOLE !
Ad litteram : Lascia pure che la nave affondi, purché si sterminino i ratti. Espressione usata in riferimento a chi non si faccia scrupoli di sorta pur di raggiungere lo scopo che si è prefisso.
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1 -TENÉ 'A CAZZIMMA – TENÉ 'A CAZZINCULARÍA
Premetto súbito che le due voci in epigrafe sono essenzialmente del parlato e pertanto di difficilissimo reperimento nei calepini del napoletano,con una qualche eccezione riferibile ai pochi linguisti che, sia pure con comprensibili limitazioni, pescano le voci non soltanto negli autori d’antan, ma pure nel parlato (in effetti, nella fattispecie solo nei lessici degli amici prof.Carlo Iandolo ed avv.to Renato de Falco ò potuto reperire la voce cazzimma, ma in nessuno ò trovato cazzincularía che pure è voce usatissima nel gergo giovanile popolare…). Ma essendo intenzionato di illustrare le due voci farò da solo senza il supporto degli amici… Cominciamo:
Cazzimma: s.vo f.le astratto intraducibile; con la voce a margine usata nell’espressione “tené ‘a cazzimma” si indica l’asprezza comportamentale, la proditoria gratuita cattiveria, la malevola furbizia quasi levantina (che non è indice di intelligenza,come taluno vorrebbe far credere, ma di innata cattiveria…) sempre prevaricante di colui o coloro che vessa/no i meno dotati fisicamente e/o moralmente al fine di sopravanzarli e godere dei frutti conquistati marmaldeggiando.
Etimologicamente si tratta di una parola costruita addizionando il termine cazzo (che – come noto - è da un gergo marinaresco greco: (a)kation=albero della nave [ qui semanticamente inteso quale…strumento di proditoria offesa]) con il suff. collettivo/ dispregiativo.. imma che continua, con raddoppiamento espressivo della bilabiale (M) il latino imen. Ribadisco qui che l’azione prevaricante e l’asprezza comportamentale indicate dalla voce cazzimma sono atteggiamenti indici di cattiveria innata e/o gratuita non determinata da cause o motivi scatenanti, da far risalire esclusivamente al bagaglio caratteriale dell’individuo cazzemmuso (cioè aduso alla cazzimma). Ben diversa è la voce cazzincularía s.vo f.le astratto intraducibile, che pur rappresentando il medesimo atteggiamento comportante un’azione prevaricante condita di asprezze comportamentali,proditorie offese, furbizie malevoli, scaltrezze astiose, à una ben determinata origine che non è da far risalire esclusivamente al bagaglio caratteriale dell’individuo che agisce con cazzincularía, ma bisogna andare a ricercare in un qualche torto súbito da tale individuo, torto del quale egli pare voglia rivalersi in una sorta di rappresaglia verso tutto il mondo. E quale è il torto subíto che lo spinge alla vendetta? Si tratta di una vera o, piú spesso, ipotizzata, figurata sodomizzazione di cui l’individuo che agisce con cazzincularía sia rimasto vittima; in effetti la parola etimologicamente riproduce, attraverso l’addizione delle parole cazzo + in + culo + il suffisso tonico (r) ía dei nomi astratti, il tipo di torto subíto dall’individuo che agendo con cazzincularía cerca ora di ripagarsi di ciò che realmente o figuratamente abbia dovuto sopportare.
In coda rammento che la voce cazzincularía è spesso attestata, sempre nel parlato, come cazzancularía con un’evidente assimilazione progressiva vocalica di tipo popolare per la quale la i di cazzi si assimila alla a dando cazza cosí come accade nell’italiano dove càpita che talora l’assimilazione vocalica sia regressiva cfr. ad es. tenaglie ma attanagliare.
E mi pare che, una volta fatte le mie rimostranze verso i vocabolaristi che evitano di trattare talune sanguigne voci come queste in epigrafe…, possa bastare ed i miei abituali ventiquattro lettori e qualche altro che dovesse leggere queste paginette, possano dirsi soddisfatti.
Rammento in coda che talvolta la locuzione tené ‘a cazzimma si imbarocchisce aggiungendole lo specificativo:
d''e papere australiane (delle oche australiane), specificazione però inutile e non comprensibile atteso che non è dato sapere che le oche di quel continente siano prevaricatrici o particolarmente furbe.
2 -TENÉ 'A CIMMA 'E SCEROCCO
Ad litteram: tenere la sommità dello scirocco Id est: essere nervoso, irascibile, pronto a dare in escandescenze, quasi comportandosi alla medesima maniera del metereopatico condizionato dal massimo soffio dello scirocco.
3 -TENÉ 'E CAZZE CA CE ABBALLANO PE CCAPA
Ad litteram: tenere i peni che ci danzano sulla testa Icastica anche se becera locuzione con la quale si intende chiarire d’ essere preoccupati al massimo, aver cattivi crucci che occupano la testa, sostenendo che ipotetici peni significanti gravi preoccupazioni ci stiano danzando in testa per rammentarci quelle inquetudini.
4 -TENÉ 'A MAGNATORA VASCIA
Ad litteram: tenere la mangiatoia bassa Id est: non avere alcuna preoccupazione economica, e ciò non per proprii meriti, ma per cause derivanti dall’appartenenza a famiglia facoltosa, o per esser sodali di amici e/o parenti munifici e comportarsi irresponsabilmente in maniera prodiga, quando non eccessivamente dispendiosa, non badando alle spese.
5 -TENÉ 'A NEVE DINT'Â SACCA
Ad litteram: tenere la neve in tasca ma meglio nel sacco. Detto di chi si mostri eccessivamente dinamico o frettoloso e sia restio a fermarsi per colloquiare, quasi dovesse raggiungere rapidamente una meta prefissasi prima che si sciolga l'ipotetico ghiaccio tenuto in tasca.Va da sé che trattasi di un’espressione iperbolica attesa la impossibilità di poter realmente portare in tasca della neve o ghiaccio (basterebbe infatti il solo calore del corpo, per farli sciogliere…).
Questa riportata è la spiegazione che normalmente e popolarmente si dà dell’espressione e non è una spiegazione del tutto erronea: in realtà però, chiarisco che piú precisamente la fretta e la dinamicità sottese nell’espressione son quelle dei cosiddetti nevari cioè degli addetti al trasporto della neve che prelevata nei mesi invernali in altura (Vesuvio, Somma, Faito, Matese e monti dell’Avellinese) veniva olim dapprima conservata in loco in grotte sottorranee dove gelava e poi all’approssimarsi dell’estate, stipata in sacche di iuta veniva trasporta velocemente a dorso di mulo nelle città e paesi per rinfrescare l’acqua e fornire la materia prima per la confezione dei gelati.
Da tanto si ricava che il termine sacca sta ad indicare non solo la tasca di un abito, quanto e qui piú acconciamente (con derivazione da un lat. parlato *sacca(m) femminilizzazione del classico lat. saccu(m), che è dal gr. sákkos, di orig. fenicia), un grosso recipiente di tela spesso cerata lungo e stretto, aperto in alto, usato per conservare o trasportare materiali incoerenti, o comunque sciolti. Il passaggio dal maschile sacco al femminile sacca si rese necessario perché – come ò piú volte annotato - in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso, se maschile, piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella e, nella fattispecie, la sacca per la neve risultava piú grossa d’un normale sacco.
6 -TENÉ 'A PAROLA SUPERCHIA
Ad litteram: tenere la parola superflua. Détto di chi parli piú del dovuto o sia eccessivamente logorroico, ma anche di chi, saccente e suppunente, aggiunga sempre un' ultima inutile parola e nell'ambito di un colloquio cerchi sempre di esprimere l'ultimo concetto, perdendo -come si dice - l'occasione di tacere - atteso che le sue parole non sono né conferenti, né utili o importanti, ma solo superflue.
superchia agg.vo f.le del maschile supierchio = eccedente, superflua/o, eccessiva/o (dal lat. volg. *superculu(m), deriv. di super 'sopra' ).
7 -TENÉ 'A PÓVERA 'NCOPP' Ê RECCHIE
Ad litteram: tenere la polvere sulle orecchie Icastica locuzione usata a Napoli per indicare chi sia o - soltanto - sembri, per la voce e/o le movenze, un diverso accreditato di avere le orecchie cosparse di una presunta polvere , richiamante quella piú preziosa, in quanto aurea, ,che usavano per agghindarsi gli antichi dignitarî messicani e/o peruviani cosí apparsi ai conquistatori ispanici. La locuzione in epigrafe, a Napoli viene riferita ad ogni tipo di diverso, sia al ricchione (pederasta attivo), che al femmeniello (pederasta passivo); ques’ultimo, nel gergo della parlesia malavitosa fu détto anche fegàto/fecàto (chiara corruzione, per semplificazione, di fregato→f(r)egato = posseduto carnalmente.
8 - TENÉ 'A PUZZA SOTT' Ô NASO
Ad litteram: tenere il puzzo sotto il naso Detto di chi, borioso, tronfio e schizzinoso assuma un atteggiamento di ripulsa, quello di chi avendo un puzzo sotto il naso, non lo riuscisse a tollerare.
9 - TENÉ A UNO APPISO 'NCANNA o altrove PURTÀ A UNO APPISO 'NCANNA
Ad litteram: tenere uno appeso alla gola o altrove portare uno appeso alla gola Locuzioni simili, ma di significato opposto: positivo il primo e negativo il secondo; l’espressione di valenza positiva si usa per significare di avere una spiccata preferenza per una persona, quasi portandola al collo a mo' di preziosa medaglia benedetta; in quella di valenza negativa la locuzione è usata per indicare una situazione completamente opposta a quella testé segnalata, quella cioé in cui una persona generi moti di repulsione e di fastidio a mo' di taluni pesanti, tronfi monili che messi al collo, finiscono per infastidire chi li porti.Chiarisco qui che per meglio determinare la valenza della locuzione, quella positiva è segnalata dall'uso del verbo purtà (portare), quella negativa dall'uso del verbo tené (= tenére/sopportare).
10 -TENÉ A CQUACCUNO APPISO A LL'URDEMO BUTTONE D''A VRACHETTA
Ad litteram:tenere qualcuno appeso all'ultimo bottone della apertura anteriore dei calzoni.
Id est: Avere e mostrare aperta repulsione nei confronti di qualcuno al segno di considerarlo fastidioso elemento da poter - figuratamente - sospendere, per vilipendio, all'estremo bottone della brachetta anteriore dei calzoni.
11 -TENÉ A QUACCUNO 'NCOPP' Ê PPALLE
Ad litteram:tenere qualcuno sui testicoli Id est: Cosí, beceramente, si esprime chi voglia fare intendere di nutrire profonda antipatia ed insofferenza nei confronti di qualcuno al segno di ritenerlo, sia pure figuratamente, assiso fastidiosamente sui propri testicoli.
12 -TENÉ 'A SÀRACA DINT' Â SACCA o anche TENÉ 'A QUAGLIA SOTTO
Ad litteram:tenere la salacca in tasca o anche averela quaglia sotto
Icastiche locuzioni, usate alternativamente per indicare la medesima cosa e cioè: tentare inutilmente di nasconder qualcosa ; nel primo caso infatti è impossibile celare di avere in tasca una maleodorante salacca ; il suo puzzo l'appaleserebbe súbito; nella variante è ugualmente improbo, se non impossibile nascondere di essere affetto da una corposa, voluminosa ernia (quaglia) inguinale .
13 -TENÉ 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE
Ad litteram:tenere il destino di Cazzetta: si dispose a mingere ed il pene cadde in terra.
Divertente locuzione usata però a bocca amara da chi voglia significare di essere estremamente sfortunato e perseguitato da una sorte malevola al segno di non potersi iperbolicamente permettere neppure le piú normali funzioni fisiologiche, senza incorrere in gravi, irreparabili disavventure quali ad es. la perdita del pene.
14 -TENÉ 'A SCIORTA D''O PIECORO CA NASCETTE CURNUTO E MURETTE SCANNATO
Ad litteram:tenere il destino del montone che nacque becco e morí squartato.
Locuzione che, come la precedente viene usata da chi si dolga del proprio infame destino, qui rapportato a quello del montone che nato cornuto (per traslato: tradito) finisce i suoi giorni ucciso.
15 -TENÉ 'A SALUTE D''A CARRAFA D''A ZECCA
Ad litteram:tenere la salute (consistenza) della caraffa della Zecca.
Id est: essere molto cagionevoli di salute al segno di poter essere figuratamente rapportati alla estrema fragilità della ampolla di sottilissimo vetro, (la cui capacità era di litri 0,727) ampolla che marcata, tarata e conservata presso la Regia Zecca Napoletana era la unica atta ad indicare la precisa quantità dei liquidi contenuti ed alla sua capacità dovevano uniformarsi le ampolle poste in commercio.
16.QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente,soprattuto quando le scuse non son richieste, significa che si è colpevoli.
17.QUANNO SI 'NCUNIA STATTE E CQUANNO SI MARTIELLO VATTE
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ci è favorevole.
18.MIÉTTELE NOMME PENNA!
Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, come sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non restituisce ciò che à ottenuto in prestito. A maggior conferma del fatto si usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la moglie; a margine rammento che con il nomme penna si intese nel napoletano anche una vilissima monetina che si spendeva con facilità, senza remore o pentimenti; la moneta détta penna ebbe il valore esiguo di 1 carlino, questa stessa moneta per il motivo ricordato è ricollegabile al détto qui esaminato: miéttele nomme penna (chiamala penna) in riferimento appunto ad ogni cosa che si potesse facilmente perdere o cedere senza lasciar tracce di remore o dispiaceri; la monetina s’ebbe il nome di penna giacché su di una delle facce (verso) v’era effigiata un’ala pennuta, quella dell’arcangelo Gabriele che sul dritto era il protagonista dell’Annunciazione.
19.FÀ 'O FARENELLA.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli(Andria, 24 gennaio 1705 – † Bologna, 16 settembre 1782),, ma prende le mosse dall'àmbito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú tanto giovane ed allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla piú economica farina.
20.À FATTO 'O PIRETO 'O CARDILLO.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienza non può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
21.PIGLIARSE 'O PPUSILLECO.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue forse frutto di incauti incontri con donne di non specchiata virtú.
22.NUN LASSÀ 'A VIA VECCHIA P''A VIA NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NNUN SAJE CHELLO CA TRUOVE!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci e ignori ciò che trovi. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
23.PRUTUSINO OGNE MMENESTA
Ad litteram:prezzemolo in ogni minestra Cosí, con linguaggio mutuato dall'arte culinaria viene indicato l'accanito, onnipresente presenzialista aduso ad intervenire in ogni consesso, in ispecie a quelli dove non sia stato invitato, lí esprimendo, a maggior disdoro, il suo parere non richiesto e comportandosi quasi come il prezzemolo erba aromatica presente a volte anche casualmente in quasi tutte le salse e le minestre della cucina partenopea.
prutusino s.vo neutro = prezzemolo, erba aromatica,pianta erbacea biennale, rustica, dicotiledone, largamente coltivata per le sue foglioline composte di colore verde lucente a margini frastagliati, usate in cucina per le proprietà aromatiche (fam. Ombrellifere) etimologicamente lettura metatetica dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'
24.ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FFÈTE.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
25.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINT’ A 'NU PURTUSO!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno ben visibile come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.L’espressione rammenta una cerimonia in uso nell’antica Roma repubblicana allorché il Sommo sacerdote, a fini eponimi, soleva ad inizio d’anno infiggere un chiodo in una delle pareti del tempio di Giano.
26.ASTIPATE 'O MILO PE CQUANNO TE VÈNE SETE.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire subito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
27.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE 'NCHIUSE E MIEDECE GUALLARUSE!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
28.AJE VOGLIA 'E METTERE RUMMA, 'NU STRUNZO NUN ADDIVENTA MAJE BBABBÀ.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
29.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altrove si dice: ‘a morte nun tène crianza... (la morte non à educazione), per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
30. PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
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1.CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
2. ARMAMMOCE E GGHIATE.
Letteralmente: armiamoci, ma andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al pericolo; come son soliti fari troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.
3. A - CANE E CCANE NUN SE MOZZECANO B- CUOVERE E CUOVERE NUN SE CECANO LL'UOCCHIE.
Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO B- CORVI E CORVI NON SI ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, intendosi sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
4.CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SAPONE.
Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del sapone per bucato[détto sapone ‘e piazza, preparato artigianalmente]; quei rigattieri per il fatto di dare sapone erano detti sapunare.
5.TENÉ 'A SÀRACA DINT' Â SACCA
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca (aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna.
6.T'AGGI''A FÀ N'ASTECO ARETO Ê RINE...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per asteco (dal greco óstrakon→ostakon→asteco) a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente era formato con abbondante coccio e/o lapillo vulcanico ammassato all'uopo e poi violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana.
7.ÒGNE ANNO DDIO 'O CUMANNA
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
8. PE GGULÍO 'E LARDO, METTERE 'E DDETE 'NCULO Ô PUORCO.
Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le mani nell'ano del porco. Id est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío attestato anche come vulío= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío/vulío non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la parola gulío/vulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies divenuta (a)rraggia.
9.SCIORTA E MMOLE SPONTANO 'NA VOTA SOLA.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
10.LL'ARTE 'E TATA È MMEZA 'MPARATA.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni si vedano la strada spianata laddove invece al redde rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico.
11.ATTACCARSE Ê FELÍNIE.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
Felinie = s.vo f.le pl. del sg. felinia = fuliggine, ragnatela dal lat. med. felinea per il class.fuligo.
12. JÍ FACENNO 'O GGIORGIO CUTUGNO.
Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e guappesca alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli. Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria tracotante anche davanti al proprio re.
13. 'NCASÀ 'O CAPPIELLO DINT' Ê RRECCHIE.
Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie ossia calcarlo in testa con tanta forza che il cappello con la sua tesa faccia quasi accartocciare i padiglioni auricolari. A Napoli, l'icastica espressione fotografa una situazione nella quale ci sia qualcuno che vessatoriamente, approfittando della ingenuità e disponibilità di un altro richieda a costui e talvolta ottenga prestazioni o pagamenti superiori al dovuto, costringendo - sia pure metaforicamente - il soccombente a portare un supposto cappello calcato in testa fin sulle orecchie.
14. ROMPERE 'O NCIARMO.
Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a situazioni che per potersi mutare hanno bisogno di decisione e pronta azione in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu per venire a capo della faccenda. La parola nciarmo= magia, fascino, incantesimo non deriva dal lat. in+ carmen ma da un francese
n(eufonico) + charme→ciarmo→nciarmo
15.'NGRIFARSE COMME A 'NU GALLERINIO.
Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india (da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato.
16. PASSA 'A VACCA
Ad litteram: passa la vacca In realtà l'espressione che di solito è usata assieme all'altra: fa acqua 'a pippa (vedi alibi) viene usata per indicare un chiaro, inequivocabile stato di indigenza, una incommensurabile inopia quando manchi tutto e non si abbiano mezzi per procurarsi alcunché.Come facilmente intuibile, i bovini non c'entrano nulla con la lucuzione che è piú semplicemente corruzione di un latino medioevale: passant vacua/passat vacua espressione usata dai doganieri medioevali per segnalare quel/quei carro/i transitante/i vuoto/i di merci e dunque non soggetto/i al pagamento di balzelli.
17. PASSÀ CU 'A SCOPPOLA
Ad litteram: passare con lo scappellotto Id est: godere di un' entrata di favore, avere un avanzamento non meritato, sopravanzare gli altri immeritatamente La locuzione si rifà a quanto accadeva anticamente all'ingresso del teatro dei Pupi allorchè in presenza di una ressa di ragazzi sprovvisti di biglietto e della moneta per procurarselo, il custode usava favorire qualcuno di quei ragazzi e lo spingeva in sala assestandogli un piccolo scappellotto.
scoppola s.vo.f.le = scappellotto, colpo assestato alla sommità della nuca capace di far saltar via un copricapo; voce formata da S [distrattiva] + coppola s.vo.f.le (berretto concavo con visiera; diminutivo del lat. cuppa-m).
18. PASSARSE 'A MANA P''A CUSCIENZA
Ad litteram: passarsi la mano sulla coscienza Id est: farsi un accurato esame di coscienza prima di prendere decisioni ostili o lesive degli interessi altrui, interrogandosi seriamente se il comportamento che si intende tenere sia giusto, adatto e commisurato a quel cui si vada ad opporre, ma soprattutto chiedendosi se si è moralmente scevri da quei difetti che, con la nostra azione, si vorrebbe combattere.
19. PASSARCE PE CCOPPA
Ad litteram: passarci al disopra Id est: sorvolare, non tener conto di qualcosa, non darvi peso, superarlo quasi come un piccolo ostacolo da poter agevolmente saltare.
20. PAVÀ A CCAMMISA SUDATA
Ad litteram: pagare a camicia sudata Id est: accordare il compenso solo a lavoro ultimato quando la camicia sudata dimostrerà che ci si è impegnati nel lavoro pattuito. Per traslato la locuzione si usa quando si voglia stabilire in un contratto il conferimento della controprestazione, come è giusto che sia, solo dopo l'avvenuta prestazione.
21. PENZ' Â SALUTE
Ad litteram: pensa alla salute Id est: non crucciarti soverchiamente, non porti domande, occupati in primis et ante omnia del tuo stato di salute che non deve patire a causa delle quisquilie che ci occupano e che ti preoccupano eccessivamente ed immotivatamente.
22. PE GGHIONTA 'E RUOTOLO
Ad litteram: per aggiunta al rotolo Id est: come se non bastasse; locuzione usata con un amaro senso di rammarico quando ad un imprevisto danno si accompagni una ancor più deleteria beffa; l'espressione richiama anche se in modo antifrastico quella gratuita giunta di merce che gli onesti e liberali venditori solevano concedere ai clienti più bisognosi affiancandola al rotolo, tipica misura di peso che nel napoletano corrispondeva a circa 900 grammi.
23. PE TTRAMENTE
Nel mentre che, intanto che, nel frattempo che; locuzione temporale avverbiale derivata dal latino: dum- intèrea divenuta dom-mentre poi drommente ed infine tramente, usata per indicare la contemporaneità di due azioni di cui l'una si verifichi nel mentre sia in corso l'altra.
24.PRUTUSINO OGNE MENESTA
Ad litteram:prezzemolo in ogni minestra Cosí, con linguaggio mutuato dall'arte culinaria viene indicato l'accanito, onnipresente presenzialista aduso ad intervenire in ogni consesso, in ispecie a quelli dove non sia stato invitato, lí esprimendo, a maggior disdoro, il suo parere non richiesto e comportandosi quasi come il prezzemolo erba aromatica presente a volte anche casualmente in quasi tutte le salse e le minestre della cucina partenopea.
prutusino s.vo neutro = prezzemolo, erba aromatica,pianta erbacea biennale, rustica, dicotiledone, largamente coltivata per le sue foglioline composte di colore verde lucente a margini frastagliati, usate in cucina per le proprietà aromatiche (fam. Ombrellifere) etimologicamente lettura metatetica dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'
25.PEZZENTE SAGLIUTO
Ad litteram: povero rimpannucciato Cosí viene appellato chi, notoriamente povero ed indigente, sia improvvisamente ed inopinatamente assurto ad uno status emergente; di tali poveri che abbiano asceso di colpo la scala sociale, è bene diffidare, in quanto poco raccomandabili.
pezzente s.vo ed agg.vo m.le e f.le mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di grande miseria: jí vestuto comme a ‘nu pezzente(andare vestito come un pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il pezzente). Si tratta di unavoce di orig. merid., pervenura anche nell’italiano, ed etimologicamente è propriamente il part. pres. del napol. pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. pètere 'chiedere'
26.PIGLIÀ ASSO PE FIJURA
Ad litteram: prender asso per figura Id est: Detto di chi incorre in un grossolano, sciocco errore, confondendo due elementi d'aspetto e valenza completamente diversi; locuzione mutuata dal giuoco delle carte napoletane nel quale giuoco solo un giocatore molto inesperto ed incapace può incorrere nell'errore di confondere l'asso con il fante o il cavallo o il re.
27.PIGLIÀ 'A BANCA 'E LL'ACQUA P''O CARRO 'E PIEREROTTA oppure PIGLIÀ 'A SPUTAZZA P''A LIRA 'ARGIENTO.
Ad litteram: confondere il banco della mescita dell'acqua per il carro della festa di Piedigrotta oppure confondere uno sputo per una lira di argento Locuzione con cui si indicano sesquipedali errori in cui incorrono soprattutto gli stupidi ed i disattenti atteso che, per quanto coperto di elementi ornativi il piccolo banco dell'acquaiolo non può mai o meglio, non poteva mai raggiungere l'imponenza di un carro della festa di Piedigrotta, né mai un volgare sputo può esser confuso con una moneta d'argento.Per altri macroscopici errori vedi alibi.
28 PIGLIARLA 'E LISCIO
Ad litteram: prenderla di liscio, scivolare, slittare id est: prendere uno scivolone e ciò in senso reale, ma anche figuratamente riferito alla incapacità di porsi un freno dando una adeguata regolata alle azioni o al discorso.
29 PIGLIÀ CU 'E BBONE o all'inverso PIGLIÀ CU 'E TTRISTE
Ad litteram: pigliar con le buone; id est: trattar qualcuno con buone maniere, con dolcezza, nel tentativo di ottener quello che se chiesto cu'e triste ovvero le maniere forti, probabilmente non si otterrebbe.
30. AIZÀ ‘A MANO
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere
L’ espressione che viene usata quando si voglia fare intendere che si è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto del sacerdote che al momento di assolvere i peccati , alza la mano per benedire e mandar perdonato il penitente pentito.
Brak
VARIE 15/439
1-'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
2. - 'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PPARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che hanno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
3. -'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
4 -STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLL’Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca ha montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
5. -QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÌTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe così cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
6. 'O DULORE È DDE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TTÈNE MENTE.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! - affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
7. 'O FATTO D''E QUATTO SURDE.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
8. A 'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIÀVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
9.CHI VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce. Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi risultati diversi o migliori.
10. AMMORE, TOSSE E ROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
11. 'MPÀRATE A PPARLÀ, NO A FFATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere che la disincantata osservazione della realtà ci costringe a stabilire che è piú opportuno fondare la propria esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro (FATICA); in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo.
12. CHI TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SE LU MAGNA.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio- che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o consuma tutto il messo da parte.
13 'A sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi erigere un palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ). Il termine chiancarella è un diminutivo derivato del lat. planca (asse di legno)lo stesso termine che diede dritto per dritto il napoletano Chianca (macelleria/rivendita di carne) perché un tempo la carne era esposta e sezionata su di un asse di legno.
14 -'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
15 -'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorre.
16.SPARTERSE 'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota , divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
17. ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire di coloro - specialmente uomini - che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
18. AVENNO, PUTENNO, PAVANNO.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando. Strana locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
19.AMMESÚRATE 'A PALLA!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; non fare il gradasso!: Rènditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te, derivanti dalle tue errate azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
20. VULÉ ‘O COCCO AMMUNNATO E BBUONO…
Si tratta di una divertente espressione che fu antica nel suo significato originario casto ed ironico, ma che fu poi letta successivamente (anni postbellici) attribuendole un senso sarcastico, furbesco se non volgare. Illustro dapprima il significato originario casto ed ironico,per poi soffermarmi sul significato furbesco.
In primis ed ad litteram l’espressione si traduce : volere l'uovo sgusciato e buono ( id est: pronto per esser mangiato).
Detto ironicamente di chi sia cosí tanto scansafatiche, poltrone, lavativo da non volersi impegnare neppure nei piú piccoli lavori e preferisca esser servito di tutto punto; nella fattispecie il cialtrone di turno non intende sottostare neppure alla risibile fatica di sgusciare un uovo bollito...
Il cocco della locuzione in effetti non è il frutto della pianta tropicale, ma semplicemente l'uovo che, con voce gergale fanciullesca, è chiamato cocco richiamandosi al noto verso della gallina: cocco(dè);
l'aggettivo buono unito al precedente aggettivo ammunnato (mondato,sgusciato)è usato in questa e simili costruzioni( es.:cuotto e bbuono, pronto e bbuono) del parlar napoletano non per significare la bontà del sostantivo cui è riferito, quanto per designare l'immediata fruibilità del medesimo sostantivo di riferimento; qui nel caso dell'uovo, una volta che sia mondato del guscio, viene buono per esser súbito mangiato.
E passo ad illustrare il significato furbesco che fu attribuito all’espressione negli anni postbellici (1944 e ss.), allorché, a seguito dell’intervento liberatorio degli alleati anglo-americani, la città di Napoli fu invasa da militi cui, in cambio di poche am-lire, generi di prima necessità (pane, pasta, cioccolato, grasso alimentare etc.) e/o generi di voluttà (liquori, tabacchi etc.), le giovani e meno giovani donne popolane si concedevano;orbene, atteso che (nel linguaggio gergale dei militi anglo-americani) il membro maschile è détto cock (lètto alla napoletana cocco atteso che l’idioma napoletano rifugge da termini terminanti per consonante e – nel caso lo siano – è d’uso adattarli con la paragoge d’ una vocale finale (a/e/o) di timbro evanescente) ecco che con l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… non ci si riferí piú a chi fosse cosí infingardo da non voler neppure accollarsi la fatica di sgusciare un uovo,ma ci si riferí piuttosto a quelle tali sfacciate popolane che, pur di ottenere qualche lira e generi di vettovagliamento per sé e la propria famiglia, non disdegnavano di concedersi anche in assenza di qualsiasi protezione: condom, profilattico, guanto che fósse e l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… venne intesa appunto volere il fallo, l’asta (anche) nudo di protezione...incurandosi del pericolo di infezioni e/o gravidanze indesiderate; in tale nuova accezione poi l’espressione venne riferita a chiunque, pur di ottenere qualcosa, non mettesse in conto pericoli o insidie, azzardi,incognite; va da sé che in tale seconda lettura il termine cocco non fu piú voce onomatopeica usata per indicare l'uovo, voce richiamante il verso della gallina, ma fu l’aperta palese corruzione/adattamento – come ò détto - dell’anglo-americano cock = membro maschile.
Raffaele Bracale
sabato 30 maggio 2015
PETTEGOLA, INTRIGANTE & dintorni
PETTEGOLA, INTRIGANTE & dintorni
L’amica A.C. (i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) reduce dalla lettura d’alcune mie, a suo dire interessanti paginette sotto il titolo di Epiteti(nelle quali trattavo alcuni termini napoletani corrispondenti al pettegola dell’italiano), mi à chiesto se in napoletano (oltre quelli già illustrati ne esistano altri di pari significato. Accontento lei e forse qualche altro dei miei ventiquattro lettori esaminando altre parole napoletane sinonimi di pettegola; lo faccio non senza soffermarmi dapprima sulla voce di partenza: pettegola e poi sui sinonimi dell’italiano; abbiamo dunque:
pettegola agg.vo e talora s.vo f.le (al m.le pettegolo)
1si dice di persona che parla spesso con morbosa curiosità e con malizia di fatti e comportamenti altrui: una donna pettegola
2 proprio di persone pettegole: chiacchiere pettegole
come s.vo [f. -a] persona pettegola: è un gran pettegolo.
Non tranquillissima l’etimologia: appare alquanto forzata (anche per il D.E.I.) una proposta derivazione dal ven. petegolo, affine all'it. peto, per allusione all’incontinenza verbale delle persone pettegole; come pure incoferente appare l’accostamento a píthecus= scimmia, accostamento che non spiegherebbe il suffisso; meglio optare, con il Caix (Napoleone Caix (Bozzolo, MN 1845-†ivi 1885), linguista, docente di dialettologia e lingue romanze comparate presso il Regio Istituto di studi superiori di Firenze) per una derivazione quale deverbale dal lombardo betegar= altercare; betegar a sua volta mi appare costruito sul s.vo gotico bíga→bega con infissione di una sillaba (te) durativa e suffisso verbale are/ar ; da betegar→petegar e petegolare/pettegolare donde pettegolo;
ciarlona, agg.vo e talora s.vo f.le (al m.le ciarlone) voce non comune: che, chi à l'abitudine di ciarlare molto; chiacchierone. Etimologicamente deverbale di ciarlare (voce onomatopeica)= parlare a lungo e senza alcun costrutto; chiacchierare, cianciare
chiacchierona, agg.vo e talora s.vo f.le (al m.le chiacchierone)voce piú comune della precedente e del medesimo significato nonché di simile etimo (deverbale di chiacchierare) trattandosi anche per la voce a margine di voce onomatopeica
Intrigante, agg.vo e talora s.vom.le e f.le
1 chi avviluppa, chi intricare: intrigare una matassa
2 (fig.) chi turba, chi imbarazza: Quel silenzio di Oreste la intrigava (CAPUANA)
3 (fig.) chi/che affascina, chi/che interessa, chi/che incuriosce: un film che intriga lo spettatore;in funzione intransitiva. [aus. avere] chi si dà da fare, tramando imbrogli, per ottenere qualcosa; chimacchina: intrigare per avere un posto, una nomina ||| in funzione rifl.( intrigarsi) chi si intromette in faccende poco chiare o che possono creare fastidi; chi si impelaga: intrigarsi in un brutto affare | (fam.) chi si impiccia, chi si immischia: intrigarsi dei, nei fatti degli altri. Etimologicamente part. pres. di intrigare che è variante di intricare , (dal lat. intricare, comp. di in- 'in-1' e un deriv. di tricae -arum (pl) 'intrighi, imbrogli') variante di origine sett. (per la g al posto della c); non manca poi un influsso del fr. intriguer.Dall’esame dei significati della voce a margine si evince che essa solo per ampliamento semantico à il significato proprio di pettegola , atteso che chi di chi si impiccia, chi si immischia soprattutto delle faccende altrui, per solito lo fa logorroicamente e maliziosamente nell’intento di penetrare gli argomenti di cui voglia interessarsi.
Linguacciuto/a, agg.vo m.le o f.le
1che à la lingua lunga;
2 pettegolo/a, maldicente;
per l’etimo è un derivato di linguaccia (peggiorativo di lingua che è dal lat. lingua(m)); linguaccia è
1 il gesto del tirar fuori la lingua per scherno: fare le linguacce
2 (fig.donde l’aggettivo che ci occupa) persona pettegola, maldicente.
maldicente, agg.vo e talora s.vom.le e f.le
che, chi ama sparlare degli altri per malignità o per leggerezza; quanto all’etimo è dal lat. maledicente(m), part. pres. di maledicere 'dir male';
Esaurite cosí le voci dell’italiano, passiamo a quelle del napoletano:
banchèra=agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che l’eventuale corrispondente maschile banchiere nel parlato comune non indica un venditore al minuto, ma un impiegato di banca(istituto di credito); banchera ad litteram è venditrice al minuto che lavora servendosi di un banco/bancone tenuto all’aperto sulla pubblica via, venditrice che essendo in contatto con molte persone può – come la successiva capèra - diventar pettegola, propalatrice di notizie; etimologicamente è voce derivata da banche plurale di banco (che è dal germ. *bank 'sedile di legno' ) + il suffisso femm. di pertinenza era o al maschile iere;
capèra s.vo e talora agg.vo f.le e solo femminile = ad litteram: pettinatrice a domicilio ed estensivamente: pettegola, propalatrice di notizie raccolte in giro e riportate magari corredate di falsità aggiunte ad arte alle originarie notizie conosciute durante l’itinerante lavoro; etimologicamente è voce derivato dal lat. volg. *capa(m) (testa) + il suffisso femm. di pertinenza era (al masch.èra diventa iere (es.: ‘a salum+èra, ‘o salum+iere));
caiazza agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile; il maschile caiazzo è attestato solo come s.vo (maschio della gazza), mai come aggettivo; come sostantivo la voce a margine indica appunto la gazza, pica, uccello dei corvidi; come agg.vo vale per traslato donna pettegola ed ignorante etimologicamente è voce derivata dal lat. gaia = gazza etc. c.s.con aggiunta del suffisso dispregiativo azza/azzo che accanto ad assa/asso continuano i lat. acea/aceus donde gli italiani accia/accio;
cajotela/cajotula agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile; (un maschile cajotulo non è attestato né come s.vo, né come agg.vo) = donnicciuola pettegola adusa a andarsene in giro a raccogliere e propalare notizie,ma pure donna plebea, becera, sporca che emani cattivo odore e per ampliamento: donna lercia di facili costumi; semanticamente la seconda accezione si spiega con un supposto etimo da cajorda (che è ipotizzato dall’ebraico hajordah) = puzzola; ma piú che caiorda pare che la voce di partenza debba essere una sia pure non attestata *chiajorda con riferimento a donna abitante la Riviera di Chiaia un tempo strada molto sporca, covo di gente malfamata; tuttavia mi pare molto difficile, morfologicamente parlando, pervenire a cajotela/cajotula sia che si parta da cajorda che da chiajorda. Ecco perché penso che sia preferibile l’ipotesi etimologica che collega le voci cajotela/cajotula al basso latino catula= cagna. In questo caso sarebbero salve sia la morfologia (da catula con consueta doppia epentesi vocalica (epentesi tipica delle lingue meridionali) io→jo facilmente si giunge a cajotula) sia la semantica ( è nell’indole della cagna priva di padrone, vagabondare latrando (cfr. spettegolando) e concedendosi ai randagi (cfr. donna di facili costumi);
ciantella, agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile ciantiello= uomo di poco conto, è poco attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune; la voce a margine à un primo significato che è: ciabattina, pianella, pantofola, ed un secondo significato estensivo: donna volgare, becera, ciana, pettegola,sudicia e sguaiata semanticamente risalenti alla ciabatta del primo significato che usata continuatamente come calzatura portata strisciando i pavimenti risulta sudicia, consunta che è sguaiata; etimologicamente la voce a margine è un diminutivo (cfr. il suff. ella) di *cianta (dal lat. planta= pianta del piede);normalmente in napoletano il passaggio del lat. pl + vocale dà chi (cfr. plaga→chiaja – platea→chiazza – clavum→chiuovo) ed in effetti esiste in napoletano derivato dal lat. planta= pianta del piede, la voce chiantella = suoletta interna delle scarpe di talché nel derivare sempre dal lat. planta= pianta del piede, la voce a margine si preferí eleminare la consonante diacritica h ottenendosi ciantella da non confondere chiantella e per eleminare ogni dubbio si mutò la la consonante occlusiva dentale sorda (t) con la corrispondente occlusiva dentale sonora (d) pervenendo a ciandella molto piú usata di ciantella nei significati di donna volgare, becera, ciana, pettegola,sudicia e sguaiata;
funnachèra agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile funnachiero= uomo di poco conto,volgare è poco attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;letteralmente abitante, frequentatrice di un fondaco, il fondaco(in napoletano fúnneco) fu, dalla seconda metà dell’ ‘800, ai primi del ‘900, un locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima;ma anche estensivamente un cortilaccio o vicolo cieco circondato di abitazioni da povera gente, ed addirittura una zona poverissima ed insalubre della città ( a Napoli ne esistettero fino ai primi del 1900, a dir poco una settantina (tra i quali il famoso Funneco Verde cantato da Salvatore Di Giacomo) ubicati quasi tutti nella città vecchia segnatamente nelle zone del Porto e Pendino e spesso detti fondaci prendevano il loro nome da quello degli artieri che vi aprivono bottega: es: funneco verde =fondaco degli ortolani, funneco ‘a ramma fondaco dei ramai) con costruzioni fatiscenti e malsane; quindi la funnachèra quale abitante o frequentatrice di un fondaco, connota una donna di bassa condizione civile , intesa becera, volgare, triviale; etimologicamente voce denominale di fúnneco che è derivato dall'arabo funduq (attraverso lo spagnolo fúndago(con assimilazione progressiva nd→nn e variazione di tipo popolare della occlusiva velare sonora g con la piú aspra e dura occlusiva velare sorda c):altra ipotesi etimologica è che tale fondaco: 'alloggio, magazzino', possa derivare dal gr. pandokêion(pan=tutto, dokomai=accolgo)ed in tal caso fondaco varrebbe oltre che magazzino anche locanda, albergo pubblico; da fondaco e funneco '+ il solito suffisso femminile di pertinenza era scaturisce funnachera;
marammé/ sié marammé, esclamazione o agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che un corrispondente maschile si’ marammé= uomo volgare, lamentoso etc. non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;letteralmente la voce marammé è una interezione che vale: povera me!, me sciagurata!mentre in unione con sié in posizione proclitica disagglutinata è s.vo nel significato di signora misera-me!, pettegola piagnona come colei che vada in giro lamentandosi continuamente di vere o piú spesso infondate,finte sciagure che quotidianamente la perseguitino; etimologicamente l’interiezione marammé è parola formata dall’agglutinazione di mara ( da e per (a)mara(m)) con me forma complementare tonica del pron. pers. io che
1 si usa come compl. ogg., quando gli si vuole dare particolare rilievo, e nei complementi introdotti da preposizioni: cercano proprio a mme; parlavano ‘e me; l'à cunzignato a mme; a mme nun me ne ‘mporta; è venuto a ddu me ajere; l'à fatto pe mme;
2 si usa come soggetto nelle esclamazioni e nelle comparazioni dopo come e quanto: povero a mme!; maro a mme!; nun sî comme a mme;
3 si usa come compl. di terminein presenza delle forme pronominali atone lo, la, li, le e della particella ne, sia in posizione enclitica sia proclitica: me ‘o dicette; me ll’ à date n’ ata vota(me li à restituiti; me nn’ à fatte tante e tante; mannàtemmello(mandatemelo); parlammenne(parlamene).
Nella forma di sostantivo la voce marammé è unita in posizione proclitica, disagglutinata con la voce sié= signora (sié è infatti l’apocope ricostruita di signora dalla voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-(gneuse);ricordo che il maschile di tale sié è si’= si(gnore); spesso càpita però che per macroscopico errore colpevole(tanto piú colpevole quando chi sbaglia sia un addetto ai lavori (poeti/scrittori partenopei,ritenuti o autoaccreditati di esserlo) tali si’ e sié vengon letti zi’ e zié→zi’ che sono invece l’apocope di zio e zia che sono dal lat. thiu(m)/thia(m) e dunque voci affatto diverse da signore e signora che son voci di rispetto, ma generiche rispetto a zio/zia che indicano un chiaro rapporto parentale che di norma manca nel rapporto interpersonale dei soggetti indicati come signore o signora;
‘mpechera, agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile ‘mpechiero= uomo di poco conto,volgare, intrigante non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;letteralmente donna intrigante, inframmettente, pettegola, che non disdegni – a maggior cordoglio – il raggiro, l’imbroglio nel tentativo di impicciarsi dei fatti altrui, impegolandovisi. La ricerca dell’etimo della voce’mpechera a margine non mi appare complicatissiva; vi leggo molto chiaramente un deverbale del greco empleko=intratesso, intreccio addizionato dal solito suffisso di competenza era; la caduta della e iniziale di empleko giustifica il segno d’aferesi con cui preferisco scrivere ‘mpechera al posto del semplificato mpechera (come sbrigativament e raffazzonatamentee suole fare qualcuno di quei poeti e/o scrittori di cui antea) dove la m d’avvio priva d’aferisi potrebbe indurre qualcuno a ritenerla non etimologica, ma mera aggiunta eufonica come càpita per la n di nc’è per c’è;
‘ntapechèra agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile ‘ntapechiero= uomo di poco conto,volgare, intrigante non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;letteralmente donna intrigante, inframmettente, pettegola, che non disdegni, anzi cerchi la trama, il raggiro, l’imbroglio; è voce etimologicamente affatto diversa da ‘mpechera quantunque la morfologia, ad un esame superficiale, potrebbe far pensare il contrario; in effetti la voce a margine per l’etimo non è da collegarsi al greco empleko=intratesso, ma al s.vo ‘ntàpeca = imbroglio, frode, raggiro; a ‘ntàpeca si è aggiunto il suffisso di riferimento èra che à reso necessario l’epentesi della h per render gutturale il suono della c (che è palatale se seguíta dalla e) secondo il percorso ‘ntàpec(a)+h +èra→’ntapechèra; ‘ntapeca = imbroglio, frode, raggiro è da un tardo lat. (a)ntapoca→’ntapoca→’ntapeca marcata su di un greco antapochē;
nciucessa, agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile nciucisso = uomo di poco conto,volgare, intrigante non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune se non talora solo per dileggio nei confronti di inaffidabili uomini (che sono adusi a propalare in giro i fatti del prossimo, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece dai pettegoli viene bellamente disattesa!...) solitamente vengono bollati con termini quali parlettiere,mastrisso spallettone e similari ;letteralmente la voce nciucessa vale: donna pettegola, seminatrice di discordia, maldicente, diffamatrice, calunniatrice;etimologicamente si tratta di un deverbale di nciucià = pettegolare, far della maldicenza, diffamare verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il parlottìo tipico di chi confabuli.
dal verbo nciucià è ricavata anche la voce nciucio Partendo dalla premessa che trattasi di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di nciucessa, nciucio e nciucià non deriva da un in→’n illativo, ma è una semplice consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel caso di nc’è per c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti incolti, illetterati poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano) chi scrive ‘nciucessa, ‘nciucio o ’nciucià con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi (‘); a margine rammento poi che è l’italiano ad aver derivato [seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo ritenuto la n d’avvio, un residuo di in( erroneamente ricostruito e mantenuto)]; è l’italiano, dicevo che à derivato inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dall’ inciucio italiano (nel qual caso sí che sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio);
’ndrammera/’ntrammera, , agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile ‘ntrammettiere= uomo ,volgare, intrigante,pettegolo non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica ed abbondantemente desueta; letteralmente valse: donna pettegola ed intrigante, inframmettente, linguacciuta, che tesse trame; etimologicamente delle due grafie riportate la seconda (ntrammera) appare quella piú esatta e con ogni probabilità originaria atteso che risulta formata da una consonante eufonica n protetica del s.vo trama (con raddoppiamento espressivo della nasale bilabiale m) e con il suffisso di pertinenza èra; l’altra grafia (ndrammera) è palesemente ricavata dalla originaria ntrammera attraverso la sostituzione della consonante occlusiva dentale sorda t con la piú dolce consonante occlusiva dentale sonora d;
palazzola, agg.vo e talora s.vo f.le e ora solo femminile atteso che il corrispondente maschile palazzuolo= è desueto e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;letteralmente la voce a margine fu coniata, quale denominale della voce palazzo, per identificare quelle popolane, ciarliere e petulanti che vivevano ai margini del palazzo reale in cerca di benefattori tra i nobili frequentatori della corte; il maschile palazzuolo un tempo (1750 – 1850 ) fu usato nella medesima accezione del femminile; dopo l’unità (1860) cadde in disuso e venne usato solo nel significato di furbo, abile (forse tenendo presenti gli accorgimenti usati da quei popolani per strappare qualche vantaggio, utilità dai nobili cui si rivolgevano circuendoli con chiacchiere e ciarle;
pirchipétola/perchipetolaagg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che il corrispondente maschile pirchipetlo= uomo intrigante,pettegolo non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica ma non desueta; letteralmente valse e vale l’italiano donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta, quando non donna di facili costumi con derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula = pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di… lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque pirchipétola/perchipétola.
E qui faccio punto pensando cosí d’avere cosí accontentati l’amica A. C. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
Raffaele Bracale
VARIE 15/438
1 CARUSO, MELLUSO, MIETTE 'A CAPA ‘INT' Ô PERTUSO, E PPO VÈNE 'O SCARRAFONE E TTE ROSECA 'O MELLONE...
Filastrocca quasi intraducibile ad litteram, ma che si può rendere opportunamente con:”Pelato, tosato poni la testa nel buco e poi arriva una blatta che ti rode la testa calva”. Con tale filastrocca, recitata con tono canzonatorio, a Napoli un tempo si soleva prendere in giro i ragazzi che - per igiene - portavano la testa completamente rapata; li si insolentiva preconizzando per loro che avrebbero avuto la testa rosicchiata da uno scarafaggio.Per il vero in origine la filastrocca era usata per insolentire non solo i ragazzi, ma soprattutto quegli adulti che in preda a furiose emicranie si radevano completamente il capo e lo introducevano auspicandone una miracolosa guarigione, in un foro esistente sul muro di cinta della chiesa di S. Aspreno al Porto, nota anche come chiesa di Sant'Aspreno ai Tintori,antico luogo di culto di Napoli; l'edificio è situato nei pressi del porto, in via Sant'Aspreno, a fianco del Palazzo della Borsa nel luogo dove esisteva una grotta che la tradizione volle dimora del santo vescovo; prima dell'VIII secolo venne realizzata la chiesa che successivamente, nel XVII secolo, fu restaurata su commissione del mercante Salvatore Perrella per grazie ricevute; nel 1895 fu ulteriormente rimaneggiata e inglobata nel Palazzo della Borsa.Tornando alla filastrocca c’è da notare che, essendo il foro presente sul muro di cinta della chiesa (ubicata in una zona insalubre) molto umido, era ricettacolo di blatte,insetti notoriamente avidi di liquidi e non era improbabile che qualche scarafaggio assalisse il cranio rapato di chi l’introduceva nel foro.
Linguisticamente parlando faccio notare che i termini d’attacco della filastrocca: caruso, melluso altro non sono che giocosi sinonimi e valgono ambedue “testa rapata”: caruso è un s.vo. m.le deverbale di carusà= rapare; trattasi di voce etimologicamente da collegarsi al verbo greco kéirō = tosare verbo in cui è ravvisabile la radice kar presente in kara= testa;
melluso è un s.vo. m.le adattamento, per cambio di desinenza, di comodo (per rimare con caruso e con pertuso) di un originario mell-one→mell-uso che 1 in primis vale cocomero, anguria; 2 per traslato testa calva, testa rapata; voce dall’acc.vo tardo lat. melone(m) con raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (L).
scarrafone s.vo. m.le = 1 in primis scarafaggio, blatta; 2per traslato individuo brutto, repellente; voce da un acc.vo lat. scarabaeu-m + un suff. accrescitivo one , raddoppiamento espressivo della consonante liquida vibrante (R) ed esito d’influsso osco di ba in fa (cfr. runfà←rhombus, scrofola←scrobula-m).
2QUANNO 'O PARENTE CORRE, 'O VICINO È GGIÀ CURRUTO.
Ad litterram: quando il parente accorre, il vicino lo à già fatto. Id est: bisogna aspettarsi maggior aiuto da un vicino che da un parente, che viene a prestarti aiuto meno sollecitamente di un vicino: questo - almeno - accade in Campania dove esiste ancora la cultura del buon vicinato; per la restante parte d'Italia non so, né mi pare sia dato sapere...
3 'O FIGLIO MUTO 'A MAMMA 'O 'NTENNE.
Il figlio muto lo comprende la madre. Nell’espressione si afferma [pur senza alcuna reale prova...] che nessuno, se non la di lei madre,che l’à generata e quindi la conosce bene, sia in grado di comprendere ciò di cui à bisogno una persona che non si sappia esprimere.
4'O PUORCO FÈTE 'A VIVO, MA ADDORA QUANNO È MMUORTO, LL'OMMO ADDORA 'A VIVO E FFÈTE 'A MUORTO, 'A FEMMENA FÈTE VIVA O MORTA.
Ad litteram: il maiale puzza da vivo, ma odora da morto(quando è ben cucinato), l'uomo odora da vivo e puzza da morto, la donna - invece puzza sia da viva che da morta; id est: la donna è comunque unessere da evitare, essendo l'unico essere inaffidabile e, figurativamente, maleodorante sia da vivo che da morto.
5 SI 'E CCORNE FOSSENO PURTUALLE, 'A CAPA TOJA FÓSSE PALERMO.
Ad litteram: Se le corna fossero arance, la tua testa(che ne è molto fornita) sarebbe la città di Palermo.Icastica e colorita offesa con la quale a Napoli si suole rammentare a taluno i continui tradimenti operati dalla di lui consorte, al segno che qualora le corna fossero arance, la testa del malcapitato cui è diretta l'offesa, sarebbe la città di Palermo, zona in cui si producono estesamente saporitissime e grosse arance.
6 'O PUORCO PULITO NUN SE 'NGRASSA MAJE
Ad litteram: un porco pulito non si ingrassa mai. Id est:Chi si comporta in maniera netta e scevra di colpe, non otterrà mai grandi risultati nella propria vita, dove -invece- per poter primeggiare - occorre spesso commetter nefandezze, come accade per il maiale che solo se vive rotolandosi nella melma del porcile, prospera e s'ingrassa.
7'O CUONCIO ACCONCIA.
Ad litteram: il condimento aggiusta. Id est: basta un buon condimento per migliorare le pietanze meno appetitose. Per traslato: ogni cosa diviene bene accetta se è presentata bene o agghindata con grazia.
8 CHI TENE 'E MMANE 'MPASTA, NUN METTE 'E DDETE 'NCULO Â GALLINA.
Ad litteram: chi sta impastando, non mette le dita nel sedere della gallina. Il proverbio non adombra una norma igienico - sanitaria, ma vuol significare che chi sta nel mondo degli affari deve tener sempre nascoste le proprie mosse per non appalesare ai concorrenti quali sono le sue intenzioni prossime; non deve comportarsi cioè come la contadina che - tastando il sedere alle galline per accertarsi della presenza dell'uovo - dà ingenuamente a vedere a tutti ciò che le sta per accadere.
9 'O CAVALLO ZUOPPO E 'O CIUCCIO VIECCHIO, MORONO Â CASA D''O FESSO.
Ad litteram: il cavallo zoppo e l'asino vecchio muoiono in casa dello sciocco. Id est: dello sciocco ognuno si approfitta; nella fattispecie allo sciocco vengono venduti il cavallo azzoppato e l'asino vecchio ormai inadatti al lavoro.
10 L L'AMICO È COMME Ô 'MBRELLO: QUANNE CHIOVE NUN 'O TRUOVE MAJE.
Ad litteram: l'amico è come l'ombrello; quando piove non lo trovi mai; id est:l'amico - che nei momenti di bisogno dovrebbe essere il primo a soccorrerti-, accade che, proprio allora sparisce e non si fa trovare...
11 'A TONACA NUN FA 'O MONACO, 'A CHIERECA NUN FA 'O PREVETO, NÈ 'A VARVA FA 'O FILOSOFO.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo.
12 ME PARENO 'E CCAPE D''A VECARIA.
Ad litteram: mi sembrano le teste della Vicaria. Lo si suole dire di chi è smagrito per lunga fame, al segno di averne il volto affilato e scavato quasi come le teste dei giustiziati, teste che tra il 1500 ed il 1600 venivano esposte per ammonimento infilzate su lunghe lance o esposte in gabbie metalliche e tenute per giorni e giorni all'esterno dei portoni del tribunale della Vicaria, massima corte del Reame di Napoli.
13 ARIA NETTA NN’ AVE PAURA 'E TRÒNNELE.
Ad litteram: aria pulita non teme i tuoni; infatti quando l'aria è tersa e priva di nuvole, i tuoni che si dovessero udire non sono annunzio di temporale. Per traslato: l'uomo che à la coscienza pulita non teme che possa ricevere danno dalle sue azioni, che - improntate al bene - non potranno portare conseguenze negative .
14 ASCÍ DÂ VOCCA D’’E CANE E FFERNÍ 'MMOCCA Ê LUPE
Ad litteram: uscire dalla bocca dei cani e finire in quella dei lupi.Id est: evitare la bocca dei cani e finire in quella dei lupi. Maniera un po' piú drammatica di rendere l'italiano: cader dalla padella nella brace: essere azzannati da un cane è cosa bruttissima, ma finire nella bocca molto piú vorace di un lupo, è cosa ben peggiore.
15 RROBBA 'E MANGIATORIO, NUN SE PORTA A CUNFESSORIO.
Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione. Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un autentico peccato. A malgrado che la gola sia uno dei vizi capitali,per il popolo napoletano, atavicamente perseguitato dalla fame, non si riesce a comprendere come sia possibile ritener peccato lo sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.
16 CU LL'EVERA MOLLA, OGNEDUNO S'ANNETTA 'O CULO.
Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione , anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati
17 T'AMMERETAVE 'A CROCE GGIÀ 'A PARICCHIO..
Ad litteram: avresti meritato lo croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è sarcasticamente usata per prendersi gioco di coloro che, ottenuta la croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo raggiunto; ebbene a costoro, con la locuzione in epigrafe, si vuol rammentare che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendendo che li si ritiene malfattori, delinquenti, masnadieri tali da meritare il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...
18 LL'AVVOCATO À DDA ESSERE 'MBRUGLIONE.
Ad litteram: l'avvocato deve essere imbroglione. A Napoli - terra per altro di eccellentissimi principi del foro, si è convinti che un buono avvocato debba esser necessariamente un imbroglione, capace cioè di trovare argomentazioni e cavilli giuridici tali da fare assolvere anche un reo confesso o - in sede civilistica - far vincere una causa anche a chi avesse palesemente torto
19 LL'AVVOCATO FESSO È CCHILLO CA VA A LEGGERE DINT'Ô CODICE.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che - certamente - sarà stata piú dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
20 Â GGATTA CA ALLICCA 'O SPITO, NUN CE LASSÀ CARNE P'ARROSTERE.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...
21 'O FRIDDO 'E BBUONE 'E SCUTULÉA, I 'E MALAMENTE S''E CARRÉA.
Ad litteram: il freddo percuote chi gode buona salute e porta via con sé chi sta male. Id est: i rigori invernali fanno comunque danno; per solito, in inverno, chi gode buona salute, finisce per ammalarsi, mentre chi è già malato corre il grave rischio di morire.
22 RUMMANÉ Â PREVETINA COMME A DON PAULINO.
Ad litteram: restare alla "prevetina" come don Paolino prete nolano(celebre, altrove, per la sua indigenza cosí grande da non permettergli l'acquisto di ceri per le funzioni religiose, che era costretto a celebrare usando i piú economici tizzoni di carboni ardenti). Id est: ridursi in gran miseria al punto di possedere solo una prevetina, moneta che valeva appena 13 grana, ossia molto poco, e che prendeva questo nome perché con la "prevetina" moneta del valore appunto di 13 grana ci si pagava la celebrazione di una santa Messa piana. Un sacerdote che lucrasse in una giornata una sola prevetina con la quale avrebbe dovuto far fronte a tutte le esigenze quotidiane, non aveva certo di che stare allegro...
23 È MMEGLIO FÀ 'MMIDIA CA PIETÀ.
Ad litteram: è meglio essere invidiati che essere oggetto di commiserazione; ed il perché è intuitivo, comportando l'invidia uno status di opulenza,tale da meritarsi l'invidia del prossimo, mentre il commiserato versa - per solito - in pessime condizioni.
24 'NU STRUNZO CA CADETTE A MMARE, VEDENNO 'NU PURTUALLO CA LLA GALLIGGIAVA, DICETTE: SIMMO TUTTE PURTUALLE!
Uno stronzo che cadde in mare, vedendo un'arancia che ivi galleggiava, easclamò: siamo tutti arance! A Napoli si suole ripetere questo proverbio per sarcasticamente canzonare e commentare le azioni di tutti gli sciocchi, i supponenti e gli stupidi che pretendono di farsi considerare per ciò che non sono...
25 Ô RICCO LLE MORE 'A MUGLIERA, Ô PEZZENTE LLE MORE 'O CIUCCIO.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio; morta la moglie il ricco non à da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il povero che à perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
26 SI COMME TIENE 'A VOCCA, TENISSE 'O CULO, FACÍSSE CIENTO PÉRETE E NUN TE N'ADDUNASSE.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per bollare l'eccessiva verbosità di taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di chi - come si dice - apre la bocca per prendere aria, non per esprimere concetti sensati.
27 SI 'ARENA È RROSSA, NUN CE METTERE NASSE.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile!) Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna ànno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
28 SI 'A TAVERNARA È BBONA, 'O CUNTO È SSEMPE CARO.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser remunerate in maniera eccessiva...
29 NUN TE DÀ MALINCUNÌA, NÈ PPE MMALU TIEMPO, NÈ PPE MMALA SIGNURÍA.
Ad litteram: non preoccuparti nè per cattivo tempo, nè per pessimi governanti. Id est: sia il cattivo tempo, che i governanti cattivi prima o poi cambiano o spariscono per cui non te ne devi preoccupare eccessivamente fino a prenderne malinconia...
30.È 'NA BBELLA JURNATA E NNISCIUNO SE 'MPENNE.
Ad litteram: È una bella giornata e nessuno viene impiccato.Con la frase in epigrafe, un tempo erano soliti lamentarsi i commercianti che aprivano bottega a Napoli nei pressi di piazza Mercato dove erano innalzate le forche per le esecuzioni capitali; i commercianti si dolevano che in presenza di una bella giornata non ci fossero esecuzioni cosa che, richiamando gran pubblico, poteva far aumentare il numero dei possibili clienti. Oggi la locuzione viene usata quando si voglia significare che ci si trova in una situazione a cui mancano purtroppo le necessarie premesse per il conseguimento di un risultato positivo.
31. 'E MEGLIO AFFARE SO' CCHILLE CA NUN SE FANNO.
Ad litteram: i migliori affari sono quelli che non vengono portati a compimento; siccome gli affari - in ispecie quelli grossi - comportano una aleatorietà, spesso pericolosa, è piú conveniente non principiarne o non portarne a compimento alcuno.
32. QUANNO 'E FIGLIE FÒTTENO, 'E PATE SO' FFUTTUTE.
Ad litteram: quando i figli copulano, i padri restano buggerati Id est: quando i figli conducono una vita dissoluta e perciò dispendiosa, i padri ne sopportano le conseguenze o ne portano il peso; va da sé che con la parola fòtteno (voce verbale 3ª p. pl. ind. pres. dell’infinito fóttere dal lat. futúere)non si deve intendere il semplice, naturale, atto sessuale, ma piú chiaramente quello compiuto a pagamento per divertimento o vizio; il medesimo atto compiuto nell’àmbito del rapporto coniugale esula da quanto affermato in epigrafe.
33. PRIMMA T'AGGI''A 'MPARÀ E PPO T'AGGI''A PERDERE....
Ad litteram: prima devo insegnarti(il mestiere) e poi devo perderti. Cosí son soliti lamentarsi, dolendosene, gli artigiani partenopei davanti ad un fatto incontrovertibile: prima devono impegnarsi per insegnare il mestiere agli apprendisti, e poi devono sopportare il fatto che costoro, diventati provetti, lasciano la bottega dove ànno imparato il mestiere e si mettono in proprio, magari facendo concorrenza al vecchio maestro.
34.'NA MELA VERMENOSA NE 'NFRACETA 'NU MUNTONE
Basta una sola mela marcia per render marce tutte quelle con cui sia a contatto. Id est: in una cerchia di persone, basta che ve ne sia una sola cattiva, sleale, di indole malvagia o peggiore, per rovinare tutti gli altri.
35. CHELLA CA LL'AÍZA 'NA VOTA, LL'AÍZA SEMPE.
Ad litteram: quella che la solleva una volta, la solleverà sempre. Id est: una donna che, per darsi, tiri su le gonne una volta, le tirerà su sempre; piú estesamente: chi commette una cattiva azione, la ripeterà per sempre; non bisogna mai principiare a delinquere, o a comportarsi male altrimenti si corre il rischio di farlo sempre.
36. CHELLA CAMMISA CA NUN VO' STÀ CU TTE, PIGLIALA E STRÀCCIALA!
Ad litteram: quella camicia che non vuole star con te, strappala! Id est: allontana, anche violentemente, da te chi non accetta la tua amicizia o la tua vicinanza.
37. Â SERA SO' BASTIMIENTE, Â MATINA SO' VARCHETELLE.
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare delle ore del giorno, mutano le prospettive o le proporzioni delle cose; cosí quegli accadimenti che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
38. O CHESTO, O CHESTE!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola cheste bisogna agitare la mano destra atteggiandola a mo' di corna,(tenendo cioè tesi e distesi indice e mignolo e serrate contro il palmo le altre dita) per significare complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
39.CU 'O FURASTIERO, 'A FRUSTA E CCU 'O PAISANO 'ARRUSTO.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta (per scacciarlo)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento, proverbio che viene di lontano ed è attualissimo, quantunque proverbio un po’ strano per la filosofia comportamentale del popolo napoletano,abituato da sempre ad accogliere chicchessia e per solito ligio ai precetti divini del soccorso e dell’aiuto fraterno anche verso gli stranieri.
Furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori';
paisano s.vo ed agg.vo m.le =1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.)
2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano.
40. A LLUME 'E CANNELA SPEDOCCHIAME 'O PETTENALE.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o sarcasticamente redarguire chi, per ignavia, rimanda alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e proficuamente alla luce diurna.
pettenale s.m. = monte di Venere, pube, pettignone dal lat. pectinale(m).
41.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, À DA TENÉ BBONI CCOSCE.
Ad litteram: chi à cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il proverbio significa che chi dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o prendere.
42.QUANNO 'E MULINARE FANNO A PPONIE, STRIGNE 'E SACCHE.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino, conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del proprio.
43.MEGLIO MAGNÀ POCO E SPISSO CA FÀ UNU MUORZO.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio epicureo che spinge a piluccare, (per estendere al massimo - nel tempo -il piacere della tavola), piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
44.TRE SONGO 'E CCOSE CA STRUDONO 'NA CASA: ZEPPOLE, PANE CAUDO E MACCARUNE.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una casa: focaccine dolci, pane caldo, maccheroni. Da sempre a Napoli, le spese per l'alimentazione ànno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva consumato in quantità maggiore di quello raffermo, ed i famosi maccheroni che all'epoca costavano molto piú della verdura; oggi tutto costa di piú, per cui è difficile fare un elenco delle cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
45.ADDÓ HÊ FATTO 'O PALUMMARO? DINTO Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il sommozzatore? Nella tinozza dei capitoni?!La frase è usata sarcasticamente quando ci si voglia prender giuoco di qualcuno che si atteggi a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non à esperienza, come di un operaio subacqueo che, in luogo delle profondità marine, manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú grossi capitoni.
Palummaro s.vo m.le = Chi fa il mestiere di scendere sott’acqua, completamente immerso, per compiere una determinata operazione; voce napoletana, voce poi pervenuta nell’italiano come palombaro, usata come ò detto per indicare chi esegue lavori sott'acqua (pesca, ricerche, ricuperi ecc.) munito di scafandro; è voce che deriva per metafora da un lat. tardo *palumbariu(m) 'sparviero', perché chi fa tale mestiere, immergendosi richiama l'immagine dello sparviero che cali sulla preda.
46. 'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
47. E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagava con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
48.TRE COSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO 'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse.
49.UOVO 'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GGUAGLIONA 'E VINT'ANNE.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare tutta l'umidità dovuta alla cottura, vino giovane che è il piú dolce e il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte.
50.A CCHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio).
51.ADDÓ NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
52. ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
53.VUÓ CAMPÀ LIBBERO E VVIATO? MEGLIO SULO CA MALE ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato? Meglio solo che male accompagnato. Il proverbio in epigrafe, in fondo rende l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo!
54.QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di uno che le soddisfi le voglie sessuali.
55.LL'UOCCHIE SO' FFATTE PE GGUARDÀ, MA 'E MMANE PE TTUCCÀ.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano - sogliono azzardare palpeggiamenti delle rotondità femminili.
56. ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
57.'AMICE E VVINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere veramente buoni) devono essere di antica data.
58.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
Brak