mercoledì 31 agosto 2016

MERAVIGLIA & DINTORNI

MERAVIGLIA & DINTORNI Questa volta su suggerimento/richiesta dell’amico E. C. amico di cui al solito (per questione di riservatezza) mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome, prendo in esame la voce italiana in epigrafe, i sinonimi , quelle collegate e le corrispondenti del napoletano che al solito sono maggiormente significative ed icastiche. Cominciamo: meraviglia s.vo f.le 1 sentimento di viva sorpresa suscitato da qualcosa di nuovo, strano, straordinario o comunque inatteso: provare, destare, mostrare meraviglia; ascoltare con meraviglia; essere pieno di meraviglia | far meraviglia (a qualcuno), stupire: mi fa meraviglia che parli cosí! | a meraviglia, ottimamente, perfettamente: tutto è andato a meraviglia 2 persona o cosa che per la sua bellezza o il suo carattere straordinario suscita ammirazione: quel bambino è una meraviglia; à una casa che è una meraviglia; le meraviglie della natura | le sette meraviglie del mondo, le sette opere artistiche dell'antichità che venivano considerate come le piú insigni creazioni dell'uomo | l'ottava meraviglia, cosa eccezionalmente bella (spesso scherz. o iron.) | raccontare, dire meraviglie di qualcuno o qualcosa, parlarne molto bene, dirne cose straordinarie, spesso esagerando | far meraviglie, compiere imprese eccezionali 3 (region.) nome di varie piante erbacee ornamentali, fra cui la bella di notte. !». Etimologicamente voce marcata in origine sul napoletano maraviglia che era da una forma osca mērabilia/mārabilia del lat. mirabilia→marabilia→maraviglia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl.poi inteso f.le sost. dell'agg. mirabilis 'meraviglioso';ed in effetti anticamente e per lunga pezza anche in italiano si ebbe maraviglia in luogo di meraviglia; successivamente (XII sec.)incomprensibilmente s’ebbe una mutazione operata dnel dialetto toscano trasformando una A etimologica ( cosa invero abituale: cfr. altrove: la fessaria napoletana derivata da fessa venne trasformata in fesseria) adottando, (ma non se ne coprendono serie ragioni) una piú chiusa E (fessaria vien trasformata in fesseria, maraviglia→meraviglia) nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell'aperta A alla elegante (?) lingua di Alighieri Dante. emozione, s.vo f.le s. f. (psicol.) intenso moto affettivo, piacevole o penoso, che desta alternativamente commozione, trepidazione, eccitazione, agitazione; moto accompagnato per lo piú da modificazioni fisiologiche e psichiche (pallore o rossore, reazioni motorie ed espressive ecc.) | nell'uso corrente, impressione viva, turbamento, stupore: provare una forte emozione; andare in cerca di emozioni, di esperienze eccitanti; accogliere una notizia senza emozione, con indifferenza. Etimologicamente voce dal fr. émotion, deriv. del lat. tardo emotione(m), che è da emotus; stupore, s.vo m.le 1 meraviglia grande ed improvvisa; sbalordimento: essere colto, preso da stupore; un'esclamazione di stupore 2 (med.) arresto della motilità volontaria, associato ad un indebolimento dell'attività psichica; stato di stordimento;intontimento. Etimologicamente voce dal lat. stupore(m), deriv. di stupíre 'sbalordire'; sbalordimento, s.vo m.le Il fatto di stupire, d’essere sconcertato, impressionato; stato di stupefazione: essere preso dallo sbalordimento; riaversi dallo sbalordimento etc. ;Etimologicamente voce deverbale di sbalordire che è un denominale di balordo (1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante,con protesi di una s intensiva); stordimento, s.vo m.le lo stordire, lo stordirsi; stato di chi è stordito;sorpresa, sconcerto,turbamento (tutti stati d’animo che determinano quel sentimento di viva sorpresa che è la meraviglia); Etimologicamente voce deverbale di stordire che è un denominale di tordo, nel senso fig. di 'uomo semplice, balordo', col pref.intensivo s- sbigottimento, s.vo m.le sbalordimento, smarrimento, stato di agitazione,di sconvolgimento,di ansia,di confusione che che inducono all’essere meravigliato,stupito, stupefatto, sbalordito, sorpreso, trasecolato, strabiliato. Etimologicamente voce deverbale di sbigottire che è marcato sul fr. ant. esbahir 'sbalordire'; miracolo, s.vo m.le 1 (in primis teol.) fatto sensibile, ma estraneo all'ordinario corso naturale, che Dio e solo Dio compie, anche per intercessione della Madonna o dei santi, al fine di rivelare il suo potere e confermare l'uomo nella fede: i miracoli di Gesú; il miracolo della resurrezione di Lazzaro; | fare, operare un miracolo | gridare al miracolo, (fig.) manifestare una meraviglia sproporzionata all'evento che la suscita | credere nei miracoli, (fig.) credere che si realizzi un evento impossibile o molto improbabile | conoscere, raccontare vita, morte e miracoli di qualcuno, ogni cosa su di lui, fin nei minimi particolari (l'espressione era ricorrente, in senso proprio, nel titolo delle vite dei santi) 2 (iperb.come nel caso che ci occupa ) cosa o fatto meraviglioso, straordinario, fuori del comune: i miracoli dell'arte, della scienza | miracolo economico, periodo di intenso e rapido sviluppo dell'economia di un paese; in Italia, per antonomasia, il periodo degli anni 1955-1965 | essere un miracolo che, essere straordinario, eccezionale: è un miracolo che sia rimasto illeso; fu un miracolo che ci fossi anch'io | fare miracoli, fare qualcosa di incredibile, che si riteneva umanamente impossibile: una cura che fa miracoli; un atleta che à fatto miracoli | dire miracoli di qualcuno, parlarne in tono entusiastico | per miracolo, a stento, a malapena; per caso: salvarsi per miracolo; ò preso l'aereo per miracolo; l'ò trovato in ufficio per miracolo | essere un miracolo di ingegno, di bontà, di bravura ecc. , si dice di persona o cosa che ha capacità, qualità, caratteristiche straordinarie: mio figlio è un miracolo di memoria; un intarsio che è un miracolo di pazienza 3 dramma sacro medievale in volgare avente per tema un miracolo compiuto da Dio attraverso i santi o servendosi di loro. Etimologicamente voce dal lat. miraculu(m) 'meraviglia', deriv. di mirari 'osservare con ammirazione, meravigliarsi'; incanto, s.vo m.le 1 l'incantare, l'essere incantato: fare, compiere un incanto | come per incanto, d'improvviso, in un modo che à del magico | d'incanto, meravigliosamente, alla perfezione: un vestito che le sta d'incanto 2 (fig.) fascino, forza di seduzione: l'incanto di una voce, di uno sguardo | atmosfera incantata: l'incanto di una notte stellata 3 (fig. come nel caso che ci occupa ) persona o cosa deliziosa, incantevole, che desti meraviglia: quella ragazza è un incanto 4vendita pubblica di un bene al migliore offerente: mettere, vendere, comperare all'incanto Etimologicamente per i significati sub 1,2,3 voce deverbale di incantare che è dal lat. incantare 'cantare formule magiche', comp. di in- e cantare, frequent. di canere 'cantare'; per il significato sub 4 è voce dal lat. mediev. incantum, da in quantum? 'a quanto, a quale prezzo?', formula tipica delle vendite all'asta; bellezza, s.vo f.le 1 qualità di ciò che è bello (anche in senso morale); il valore estetico delle cose: una donna di grande bellezza; la bellezza del creato, di un'opera d'arte; la bellezza di un sacrificio; bellezza fisica, quella del corpo | prodotto, istituto, cura di bellezza, che mira a preservare e a curare la bellezza fisica | bellezza greca, classica, rispondente ai canoni dell'arte greca antica | per bellezza, a scopo ornamentale | finire, chiudere in bellezza, finire bene l'opera intrapresa 2 persona o cosa bella: le bellezze della natura | bellezze naturali, ambientali, luoghi in cui la natura è bella di per sé o per l'azione dell'uomo, e che sono tutelati dalla legge come patrimonio culturale pubblico | una bellezza somala, donna bella appartenente a quell'etnia | bellezza!, apostrofe di tono confidenziale o ironico: senti, bellezza! | che bellezza!, escl. di gioia, soddisfazione e sim.: oggi è vacanza, che bellezza! 3 (fig. come nel caso che ci occupa ) persona o cosa deliziosa, incantevole, che desti meraviglia, stupore: quella donna è una vera bellezza! 4 in espressioni enfatiche: questa pianta cresce che è una bellezza, bene e rapidamente | con valore ironico, per indicare grande quantità: mi è costato la bellezza di mezzo stipendio. Etimologicamente voce denominale di bello attraverso l’uso del suffisso ezza, suffisso che rappresenta la continuazione popolare del suff. lat. -itia(m) e serve a formare nomi astratti derivati da aggettivi (bellezza, grandezza); a sua volta bello (ag.vo dal lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono'; prodigio, s.vo m.le 1 fatto, fenomeno che esce dal corso ordinario delle cose naturali: un prodigio di natura; nell'antichità si interpretavano i prodigi; 2 (iperb. e fig. come nel caso che ci occupa) fatto, evento che suscita meraviglia per il suo carattere eccezionale, fuori del comune; anche, la persona o la cosa che abbia doti, caratteristiche eccezionali: un chirurgo che compie prodigi; essere un prodigio di bravura, di memoria; un prodigio della tecnica || Usato, secondo i piú anche come agg. invar. nelle loc. bambino, bambina prodigio., ma a mio avviso anche in questo caso si tratta di s.vo usato quale apposizione(sostantivo o sintagma nominale che si unisce a un nome al fine di determinarlo(per es.: il fiume Arno; Giacomo Leopardi, poeta italiano); Etimologicamente voce dal lat. prodigiu(m); splendore s.vo m.le 1luce intensa e fulgente: lo splendore del sole, dell'oro 2 (fig.come nel caso che ci occupa) carattere eccezionale, straordinario di qualcosa che induce allo stupore; fulgore: lo splendore della bellezza, dei vent'anni | bellezza eccezionale; persona, cosa molto bella: un bimbo che è uno splendore; uno splendore di ragazza; che splendore di casa! 3 magnificenza, sfarzo: lo splendore della festa; gli splendori della corte 4 (fis.) termine usato un tempo per indicare la brillanza(grandezza fotometrica che è data dal rapporto tra l'intensità luminosa di una superficie irraggiante e l'unità della superficie stessa; luminanza, luminosità; voce deverbale di brillare che è connessa con il lat. beryllus 'berillo', sostanza splendente). Etimologicamente voce dal lat. splendore(m), deverbale di splendíre 'splendere'. Esaurite cosí le voci dell’italiano, passiamo a quelle napoletane principiando da maraviglia per poi soffermarci sui sinonimi; ordunque maraviglia, s.vo f.le – 1. a. Sentimento vivo e improvviso di ammirazione, di sorpresa, che si prova nel vedere, udire, conoscere cosa che sia o appaia nuova, straordinaria, strana o comunque inaspettata: lieta, dolce, grata o spiacevole, dolorosa etc.. Con riferimento a ciò che provoca il sentimento; 2. a. Causa di meraviglia: succedette ‘nu fatto ‘e granne maraviglia(intervenne cosa di gran meraviglia); non è maraviglia si (non v’à meraviglia se ...), non vi è ragione di meravigliarsene; in funzione di predicato, riferito a persona, cosa, situazione e sim. che desti grande ammirazione per la sua bellezza o per altre interessanti e piacevoli qualità:che maraviglia ‘e criaturo!tene ‘nu ciardino ch’è ‘na maraviglia;’sti ccullane so’ ‘na vera maraviglia; si t’affacce a gguardà ‘o panurama, vedarraje che maraviglia!;chillu guaglione cresce ch’è ‘na maraviglia.); ( che m. di bambino!; à un giardino che è una m.; queste collane sono una vera m.; se ti affacci a vedere il panorama, vedrai che m.!; quel ragazzo cresce che è una m.); Col verbo sottinteso: maraviglia ca allimmeno ‘na vota te ne sî arricurdato( m. che almeno una volta te ne sia ricordato!); b. Al plur., cose meravigliose: dicere maraviglie ‘e quaccheduno, ‘e coccosa (dir meraviglie di qualcuno, di qualche cosa), farne altissime lodi, dirne un gran bene;fà maraviglie (fare, operare meraviglie), compiere azioni straordinarie o che destano ammirazione; raccuntà maraviglie(raccontare meraviglie), raccontare cose che ànno del meraviglioso o dello strano, o anche, piú semplicemente, esagerare nel raccontare o riferire. Talora, con lo stesso senso, è usato il sing., ma con valore molto vicino al plur. (come è appunto nell’etimologia latina):siente che maraviglia! (odi che meraviglia!); 3. a. Con senso concreto, cosa, opera mirabile, che suscita profonda ammirazione per il suo pregio, per la sua straordinaria bellezza, importanza o rarità:’e mmaraviglie d’ ‘o munno, ‘e ll’arte (le m. del creato, dell’arte); ll’aggio accumpagnato a vedé ‘e mmaraviglie ‘e Napule(l’ò accompagnato a vedere le meraviglie di Napoli;’e mmaraviglie d’ ‘a scienzia(le meraviglie della scienza) (cioè le cose meravigliose scoperte o inventate dalla scienza). In partic., ‘e ssette maraviglie d’ ‘o munno(le sette m. del mondo), le sette opere di architettura e di scultura che gli antichi consideravano come i maggiori monumenti creati dall’uomo, e cioè il colosso di Rodi, il faro di Alessandria, il mausoleo di Alicarnasso, la statua crisoelefantina di Zeus a Olimpia, il tempio di Artemide a Efeso, i giardini pensili di Babilonia, la piramide di Cheope in Egitto. Quindi,ll’uttava maraviglia (d’ ‘o munno) ( l’ottava m. (del mondo), cosa o persona bellissima, spec. in tono elogiativo; spesso scherz., oppure sarcasticamente, di cosa, o anche di persona, che pretende di essere o che altri voglia far passare per bellissima. b. ant. Cosa bizzarra, originale; in partic., al plur., sorta di ricamo (che oggi si direbbe «di fantasia»): cu dduje cuscine faticate a mmaraviglie(con due guanciali lavorati a maraviglie). 4. Locuz. avv. a maraviglia, in modo da meravigliare, o alla perfezione: nun sulamente ‘e nomme,ma pure ‘e fatte succiese ‘e ssaccio a maraviglia(non solo i nomi, maanche le cose accadute, le conosco a maraviglia). Piú spesso, nell’uso com., benissimo, ottimamente: tutto prucede a mmaraviglia, pare ca ll’esame è gghiuto a maraviglia; (tutto procede a meraviglia; pare che l’esame sia andato a meraviglia); esprime viva soddisfazione, e si usa perciò anche assol.: «Songo riuscito a avé a gratisse dduje biglietti p’ ‘o triato» «A maraviglia!». «Sono riuscito ad avere gratis due biglietti per il teatro» «A meraviglia!». Etimologicamente voce da una forma osca mērabilia/mārabilia del lat. mirabilia→marabilia→maraviglia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl.poi inteso f.le sost. dell'agg. mirabilis 'meraviglioso' lat. mirabilia→marabilia→maraviglia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl.poi inteso f.le sost. dell'agg. mirabilis 'meraviglioso'; affamuliazzione, s.vo f.le 1in primis attrazione, l’azione di conquistarsi, ingraziarsi, guadagnarsi, propiziarsi, cattivarsi 2 (per tras.come nel caso che ci occupa ) fascino, attrattiva, malia; interesse, richiamo provocato dallo stupore suscitato da cosa e/o persona Etimologicamente voce deverbale del lat. adfamulor rafforzativo di famulor affatturazzione, s.vo f.le 1in primis incantamento, l’azione di ammaliare con poteri magici, ingraziarsi, guadagnarsi, propiziarsi, cattivarsi 2 (per tras.come nel caso che ci occupa ) fascino, attrattiva, seduzione, malia, attrazione, lusinga, allettamento, richiamo, incanto provocato dalla meraviglia suscitata da cosa e/o persona.Etimologicamente voce denominale di fattura (dal lat. factura(m), deriv. di factus, part. pass. di face°re 'fare'). affuscazzione, s.vo m.le 1in primis incantamento, offuscamento, annebbiamento l’azione di confondersi, abbagliarsi, arrossire, adirarsi etc. 2 (per tras.come nel caso che ci occupa )sinonimo della voce precedente nei significati sub2 intensa, attrattiva, seduzione, malia, attrazione, lusinga, acceso, vivo, vivido, deciso allettamento, richiamo, incanto provocato dalla meraviglia suscitata dall’imbattersi in cosa e/o persona meravigliosa. Etimologicamente voce deverbale del lat. tardo offuscare→affuscare, deriv. di fuscus 'fosco, scuro'; allucenazzione, s.vo f.le 1 (in primis) percezione di oggetti o segnali che non esistono nel campo sensoriale del soggetto, ma che sono da lui ritenuti reali; 2 (estensivamente e per tras.come nel caso che ci occupa) inganno, abbaglio provocato dallo sbigottimento e/o emozione suscitati dall’imbattersi in cosa e/o persona sorprendente, straordinaria, incantevole. Etimologicamente voce dal lat.alucinatione(m)→allucenazzione con tipici raddoppiamente espressivi della consonante laterale alveolare (l) e della l'affricata alveolare sorda... (z) come in tutte le voci napoletane che ànno la doppia (zzione cfr. azzione , ggione cfr. raggione) laddove in italiano si opta per la scempia(zione cfr. azione , gione cfr. ragione) ‘ncantamiento, s.vo m.le 1 (in primis antico sinonimo di ) incantesimo: 2(per estensione come nel caso che ci occupa ) l'incantare, l'incantarsi la condizione di chi è incantato, imbambolato attirato da cosa, persona o fatto meraviglioso, straordinario, fuori del comune: Etimologicamente voce dal lat. incantamĕntu(m)→ (i)ncantamĕntu(m) ‘ncantamĕntu(m)→’ncantamiento; cfr. ‘ncantà= stregare, ammaliare, affatturare; ‘ncantesimo, s.vo m.le 1 in primis l'essere incantato;beatitudine, forza di seduzione, mezzo di seduzione: fà ‘nu ‘ncantesimo (fare un incantesimo) | spezzà ‘o ‘ncantesimo(rompere l'incantesimo), annullarne gli effetti; interrompere uno stato di beatitudine, riportare bruscamente alla realtà; 2 (fig.come nel caso che ci occupa) la condizione di chi è grandemente incantato, imbambolato attirato da cosa, persona o fatto meraviglioso, straordinario, fuori del comune, stupefacente, prodigioso, fenomenale; Etimologicamente voce deverbale del lat. incantare→’ncantà =ammaliare, affatturare( 'cantare formule magiche', comp. di i°n- e cantare, frequent. di canere 'cantare'; ‘nfafaremiento, s.vo m.le sinonimo del precedentenell’accezione sub 2 1 in primis abbagglio, intontimento, confusione, arrabbiatura 2 (fig.come nel caso che ci occupa) stordimento, istupidimento,provocati da cosa, persona o fatto meraviglioso, sorprendente, sbalorditivo,sensazionale, fenomenale. Etimologicamente si tratta di voce denominale del s.vo ‘nfanfaro(= sciocco, stolto, deficiente, imbecille, scimunito) voce ottenuta partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipico dimezzamento della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà invece conserva invece la doppia di *carricare; ‘nzallanemiento, s.vo m.le 1 in primis patente, tangibile stordimento, confusione soprattutto di anziani o giovani distratti e/o inesperti; 2 (fig.come nel caso che ci occupa) la condizione di chi innanzi a cosa, persona o fatto meraviglioso, sorprendente, sbalorditivo,sensazionale, fenomenale è eclatantemente confuso, stordito, intontito sino a non connettere piú. Per entrare nel merito dell’etimologia della voce a margine è giocoforza ch’io mi soffermi sui verbi ‘nzallaní e ‘nzallanirse, dei quali la voce è un deverbale. Dei due verbi citati, il secondo rappresenta la forma riflessiva del primo, verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque, come ò detto,lo ‘nzallanemiento è l’eclatante confusione,stordimento, intontimento , che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni,o di persone giovani, ma inesperti ed indecisi persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti.Nei confronti di giovani distratti e/o inesperti il participio è usato come so.vo in espressioni di rimprovero richiamo, sgridata, rimbrotto del tipo: Statte attiento/a, nun fà ‘o/’a ‘nzallanuto/a! (Poni attenzione a ciò che fai! Non fare il/la stordito/a!). I verbi in esame in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anziane o giovani svagati e svogliati che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e alternativamente di pertinenza della loro età avanzata o giovanile . Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo! Ciò detto vengo a trattare della questione etimologica dei verbi da cui trae il sostantivo a margine. La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensa di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú. Per ciò che riguarda i verbi in esame mi pare di potere accettare l’ipotesi di De Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere corruzione di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;morfologicamente ci saremmo in quanto è pacifico il passaggio del lat th al nap. z (cfr. thia→zia), tuttavia mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi per la voce zallo ipotesi che espongo qui di sèguito. Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali nn con le piú comode ll. Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro?). Da zaffo a zallo il passo non è lungo, come potrebbe non esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo! spanto, s.vo m.le anomalo, singolare, senza precedenti sbalordimento, insolita meraviglia, l’essere eccezionalmente stupito, stupefatto, sbalordito, sorpreso, trasecolato, strabiliato, sbigottito sino allo spavento. Etimologicamente voce deverbale dell’iberico espantarse marcato sul lat. ex-paventare= stupirsi, meravigliarsi stunamiento s.vo m.le in primis turbamento, sconcerto; 2 (iperb. e fig. come nel caso che ci occupa) agitazione, sconvolgimento, ansia, confusione dipendente da fatto, evento che suscita meraviglia per il suo carattere eccezionale, fuori del comune; Etimologicamente voce deverbale di stunà che è dal fr. étonner «sbalordire» (marcato però su di un lat. pop. *extonare, comp. di ex- e tonare «tuonare»). Qui giunto penso d’aver esaurito l’argomento, contentato l’amico E. C. ed interessato qualche altro dei miei ventiquattro lettori e penso perciò di poter porre il punto fermo a queste numerose paginette. Satis est. Raffaele Bracale

OSTINATO & dintorni

OSTINATO & dintorni Questa volta per contentar l’amico Umberto Z. ( peraltro dettosi molto soddisfatto di quanto, su suo invito, ò spesso scritto) per contentar, dicevo, l’amico Umberto che me ne à richiesto,autorizzandomi a fare il suo nome,ma non il cognome!, cercherò di illustrare la voce in epigrafe, i suoi sinonimi e quelle corrispondenti dell’ idioma napoletano; cominciamo dunque con ostinato per proseguire con i suoi sinonimi prima di considerare le voci corrispondenti del napoletano: ostinato/a agg.vo m.le o f.le– 1. a. Di persona, che persiste con caparbia tenacia in un atteggiamento, in un proposito, nelle sue idee o opinioni, spesso nonostante l’evidenza contraria, sia come caratteristica abituale sia come atteggiamento legato a casi e situazioni particolari: un uomo o., una ragazza o.; chi nell’acqua sta fin alla gola, Ben è o. se mercé non grida (Ariosto); è o. come un mulo; essere o. nelle proprie idee, nel non voler riconoscere le ragioni degli altri; è o. avversario di ogni novità. Anche, tenace, costante, sia in senso positivo: un ricercatore, un lavoratore, uno studioso o.; Te o. amator de la tua Musa (Parini); sia in senso limitativo, con sign. analogo ad accanito, impenitente e sim.: peccatore, bevitore, giocatore ostinato. b. estens. di cosa in cui si persiste in modo inflessibile, irremovibile: chiudersi in un o. silenzio, in un mutismo o.; uno studio o.; un’o. difesa; opporre un’o. resistenza. 2. fig. a. Di cosa molesta che dura piú dell’ordinario, che sembra non voler cessare, o di male che resiste a ogni rimedio: una pioggia, una nebbia o.; febbriciattole o.; tosse o.; ò un o. dolore alla spalla destra. b. In musica (anche come s. m.), di figura melodica che si ripete incessantemente, invariata e alla stessa altezza, per tutta una composizione o una parte di essa; appare di solito nel basso, che prende in tal caso il nome di basso o. (v. basso2). Piú genericamente, per indicare la persistenza di un ritmo o di un effetto strumentale (per es., il pizzicato o. nella Sinfonia n. 4 di Čajkovskij); etimologicamente dal lat. o(b)stinatu(m) part. pass. del verbo obstinare= ostinarsi. Passiamo ai sinonimi: Accanito/a agg.vo m.le o f.le1 furioso, violento: odio accanito 2 (fig.) ostinato, tenace: lavoratore, fumatore, giocatore accanito etimo: p.p. di accanire = Far irritare come un cane: i consigli supplichevoli accaniscono i caparbi (Botta). 2. intr. pron. Imbestialirsi furiosamente, com’è proprio del cane verbo che è denominale di canis. Caparbio/a agg.vo m.le o f.le che pensa e agisce seguendo le proprie idee, senza tener conto dei consigli altrui, delle difficoltà ecc.; ostinato, testardo; quanto all’etimo poco convince una proposta derivazione(Treccani & altri) dal s.vo capo che lascerebbe inevaso mezzo lemma nella parte di arbio; né appare credibile il D.E.I. che ipotizza fantasiosamente uno sconosciuto né attestato *capardo forse accostato a testardo incrociato con superbio (per superbo?) per cui pare piú accettabile l’idea di chi (Pianigiani) vi vide un incrocio tra capra (animale cocciuto) e barbio (dal lat. barbulus= barbuto) : nome dato a piú specie di pesci d’acqua dolce del genere Barbus, famiglia ciprinidi, che presentano generalmente un paio di barbigli simili ad una barbetta di capra, dalle abitudini tenaci se non aggressive che ne rendono complicata la pesca; in Italia vivono due specie, il b. comune (Barbus barbus, con la sottospecie plebejus) e il b. meridionale (Barbus meridionalis), che costituiscono un cibo apprezzato. Il barbo/barbio è figura frequente negli scudi araldici, posto in palo, curvato e di profilo. Cocciuto/a agg.vo e s.vo m.le o f.le testardo, ostinato, pervicace, tignoso; quanto all’etimo è un denominale di coccia= guscio di crostaceo, conchiglia e per estensione scorza, buccia e regionalmente testa (dal lat. cochlea(m) 'lumaca, chiocciola', dal gr. kochlías) pervicace agg.vo m.le ef.le ostinato, caparbio, accanito (per lo piú nel male); protervo: carattere pervicace; opposizione pervicace etimologicamente è dal lat. pervicace(m), deriv. di pervincere 'vincere completamente, spuntarla', comp. di per, con valore perfettivo (si dice dell'aspetto del verbo che esprime la compiutezza o il compimento di un'azione o di uno stato (p. e. fumò una sigaretta rispetto a fumava una sigaretta, che considera l'azione nel suo svolgimento); , e vincere 'vincere'; protervo/a agg.vo m.le o f.le 1 superbo e arrogante: un individuo, un atteggiamento protervo 2 (ant.) ardito, altero: regalmente ne l'atto ancor proterva (DANTE Purg. XXX, 70, descrivendo Beatrice); quanto all’etimo è dal lat. protervu(m) composto da pro (avanti) e tero (trito, batto,calpesto); puntiglioso/agg.vo e s.vo m.le o f.le =che agisce per ostinazione caparbia; che è incline a sostenere un'idea o a compiere un'azione piú per orgoglio che per vera convinzione: una persona puntigliosa; avere un carattere puntiglioso; un ragazzo puntiglioso nello studio; come s. m. [f. -a] persona puntigliosa: fare il puntiglioso quanto all’etimo è aggettivo/sostantivo formato aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a al sostantivo puntiglio che è dallo sp. puntillo, dim. di punto (de honor) 'punto (d'onore)'; tenace agg.vo m.le e f.le1 che tiene bene, che fa presa: là dove bolle la tenace pece (DANTE Inf. XXXIII, 143) 2 detto di materiale metallico, che resiste alla deformazione | (estens.) detto di altro materiale, che non si rompe facilmente: filo tenace 3 (fig.) forte, resistente; saldo nei propositi; costante, puntiglioso,: memoria, volontà tenace; un ragazzo tenace; un affetto tenace, che dura molto a lungo 4 (lett.) parco, avaro (ma è poco usato in tale accezione) L’etimo è dal lat. tenace(m), deriv. di teníre 'tenere' tignoso/a agg.vo m.le o f.le 1 affetto da tigna 2 (fig. region.) avaro 3 (fig. region.) testardo, ostinato. L’etimo è dal lat. tine-osu(m), deriv. di tinea 'tigna'. E veniamo finalmente al napoletano dove abbiamo numerosi aggettivi che rendono quello dell’epigrafe ed i suoi sinonimi; li considero qui di sèguito: Capaglione/a agg.vo o s.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano tignoso/a; L’etimo è da un lat.regionale *capalione(m) da capale (Du Cange pg. 861); Capa tosta /capetuosto agg.vo o s.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano testardo; ambedue i termini sono etimologicamente formati o dall’accostamento o addirittura dell’agglutinazione di capa/cape =testa, capo (dal lat. volg. capa(m) per il classico caput) con l’aggettivo tosta/tuosto = duro, sodo (dal lat. tosta→tosta/tostu(m)→tuosto, part. pass. di torríre 'disseccare, tostare, render duro'; Capoteco/a agg.vo m.le o f.le che pensa e agisce seguendo le proprie idee, senza tener conto dei consigli altrui, delle difficoltà ecc e cioè corrisponde ad un dipresso all’italiano caparbio; quanto all’etimo è voce formata partendo da capa→capo =testa, capo (dal lat. volg. capa(m) per il classico caput) piú il suffisso durativo òteco/a←òticu(m)/òtica(m) (cfr. (id)òticus; cervecone/a agg.vo m.le o f.le = vale tal quale il precedente capaglione di cui è una sorta di accrescitivo (cfr. il suff. one/a); in origine però non fu aggettivo, ma un sostantivo indicante la nuca,la cervice, la collottola del capo e fu poi usato quale aggettivo indicante chi è ostinato o testardo; tale passaggio è semanticamente spiegato con il fatto che nell’inteso comune la cervice (da cui etimologicamente la voce trae) è spesso détta dura, quantunque morfologicamente la collottola o nuca, posta alla base del cranio sia piuttosto molle e non dura; la voce come détto è da un tardo lat. *cervicone(m) modellato su cervix= cervice e risolve comodamente in un unico termine il giro di parole (di dura cervice) dell’italiano; Criccuso/a agg.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano puntiglioso e cioè: che/chi è incline a sostenere un'idea o a compiere un'azione piú per orgoglio che per vera convinzione con l’aggiunta peggiorativa d’essere dispettoso e/o capriccioso; quanto all’etimo è aggettivo formato aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a o al sostantivo cricchio (voce onomatopeica che vale ticchio, ghiribizzo) o piú probabilmente al sostantivo cricco (dal fr. cric martinetto, quello con cui si solleva un autoveicolo quando si deve sostituire una ruota); semanticamente, oltre che morfologicamente trovo piú vicino a criccuso la voce cricco piuttosto che la voce cricchio= ghiribizzo; infatti criccuso mi pare che ripeta, semanticamente, la forza puntigliosa(quasi dispettosa) esercitata con il cricco per raggiungere lo scopo del sollevamento d’un autoveicolo, laddove non mi par di poter trovare attinenze semantiche tra un’idea improvvisa e stravagante quale quella del ghiribizzo e l’applicazione costante e finalizzata del criccuso/puntiglioso; ugualmente morfologicamente trovo molto piú vicino a criccuso la voce cricco piuttosto che la voce cricchio(= ghiribizzo) voce che probabilmente avrebbe potuto evolversi in cricchiuso (mai però attestato) e non in criccuso; ‘mbizzuso/a agg.vo m.le o f.le di per sé in primis capriccioso/a, lunatico/a; scontroso/a e quindi per estensione testardo, ostinato, forte, resistente, costante, puntiglioso, saldo nei proprî propositi stravaganti e/o bizzarri; quanto all’etimo è aggettivo formato premettendo un in→’m rafforzativo ed aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa al sostantivo bizza ( 1.breve stizza, capriccio stizzoso, ma di breve durata, senza serio motivo, anche fig.: il bimbo fa le bizze; il motore fa le bizze. 2.(per ampliamento semantico)impuntatura, ira, collera; etimologicamente molti dizionari registrano la voce come d’etimo incerto, il D.E.I. e precisamente Carlo Battisti o Giovanni Alessio che si presero la responsabilità delle voci sotto la lettera B ipotizzarono (ma a mio avviso poco convincentemente) una derivazione dal lat. vitiosus per il tramite dell’aggettivo bizz(i)oso; semanticamente non trovo molta corrispondenza tra il vizio(che in latino vale errore, mancanza) ed il capriccio o l’impuntatura che son proprî della bizza; migliore m’appare la proposta di Ottorino Pianigiani che legge bizza come forma varia ed intensiva di izza battezzando ambedue come provenienti dall’antico sassone hittja→hizza = ardore): trovo l’ardore semanticamente molto piú vicino del vizio all’impuntatura,alla ira o anche solo ad una breve stizza!); ncucciuso – ncucciosa agg.vo m.le o f.le ripete all’incirca le valenze del precedente cervecone/a nei significati di persona dalla testa dura ,persistentemente caparbia, testarda, puntigliosa, testona, cocciuta; quanto a l’etimo è termine formato da una n eufonica (per la quale non necessita alcun segno diacritico di aferesi che non c’è stata, (segno che necessiterebbe nel caso che la n fosse aferesi di un (i)n→’n illativo), n eufonica premessa alle voci cucciuso cucciosa nate addizionando la voce cuccia per coccia ← coccia (guscio di crostaceo, conchiglia e per estensione scorza, buccia e regionalmente testa (dal lat. cochlea(m) 'lumaca, chiocciola', dal gr. kochlías) con il suffisso lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa (suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, che indica presenza, caratteristica, qualità ecc. (, curaggiuso/curaggiosa,perecchiuso/perucchiosa= pidocchioso/a, schifuso/schifosa). ; ncucciuto/a agg.vo m.le o f.le è il medesimo aggettivo precedente con una morfologia un po’ diversa; in questo a margine il suffisso non è quello lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa, ma quello verbale uto/a del part. passato, usato spesso per la formazione di aggettivi; la cosa da notare è che se l’agg.vo a margine fosse etimologicamente un reale p.p. dell’infinito ncuccià =ostinarsi, colpire, prendere etc., avrebbe dovuto essere ncucciato e non ncucciuto che potrebbe essere p.p. d’un inesistente ncuccí ; ncanuso/osa agg.vo m.le o f.le vale in primis: stizzoso, sdegnoso e per ampiamento semantico testardo, fermo nelle proprie idee, da non lasciar spazio alle altrui idee o azioni, quasi come un cane da guardia. Etimologicamente è voce costruita con una n eufonica ( che non è residuo di un in→’n illativo e dunque non necessita(come ò già détto antea) del segno diacritico d’aferesi la cui apposizione, (come pure m’è occorso di trovare in taluni importanti (sic!) scrittori, sedicenti esperti dell’esatta grafia dell’idioma partenopeo) sarebbe inutile e pleonastica, n eufonica anteposta al sostantivo cane (lat. cane(m)) seguito dal suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa; ‘ncanato/a agg.vo m.le o f.le voce analoga alla precedente nel significato di ostinato, cocciuto, testardo, caparbio, pertinace, puntiglioso, che agisce alla maniera d’un cane da guardia; etimologicamente la voce a margine pure essendo costruita, come la precedente sul s.vo cane (lat. cane(m), à una morfologia affatto diversa: in questa a margine infatti la ‘n d’avvio non è una consonante eufonica, ma è un residuo di un in→’n illativo e dunque necessita del segno diacritico d’aferesi; il suffisso adottato poi è quello (ato/a) delle desinenze verbali (part. passato) tanto da far sospettare una diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncanarse (comportarsi come un cane); ‘ncapunito/a agg.vo m.le o f.le intestardito, testardo, caparbio, come chi abbia una testa tanto grossa da farlo definire testone,testardo, pervicace, tignoso, persona ostinata ma poco intelligente; etimologicamente la voce a margine pure essendo costruita, sul s.vo capone = grosso capo cui è anteposta un in→’n illativo che dunque necessita del segno diacritico, adotta come suffisso quello (ito/a) delle desinenze verbali di terza coniugazione (part. passato) tanto da far sospettare una diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncapunirse (intestardirsi, incaparbirsi, fissarsi, impuntarsi); ncrapicciuso/osa agg.vo m.le o f.le vale in primis: estroso, bizzarro, originale, stravagante, insolito, strambo; civettuolo, e per ampiamento semantico testardo, fermo nelle proprie pretese balzane, bizzose,eccentriche, strampalate, assurde; ; etimologicamente la voce a margine è costruita sul s.vo crapiccio = voglia improvvisa e stravagante, desiderio bizzarro, ghiribizzo, sostantivo per il cui etimo si sospetta (D.E.I.- GARZANTI) una derivazione con lettura metatetica di cap(o)riccio = capo con i capelli rizzati per la paura, quindi manifestazione stravagante; trovo però migliore un’adattamento del fr. caprice sempre con lettura metatetica; al s.vo crapiccio è anteposta una n eufonica che dunquenon necessita del segno diacritico, e gli fa seguito il suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa; ‘ncurnato/a agg.vo m.le o f.le ad litteram varrebbe incornato/a cioè colpito/a da una cornata, ma è inteso nei significati traslati di testardo, sfrontato, insolente, cocciuto, che fa di testa propria incurante di moniti o suggerimenti,accezioni tutte semanticamente spiegate con il fatto che esistono delle bestie (ovini – bovini) dal comportamento cocciuto ed il cui capo è spesso provvisto di corna s.vo su cui è modellato l’aggettivo a margine secondo il seguente iter: al s.vo cu(o)rn(a)←corna è anteposta un in→’n illativo che in quanto tale necessita del segno diacritico, ed al s.vo fa seguito il suffisso ato/a) delle desinenze verbali di 1° cng. (part. passato) tanto da far sospettare una diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncurnarse (comportarsi cocciutamente come una bestia provvista di corna); di pertinenza osus/osa→uso/osa; ‘nzallannòmmene agg.vo e s.vo m.le e solo m.le: non è attestato come f.le= in primis zuccone, sciocco, stolto, scimunito; (fam.) tonto; poi per estensione semantica protervo, spocchioso, sprezzante, tracotante; arrogante, sfacciato, sfrontato, insolente e da ultimo testardo, ostinato, disorientatore,chi frastorna, turba, confonde, frastorna, sconcerta, scombussola con atti o discorsi ostinati, tenaci, perseveranti, caparbi, testardi, puntigliosi; è voce deseutissima che rappresenta quasi la voce attiva rispetto alla voce passiva ‘nzallanuto/a che connota colui o colei che subiscono l’azione del disorientamento, frastornamento, turbamento, confusione, , sconcertamento, scombussolamento con atti o parole ad opera di un ‘nzallannòmmene (ad litteram: frastorna-uomini). Etimologicamente sia ‘nzallannòmmene che ‘nzallanuto/a sono deverbali di ‘nzallaní di cui ‘nzallanuto/a è il participio passato, mentre ‘nzallannòmmene è formato agglutinando la radice ‘nzallan di ‘nzallaní (con raddoppiamento espressivo della nasale dentale n: ‘nzallaní →‘nzallanní) con il so.vo òmmene per uòmmene(dal lat. (h)omine(s) con radd. espressivo della nasale bilabiale m) pl. di ommo = uomo (dal lat. (h)omo con radd. espressivo della nasale bilabiale m); occorre solo chiarire ora significato ed etimo del verbo ‘nzallaní; dirò perciò che accanto alla voce ‘nzallaní, nel napoletano è in uso anche ‘nzallanirsi e questa seconda voce rappresenta la forma riflessiva della prima, e son verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in esame in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anziane che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo! Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi in esame. La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto articolata e tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensano di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú. Per ciò che riguarda i verbi esaminati mi pare di potere accettare l’ipotesi di de Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere un adattamento corruttivo di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs); di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo; normale infatti il passaggio del gruppo th a z (cfr. thiu(m)→zio); tuttavia per la voce zallo mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi, ipotesi che espongo qui di sèguito. Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali dentali nn con le piú comode consonanti laterali alveolari ll. Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro). Da zaffo a zallo il passo non è lungo, come ugualmente non lungo potrebbe esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo!; epperò penso che la prima ipotesi quella cioè che ritiene zallo adattamento corruttivo di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs) sia la migliore e quella piú perseguibile; proffediosa agg.vo e s.vo f.le e solo f.le: non è attestato come m.le= in primis zuccona, sciocca, stolta, scimunita; tonta; poi per estensione semantica proterva, perfida,malvagia, spocchiosa, sprezzante, tracotante; arrogante, sfacciata, sfrontata, insolente e da ultimo testarda, ostinata,subdola, tenace, perseverante in atteggiamenti (tipici delle donne) malvagi e spesso crudeli; è voce purtroppo deseutissima etimologicamente formata sul s.vo perfidia (dal lat. perfidia(m), deriv. di perfidus) letto metateticamente prefidia→preffidia→proffidia con raddoppiamento espressivo della consonante fricativa labiodentale sorda e cambio della e (intesa lunga) in o e aggiunta del suffisso di pertinenza osa←osus/osa scurzone/a - scurzato/a – scurzuso/osa tre agg.vi m.li o f.li morfologicamente poco diversi (cambiano i suffissi)che valgono tutti in primis spilorcio/a, avaro/a e poi per ampiamento semantico tutti ostinato/a, fermo/a nei proprî propositi come chi sia di dura scorza (corteccia) e non si lasci intaccare da nulla; etimologicamente tutti sono costruiti sul s.vo scorza (dal lat. scortea(m) 'veste di pelle', f. sost. dell'agg. scorteus, deriv. di scortum 'pelle') 1-rivestimento del fusto e delle radici degli alberi; 2 – ( estens.) pelle di alcuni animali, spec. di pesci e serpenti 3 ed è il caso che ci occupa: pelle dell'uomo (spec. in alcune loc. dell'uso fam.): avere la scorza dura, (fig.) aspetto esteriore, apparenza; dicevo che tutti I tre aggettivi sono costruiti sul s.vo scorza; al primo è aggiunto il suffisso accrescitivo one/ona ,al terzo quello lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa, mentre al secondoquello verbale ato/a del part. Passato dei verbi di 1° cngz, usato spesso per la formazione di aggettivi, tanto da poter far sospettare che scurzato/a sia il p.p. dell’infinito scurzà =privare della buccia o scorza da intendersi però in senso antifrastico come chi non si lascia intaccare la propria buccia; e veniamo all’ultimo termine che rende in napoletano quello italiano dell’epigrafe: vinciuto/a agg.vo m.le o f.le in primis prepotente, viziato,petulante, fastidioso,, arrogante, ostinato nelle pretese,diseducato,abituato ad averle tutte vinte: è ‘nu criaturo/’na criatura vinciuto/a (è un bambino/una bambina viziato/a); etimologicamente ci troviamo in presenza di una forma verbale (part. pass. aggettivato ) dell’infinito véncere (dal lat. vincere) vincere,sconfiggere, superare, sbaragliare, schiacciare, annientare; conquistare, espugnare etc., ma ci troviamo ad aver che fare, a mio avviso, con un uso improprio di un participio passato che solitamente viene usato per indicare un’azione non solo passata, ma pure subíta: in italiano vinto (part. passato di vincere) indica il sopraffatto, lo sconfitto, il perdente, colui che à perso, mentre è il part. presente vincente ad indicare colui che stia vincendo, sopraffacendo, sconfiggendo qualcuno; alla medesima stregua in napoletano vinciuto (part. passato di vencere) dovrebbe indicare il sopraffatto, lo sconfitto, il perdente, colui che à perso, e non (come invece avviene)colui che stia vincendo, sopraffacendo, sconfiggendo qualcuno, anzi colui che le à sempre vinte tutte!, ma è d’uso ormai sia nel parlato che nello scritto napoletano considerare vinciuto sinonimo di vittorioso, vincente, forse sottintendendo un che à→ c’à in posizione protetica a vinciuto: ad es.: è ‘nu criaturo vinciuto cioè è ‘nu criaturo(c’ à) vinciuto; ma non saranno le mie parole a rimettere ordine in codesto groviglio semantico. Satis est. Raffaele Bracale

ATTONITO, STUPíTO & dintorni

ATTONITO, STUPíTO & dintorni L’idea di queste paginette nacque all’indomani d’un mio incontro con l’amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) al quale contestai il fatto che nella lingua italiana le voci in epigrafe sono spessissimo usate quali sinonimi, essendo ormai invalso l’uso (anche per colpevole neghittosità (per evitar di parlare di ignoranza…) della classe docente) di non far distinzioni e di non insegnare ai discenti che esistono sottili differenze tra i significati termini suddetti, differenze che invece esistono e sono sostanziali attesa la graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che accompagna or l’uno or l’altro termine; uguale se non maggiori la graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che connotano le voci napoletane che ripetono quelle dell’epigrafe. Cercherò con le pagine che seguono di convincere del mio assunto l’amico P. G. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Cominciamo con le voci dell’italiano: attonito/a agg.vo m.le o f.le moderatamentemente sbalordito, stupefatto, sbigottito, quasi stordito; etimologicamente dal lat. attonitu(m) 'stordito dal tuono' stupito/a, agg.vo m.le o f.le preso da improvviso stupore; meravigliato, sorpreso; etimologicamente part. pass. del verbo stupíre che è dal lat stŭpēre con cambio di coniugazione; allibito/a, agg.vo m.le o f.le sbalordito,ma non sorpreso,sbiancato in volto per la paura; etimologicamente part. pass. del verbo allibíre che è dal lat. volg. *allivíre, deriv. di livíre 'essere livido'; meravigliato/a, agg.vo m.le o f.le sconcertato, pieno di meraviglia, stupito e sorpreso; etimologicamente part. pass. del verbo meravigliare che è un denominale del lat. mirabilia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl. sost. dell'agg. mirabilis 'meraviglioso'; sbalordito/a, agg.vo m.le o f.le intensamente stupefatto, sbigottito, quasi stordito; etimologicamente part. pass. del verbo sbalordíre che è un denominale di balordo (1 persona sciocca o molto sbadata. 2 (gerg.) delinquente, malavitoso (dal tardo lat. bis→ba + lurdu(s)= zoppicante)) con protesi di una s intensiva1 persona sciocca o molto sbadata: proprio la presenza in posizione protetica della s intensiva (da non confondere con la s protetica dell’italiano dove è distrattiva), che è tipica del napoletano, mi fa sospettare che la parola a margine sia originariamente napoletana nella forma sbalurdito adattata nello sbalordito dell’italiano ; stupefatto/a; agg.vo m.le o f.le molto intensamente sbalordito ,energicamente sbigottito, quasi instupidito da e per gli avvenimenti cui assiste o è compartecipe; è l’aggettivo al culmine della graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione espressi dalle varie voci esaminate; etimologicamente part. pass. del poco usuale verbo stupefare che è dal lat. stupefacere→stupefa(ce)re, comp. del tema di stupíre 'intontire, stupire' e facere 'fare'; Come mi pare d’aver chiarito v’è una graduazione tra i varî termini esaminati che perciò andrebbero usati scegliendo opportunamente secondo l’intensità del sentimento o sensazione provati senza fare di ogni erba un fascio. Ma queste sono pedanterie o sottigliezze che erano insegnate dai docenti di mezzo secolo fa; quelli di oggi o non le sanno (per non averle colpevolmente apprese) o se ne sono al corrente, se ne impipano ed evitano di trasmetterle ai discenti,che d’altra parte non ànno gran voglia o bisogno di apprendere atteso che usano per comunicare non piú l’italiano, ma spesso lingue straniere, linguaggi da iniziati, gerghi, slang o argot e forse il mio dire risulta essere un inutile parlare al vento. Ma completerò l’argomentare! Andiamo oltre e passiamo alle voci del napoletano che ordinerò in ordine di graduazione cunfuso/a, agg.vo m.le o f.le 1 disordinato, messo alla rinfusa: n’ammasso cunfuso ‘e perecoglie(un ammasso confuso di oggetti non identificati) mescolato ad altri:rummané cunfuso ‘mmiez’â folla( restare confuso fra la folla) 2 vago, indistinto; non chiaro: ‘nu ricordo cunfuso,parole cunfuse(un ricordo confuso; parole confuse); 3 che prova vergogna o emozione; turbato, imbarazzato: rummanette cunfuso sentennose repigliato(restò confuso di fronte al rimprovero); voce dal lat. confusu(m)→cunfusu(m), part. pass. di confondere→cunfonnere 'confondere'; affuscato/a, agg.vo m.le o f.le 1reso contenutamente fosco/a,quasi oscurato/a, privato/a della lucentezza o della trasparenza e dunque abbebbiato/a, reso/a confuso/a e privato/a del discernimento chiaro; anche nella forma intr. pron. farse, addeventà affuscato (farsi, diventare fosco): ‘o cielo s’è affuscato; ll’aria se sta affuscanno(il cielo si è offuscato; l’aria si sta offuscando.)2 sbalordito/a, senza parole, per qualche moderata impressione che colpisca l’animo: essere affuscato per lo stupore, per lo spavento; etimologicamente la voce è il part. pass. di affuscà← dal lat. tardo *affuscare←ab-fuscare collaterale di offuscare, deriv. di fuscus 'fosco, scuro,confuso'; alleccuto/a,- alluccuto/a, agg.vo m.le o f.le blandamente stordito/a, frastornato/a, intontito/a, istupidito/a, stranito/a, disorientato/a come colui/colei che sia stato sgridato in maniera veemente e ne sia rimasto confuso/a, inebetito/a, smarrito/a,etc. etimologicamente la voce è costruita sia pure adottando un suffisso da part. pass) sul s.vo allucco= grido che a sua volta è lat. tardo alucus, ulucus e uluccus (di origine onomatopeica) che di per sé è l’allocco (uccello rapace notturno con occhi grandi e rotondi, piumaggio bruno, coda corta e arrotondata (ord. Strigiformi)) del quale per sineddoche del suo verso stridente si ricavò la voce lapoletana allucco= grido; rammento che l’autentico part. pass. che rende in napoletano lo sgridato dell’italiano è alluccato dall’inf. alluccà = gridare, urlare[dal lat. volg. *adloquicare→alloq(ui)care→ alloccare→alluccà intensivo di loqui]; maravigliato/a, agg.vo m.le o f.le meravigliato/a, contenutamente agitato/a, ma non inquietato/a, scombussolato/a, preoccupato; etimologicamente la voce è costruita (sia pure adottando, come per la voce precedente, un suffisso da part. pass) sul s.vo maraviglia= meraviglia; ‘mpressiunato/a, agg.vo m.le o f.le moderatamente scosso, turbato, spaventato; etimologicamente part. pass. del verbo ‘mpressiunà che è un denominale di ‘mpressione dal lat. impressione(m)→’mpressione, deriv. di impressus, part. pass. di imprimere 'imprimere'*allivíre, deriv. di livíre 'essere livido'; sturduto/a, agg.vo m.le o f.le molto sbalordito, intontito, frastornato, quasi privo di sensi, tramortito; etimologicamente part. pass. del verbo sturdí=stordire, frastornare, intontire; sturdí è un deriv. di tordo, nel senso fig. di 'uomo semplice, balordo', col pref.intensivo s-; stuóteco/stòteca, agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m) è lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a inveterati e per ampliamento semantico l’ignorante, l’idiota, il/la rozzo/a; stunato/a, agg.vo m.le o f.le chi è messo o si trova in uno stato di grande apprensione e di turbamento al segno di apparire turbato, sconcertato, confuso; in primis la voce a margine 1 si dice di persona che stona, che è poco intonata; di strumento, che è male accordato, che non à l'intonazione giusta; di nota, che è eseguita fuori tono; (fig.) una cosa non opportuna, fuori luogo 2 (fig.) che non si armonizza col resto; e sempre figuratamente poi vale quanto ò indicato in prima battuta; etimologicamente part. pass. del verbo stunà= stonare, poi stordire, frastornare, intontire; stunà nell’accezione che ci occupa è per influsso dal fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extonare : l’ ex à dato il pref.intensivo s-; stupetiato/a, agg.vo m.le o f.le istupidito, intensamente turbato intontito, stordito etimologicamente part. pass. del verbo stupetià= istupidire, poi stordire, frastornare, intontire stupetià è un adattamento dal lat.volg.*stupitare collaterale del class.stupíre; spantecato/a, agg.vo m.le o f.le agitato, scosso, inquieto, preoccupato, molto intensamente turbato addirittura intontito, stordito per cause le piú varie dal dolore fisico e/o morale, all’amore; etimologicamente part. pass. del verbo spantecà = spasimare, poi stordire, confondere, disorientare, stordire; spantecà è da un lat.volg.*ex-panticāre risalente al s.vo pantex -icis; ‘nfanfaruto/a, agg.vo m.le o f.le eccessivamente confuso, intontito , inebetito, stranito, smarrito, frastornato e per ampiamento semantico anche adirato, arrabbiato, irato, infuriato, alterato, stizzito, irritato; Etimologicamente si tratta di voce denominale del s.vo ‘nfanfaro(= sciocco, stolto, deficiente, imbecille, scimunito) voce ottenuta partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare; ‘nzallanuto/a, agg.vo m.le o f.le eclatantemente confuso/a, stordito/a, intontito/a sino a non connettere piú. Per entrare nel merito della voce a margine è giocoforza ch’io mi soffermi sui verbi ‘nzallaní e ‘nzallanirse, dei quali il secondo rappresenta la forma riflessiva del primo, verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque, come ò detto, eclatantemente confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in esame in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anzione che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo! Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi da cui trae il part. pass. a margine. La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensa di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú. Per ciò che riguarda i verbi in esame mi pare di potere accettare l’ipotesi di De Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere corruzione di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;morfologicamente ci saremmo in quanto è pacifico il passaggio del lat th al nap. z (cfr. thia→zia), tuttavia mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi per la voce zallo ipotesi che espongo qui di sèguito. Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali nn con le piú comode ll. Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro?). Da zaffo a zallo il passo non è lungo, come potrebbe non esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo! catarchio s.vo m.le e solo m.le: non è attestato un s.vo f.le catarchia babbeo, sciocco, debole, stolto, rimbambito, stordito indebolito,vecchio decrepito e (come tale) stordito, inebetito, frastornato; etimologicamente lasciando da parte ogni altra ipotesi poco convincente penso si debba aderire all’idea del Rohlfs che lesse nel s.vo a margine il greco katárchaios= molto vecchio; ’ncatarchiato, agg.vo m.le e solo m.le: non è attestato, quantunque possibile un f.le’ncatarchiata e ciò forse perché il s.vo precedente da cui deriva l’aggettivo a margine, è s.vo solo maschile; l’aggettivo a margine vale sciocco, debole, stolto, rimbambito, stordito, indebolito stordito, inebetito, frastornato sbigottito, avvilito; smarrizzato/a agg.vo m.le o f.le à i medesimi significati del precedente ‘ncatarchiato, ma piú intensivamente rappresentati ed è l’aggettivo da porre al culmine di un’ipotetica scala di graduazione e/o intensità del sentimento o sensazione che connotano le voci napoletane che ripetono quelle dell’epigrafe; etimologicamente part. pass. del verbo smarrizzà(rse)=soffrire il mar di mare, poi stordir(si), frastornar(si), intontir(si); smarrizzà(rse)=è un calco dello spagnolo marearse di uguale significato, col pref.intensivo s-: tipico il passaggio di rs→rz come tipico e il raddoppiamento espressivo della consonante liquida vibrante della seconda sillaba. Qui giunto penso d’aver chiarito ad abundantiam il mio assunto all’amico P. G. ed a qualche altro dei miei ventiquattro lettori e penso perciò di poter porre il punto fermo a queste numerose paginette. Satis est. Raffaele Bracale

‘NZALLANÍ – ‘NZALLANIRSE & DINTORNI

‘NZALLANÍ – ‘NZALLANIRSE & DINTORNI Questa volta ci soffermeremo sui due verbi in epigrafe, dei quali il secondo rappresenta la forma riflessiva del primo, verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in epigrafe in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anzione che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo! Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi in epigrafe. La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensano di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú. Per ciò che riguarda i verbi in epigrafe mi pare di potere accettare l’ipotesi di De Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere corruzione di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;morfologicamente ci saremmo in quanto è pacifico il passaggio del lat th al nap. z (cfr. thia→zia), tuttavia mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi per la voce zallo ipotesi che espongo qui di sèguito. Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali nn con le piú comode ll. Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro?). Da zaffo a zallo,per adattamento corruttivo del parlato,l IL passo non è lungo, come potrebbe non esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo! Satis est, fatta salva qualche inopinata sciocchezza asserita. Raffaele Bracale

martedì 30 agosto 2016

VARIE 16/784

1.'A CARNE SE VENNE Â CHIANCA 'A carne se venne â chianca. Ad litteram: La carne viene venduta in macelleria. Id est: per acquistare qualcosa bisogna rivolgersi al suo commerciante o per ottenere alcunché bisogna necessariamente rivolgersi a chi ne sia esperto; insomma per ottenere qualcosa, non ci si può fidare del dilettante o di chi improvvisi, ma bisogna rivolgersi sempre al competente ed al professionista. Chianca beccheria, macelleria (dal lat. planca(m)=panca di legno perché un tempo la carne era esposta e sezionata per la vendita al minuto, su di un tavolo di legno; normale il passaggio di pl→chi (cfr. plus→cchiú – plena(m)→chiena - plumbeum→chiummo etc.). ________________________________________ 2 . CHI CAMPA STURTARIELLO CAMPA BUNARIELLO, CHI CAMPA ADDRITTO...CAMPA AFFLITTO! Chi vive di sotterfugi e di espedienti riesce sempre a sbarcare il lunario, chi vuol vivere in modo retto e corretto troverà sempre tante difficoltà sul suo cammino. ________________________________________ 3. ANCÒRA NUN È PPRENA MARIANNA E GGIÀ ÀNNO SPASO FASCIATORE E PPANNE. Letteralmente: Marianna non è ancora incinta e già ànno sciorinato fasce e pannolini Locuzione proverbiale usata a divertito commento delle azioni di chi si predispone e si prepara a qualcosa con evidente eccessivo anticipo. ________________________________________ 4. A PPAVÀ I A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TARDE SE PO’ Ad litteram: A pagare ed a morire, quando piú tardi sia possibile... Id est: È buona norma il tentare di rimandare sine die due cose ugualmente nocive: il pagare ed il decedere. ________________________________________ 5.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’ Ô LIETTO. Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie"(prima di abdicare a questo nome – ceduto ai villici – per assumere quello di “mangiamaccheroni”), sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specialmente nell'intimità, moine che semanticamente sono per traslato appaiate ai broccoli perché come questi ultimi son fatte di tenerezza; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati. ________________________________________ 6. ZAPPA 'E FEMMENA E SSURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA. Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra. 7. AMICE E VVINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE! Adlitteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica data. 8.'A MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DDENARE. Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro. 9. 'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GGHIASTEMMANO. Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi. 10.'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorrono. 11.'O GALANTOMO APPEZZENTÙTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO. Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui. 12. ‘E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PPARTE E NNUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO. Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio. ________________________________________ 13. LL'UOCCHIE SO' FFATTE PE GUARDÀ, MA 'E MMANE PE TUCCÀ. Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano - sogliono azzardare furtivamente o meno palpeggiamenti delle rotondità femminili. ________________________________________ 14.DICETTE ‘O PAPPICE VICINO Â NOCE: "DAMME ‘O TIEMPO CA TE SPERTOSO!" Disse il tonchio alla noce "dammi il tempo che ti foro".Anche chi non sia dotato di molta prestanza fisica può ottenere – con il tempo e l’applicazione – i risultati sperati. ________________________________________ 15.CHISTO È ‘NA GALLETTA CA NUN SE SPOGNA! Ad litteram: Costui è una galletta che non si (riesce a) spugnare. Icastica espressione partenopea usata sarcasticamente nei confronti di qualcuno che sia cosí tanto avaro o cosí tanto restio a conferire la propria opera da poter esser messo a paragone ad una galletta (dal francese galette, deriv. di galet, ant. gal 'ciottolo', per la forma e/o durezza) quel tipico pane biscottato, a forma di focaccia, conservabile per lunghissimo tempo, pane impastato con pochissimo lievito e perciò durissimo; tali gallette un tempo entrarono a far parte delle razioni alimentari dei soldati (fanti o marinai) ma pure delle delle riserve alimentari dei pescatori che le preferirono al pane giacché non ammuffivano e si conservavano per un tempo quasi indeterminato. Per potersene nutrire militari e pescatori usavano mettere a mollo in acqua di fonte o addirittura di mare...) le gallette fino a che, non se ne fossero ben bene imbibite, diventando morbidi ed edibili; tale operazione fu detta in napoletano spugnatura che come significato non corrisponde alla omofona ed omografa spugnatura della lingua italiana dove significa, quale deverbale di spugnare:(che è un denominale di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía) il bagnarsi, lo strofinarsi per mezzo di una spugna; in partic., lo spremere spugne imbevute di acqua o di liquidi medicamentosi su parti del corpo a scopo terapeutico; la spugnatura napoletana invece, quantunque pur essa derivata di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía indica esattamente l’operazione di mettere a mollo in acqua o altro liquido (brodo) le gallette spezzettate per modo che si imbibiscano d’acqua, brodo etc. a mo’ di una spugna, ammorbidendosi; cosa che non si può dire del protagonista della locuzione in epigrafe, protagonista che è cosí duro di cuore e/o volontà che mai lo si riuscirebbe ad ammorbidire convincendolo ad allargare i cordoni della propria borsa o convincendolo a prestar la propria opera a pro di terzi. chisto = questo, costui ( dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo') agg.vo e qui pronome dimostrativo; come agg. dimostr. [precede sempre il sostantivo] indica persona o cosa vicina, nel tempo o nello spazio, a chi parla o indica persona o cosa di cui si sta parlando o anche vale simile, siffatto, di questo genere ( ad es. nun ascí cu chistu tiempo! = non sortire con un tempo simile!); come pron. dimostr. indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando; o ciò, la cosa di cui si parla; ________________________________________ 16.NUN FÀ BBENE Ô PEZZENTE CA NCE ‘O PPIERDE! Ad litteram: Non far del bene ad un povero ché lo perdi. Id est: Il bene fatto a chi è veramente povero è irrimediabilmente perduto;infatti in caso di prestito il povero non sarà mai in grado di restituire la cosa avuta in prestito, in caso di liberalità non si otterrà nemmeno riconoscenza: chi è povero, veramente povero per il suo stesso status è purtroppo proclive all’invidia anche del proprio benefattore! 17.CHI TÈNE CCHIÚ PPORVERA SPARA E LL’ATE SÈNTENO ‘E BBOTTE. Ad litteram: Colui che à piú polvere spara e gli altri sentono i botti (prodotti dagli spari). Ancóra un’antica eloquente, icastica locuzione usata per significare (prendendo a modello l’operato dei fuochisti [cioè degli artieri che si esibivano un tempo ed ancóra talora si esibiscono durante le feste patronali con spettacoli di fuochi artificiali])che nella vita chi è dotato di migliori e numerosi mezzi rappresentati sia dal denaro che dagli aiuti quali appoggi, aderenze, raccomandazioni è colui che ottiene i piú eclatanti risultati in termini di affermazione socio/economica, mentre a tutti gli altri non resta che rassegnarsi a l’eco dei successi ottenuti da chi à piú mezzi.La locuzione à come sostrato la convinzione che nella vita per affermarsi non necessitano studio e/o capacità innata, ma servono ricchezza, aiuti, appoggi, buoni uffici,pedate, protezioni. PORVERA, ma anche il sincopato PORVA s.vo f.le polvere, qui polvere da sparo [dal lat. pŭlvĕre-m con rotacismo della L→R]. 18.’O FFRUSCIARSE FA BBENE Â SALUTA. Ad litteram: l’illudersi (vantandosi), giova alla salute.Oppure:Il divertrirsi giova alla salute. Ennesima eloquente, icastica locuzione da intendersi in due significati correlativamente al significato attribuito al verbo frusciarsi che valse un tempo illudersi, pavoneggiandosi e vantandosi,e piú modernamente: divertirsi; nella prima accezione la locuzione afferma, desumendolo dalla disincantata ossevazione della realtà, che chiunque è convinto della giustezza e del buon diritto in ordine al quanto affermi o operi ed addirittura se ne vanti, anche quando giustezza e/o buon diritto non siano supportati da un riscontro palese, trae giovamento per la sua salute se non fisica, certamente mentale; uguale giovamento per la salute mentale si può ottenere da un sano divertimento; quanto al verbo frusciarse [forma riflessiva di frusciare/ fruscià che à un etimo nel basso latino frustiare usato per significare fare in pezzi, sciupare, consumare] nei significati estensivi di vantarsi, gloriarsi, pavoneggiarsi deve collegarsi [con un po’ di fatica in quanto la strada semantica da percorrere è impervia], al significato primo del riflessivo che è affaccendarsi in qlc.reiterando l’azione e facendo mostra del proprio impegno. Raffaele Bracale

IL VERBO METTERE E LA SUA FRASEOLOGIA 2.

IL VERBO METTERE E LA SUA FRASEOLOGIA parte seconda. 2 – Mettere ‘o ppepe ‘nculo â zoccola. Letteralmente:introdurre pepe nell’ano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora ci si serviva in primis, come mezzo di trasporto, delle navi , capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci, attratti dalle granaglie, solcassero i mari grossi topi ( in napoletano zoccole al sg zoccola dal lat. sorcula diminutivo di sorex), che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie e poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa,si diverte e gode ad attizzare il fuoco della discussione fra terzi... 3 – Mettere ‘a capa a ffà bbene Letteralmente:porre il capo a fare bene; id est: decidersi ad agire secondo i dettami della correttezza tenendo un comportamento retto giusto, idoneo, ortodosso, regolare che non offra appigli per reprimende, rimbrotti, sgridate, strigliate, rampogne. Locuzione usata con riferimento a chi adulto o che non lo sia ancóra abbia finalmente dismesso il comportarsi da spensierato e non agendo piú con leggerezza, sventatamente e/o superficialmente si sia risoluto a mettersi sulla strada della serietà per operare con responsabilità, affidabilità, impegno, scrupolosità, coscienziosità, coscienza. 4 – Mettere ’a coppa Letteralmente:mettere [a chiacchiere]al di sopra. Détto sarcasticamente di chi millantatore e vuoto parolaio decanti, ma senza alcun riscontro pratico, la sua vanagloriosa superiorità nell’àmbito del sapere, dell’essere o dell’avere sull’universo mondo, sparandola piú grossa nell’intento di farsi apprezzare per quel che non è. ‘a coppa/ ‘ncoppa prep. impr. ed avv. di luogo come avv. sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa come prep. 1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa; 2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur) 3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra 4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero 5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli 6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8) 7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare 8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10ª parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto 9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione 10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3) 11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto 12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto - agg.vo invar. superiore (anche preceduto da di):’o rigo ‘e coppa; ‘o piano ‘e coppa( la riga di sopra; il piano di sopra) s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): ‘a coppa è de plastica (il (di) sopra è di plastica.) etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a. 5 – Mettere ‘a lengua ‘int’ô ppulito. Letteralmente: Mettere la lingua nel pulito. Locuzione di doppia valenza; strictu sensu è usata in riferimento a chi pur non essendo di elevata condizione sociale, per adeguarsi all’ambiente che fortuitamente frequenti, tenta, sforzandosi, di non usare l’eloquio dialettale e di usare la lingua nazionale pur non essendovi avvezzo con risultati non sempre adeguati; con intento di dileggio è sarcasticamente usata in riferimento a chi parli con affettata ricercatezza scegliendo un’elocuzione artefatta, artificiosa, studiata esprimendosi con raffinatezza inusuale e perciò goffa risultando tutt’ altro che elegante, ricercato, raffinato.Albi, di costui si dice altresí che “parla cu ‘o sciò-sciommo” espressione intraducibile ad litteram che viene ancóra usata per canzonare il risibile modo affettato e falsamente raffinato dell'incolto che pensando erroneamente di esprimersi in corretto toscano, in realtà si esprime in modo ridicolo e falso con un idioma che scimmiotta solamente la lingua di Dante, risultando spesso piú simile ad una lingua francese malamente appresa però, della quale vengon colti essenzialmente molti fonemi intesi come sci (←ch); da tale suono è stato tratto l’onomatopeico sciommo che reiterato nella prima parte (sciò) à dato lo sciò-sciommo inteso sostantivo neutro. ppulito s.vo astratto, neutro ciò che è oppure è inteso netto, decente, decoroso, dignitoso, conveniente ed anche fine, raffinato, distinto, signorile, chic, ricercato; voce deverbale del lat. pōlire→pulire; trattandosi di voce astratta è voce neutra ed esige [se preceduto dall’art. neutro ‘o (il/lo)oppure dalla crasi ô (al/allo)]il raddoppiamento della consonante d’avvio (p) indipendentemente dal fatto che in napoletano la consonante occlusiva bilabiale sorda (p) e quella sonora (b) vengono costantemente raddoppiate quale sia il posto che occupino nella parola. 6 – Mettere ‘a supponta Letteralmente: Apporre un puntello. Locuzione anch’essa di doppia valenza; se usata nel senso pratico fa riferimento al propizio intervento di chi fornisca il bisognoso di un piccolo asciolvere che faccia da temporaneo rincalzo del vuoto stomaco che reclami un sostegno, rinforzo, appoggio, supporto per lenire i morsi della fame; se usata in senso traslato con la locuzione in esame ci si riferisce al fatto che ad un neonato sia stato imposto il nome di suo nonno che avrà – hoc est in votis – nel nipotino un bastone della propria vecchiaia. supponta s.vo f.le = 1 in primis puntello,supporto ausilio; 2 per estensione appoggio, base, collaborazione, assistenza. voce deverbale del lat. sub-punctare frequentativo di sub-pungere. 7 – Mettere ‘a vammacia ‘mmocca Letteralmente:mettere l’ovatta in bocca. Locuzione richiamante in primis un’antica, ma deprecabile abitudine usata nei confronti dei defunti, abitudine che, a censurabili fini estetici,prevedeva che ad un trapassato emaciato una volta che fósse stato privato di probabili protesi dentarie, venisse riempita la bocca con voluminosa ovatta per modo che il soggetto apparisse piú florido; la locuzione è usata altresí a dileggio di chi – benché vivo e vegeto – sia in cosí tanto cattive condizioni fisiche, da farlo apparire in tutto simile ad un macilento,scavato, scarno defunto e quasi sia d’uopo che gli si riempia la bocca d’ovatta. vammacia s.vo f.le = bambagia, ovatta, cascame della filatura del cotone, nell'uso comune, cotone a fiocchi, non filato; voce dal lat. bambagiu(m), dal gr. pámbax -akos 'cotone' con risoluzione della prima b in v (cfr. bucca-m→vocca, barca-m→varca etc.)ed assimilazione regressiva della seconda b assimilata alla antecedente m ed infine passaggio dell'affricata palatale sonora (g) alla corrispondente affricata palatale sorda (c). ‘mmocca = nella bocca; voce formata dall’asgglutinazione [in posizione protetica] della preposizione in con il s.vo f.le bocca (dal lat. bucca-m) seguendo la norma che vuole che quando la preposizione in diventa proclitica di una parola che inizia con una consonamte labiale esplosiva: p o b, perde la i d’avvio sostituita dal segno (‘) dell’aferesi e muta la enne che diventa emme,spingendo talvolta all’assimilazione progressiva la consonante d’avvio come ad es. nel caso di in+ bocca→ ‘mbocca → ‘mmocca. 8 – Mettere campanielle ‘ncann’â gatta Letteralmente:Porre dei campanelli alla gola del gatto.Locuzione usata per riferire l’atteggiamento riprovevole di chi si diverta a propalare notizie riservate per il solo gusto di nuocere al prossimo, o a diffondere voci infondate seminando zizzania e ciò nell’intento di farsi notare attirando l’altrui attenzione sulla propria persona. Ricordo che altri (e per tutti l’Altamura)leggono la locuzione nel significato di: suscitare in chi non li avrebbe, sospetti , dubbi o diffidenze e giustificano questa lettura riallacciandola ad una favola d’Esopo e/o La Fontaine sul gatto ed i topi che benché anelassero a volerlo fornire di sonagli per essere tenuti sull’avviso del suo accostarsi, non trovarono tra di essi il coraggioso che lo facesse. Ora, a mio avviso,se si eccettua il tenue richiamo a campanelli ed al gatto non esistono altri punti di contatto tra la menzionata favola ed i significati della locuzione sia che venga lètta cosí come ò riportato, sia che si prenda per buona l’altra lettura; in ogni caso la locuzione mi pare che nulla abbia a che spartire con la favola d’Esopo e/o La Fontaine . - ‘ncanna= in gola espressione usata sia in senso reale come nel caso di funa ‘ncanna= corda alla gola – annuzzà ‘ncanna= soffocare per non riuscire a deglutire un boccone di cibo finito per traverso oppure in senso figurato come nel caso dell’rdpressione “'o sanco saglie 'ncanna e tt'affoca” (la parentela può soffocarti)[cfr. alibi] oppure in senso metaforico restà ‘ncanna= restare in gola détto di ciò a cui non sia pervenuti e/o non si sia potuto conseguire; ‘ncanna è: in+canna→(i)ncanna→’ncanna; (canna deriva dal latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale della gola); l’altra voce usata per indicare propriamente il canale della gola il gorgozzúle (dall'ant. gorgozzo o gorgozza, che è dal lat. volg. *gurgutiam, per il class. gurges -gitis 'gola’) è cannarone palesemente accrescitivo della pregressa canna; cannarone tuttavia non dovrebbe indicare la trachea (dal lat. tardo trachia(m), dal gr. trachêia (artìría), propr. '(arteria) ruvida', f. sost. dell'agg. trachys 'ruvido', perché al tatto risultano sensibili i passaggi fra un anello cartilagineo e l'altro) che è poi l’organo dell'apparato respiratorio a forma di tubo, costituito da una serie di anelli cartilaginei, compreso fra la laringe e i bronchi, organo cui si fa riferimento con il napoletano canna; cannarone è usato infatti soprattutto nelle espressioni in cui occorra sottolineare una pretesa vastità del tratto del tubo digerente che va dalla faringe allo stomaco, cioè dell’esofago (dal gr. oisophágos, comp. di óisein 'portare, trasportare' e phaghêin 'mangiare') di chi ingurgiti molto cibo e lo faccia voracemente; possiamo perciò dire che in napoletano – contrariamente da ciò che ritengono i piú avvezzi a far d’ogni erba un fascio, la voce canna corrisponde alla trachea mentre il cannarone è l’esofago. A margine rammenterò che nell’uso del parlato soprattutto provinciale e/o dell’entroterra accanto al termine cannarone ne esistono altri due da esso derivati e che ne sono una sorta di dispregiativo e sono: cannaruozzo e cannaruozzolo; il suffisso ozzo/uozzo di matrice tardo latino volgare fu usato per indicare (cfr. Rohlfs G.S.D.L.I.E S.D. sub 1040 )qualcosa di rozzo, grossolano, contadinesco e dunque di pertinenza di voci dispregiative; tuttavia nel caso di cannaruozzolo ci troviamo in presenza di una sorta di divertente ossimoro determinato dall’aggiunta d’un suffisso diminutivo olus→olo ad un termine accrescitivo e dispregiativo come cannaruozzo (che in origine è cannar(one)+uozzo). â preposizione art. = alla; â è la crasi (forma contratta) di a+ ‘a (a+ la), come alibi ô è crasi di a + ‘o (a+ il/lo) e vale al/ allo, come alibi ê è crasi di a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le) e vale ai/a gli oppure alle. 9 – Mettere ata carne a ccocere Letteralmente: Porre altra carne a cuocere. Détto del deplorevole modo di agire di chi provi piacere a dar motivo, destro, occasione, opportunità di discussioni, dispute e litigi, sobillando ed istigando e fornendo materia di contesa a persone i cui rapporti siano già esacerbati. Nella lingua nazionale è in uso un analogo, ma meno icastico “mettere legna al fuoco”. carne/carna s.vo f.le 1 nel corpo dell'uomo e degli animali vertebrati, la parte costituita dai muscoli tené poca carna ‘ncuollo avere poca carne addosso, essere piuttosto magro; essere ‘ncarne essere (bene) in carne, essere ben nutrito, florido | carna viva carne viva, quella che rimane scoperta, senza la protezione della pelle, in seguito a una ferita o a una bruciatura | carne toste, mosce carnisode, flaccide, con riferimento all'aspetto esteriore del corpo di una persona | ‘ncarne e ossa in carne ed ossa, in persona: sî pproprio tu ‘ncarne e ossa? sei proprio tu, in carne ed ossa?! | ‘a propria carna la propria carne, (fig.) i figli, i congiunti 2 (estens. lett.) corpo umano; persona| carne ‘e maciello, ‘e cannone carne da macello, da cannone, soldati mandati allo sbaraglio | carna vattiata carne battezzata, i cristiani | ‘a resurrezzione d’ ‘a carna la resurrezione della carne, (teol.) la ricostituzione dei corpi dopo il giudizio universale 3 (fig.) l'essere umano considerato nella sua corporalità (si contrappone ad anima, spirito): ‘e piacere, ‘e debbulezze, ‘e tentazzione d’a carna 5i piaceri, le debolezze, le tentazioni della carne | essere fatto ‘e carne e d’ossaessere (fatto) di carne e ossa, avere le esigenze, i limiti e le debolezze proprie della natura umana 4 parte degli animali, spec. dei mammiferi d'allevamento, costituita soprattutto dal tessuto muscolare e adiposo, che viene usata come alimento dell'uomo; voce dal lat. carne-m cocere, v. tr. [ dal lat. *cŏcĕre per il class. cŏquĕre] 1 sottoporre al calore del fuoco gli alimenti per renderli mangiabili e digeribili, o sostanze quali vetro, argilla ecc. per renderle adatte a determinati usi:cocere ‘a carne, ‘a pasta; cocere ô furno/tiesto, dint’â tiellaa ffuoco miccio (cuocere la carne, la pasta; cuocere al forno, in padella; cuocere a fuoco lento) 2 bruciare, ustionare; per estens., seccare, inaridire: teste ‘e vasenicola cotte dô sole (piante di basilico cotte dal sole) 3 (fig. non com.) far innamorare: ll’ à fatto cocere primma ‘e lle dicere ‘e sí (lo à lasciato cuocere prima di dirgli di sí) ||| v. intr. [aus. essere] 1 essere sottoposto a cottura: ‘a menesta sta cucenno (la minestra sta cuocendo) 2 seccare, inaridire, ‘e tteste coceno sott’ô sole (le piante inaridiscono sotto il sole) 3 scottare, esser febbricitante :’stu guaglione coce (questo ragazzo scotta) 4 (fig.) procurare offesa, umiliazione: chell’offesa ll’ è cuciuto assaje quella offesa gli è cociuto molto ||| cuocersi v. intr. pron. 1 pervenire a cottura: ‘a carne nun s’ è cuciuta bbuono (la carne non si è cotta bene) 2 bruciarsi, scottarsi: cocerse ô sole (cuocersi al sole) ' 3 (fig. non com.) innamorarsi, tormentarsi, affliggersi, provare dispetto. 10 – Mettere mane Letteralmente: Porre mano; id est: principiare (alcunché).Espressione generica usata in riferimento a chi, presa una decisione, le dia continuità pratica affrontando una qualsivoglia attività con la dovuta solerzia; va da sé che con la locuzione non si intenda restringere il campo alla mera manualità, ma pur se si accenna alle mani, si intende comprendervi quanto altro necessiti di spirito, di intelligenza, di attenzione etc. per il conseguimento dell’opera intrapresa. 11 - Mettere mane ê fierre oppure Mettere mane â tela. Letteralmente: Porre mani ai ferri oppure Porre mani alla tela Espressione analoga alla precedente, ma piú circostanziata. Nel caso in esame si fa riferimento all’attività di chi dà principio ad una attività di tipo artigianale; la prima riguarda l’attività di un artiere: fabbro, meccanico, falegname e simili, attività per le quali occorre munirsi di adeguati arnesi da lavoro, qui genericamente détti ferri; la seconda riguarda l’attività del sarto o del tessitore attività per le quali occorre lavorare stoffe, fodere o tessuti onnicomprensivamente détti tela. fierre s.vo m.le pl. del sg. fierro = ferro, utensile, arnese per il lavoro voce dal lat. fĕrru-m→fierro; voce da non confondere con il s.vo neutro fierro = ferro, minerale elemento chimico di simbolo Fe; è un metallo grigio-argenteo, tenero, duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran numero di minerali, da cui si estrae fin dalla più remota antichità. La voce neutra comporta , se preceduta dall’art. neutro ‘o oppure dalla prep, art. ô, il raddoppiamento della consonante d’avvio (es.: ‘o ffierro – vattere cu ‘o martiello ‘ncopp’ô ffierro caudo[il ferro –picchiare con il martello sul ferro caldo]) mentre la voce maschile, anche se preceduta dall’art. maschile ‘o oppure dalla prep, art.ô, mantiene scempia la consonante d’avvio (es.: ‘o fierro pe stirà – leva chella pezza ‘a copp’ô fierro pe sturà ‘a funtana[il ferro per stirare – Togli quello straccio di sopra il ferro per sturare la fontana]). 12 – Mettere mane â sacca Letteralmente:Ficcare le mani in tasca (per cavarne del danaro). Espressione usata con rassegnazione quando si è costretti a spendere danaro per sopperire alle quotidiane necessità. ed usata con rabbia davanti a sopravvenute necessità non previste e pertanto piú dolorose a petto delle usuali. 13 - Mettere ‘e mmane ‘nnanze Letteralmente: Porre le mani davanti (per premunirsi e/o difendersi). Locuzione che fotografa l’atteggiamento di chi chiarisca dall’inizio al proprio contraente illico et immediate di che panni vesta, quali siano le proprie idee, cosa ci si attenda dal negozio che si sta per compiere e quali siano i termini della questione sui quali non si è intenzionati a trattare e men che meno a cedere. annanze/annante/’nnante/’nnanze prep. impr. ed avv. 1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti) 2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/annante/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo) etimologicamente l’avv. in esame deriva dal lat. tardo abante 'avanti' con assimilazione regressiva della b in n e successivo raddoppiamento espressivo della nasale: abante→anante→annante/annanze quest’ultimo anche nella forma aferizzata ‘nnanze/’nnante; 14 - Mettere recchie p’ ‘e pertose Letteralmente: Porre le orecchie per i pertugi; id est: porsi all’attento ascolto, origliare, orecchiare, usciolare con attenzione e continuità al fine di non lasciarsi sfuggire notizie e/o voci che potrebbero riuscire utili, se non necessarie per l’azione che si à in mente di condurre in porto o che già sia in corso d’opera. pertose = buchi; s.vo f.le pl. metafonetico del maschile pertuso (dal t. lat. *pertusu(m)); di pertuso esiste anche il normale pl. masch. pertusi/e ma viene usato per indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti e/o scarpe) o segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl. f.le pertose si indica qualsivoglia altro tipo di buco e segnatamente quelli piú grandi secondo il criterio napoletano per il quale un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile et versa vice ; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. 15 - Mettere ll’uoglio ‘a copp’ô peretto Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo. La locuzione in senso traslato viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. uoglio:s.vo neutro = olio: da un latino oleu(m) cfr. greco: élaion; il classico oleu(m) diede il volgare òliu(m) con li→gli donde oglio → uoglio. peretto s.vo m.le al pl. periette: caraffe vitree senza manico di varia capacità (dai 2 litri al quarto di litro) in cui si versava e talvolta ancóra si versa il vino per servirlo in tavola : etimologicamente per alcuni da ricollegarsi a pera di cui ricalcherebbe vagamente la forma; la cosa poco mi convince, e non prendo per buono quella che piú che una etimologia, mi appare una frettolosa paretimologia, ed atteso che a mia memoria ‘e periette ch’io conobbi non somigliavano ad una pera, né dritta, né capovolta, risultando invece essere dei cilindrici vasi vitrei (e solamente vitrei) che per tutta la loro altezza mantenevano il medesimo passo e solo verso l’alto presentavano una contenuta strozzatura che costringeva il vaso dapprima ad un modesto restringimento del passo e poi a slargarsi in una imboccatura svasata,ecco che quanto all’etimologia, penso che piú che alla forma ci si debba riferire al materiale ed al modo d’apparire d’essi periette che essendo (come ò detto) di terso e scintillante vetro (non esistono, né esistettero periette in coccio o porcellana…) penso ch’essi trassero il loro nome dall’antico alto tedesco peràt= chiaro, splendente, trasparente cosí come i periette furono e sono;quanto alla morfologia è normale nel napoletano fornire d’una paragoge (sillaba finale) le parole straniere terminanti per consonante che viene espressivamente raddoppiata e corredata d’ una semimuta finale (e/o); nel ns. caso peràt→peràtto→peretto, alibi ggasse←gas, tramme←tram etc. 16 - Mettere ‘mpuzature Letteralmente:aizzare, suscitare liti, alterchi, contrasti; fomentare dissidi. Locuzione usata per fotografare il deplorevole comportamento di chi [soprattutto donne] per mera cattiveria si diverta provocare, produrre, generare, originare, accendere, stimolare litigi, alterchi, diverbi, battibecchi, dissidi, dispute quando non zuffe, baruffe ed addirittura risse; tutti questi contrasti sono rappresentati con il termine onnicomprensivo ‘mpuzature il cui sg. ‘mpuzatura s.vo f.le è un deverbale di ‘mpuzà (che è dal lat. impulsare frequ. di impellere = aizzare). 17 - Mettere ‘na pezza a cculore Letteralmente:Apporre una toppa in tinta; id est: rabberciare,riparare un danno prodotto o verificatosi attraverso l’uso di un rattoppo, un rappezzo,una pezza che almeno nascondano lo strappo. Va da sé che la locuzione e usata sia nel senso reale (quando si tratta di rattoppare adeguatamente un abito strappato), che figuratamente in riferimento a chi con adeguate parole tenti di porre ripare ad una situazione interpersonale che si sia logorata. pezza s.vo f.le = straccio, cencio, pezzo, ritaglio di tessuto, ma alibi anche lunga striscia di tessuto avvolta intorno a un cilindro di cartone o a uno scheletro di legno che i commercianti tengono per la vendita; è voce con etimo dal dal lat. med. pettia(m); rammento che la voce or ora esaminata non è il f.le del s.vo piezzo che à tutt’altro significato e con esso non va confuso; infatti piezzo è un s.vo m.le = pezzo, quantità, parte non determinata, ma generalmente piccola, di un materiale solido, qui usato nel significato di coccio, ciascuno dei pezzi in cui si rompe un oggetto fragile; l’etimo di piezzo è anch’esso dal lat. med. pettia(m) con metaplasmo e cambio di genere; 18 - Mettere ‘na pezza arza Letteralmente:Applicare un panno bollente o addirittura ardente.Locuzione che rappresenta l’esatto contrario della precedente; con questa ci si riferisce all’errata, se non malevola azione di chi invece di por riparo si adoperi per peggiorare una situazione come chi per lenire gli effetti di un’ustione adoperasse un panno bollente o addirittura ardente. arza agg.vo f.le bruciata, ardente, bollente, inaridita, secca, riarsa; etimologicamente è un part. pass. agg.ato dal lat. arsa-m con passaggio di rs a rz come in borza←bursa-m - perzo←perso etc. 19 – Mettere puteca Letteralmente: Mettere bottega; id est: principiare un’attività commerciale o di servizio impiantandone una bottega. puteca s.vo f.le = bottega, negozio, esercizio, rivendita, emporio, laboratorio, officina; voce dal greco apothéki→(a)pot(h)éki→puteca. 20 – Mettere spia Letteralmente: Mandare in giro uno o piú informatori che uscioli/ino con attenzione e continuità e riporti/ino notizie e/o voci che potrebbero riuscire utili, se non necessarie per l’azione che si à in mente di condurre in porto o che già si abbia in corso d’opera.Come si vede la locuzione fotografa ad un dipresso la medesima situazione rammentata antea sub 14 con la differenza che lí l’indagine è svolta di persona impegnando le orecchie proprie, mente in questa ci si serve di terze persone cui si affida l’incauto lavoro di origliare, informarsi e riferire. spia s.vo f.le 1 (in primis) chi di nascosto, per compenso[come nel caso che ci occupa] o [alibi] mosso da malevolenza, riferisce notizie segrete e/o fatti compromettenti e non a chi possa valersene; chi esercita lo spionaggio 2(fig.) indizio, sintomo, segno rivelatore; 3 (tecn.) termine generico con cui si indicano i dispositivi di controllo e di segnalazione, luminosa o acustica, delle condizioni di funzionamento di una macchina, di un impianto, di un apparato e sim. voce dal got. *spaiha. 21 – Mettere ‘ncalannario. Letteralmente: Appuntare sul calendario. Espressione usata in riferimente all’agire di chi sempre anche eccessivamente prudente, cauto, accorto,timoroso che gli possano accadere danni o inconvenienti pensa per tempo a quel che potrebbe accadergli e prende in anticipo provvedimenti utili a evitare perdite, svantaggi, scapiti e discapiti ed addirittura programmi minuziosamente la propria vita scadenzandone per iperbole gli avvenimenti con cura e precisione maniacali annotandoli, analiticamente su di un calendario. ‘ncalannario = in/sul calendario agglutinazione funzionale in posizione protetica della preposizione illativa in aferizzata→‘n con il s.vo m.le calannario = calendario [sistema di suddivisione del tempo in periodi costanti (anno, mese, giorno), stabiliti in base alla durata di determinati cicli astronomici]; calannario è voce dal lat. calendariu(m)→calennariu-m→calannario, deriv. di calendae 'primo giorno del mese'. 22 – Mettere nciuce Letteralmente: Seminare pettegolezzi, maldicenze, calunnie diffamazioni con acrimonia e/o malevolenza nell’intento di nuocere al prossimo o addirittura per fomentare discordie. Espressione usata in riferimento al deprecabile atteggiamento soprattutto delle donne, ma pure di taluni uomini (appartenenti solo all’anagrafe al sesso maschile) che si divertono e godono nel far del male al prossimo pettegolando ,parlandone male, diffamandolo e spesso propalando fatti altrui, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece da pettegole e pettegoli viene bellamente disattesa!...); il svo nciuco di cui nciuce è il pl. è etimologicamente deverbale di nciucià = pettegolare, verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il parlottìo tipico di chi confabuli. Qui giunto rammento che partendo dalla premessa che trattasi di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di nciucio e nciucià ed alibi nciucessa = pettegola, non deriva da un in→’n illativo, ma è una semplice consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel caso di nc’è per c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti incolti, illetterati poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano) chi scrive ‘nciucessa, ‘nciucio o ’nciucià con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi (‘); a margine rammento poi che è l’italiano ad aver derivato [seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo ritenuto la n d’avvio, un residuo di in( erroneamente ricostruito e mantenuto nella lingua nazionale )] è l’italiano, dicevo che à derivato inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dallo inciucio italiano (nel qual caso sí che sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio). 23 – Mettere prete ‘e ponta Letteralmente: Frapporre pietre appuntite; id est: creare artificiosi ostacoli. Locuzione da intendersi sia nel senso reale che in quello traslato con riferimento all’azione ostile di chi[per solito donne invidiose],al solo fine di impedire a qualcuno/a il raggiungimento di uno scopo si adoperi astiosamente e con cattiveria contro quel/quella qualcuno/a per frammettere, inframmezzare, inserire reali o figurati intoppi, impedimenti, impacci, impicci, ingombri, intralci, paragonabili a pietre pericolosamente aguzze e nelle quali si possa inciampare, ferendosi. prete s.vo f.le pl. di preta = pietra, nome generico per indicare blocchi o frammenti di minerale o di roccia veri o figurati. voce etimologicamente lettura metatetica del lat. petra(m)→preta-m , che è dal gr. pétra. ponta s.vo f.le =punta, estremità acuminata di qualcosa; voce dal lat. tardo puncta(m) 'colpo inferto con una punta', deriv. di pungere 'pungere'. 24 – Mettere tenna Letteralmente: Inalzare una tenda; id est: prender posto in una tenda al fine di accamparsi. Locuzione usata sarcasticamente con riferimento a chi si attardi in un posto oltre il consentito o il preventivato quasi che, a mo’ di milite invasore, conquistata una posizione, avesse intenzione di stabilirvisi anche in barba o con malgrado di altri. tenna s.vo f.le = tenda, piccolo padiglione facilmente smontabile, formato da teli di grosso tessuto impermeabile, sostenuto da pali e fermato da picchetti, usato come abitazione da popoli nomadi e come ricovero provvisorio da soldati e campeggiatori; voce dal lat. tardo tenda(m)→tenna-m, deriv. di (tílam) tentam; propr. '(tela) tesa', part. pass. di tendere 'tendere' 25 – Mettere a uno ‘ncopp’a ‘nu puorco Letteralmente:mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne,ingiuriarlo ed insultarlo additandolo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente ( dai primi del 1600 sino a tutta la seconda metà del 1700) allorché il condannato alla gogna o alla pena capitale vi era trasportato a dorso di maiale (animale di cui la città di Napoli brulicava [essendo détta bestia allevata da chiunque e dovunque]) affinché il condannato venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie.A Roma e stati pontifici, nel medesimo periodo, il medesimo trasporto ignominioso era fatto a dorso d’asino. ‘ncoppa/ ‘a coppa prep. impr. ed avv. di luogo come avv. sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa come prep. 1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa; 2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur) 3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra 4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero 5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli 6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8) 7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare 8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10ª parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto 9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione 10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3) 11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto 12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto ¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra ¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica. etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a. Mette conto parlare anche di ‘ncopp’â = sulla, sopra la - ncopp’ô sul sullo, sopra il/lo e di ‘ncopp’ê su gli/sulle, sopra i,gli/le; queste tre locuzioni prepositive napoletane sono forgiate da un in→’n illativo e da coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, addizionate volta a volta da â (crasi di a ‘a=alla), da ô(crasi di a ‘o=al/allo),da ê(crasi di a ‘e= ai,a gli, alle). puorco s.vo m.le =1 (in primis e come nel caso che ci occupa) maiale, porco, porcello 2 (per estensione .) carne di maiale: sacicce ‘e puorco (salsicce di porco) 3 (fig.) persona che fa o dice cose oscene. voce dal lat. pŏrcu-m→puorcu-m→puorco 26 – Mettere ‘o ssale ‘ncopp’â códa/córa. Letteralmente: Cospargere il sale sulla coda; id est: fallire il conseguimento di un risultato. Locuzione sarcastica usata a dileggio di chi tenti di pervenire ad un risultato positivo, ma inevitabilmente non riesca a conseguirlo per pochezza o inadeguatezza dei mezzi usati o piú spesso per mancanza di attitudine. Anticamente a gli uccellatori ed a gli addetti alla doma dei puledri tutti operai di modesta levatura mentale e dunque creduloni veniva suggerito, ma a mo’ di sfottò che per ottenere i risultati sperati di catturare gli uccelli o di ammansire i puledri fósse necessario cospargere di sale la loro coda; naturalmente la pratica [se anche fósse stata segúita] mai poteva sortire l’effetto voluto e l’espressione fu conservata per commentare il fallimento e/o la inutilità, l’inefficacia del tentativo intrapreso. ssale s.vo neutro = sale, nel linguaggio corrente, il cloruro di sodio, presente in natura come salgemma o disciolto nelle acque del mare, e usato spec. per dar sapore ai cibi o conservarli; voce dal lat. sale-m; trattandosi di un alimento e voce neutra e quando è preceduta dall’art. neutro ‘o (il/lo) esige il raddoppiamento della consonante d’avvio per cui: ‘o ssale (cfr. alibi ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o ccafè etc.). ‘ncopp’â = sulla cfr. antea sub 25 códa/córa s.vo f.le [lat. volg. cōda, per il class. cauda] doppia morfologia d’un’unica voce; la seconda córa [con rotacizzazione osco-nediterranea della d→r] è del parlato, mentre códa è d’uso piú letterario. Parte assottigliata del corpo dei vertebrati opposta al capo, costituita da un asse scheletrico (regione caudale della colonna vertebrale), da muscoli e da tegumento; lo sviluppo e la funzione variano notevolmente, non solo da classe a classe, ma anche da ordine a ordine, da genere a genere di animali (la c. dei pesci e delle larve degli anfibî serve alla locomozione nell’acqua; la c. degli uccelli serve di sostegno alle penne timoniere; 27 – Metterse ‘e casa e pputeca. Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casa e viceversa. casa s.vo f.le 1 (in primis)abitazione, dimora, alloggio, 2(per estensione) domicilio, residenza; voce dal lat. casa-m , propr. 'casa rustica' laddove la domus era propr. ' la casa padronale/signorile'. 28 – Metterse ‘e ddete ‘nculo e caccià ‘anielle Ad litteram:ficcarsi le dita nel sedere e tirarne fuori anelli.Détto sarcasticamente di chi abbia una fortuna cosí grande da procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili, agendo addirittura a mo’ di un prestidigitatore,capace di trucchi impensabili. ddete s.vo pl. f.le del m.le dito [ dal lat. dĭgĭtus] (il plur. f. le ‘e ddete è usato per indicare ‘e dite non considerati separatamente, ma nel loro complesso). – 1. Complesso dei segmenti terminali della mano e del piede, segmenti che nell’uomo sono in numero di cinque per ciascun arto e si designano in italiano col numero ordinale (I, II, ecc.) o piú comunem., nella mano, con i nomi di pollice, indice, medio, anulare e mignolo; nel napoletano portano sia per la mano che per il piede i nomi di: dito gruosso (pollice),énnece (indice), dito ‘e miezo (medio), anulare e dito piccerillo (mignolo). ‘nculo = nel sedere; agglutinazione funzionale in posizione protetica della preposizione illativa in aferizzata→‘n con il s.vo m.le culo = in origine l’orifizio anale delle bestie poi per sineddoche il culo, il posteriore, il didietro, il sedere, il complesso delle natiche degli esseri umani ; etimologicamente è voce dal lat. culum che è dal greco koîlos ; questa voce napoletana a margine fu accolta temporibus illis anche nella lingua nazionale e viene tuttora usata ancorché catalogata, ma non se ne comprende il motivo, come voce volgare o popolare. Un tempo da qualcuno si ipotizzò che etimologicamente la voce potesse essere un adattamento del lat. caelu(m)(cielo) pigliando a riferimento semantico la concavità e dell’uno e dell’altro. Idea balzana stante la presenza diretta come ò détto della voce lat. culum marcata sul greco koîlos (vuoto, concavo) donde anche kolon= intestino; tuttavia rammento che la voce caelu(m)(Cielo) fu usata, quale nome proprio, al posto di Ciullo ( che della voce culo era stato un adattamento di comodo attraverso l’epentesi eufonica della vocale (I) ed il raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (L) ed infatti quel poeta di Alcamo nato nella prima metà del XIII secolo, e che fu uno dei piú significativi rappresentanti della poesia popolare giullaresca della scuola siciliana s’ ebbe in origine il nome di Ciullo d’Alcamo ( e cioè Culo di Alcamo)per essere il piú famoso pederasta passivo della sua città e successivamente al tempo del bigotto perbenismo didattico vide il suo nome mutato in Cielo d'Alcamo per non turbar la mente dei/delle giovani discenti. caccià = cacciare il verbo napoletano rispetto all’omonimo italiano, quantunque abbia il medesimo etimo da un lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere'non è usato nel senso di dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o catturarlo o nel senso di introdurre, ficcare; spinger dentro con violenza, ma esclusivamente nel senso di tirar fuori, , cavare, estrarre, emettere; ò trovato perseguibile ed ò adottata l’ipotesi propostami da un amico cacciatore irpino che il verbo caccià nella sua accezione venatoria, si possa rendere graficamente con un utile caccïà nel quale la dieresi posta sulla i, aumentandone le sillabe e modificando la lettura dell’originario caccià, può indurre ad intendere il verbo in altro significato: nel senso cioè non di trar fuori, ma in quello di dar la caccia.Del resto già il buon D’Ambra nel suo insostituibile vocabolario, quantunque non adottasse la grafia caccïà avvertiva che in napoletano esistevano due verbi cacciare: l’uno trisillabo = metter fuori, cavare, estrarre etc. ed uno quadrisillabo = andare a caccia Va da sé che qualora fosse accettata palam l’ipotesi proposta di usare l’infinito caccïà, per indicare l’andare a caccia, lasciando il caccià solo per indicare il mettere fuori, occorrerebbe modificare l’intera coniugazione del verbo che ad es. all’indicativo presente non potrebbe piú coniugarsi io caccio tu cacce isso caccia nuje cacciàmmo vuje cacciàte lloro càcciano ma dovrebbe diventare per il verbo venatorio: io caccéjo tu caccíje isso caccéja nuje caccíjammo vuje caccíjate lloro caccéjano ricalcando ad un dipresso la coniugazione del verbo ‘mmezzïà ( che è il sobillare, lo spingere ad azioni malevole, l’istigare con etimo da un lat. volgare in +*vitiare che all’indicativo presente à: io ‘mmezzéjo tu ‘mmezzíje isso ‘mmezzéja etc. Quanto ò espresso à trovato riscontro in ciò che il vecchio cacciatore mi à riferito; e cioè che un tempo la battuta di caccia fu detta caccïata/caccíata (che risulta essere il part. pass. femminile sostantivato dell’infinito caccïà, laddove il part. pass. femminile sostantivato/aggettivato di caccià è cacciàta e vale messa fuori. anielle s.vo m.le pl. del sg aniello = cerchietto di metallo che si porta al dito per ornamento o come simbolo di una condizione, di una dignità; il metafonetico pl. f.le anelle è voce poetica usata per indicare i riccioli di capelli. voce dal lat. anĕllu(m), dim. di anulus, e questo dim. di anus 'cerchio'. 29 – Metterse ‘a lengua ‘nculo Letteralmente: Porsi la lingua nel sedere; id est: zittirsi,ammutolirsi, tacere evitando di continuare a profferire vacue sciocchezze. Icastico, ma perentorio invito da intendersi chiaramente in senso metaforico [atteso che si è materialmente impossibilitati ad addivenire a quanto si è sollecitati] rivolto ai vuoti parolai, ai vacui ciarloni, ai futili millantatori,a gli insulsi fanfaroni affinché evitino di continuare a far vibrare a sproposito la lingua nel cavo orale, ponendosela lí dove non possa in alcun modo articolarsi riecheggiando! 30 – Metterse ‘mmiezo Letteralmente: Porsi nel mezzo. Locuzione da intendersi con un significato positivo oppure con uno negativo; in senso positivo è espressione riferito a chi dotato di altruismo e di buona volontà si interponga tra due questionanti per rabbonirli facendo da paciere anche a rischio della propria incolumità; in senso negativo l’ espressione è riferita a chi [saccente e supponente] senza alcun titolo usa intromettersi tra disputanti, specialmente quando non sia interpellato, tentando di imporre la propria presenza e dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú delle volte- non risolvono la disputa, ma anzi comportano in coloro che li ricevono un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per i poveri individui fatti segno delle stupide e vacue chiacchiere di colui che si mette in mezzo definito icasticamente:spallettone; al proposito penso che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di indicare una etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE. 31 – Metterselo dint’ ê chiocche Letteralmente:Ficcarselo nelle tempie; id est: porsi bene in mente un’idea,un principio, una norma comportamentale, quasi fissate/o nelle meningi, immagazzinarle/o a puntino nel cervello al fine di non dimenticarle/o mai e metterle in pratica senza avere a scusante il non averle/o apprese/o bene. Espressione usata dai genitori e rivolta a mo’ di monito ai figlioli quasi sempre in forma imperativa/esclamativa : Miettatillo dint’ ê chiocche! chiocche s.vof.le pl. del sg chiocca = 1 (in primis) tempia 2(per estensione) meningi 3(per sineddoche ) testa, cervello; voce dal tardo lat. clocca-m→chiocca; di per sé clocca-m indicava la campama e semanticamente le tempie sono intese il punto della testa dove le idee risuonano. 32 – Metterse pavura Letteralmente: Impaurirsi; id est:prendere addoso la paura, spaventarsi quasi avvertendo sulla propria pelle, a mo’ d’abito messo, indossato, lo spavento, la fifa, la strizza o addirittura lo sgomento, il terrore, il panico. pavura, s.vo f.le voce che ripete tutti i significati della corrispondente voce dell’italiano paura 1 sensazione inquietante che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato: tené pavura; pigliarse ‘na bbella pavura; deventà janco p’ ‘a pavura; tremmà ‘e pavura; 2 (estens.) timore serio, preoccupazione allarmante; presentimento scoraggiante: aggio pavura ca perdimmo ‘o treno! Quanto all’etimo è voce derivata come quella dell’italiano dal lat. pavore(m) 'timore', con cambiamento di suffisso; la voce napoletana però conserva al contrario dell’italiano l’etimologica consonante fricativa labiodentale sonora v; 33 – Metterse ‘nu cienzo ‘ncuollo Letteralmente: Mettersi una tassa addosso; id est: gravarsi per mera liberalità o per stupidità remissiva di un balzello e/o peso non dovuto quasi assoggettandosi a quella medioevale imposta, a quel tributo che i contadini dovevano ai proprietari in virtú del jus domini. cienzo s.vo m.le 1(in primis) entità del patrimonio sottoponibile a tributi; 2 (estens.) ricchezza, patrimonio; 3 (nella Roma antica), censimento dei cittadini e dei loro beni; 4(nel medioevo,come nel caso che ci occupa) tributo, imposta; voce dal tardo lat.*cĕnsu-m→cienzo per il class. cinsu-m. ‘ncuollo avv. di luogo vale 1 addosso, sulla persona, sulle spalle: che puorte ‘ncuollo?(che cosa porti addosso?); tené ‘ncuollo(avere addosso), avere con sé, su di sé; indossare | tené ‘a jella ‘ncuollo(avere la sfortuna addosso), (fig.) essere sempre sfortunato | chiammarse ‘e guaje ‘ncuollo(chiamarsi addosso i guai), (fig.) procurarseli | se ll’è ffatta ‘ncuollo p’ ‘a paura(per la paura se l’è fatta addosso, fare i bisogni corporali nei vestiti; (fig.) farsi prendere dalla paura, dal panico |parlarse ‘ncuollo (parlarsi addosso), (fig.) in continuazione e con autocompiacimento 2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle 1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra) 2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo 3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto; 34 – Metterse scuorno Letteralmente: Vergognarsi; id est: Quasi analogamente a quanto détto circa il metterse pavura, avvertire su di sé, quasi a pelle,a mo’ d’abito un sentimento che qui è quello di mortificazione derivante dalla consapevolezza che un'azione, un comportamento, un discorso, un atteggiamento ecc., propri o anche di altri, sono disonorevoli, sconvenienti, ingiusti o indecenti e provarne apertamente anche con la manifestazione del rossore del viso, disonore, imbarazzo, disagio, scorno. scuorno s.vo astratto neutro = scorno, vergogna, umiliazione, beffa, ignominia, infamia, disonore, macchia, onta; voce deverbale di scurnà = mettere in ridicolo, deridere, svergognare che a sua volta è ricavato dal lat. cŏrnu-m. 35 – Metterse ‘o cappotto ‘e lignammo Letteralmente: Indossare il cappotto di legno.Icastica ed eufemistica locuzione usata per significare il decesso di una persona che, defunto che sia viene posto in una bara lignea [raffigurata come l’indumento che si porta su tutti gli altri cioè come un pastrano,come un soprabito questa volta di legno] per essere sepolto. cappotto s.vo m.le pesante soprabito invernale da uomo e da donna; voce denominale di cappa che è dal lat. tardo cappa(m) 'cappuccio', da caput 'capo, testa' lignammo s.vo m.le legname derivato del lat. ligname(n) 'armatura di legno' ( che è da ligna + il suff. coll. amen); la voce napoletana à il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (M). 36 – Mettere ‘a si-loca arreto Letteralmente: Apporre di dietro un (cartello dittante) LOCASI ; id est:deridere qualcuno in maniera continuata e palese. L’espressione rammenta una delle burle piú brucianti che gli scugnizzi della città bassa negli anni ’50 dello scorso secolo che per beffare, canzonare, irridere, dileggiare ignari, attempati e pazienti passanti destramente appiccicavano sulle code delle giacche di costoro un piccolo cartello con l’offerta d’affitto che a fine di dileggio, burla, canzonatura salacemente si riferiva alla parte anatomica dei malcapitati su cui il cartello andava ad insistere. Tecnicamente infatti il cartello dittante LOCASI , avviso che in napoletano era semplicemente ed acconciamente ‘a si-loca , era un annuncio che i proprietari di appartamenti solevano esporre sugli stipiti dei portoni di un fabbricato per portare a conoscenza di probabili affittuatari che nell’edificio v’era un’abitazione sfitta in attesa di inquilino. si-loca s.vo f.le = 1 (in primis)cartello, avviso di cessione in fitto; 2 (per traslato) giubba eccessivamente lunga; voce ricavata per agglutinazione funzionale del pron. pers. rifl. m.le e f.le di terza pers. sing. e pl. si(forma complementare atona del pron. pers. sé[dal lat. si])posto in posizione proclitica e della voce verbale loca [3ª p.sg. ind. pr. dell’infinito lat. locare = 'collocare' ed 'affittare', deriv. di locus 'luogo'. arreto o areto = (avv.di luogo) dietro,parte posteriore opposta al davanti; esattamente arreto è dietro con derivazione dal latino ad+retro con tipica assimilazione regressiva dr→rr e dissimilazione totale della r nella sillaba finale; invece areto (seppure spesso usato in napoletano in luogo di arreto) esattamente è di dietro derivazione dal latino a+retro; anche qui si verifica la dissimilazione che riduce retro a reto e spesso l’avverbio (giusta l’etimo) è scritto oltre che areto anche ‘a reto (da dietro). 37 - Miettele nomme penna Letteralmente: Letteralmente vale : Chiamala penna!; Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi vede qualcuno prestare un oggetto a persona che si ritiene non restituirà mai il prestito, volendo significare: “Ài prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non rivedrai mai piú il tuo oggetto che, come una piuma d’uccello è volato via!” La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito. miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2ª pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc. Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta (dal valore irrisorio di mezzo e poi un ventesimo di grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18 lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi. 38 - Metterse cu ‘a panza e ccu ‘o penziero. Letteralmente: Porsi con la pancia e con la mente; id est: perseguire il raggiungimento di una meta agognata, inseguire il conseguimento di uno scopo, d’ un obiettivo,un intento,un piano, un progetto,un proposito rincorso con tutte le proprie forze sia fisiche [quelle rappresentate dalla pancia ] che mentali [rappresentate dal pensiero] Espressione che rende icasticamente l’ algido italiano agire con il braccio e con la mente. Mi corre l’obbligo di rammentare che l’amico avv.to Renato de Falco dà tutt’altra lettura della locuzione,ritenendola [ma, a mio avviso, troppo riduttivamente] di pertinenza femminile con riferimento al desiderio intenso di maternità della donna che porrebbe a servizio del concepimento la mente e... la pancia. Ò riportato la cosa per scrupolo di coscienza, ma [e me ne duole] questa volta non mi sento di aderire all’idea, troppo limitativa, dell’amico de Falco! panza s.vo f.le = pancia, epa; voce dal basso latino panticem con metaplasmo e sincope della sillaba ti donde pantice(m)→ *pan(ti)cja→*pancja→panza). penziero s.vo m.le = pensiero, l’attività psichica mediante la quale l'uomo elabora dei contenuti mentali, acquisendo coscienza di sé e della realtà esterna che i sensi gli propongono, e formulando schemi concettuali che gli valgono come modelli interpretativi della realtà; la facoltà del pensare; ciò che si pensa; il contenuto, l'oggetto del pensiero. voce dal provenz. pensier, deriv. del lat. pensare; E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est. Raffaele Bracale (fine)