-Jì zumpanno asteche e lavatore.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
- Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende.
- 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie (dandoti) dell'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
- Jí cascia e turnà bauglio oppure Jí stocco e turnà baccalà.
Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere,
come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.
- Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
- 'E denare so' comm'ê chiattille: s'attaccano ê cugliune.
Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente.
- Hê 'a murí rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare
- Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo?
Letteralmente: ma ti è forse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore.
- Fà 'e scarpe a quacched'uno.
Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, conservate all'uopo dai familiari.
- Cu chestu lignamme se fanno 'e strommole.
Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro piú pregiato...
- 'O pesce vo' tre effe: Frisco Fritto e Futo.
Il pesce vuole tre effe: fresco, fritto e futo cioè vuoto ossia ben eviscerato. Il napoletano il pesce lo ama in frittura non bollito, giacché usa dire che il pesce bollito è buono per i malati; ciò vale naturalmente quando il pesce sia di piccola taglia e si possa friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio a Napoli si preferisce cuocerlo sulla griglia o al forno.
- Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu SÍ te 'mpicce!
Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sí resti impicciato (invischiato). Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sí comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso.
- Addó nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane.
Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sé che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è piú facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove piú rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute.
- Dicette vavone: Levammo 'a 'ccasiona...
Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci.
- 'O rancio 'e dint' ê scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda.
A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente, ma icasticamente dette bocche) e carapace.
- Chi 'a fa cchiú sporca, è priore.
Letteralmente: chi si comporta male, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male se non peggio.
Pígliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje.
Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... E' il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica motivazione.
- Mare a chi à dda avé e viato a chi à dda dà
Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che à determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando cosí privilegiato rispetto al suo creditore che à già conferito un quid
- Farne cchiú 'e Petro BIALARDO.
Compierne piú di PETRO BIALARDO Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Petro Bialardo. Non v’è identità di vedute circa la vera identità del suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato da un non altrimenti noto poeta Luca Pazienza (di cui mancano precise note biografiche), si vuole che al momento del trapasso, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, (periodo incline alla nascita di leggende) è difficile credere che il suddetto mago si sia veramente macchiato di azioni tanto riprovevoli tali cioè da diventare pietra di paragone per altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO che lo ospitava la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece addirittura evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO.
- Fà 'a spina 'e pesce.
Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, nella speranza, in questo modo, di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare dei beneficii attardandosi nel portare a buon fine ciò che à principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferí ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscí ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguí violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato ài perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco!
-Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito.
Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che più che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo.
- Dà zizza 'e vacca pe tarantiello.
Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne piú pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno.
- Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche!
Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere.
- A lietto astritto, cóccate 'mmiezo.
Letteralmente: in un letto stretto, coricati nel mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto piú sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali.
- Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna.
Letteralmente: esser chiamato tòrtano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tòrtano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non à commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tòrtano, alla stessa stregua, non si può dare del ladro ad uno se non si à la prova provata del suo ladrocinio.
- Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare.
Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Cosí gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio.
- Aizammo 'stu cummò!
Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata a mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello resi piú ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (à alzato questo mobile pesante!)
- È gghiuto 'o ccaso 'ncopp' ê maccarune.
Letteralmente: È finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda à avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. È da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo.
- Va truvanno chi ll'accide.
Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti.
- Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà.
Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere piú brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile.
- Buono p'aparà 'o mastrillo.
Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; cosí che quando di si dice di una razione alimentare che è buona per armare la trappola, si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito.
- Jí ascianno guaje cu 'o lanternino.
Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE.
- Sî ghiuto a sèntere'a messa d''e disperate?
Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai più incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menate!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale.
raffaele bracale
Complimenti, una bella raccolta di motti napoletani con traduzione e spiegazione a dir poco soddisfacente.
RispondiEliminaContinui cosi!!!