sabato 10 maggio 2008

MODI DI DIRE 1

1 Dà zizza pe gghionta.
Letteralmente: dar carne di mammella per aggiunta di derrata; si tratta, è pur vero, un di piú generosamente concesso, ma trattandosi di vile mammella la concessione non è poi veramente importante e tutta l'espressione non à una valenza positiva ed anzi è da intendere in senso ironico ed antifrastico equivalente ad accrescere un danno, conciar male qualcuno, cagionandogli ulteriori danni ad altri pregressi.
2 Ma addò t'abbíe senza 'mbrello?
Letteralmente: Ma dove ti dirigi senza ombrello (se già piove?)? La domanda traduce sarcasticamente l'avvertimento di non affrontare qualsivoglia situazione se non si è preparati e pronti, armati cioè oltre che della buona volontà, degli strumenti atti alla bisogna e a far da scudo ove ne occorra il caso.

3 Se pigliano cchiú mosche cu 'na goccia 'e mèle, ca cu 'na votta 'acito.
Letteralmente: si catturano piú mosche con una goccia di miele che con una botte di aceto. Id est: i migliori risultati, i piú sostanziosi si ottengono con le manieri dolci, anziché con quelle aspre.

4 Si 'o ciuccio nun vo’ vevere aje voglia d''o siscà.
Letteralmente: se l'asino non vuol bere, puoi fischiare quanto vuoi per invitarlo a bere, non otterrai nulla. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare la testarda mancanza di volontà di qualcuno, stante la quale tutte le esortazioni sono vane...
5 Aria scura e fète 'e caso!
Letteralmente: Aria torbida che puzza di formaggio. Lo si dice a salace commento di errate affermazioni di qualcuno che abbia confuso situazioni diverse tra di loro e le abbia messe in relazione incorrendo in certo errore come accadde in una farsa popolaresca a Pulcinella che, confondendo la porta della dispensa con la finestra, si espresse con la frase in epigrafe...
6 Chi tène cchiú ssante va 'mparaviso.
Letteralmente: Chi à piú santi va in Paradiso; ma è chiaro che la locuzione non si riferisce al premio eterno, ma molto piú prosaicamente ai beni terreni,a prebende e/o posti di comando e ben remunerati; e i santi - manco a dirlo - non sono quelli che ànno praticato in maniera eroica le virtú cristiane, ma molto piú semplicemente coloro che son capaci di dare una spinta, di raccomandare o - come eufemisticamente si dice oggi, di segnalare qualcuno a chi gli possa giovare nel senso suaccennato.
7 I' te cunosco piro a ll' uorto mio.
Letteralmente: Io ti conosco pero nel mio orto. Id est: Io conosco bene le tue origini e ciò che sei in grado di produrre; non mi inganni: perciò è inutile che tenti di far credere di esser capace di mirabolanti o produttive imprese... La cultura popolare attribuisce le parole in epigrafe ad un contadino che si era imbattuto in una statua di un Cristo circondata di fiori e ceri. Il popolino aveva attribuito alla statua poteri taumaturgici, ma il contadino che sapeva che la statua era stata ricavata da un suo albero di pero, tagliato perché improduttivo, apostrofò la statua con le parole in epigrafe, volendo far intendere che non si sarebbe fatto trasportare dalla credenza popolare e conoscendo le origini del Cristo effiggiato, non gli avrebbe tributato onori di sorta.
8 Essere fetente dint' a ll' ossa.
Letteralmente: essere fetente fin dentro le ossa. Id est: appalesarsi perfido, spregevole, di animo cattivo, ma non solo esteriormente quanto fin dentro la quintessenza dell'essere.
raffaele bracale

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