giovedì 15 maggio 2008

VARIE 15

1Truòvate chiuso e piérdete chisto accunto.
Letteralmente: Trovati chiuso e perditi questo cliente.La divertita locuzione viene usata in senso ironico a commento della situazione antipatica in cui qualcuno abbia a che fare con persona pronta ad infastidire o a richiedere i maggior vantaggi da un quid senza voler conferire il giusto corrispettivo, come nel caso ad es. di un cliente che pretenda di accaparrarsi la miglior merce, ma sia restio a pagare il giusto prezzo dovuto.L'accunto deriva dal latino: accognitus=conosciuto – cliente: in effetti chi frequenti assiduamente una bottega (cliente) finisce per esser ben conosciuto.
2Fà tre fiche nove rotele.
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti deridere i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esageri con le parole e si ammanti di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammento che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano.
3 'A disgrazzia d''o 'mbrello è quanno chiove fino fino.
Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sè che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; cosí l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di piú nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante danno.

4 'A pecora s'à dda tusà, nun s'à dda scurtecà
Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi.
5 - Si' pre' 'o cappiello va stuorto...
- Accussí à dda jí!
- Signor prete, il cappello va storto...
- Cosí deve andare!
Simpatico duettare tra un gruppetto di monelli che - pensando di porre in ridicolo un prete - gli significavano che egli aveva indossato il suo cappello di sgimbescio, e si sentirono rispondere che quella era l'esatta maniera di portare il suddetto copricapo. La locuzione viene usata quando si voglia fare intendere che non si accettano consigli non richiesti soprattutto quando chi dovrebbe riceverli à - per sua autorità, scienza e coscienza - sufficiente autonomia di giudizio.
6 Dicette Nunziata: Ce ponno cchiú ll'uocchie ca 'e scuppettate!
Letteralmente: Disse Nunziata: Ànno maggior potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme iperbolicamente piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, piú difficile, se non impossibile sfuggire alla iettatura.

7 Â nnotte se 'nzuraje Catiello.
Letteralmente: Catello (inguaribile scapolo) prese moglie di notte. La locuzione fotografa una situazione che in italiano è resa con:meglio tardi che mai; il Catello, infatti procrastinò tanto il suo matrimonio che quando fu celebrato era oramai notte. Nella locuzione partenopea si tenga presente la geminazione iniziale della lettera N nella parola notte che lascia capire che la A iniziale non è l'articolo femminile ('A) ma una preposizione che introduce un concetto temporale reso con la doppia N di notte; se la A fosse stato un articolo la successiva parola notte sarebbe stata scritta in maniera scempia con una sola N.
8 'E maccarune se magnano teniénte, teniénte.
Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. ( teniente è il plurale metafonetico del part. pres. tenente del verbo tené e vale che tengono, che mantengono la croccantezza iniziale poi che ànno retto una breve cottura). La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo che potrebbero farli fallire.
9 Quanno siente 'o llatino da 'e fesse, è ssigno 'e mal' annata.
Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di una pretesa cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che paludandosi da sapienti...possono procurar danno.
10 Pare 'o sorice 'nfuso 'a ll'uoglio.
Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleiphar=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante.
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11 'A vecchia ê trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo ô ffuoco.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i più esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un trapanaturo (dal gr. trypanon, deriv. di trypân) che è l’ aspo, cioè l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
12 Jí zumpanno asteche e lavatore.
Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche (voce plurale dl sing. asteco che è dal greco óstrakon= coccio; con i cocci di anfore rtte econ lapillo vulcanico un tempo si pavimentavano i terrazzi, i lastrici solai) , ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare.
13 Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Sarcastica locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a salace commento delle azioni iniziate da chi (saccente e supponente) sia in realtà da venir ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che fa le viste di intraprende, ma che chiaramente non potrà mai portare a compimento!
14 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga, con il turpiloquio, il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.

15 Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato; il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
16 'E denare so' comm'ê chiattille: s'attaccano ê cugliune.
Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da inseguirlo continuamente fino a legarvisi saldamente.
17 Hê 'a murí rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di chiavica ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (voce dal lat. sorcula diminutivo di sorex/soricis) che, a Napoli, identifica sia il grosso topo di fogna che la donna di malaffare, la prostituta che si aggira nottetempo proprio come un topo di chiavica.

18 Fà 'e scarpe a quacched'uno
o anche coserle ‘nu vestito
Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno o anche cucirgli un vestito. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti in origine di un certo rango, ma successivamente anche a quelli meno abbienti - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, e fargli indossare un abito nuovo approntato alla bisogna, abito e scarpe conservati all'uopo dai familiari.
19 Cu chestu lignammo se fanno 'e strommole.
Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro piú pregiato...
20 Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sí te 'mpicce!
Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sí resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego a tenere un comportamento o a fornire una prestazione comporta vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti un piccolo disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sí comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso.
21 Addó nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane.
Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sé che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è piú facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove più rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute.Ed è questo il significato vero ed esatto dell’espressione a margine mentre è da ritenersi una malevola interpretazione fatta in chiave anticlericale quella che pretenderebbe di ricavare dall’espressione l’assioma che le puttane abbiano provenienza tra le donne abituate a frequentare luoghi di culto dove sono in uso le campane!
22 Dicette vavone: Levammo 'accasiona...
Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci. Poi che la frse in epigrafe è messa sulla bocca d’un trisavolo, se ne ricava che nella cultura napoletana gli inviti a tener comportamenti miranti al conseguimento della pace vengono di lontano ed appartengono all’animus partenopeo.
23 'O rancio 'e dint'ê scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda.
A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente, ma icasticamente dette bocche) e carapace.
24 Chi 'a fa cchiú sporca, è priore.
Letteralmente: chi si comporta peggio, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male, anzi addirittura peggio!
25Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje.
Letteralmente: Cogli la buona (occasione o giornata ) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancheranno mai... È il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica, ma veritiera motivazione.








































26 Fà 'a spina 'e pesce.
Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che à principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una grossa spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscì ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguí violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato ài perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco!
27 Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito.
Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che piú che dimostrare la propria valentía, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore, (accanto ad altri di sua ideazione come i diplomatici, i ministeriali etc.) di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo.

28 Dà zizza 'e vacca pe tarantiello.
Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta speso gratuita a della carne piú pregiata, o al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso invece che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno.
29 Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche!
Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere.

30Tené 'a neve dint' a' sacca.
Letteralmente: tenere la neve in tasca. Id est: avere o mostrar d'avere grandissima fretta quale quella che dovrebbe portare chi trasportasse neve tenendola in tasca e volesse evitare di perderla; cosa - peraltro - impossibile giacché basta il calore del corpo per portare alla liquefazione della neve trasportata tenendola in una tasca dei vestiti.
31 A lietto astritto, coccate 'mmiezo.
Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto piú sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali.
32 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi à fatto 'o píreto
Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi à fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio.
33 Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna.
Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tòrtano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non à commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tòrtano,e se c’è qualche massaia che improvvidamente, in ottemperanza ai dettami di taluni dietologi, tenta di cofezionare un tòrtano eleminando la sugna e sostituendola con olio, merita la forca e la scomunica latae sententiae... Alla stessa stregua, come non si può dire tòrtano una ciambella priva di strutto, cosí non si può dare del ladro ad uno se non si à la prova provata del suo ladrocinio.
34 Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare.
Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Cosí gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio.

35 Aizammo 'stu cummò!
Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accettata quale sarebbe quella di sollevare un pesante canterano in noce massello reso piú ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno fa un cattivo mercato, portando a casa merce scadente acquistata a caro prezzo, o impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (à alzato questo mobile pesante!).
Il cummò con derivazione dal francese commode è il canterano ( quel mobile a piú cassetti usato per accogliere la biancheria di casa e/o personale, per solito ubicato nella camera da letto accanto o difronte all’armuà che dal francese armoire è l’armadio.
36 È gghiuto 'o ccaso 'ncopp' a 'e maccarune.
Letteralmente: è finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda à avuto la sua logica, corretta e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. È da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori, da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo.
37 È gghiuto ‘o ccaso ‘a sotto e ‘e maccarune ‘a coppa
È finito il cacio di sotto ed i maccheroni al di sopra.
Ci troviamo nel caso opposto al precedente; cioè: la faccenda non si è conclusa secondo dettami logici o agognate speranze; anzi è finita nel modo meno auspicabile tale da stravolgere le attese; il cacio invece di guarnire al di sopra i maccheroni, è precipitato al di sotto di essi; il mondo va all’inverso!


38 Va truvanno chi ll'accide.
Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei di lui confronti.
39 Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà.
Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere più brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile e mi risulta che nessuno abbia mai azzardato una spiegazione.
40 Buono p'aparà 'o mastrillo.
Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo (dal tardo lat. mustrícula) è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; cosí che quando si dica di una razione alimentare che è buona p’aparà ‘o mastrillo (per armare la trappola), si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito.
41 Jí ascianno guaje cu 'o lanternino.
Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE.
42 Sî ghiuto a sentere 'a messa d''e disperate?
Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quasi oltre il consentito, quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai piú incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menàte!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale.
43 Sabbato è arrivato, stammo â fine d'''a semmana: allonga 'o punto e allarga 'a mana.
Letteralmente: sabato è giunto, siamo alla fine della settimana, allunga il punto e allarga la mano. La locuzione è pronunciata a mo' di disonesto consiglio allorché ci si trovi davanti alla scadenza di un termine che colga impreparati; allora - prendendo spunto dal disonesto consiglio dato da un sarto ai propri lavoranti,- si esorta a rabberciare il lavoro per portarlo a conclusione nei termini, anche se non nei modi previsti.
44 'Mpigna, meze sòle e tacche.
Letteralmente:tomaia, mezze suole e tacchi. La frase viene usata quando si voglia significare di trovarsi davanti ad una situazione cosí disastrata che occorra procedere ad una bonifica di parecchi dei suoi componenti come dinanzi ad una scarpa particolarmente rovinata occorrerà procedere alla sostituzione della tomaia, delle suole e dei tacchi, di talché converrebbe l’ acquisto di un nuovo paio di scarpe piuttosto che portare a compimento una siffatta riparazione.
45'A fatica d''e fracete se venne a caro prezzo.
Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro,ma non perché essi siano esosi, quanto perché chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera.
46 Dalle e dalle 'o cucuzziello addeventa tallo.
Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male come a cogliere da una pianta zucchine continuamente non restano che le foglie. Il tallo è infatti la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata e saporita della zucchina che già di suo non è molto saporita.






47 Jí cascia e turnà bauglio oppure Jí stocco e turnà baccalà.
Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere,
come chi inizi l'apprendimento essendo figuratamente una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso (merluzzo eviscerato seccato all’aria fredda ed affumicato) e lo termini diventando baccalà (merluzzo eviscerato, aperto a libro, salato e conservato in barile), diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le sprovvedute applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà.



48 Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo?
Letteralmente: ma ti è forse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso in tal modo le facoltà raziocinanti del... fiutatore.

49 Cu chestu lignammo se fanno 'e strommole.
Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro piú pregiato...per cui non attendetevi risultati migliori!
50 'O pesce vo' tre effe: Frisco Fritto e Futo.
Il pesce vuole tre effe: fresco, fritto e futo cioè vuoto ossia ben eviscerato. Il napoletano il pesce lo ama in frittura non bollito, giacché usa dire che il pesce bollito è buono per i malati; ciò vale naturalmente quando il pesce sia di piccola taglia (pesce ‘e paranza) e si possa friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio a Napoli si preferisce cuocerlo sulla griglia o al forno.




51 Chi 'a fa cchiú sporca, è priore.
Letteralmente: chi si comporta peggio , diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale è comprovato che per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male, anzi peggio.
52 Pígliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje.
Letteralmente: Cogli la buona (occasione, giornata ) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancheranno mai... È il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica e forse pleonastica motivazione.
53 Mare a chi à dda avé e viato a chi à dda dà
Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio partenopeo; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che à determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando cosí privilegiato rispetto al suo creditore che à già conferito un quid
54 Farne cchiú 'e Petro BIALARDO.
Farne piú di Pietro Bialardo. Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Pietro Bialardo.
Non v’è identità di vedute circa la vera identità del suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Pietro/ Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato da un non altrimenti attestato o noto poeta Luca Pazienza, si vuole che al momento del trapasso, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, periodo incline alla nascita di leggende è difficile credere che il suddetto mago sia veramente esistito o si sia veramente macchiato di azioni cosí riprovevoli tali da diventare pietra di paragone per gli altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO che lo ospitava la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO.
55 Fà 'a spina 'e pesce.
Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che à principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una grossa, pericolosa spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce freschissimo. Il truffaldino medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscí ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguí violentemente dicendogli ad un dipresso : - Stupido, comportandoti come ti sei comportato ài perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco!

56 Dà zizza 'e vacca pe tarantiello.
Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta spesso gratuita vicino a della carne piú pregiata,in omaggio o al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso invece che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione conferendo vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno.
57 Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche!
Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere.
58 A lietto astritto, cùccate 'mmiezo.
Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto piú sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali.
59 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi à fatto 'o píreto
Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi à fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni in ordine allo stabilire di chi siano le responsabilità di comportamenti tenuti, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come, nel caso dell'espressione in epigrafe, un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio.





60 Va truvanno chi ll'accide.
Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei di lui confronti.
61 Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà.
Locuzione praticamente intraducibile che proclama con quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere piú brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile e nessuno mai ne à potuto tentare una interpretazione.
62 Buono p'aparà 'o mastrillo.
Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo (voce che è dal tardo lat. mustricula) è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; cosí che quando di si dice di una razione alimentare che è buona p’aparà ‘o mastrillo (buona per armare la trappola), si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito.
aparà= approntare, preparare voce verbale da un t. lat. *ad-parare→a-parare.
63 Jí ascianno guaje cu 'o lanternino.
Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che serva quasi ad illuminare, per facilitarne la ricerca, i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di fl in sci come per flos che in napoletano diventasciore o come per flumen che diventa sciummo etc.


64 'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorché una donna si offra apertamente e l'uomo non abbia i la prontezza o il coraggio di cogliere l'occasione, un terzo (spettatore, magari concupiscente) commenta con risentito sarcasmo la situazione con le parole in epigrafe.
65 'A vecchia ê trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo ô ffuoco.
Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di coloro che si atteggiano a giovani, i quali si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese, con movimento rotatorio, usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo.
trapanaturo = aspo; la voce napoletana è forgiata sul gr. try/panon, deriv. di trypân.

66 Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso.Sarcastica locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a ridicolo commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto tanto inetto al punto da non poter portare mai al termine ciò che intraprende.
67 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
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68Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci.
69 'E denare so' comm'ê chiattille: s'attaccano ê cugliune.
Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune(plur.metafonetico di coglione accr.vo del lat. colea) viene usato per intendere propriamente i testicoli, ma per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da perseguirlo continuamente fino a legarvisi saldamente.
70 Hê 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà màmmeta
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (dal lat. sorcula diminutivo di sorex) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare che – come i topi di chiavica - è adusa a circolar nottetempo.

71 'A fatica d''e fracete se venne a caro prezzo.
Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi, no perché sia esoso, ma per spaventare e distogliere il committente dalla richiesta d'opera che lo svogliato non intende compiere.
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72 Quann'è pe vizzio, nun è peccato!
Letteralmente: Quando (un illecito comportamento) dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto,non la disposizione abituale al male o l'acquiescenza continua agli istinti piú bassi si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore.
73Passasse ll'ngelo e dicesse: Ammenne!
Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La locuzione usata come in epigrafe cioè con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo (passa ll’angelo e dice amenne) à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto (pasaje l’angelo e dicette amenne) serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato realmente passò, si appalesò e con il suo assenso produsse il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico.
74 Va truvanno: 'mbruoglio, aiutame.
Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei suoi problemi
75 Paré Pascale passaguaje.
Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.
Il nome Pasquale della locuzione è preso in prestito da un personaggio del teatro di A. Petito, tale Pasquale Barilotto che in ogni farsa era comico bersaglio della mala sorte.
76 Paré 'o pastore d''a meraviglia.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori (figurine in terracotta artisticamente rivestite) del presepe napoletano settecentesco raffigurati in pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine dall’aria stupita, il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista Luca che scrisse: pastores mirati sunt.
77 Meglio a san Francisco ca 'ncpp' ô muolo.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate (nell’ ex convento dei Monaci di sant’Anna) le carceri, mentre sul Molo grande (cfr. alibi ‘e quatte d’’o muolo) era innalzato il patibolo per l esecuzioni capitali, patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.
78 Futtatenne!
Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. È il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa una sorta di declassamento del loro santo patrono ed allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma, dettami di cui impiparsi.
79 Fà ‘e uno tabbacco p''a pippa.
Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
80 Fà trenta e una trentuno.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un trentunesimo.
81 Essere carta canusciuta.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
82 Essere cchiú fetente 'e 'na recchia 'e cunfessore.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica, sarcastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di ogni senso morale e perciò capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane sia pure metaforicamente insozzato.

83 'E ppazzie d''e cane fernesceno a ccazze 'nculo.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche.

84Tanno se chiamma grano, quanno sta 'int' â votta.
Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati, per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al fine d’ammonirlo al proprio figliuolo che scioccamente si vantava di un gran raccolto prima della mietitura.
85 Tre ccalle e mmescàmmece.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui, e vuole sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di ca(va)llo→callo ed al plurale calle. La locuzione significa: con poca spesa ci si interessa delle faccende altrui.
86 Chi se fa masto, cade dint' a 'o mastrillo.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e dòmini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi sacenti e supponenti che son soliti distribuire ammaestramenti o consigli soprattutto se non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare.
87 Tutto a Giesú e nniente a Maria.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine santa; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.La primitiva frase della locuzione fu profferita da un vecchio curato per redarguire il suo sacrista che aveva addobbato con eccessiva quantità di fiori l’altare dedicato al Salvatore ed aveva lasciato sguarnito di fiori l’altare dedicato a Maria Ss.
88 Chi guverna 'a rrobba 'e ll'ate nun se cocca senza cena
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri, ed è inutile opporsi a questa incontrovertibile realtà/verità.
89Paré ll'ommo 'ncopp'a' salera
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce,nanetto inglese che si esibiva da clown in un circo equestre, venuto a Napoli sul finire del 1860; tale personaggio molto piccolo e ridicolo fu preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
90 Fà comme a santa Chiara: dopp' arrubbata ce mettetero 'e pporte 'e fierro.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando ormai sia troppo tardi, quando si sia cioè già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista, dai monaci che vi officiavano, di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.

91'A capa 'e ll'ommo è 'na sfoglia 'e cepolla.
Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. È il rassegnato, filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla, per cui occorre tacere, sopportare e magari perdonare taluni incongrui comportamenti determinati dall’umana condizione che ci assegna un cervello labile, deperibile ed inconsistente.
92 Nun tené voce 'ncapitulo.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.
93 Tu nun cuse, nun file e nun tiesse; tanta gliuommere 'a do' 'e ccacce?
Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico e sottintende chiaramente che con ogni probabilità la ricchezza mostrata è frutto di mali affari. È da ricordare anche che il termine gliuommero = gomitolo dal lat. glomus indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento.
94 Menarse dint'ê vrache...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere dei cavalli che trainano i carretti, cavalli che quando sono stanchi, sogliono fermarsi appoggiandosi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia.
95 Chi poco tène, caro tène.
Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso
96 Lassa ca va a ffunno 'o bastimento, abbasta ca mòrono 'e zzoccole.
Letteralmente: lascia che affondi la nave, purché muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi.
97 Nce vonno cazze 'e vatecare pe fà figlie carrettiere
Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vatecare (dal lat. viaticus+ areus→aro) = vetturale di bestie da soma...
98 Si mine 'na sporta 'e taralle 'ncapo a chillo, nun ne va manco uno 'nterra
Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna.
99 Muntagne e muntagne nun s'affrontano.
Letteralmente: le montagne non si scontrano con le proprie simili. È una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili...
100 Faccia 'e trent'anne 'e fave.
Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze.
Raffaele Bracale

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