LA REPUBBLICA GIACOBINA DEL 1799
Raffaele Bracale
Cominciamo con la contestualizzazione del momento storico di cui stasera parliamo,e chiariamo súbito che - contrariamente a quanto propalato da certa storiografia di regime - già a far tempo dal 1794 le idee giacobine si erano diffuse rapidamente nella nostra penisola allo scopo (nemmeno tanto nascosto) di preparare il terreno propizio ad una invasione della armata francese in attuazione praticamente delle mire espansionistiche della Repubblica rivoluzionaria francese; ed in effetti tra il 1795 ed il 1797 – rotto ogni indugio – le truppe repubblicane invasero militarmente buona parte dell’Italia settentrionale dando vita alle consorelle Repubblica Cispadana e Transpadana (che furono poi Cisalpina e Subalpina). Caddero cosí (con il supporto dei soliti intellettuali sfruttatori e nullafacenti intrisi di cultura illuministica, ma non con il beneplacito o l’approvazione del popolo lavoratore ancorato alla propria cultura ed ai proprî costumi) una dopo l’altra le piccole monarchie italiane del Nord, che non avevano una sufficiente consistenza militare da opporre ai francesi!
Va da sé che le mire dei francesi fossero quelle di espandersi in tutta la penisola, ma il Reame napoletano costituiva un avversario piuttosto ostico, vuoi per la vastità del territorio, vuoi soprattutto per il legame molto forte che in barba ad ogni velleitarismo socialista – illuminista di marca giacobina, i Borbone avevano saputo stabilire con la popolazione, quando erano riusciti a limitare a favore del popolo il parassitismo della borghesia e della nobiltà terriera.
E veniamo al dicembre 1798: l'esercito francese minaccia di invadere il Regno di Napoli. Il sovrano, Ferdinando IV di Borbone, per salvaguardare la salute del suo popolo, è costretto ad abbandonare la capitale ed a rifugiarsi in Sicilia sotto la protezione degli inglesi.
Nell'anarchia che segue il trasferimento della famiglia reale i giacobini partenopei(la solita intellighentia borghese) ferventi filofrancesi, organizzano le proprie fila e riescono a favorire in maniera determinante l'ingresso in città delle truppe di occupazione, guidate dal generale Championnet. A nulla vale l'eroica resistenza dei popolani (i cosiddetti "lazzari"): il 23 gennaio 1799 l'armata transalpina entra a Napoli, dopo aver causato diverse migliaia di morti fra i difensori brutalmente e ferocemente eliminati (come ad un dipresso avverrà all’indomani del 1860 quando le truppe dell’invasore piemontese agli ordini del macellaio Cialdini metteranno a ferro e fuoco i paesi (vedi Casalduni e Pontelandolfo)eleminandone gli abitanti bruciandoli o sotterrandoli vivi, abitanti il cui unico torto era quello d’esser fedeli al proprio legittimo sovrano). Per esemplificare la brutalità e la ferocia dell’armata transalpina del 1799, voglio riportare fedelmente un comando rinvenuto nelle tasche di un capitano repubblicano, aiutante in campo del gen. Schipani durante lo scontro al ponte della Maddalena tra gli invasori francesi e l’armata sanfedista del card. Ruffo. Eccovi il testo: Il gen. Bassett al gen. Schipani = Voi in sentire tre tiri di cannone, che sparerà S. Eramo (cioè a dire S.Elmo – n.d.r.)avanzerete con la vostra colonna; quando sarete a Resina ed a Portici, passerete tutti a fil di spada, con sacco e fuoco, stantecché sono nemici della patria. Quando sarete al ponte della Maddalena a vista nostra, faranno una calata i francesi da s. Eramo. un’uscita i patriotti da s. Martino e un’uscita faremo noi dalle castella. Voi assalterete alle spalle e noi per avante li metteremo in mezzo e cosí scacceremo questi pochi insorgenti. Tutta la nostra fidanza sta nella vostra colonna, che l’attaccherà alle spalle! Salute e fratellanza. Questo, ovviamente è solo un piccolo esempio della brutalità e ferocia transalpina. Proseguiamo. Il giorno dopo, 24 gennaio, nella chiesa di San Lorenzo, alla presenza di Championnet, i giacobini proclamano solennemente la "Repubblica Napoletana", che durerà fino al successivo mese di giugno. Il 22 gennaio 1799, le truppe d’invasione francesi, guidate dal generale Championnet, entrarono a Napoli, aiutati ed accolti dai pochi giacobini napoletani.
La repubblica, così instaurata, si prefiggeva di realizzare l’utopia giacobina, e tentò di farlo con cieca ferocia: in meno di cinque mesi di vita, il governo giacobino e gli invasori francesi si macchiarono del sangue di almeno 60 mila vittime e si resero responsabili del saccheggio del patrimonio artistico del Regno, alla medesima maniera di altri invasori quelli del 1860 che peggiorarono la faccenda saccheggiando non solo i beni artistici, ma le risorse auree dell’intero Reame, l’unico dei sette stati preunitari a vantare un bilancio statale attivo !
Il tragico periodo della Repubblica napoletana ebbe fine il 13 giugno 1799, quando il Cardinale Fabrizio Ruffo, Vicario generale del Re, incaricato di riconquistare il Regno, entrò a Napoli, concludendo l’epica marcia di migliaia di volontari (lazzari fedeli al legittimo sovrano) che in quattro mesi avevano sbaragliato l’esercito francese! Qualcuno (e fra essi ovviamente i guru del palazzo, quelli che che si sono arrogati – in forza della sbandierata patente di intellighentia rossa - il verbo di ogni verità storica e/ofilosofica ) ora vorrebbe farci intendere che la costituzione della Repubblica napoletana del 1799 (per altro ricalcata su quella della rivoluzione francese) fosse un faro di civiltà, vessillifera del piú avanzato socialismo; si tratta invece dell’ennesima mistificazione in malafede degli storici di regime giacobini ed ovviamente filomarxisti, i quali se non fossero in malafede non dovrebbero aver dimenticato che l’ unico, l’autentico, avanzatissimo socialismo fu quello messo in atto da Ferdinando IV allorché nel 1794 istituí sulla collina di San Leucio (dove il padre Carlo III aveva divisato di fare una serie di riserve di caccia e residenze secondarie per lo svago della famiglia reale) istituí – dicevo – una fabbrica per la manifattura della seta che fu poi punta avanzata della politica industriale del Reame. Per la popolazione di san Leucio addetta alla manifattura della seta ,popolazione che sarà poi ricordata come Colonia di san Leucio il Re promulgò uno speciale Corpo di Leggi noto come lo Statuto di San Leucio o Codice leuciano, firmato nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone, è una raccolta di leggi che, nel Regno di Napoli, regolamentavano la Real Colonia di San Leucio, sorta, come ò detto sulla omonima collina acquistata, nel 1750, da Carlo III di Borbone e adibita alla lavorazione su scala industriale della seta.
Il codice,questo sí autenticamente socialista ( e mi dispiace non potervene leggere, per mancanza di tempo e/o spazio, quanto meno l’incipit..., ma in chiusura in all.to potremo leggerne il relativo Editto Regio) il codice, dicevo, secondo alcuni fu ispirato al re dalla consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena,e fu edito dalla Stamperia Reale del Regno di Napoli in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e ventidue paragrafi, rispecchia le aspirazioni dei governi illuminati dell'epoca tesi ad interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica, e pone grande attenzione al ruolo della donna.
A distanza di duecento anni, un apposito comitato "per le celebrazioni della Rivoluzione del 1799" à commemorato il semestre repubblicano del 1799, con grande dovizia di soldi pubblici. Ma chi sia in buona fede non può fare a meno di chiedersi se quella rivoluzione giacobina fu davvero una "parentesi eroica" ed una "occasione perduta" per la nostra città Le esecuzioni di un centinaio di filofrancesi (i "martiri del '99"), seguite alla riconquista del Regno da parte del Cardinale Fabrizio Ruffo, causarono, secondo l'opinione corrente degli storici di regime , la distruzione irreparabile di un'intera classe dirigente. Conseguenze di questo "trauma" - si dice - sarebbero ancora visibili nel degrado morale e civile di Napoli e del Sud.
Ma ciascuno capisce che si tratta d’una petizione di principio non supportata da nessuna prova! Le cose con molta probabilità, alla luce di un moderno, autonomo e disinteressato tentativo di revisione, le cose non stanno esattamente cosí: la repubblica giacobina del 1799, contrariamente a ciò che la interessata storiografia di regime vuol far credere, non fu il risultato d’una rivoluzione popolare ( i popolani, che con disprezzo malevolo i soliti tromboni, battezzarono col nome di lazzari furono tutti schierati dalla parte del loro legittimo sovrano e tetragoni a tutte le idee giacobine che tennero, a giusta ragione, estranee al loro modo di vivere e sentire!...); dicevo dunque che la repubblica giacobina del 1799 , non fu il risultato d’una rivoluzione popolare ma fu l’opera di una minoranza settaria che non poteva avere e non ebbe infatti consenso nel Paese reale! Quando mai e dove i popoli ànno fatto una rivoluzione? Le rivoluzioni sono sempre opera dei borghesi e degli intellettuali che si servono del popolo come grimaldello (ricordate che Robespierre, Marat e Danton erano dei borghesi ed ancór prima fu borghese quel Giulio Genoino che si serví del povero popolano Masaniello! La repubblica giacobina del ’99 altro non fu che la manifestazione di un sia pur breve governo-fantoccio, tenuto in piedi, non dall’appoggio del popolo, ma solamente dal danaro della massoneria e dalle armi dell’invasore francese, che fu responsabile di feroci massacri e del saccheggio del patrimonio artistico del Regno delle Due Sicilie, invasore che plaudito e supportato dal solito gruppetto dell’intellighenzia partenopea, quella che – sotto ogni meridiano – si schiera sempre contro l’autorità costituita ed è adusa a sputare nel piatto in cui mangia!( e per tutti rammenterò la Eleonora Anna Maria Felice de Fonseca Pimentel (Leonor da Fonseca Pimentel Chaves, anche nota come Pimentel Fonseca o Pimentella), Roma, 13 gennaio 1752 - Napoli, 20 agosto 1799. Di origini portoghesi, ma cresciuta a Napoli, fu una delle figure piú rilevanti della breve esperienza della Repubblica Napoletana del 1799, benché fosse amica della regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, e curatrice lautamente stipendiata, della sua biblioteca. Con la regina, la de Fonseca si trovò nei salotti degli illuminati napoletani, affiliati alla massoneria ( quella massoneria che sarà nel 1860 una delle principali fomentatrici e sovvenzionatrici della futura invasione del Reame da parte della banda garibaldesca. Forte fu il legame tra le due donne, ma si interruppe drasticamente con il sopraggiungere, dalla Francia, delle notizie che fecero conoscere i drammatici sviluppi della Rivoluzione (Risale al 1793 la decapitazione di Maria Antonietta, regina di Francia e sorella di Maria Carolina) La regina progressista, che credeva nel dispotismo illuminato, si ritrovò ora a combattere quegli stessi amici che con lei avevano lavorato per una monarchia moderna e che ora propugnavano l'avvento della repubblica. Frattanto la de Fonseca per le sue frequentazioni si meritò l'accusa di giacobinismo, per la quale, nell'ottobre del 1798, venne imprigionata.
Venne liberata dopo qualche mese, nel gennaio 1799, all'arrivo a Napoli delle truppe francesi. Volle allora cancellare dal suo cognome il "de" nobiliare e divenne una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana, in cui ebbe l'incarico di responsabile del giornale ufficiale, il Monitore Napoletano, che si pubblicò dal 2 febbraio all'8 giugno 1799.
La fine dell'esperienza repubblicana e il ritorno dei Borbone comportarono per la Pimentel l'arresto e la condanna a morte, eseguita nella storica piazza del Mercato a Napoli, il 20 agosto 1799 tra il ludibrio del popolo che riconosceva nell’impiccata colei che precedentemente, a pagamento, aveva vergato sonetti e canzoni inneggianti al monarca Borbone, quale poetessa di corte!
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Ed ora alcune considerazioni che seppure poco articolate ànno la speranza di fare un po’ di luce variata su di un periodo ancóra troppo romanzato (cfr. Il resto di niente di Enzo Striano).
Questa sera, per il tramite del mio collega mi sento di dover dire a gran voce che è l’ora di smetterla di assistere, riguardo al fenomeno della Repubblica napoletana del 1799, soltanto alla acritica ripetizione di scialbi slogan sbandierati dagli“intellettuali” di parte, degni epigoni di quei giacobini del 1799, che continuano a rimasticare favolette tendenti a presentare la repubblica del 1799 come faro di civiltà e non come dittatura del giacobinismo (quale in realtà fu...) e continuano a nascondere, con protervia borghese, la verità sugli ottomila e piú popolani napoletani uccisi dalle baionette francesi e dalle cannonate che i traditori giacobini riversarono sulla città da Castel Sant’Elmo (al tempo dei fatti noto come sant’Eramo poi sant’Ermo ed infine sant’Elmo), e sugli oltre sessantamila morti in tutto il Regno ( a cominciare da Portici, Resina il Ponte della Maddalena per poi continuare con la Basilicata (Lauria), le Calabrie etc. ) in meno di sei mesi di regime. Dico che è giunta l’ora finalmente, a distanza di circa 210 anni,ed in barba a tutti gli asserviti storici di regime, di mettere sulla bilancia della storia i circa settantamila popolani morti per le mani degli invasori francesi e vedere, finalmente se pesano piú loro o i pochissimi (in tutto 124!) borghesi afforcati dai legittimi regnanti, quei pochissimi che i soliti intellettuali di parte ànno battezzato martiri ed ànno trovato qualcuno che à intitolato a loro e solo a loro una delle piú belle piazze di Napoli, come se i popolani caduti sotto il piombo e le baionette giacobine non meritassero d’esser detti martiri!
Dico ancó ra, che in barba a taluni immensi guru che tuttora imperversano e pontificano dai palazzi del potere culturale è giunta l’ora sacrosanta di accusare di mendacio continuato ed aggravato la storiografia di regime che spudoratamente ci à tramandato solamente la memoria di quegli intellettuali (prodromici del comunismo!) che prepararono una rivoluzione borghese!, mentre su tutto il popolo che resistette, (talvolta elaborando un pensiero alternativo ad essa rivoluzione e coerente con il retaggio tradizionale),la storiografia demo-social-comunista di regime à steso un colpevole manto di silenzio!
2 – La Repubblica Napoletana del 1799 ribadisco fu in realtà, cosí come affermato dallo stesso A. Gramsci (che certamente non può eser tacciato d’essere un conservatore) priva di ogni effettiva autonomia politica, divisa al proprio interno in fazioni ferocemente contrapposte, fu l'opera di una piccola minoranza settaria, senza consenso nel Paese reale.
Tuttavia – come à chiarito qualche storico non di parte (che à addotto a sostegno di questa sua interpretazione dei fatti del '99 una documentazione di impressionante vastità, testimoniata da un 'imponente bibliografia, in assoluto una delle piú complete che si trovino sull'argomento) - questa minoranza, estranea alla storia, alle tradizioni, al senso comune delle popolazioni delle Due Sicilie, esisteva, ed era ferocemente determinata. Lo dimostrano i massacri efferati di cui il governo giacobino si rese responsabile (almeno, ripeto, sessantamila vittime in tutto il Regno), e l'acquiescenza davanti al saccheggio del patrimonio d'arte del Mezzogiorno compiuto dai francesi, nonché di fronte alle esose tassazioni imposte dall'esercito occupante, per rifarsi delle spese di una guerra di liberazione(sic!) guerra a cui nessuno lo aveva chiamato...
Alla luce delle prove prodotte dallo storico F.M. Di Giovine, la Repubblica Napoletana del 1799 si colloca al culmine della crisi della tradizione spagnola a Napoli, a sua volta iniziata con l'introduzione nel Regno della "scuola gallica", lievito del nuovo razionalismo e dello spirito cartesiano.
Questo movimento di idee "francesizzò" la filosofia, la politica e il costume degli intellettuali meridionali, facendone un ceto a parte, una sorta di seconda "nazione", separata e nemica, nel corpo della società napoletana. Da nemici, infatti, si comportarono quegli intellettuali nel 1799, quando aprirono le porte della capitale all'invasore straniero, e come nemici furono trattati, sei mesi piú tardi, dai lazzari fuoribondi, letteralmente "col sangue agli occhi" dopo un'esperienza repubblicana che non aveva arrecato loro né uguaglianza né libertà, (queste riservate ai soliti furbi borghesi, dei quali solo qualcuno tuttavia penzolerà dalle meritate forche in piazza Mercato) mentre al popolo erano toccati accanto a qualche albero della libertà sormontato dal cappello frigio (novello albero della cuccagna...che però non ci fu!), persecuzioni, fucilazioni indiscriminate, leva in massa e contribuzioni "volontarie" a vantaggio della "sorella" Francia.
I giacobini avevano costituito un comitato centrale che collegato con Championnet avrebbe dovuto facilitare l’ingresso dello straniero nella capitale e per far ciò decisero di occupare castel sant’Elmo, che – dominando Napoli – avrebbe garantito protezione e successo. Per la realizzazione del piano giocarono un ruolo fondamentale due cose: il prezzolato (ad opera della massoneria) tradimento di Girolamo Pignatelli principe di Moliterno che doveva la nobiltà del proprio casato alla magnanimità di Carlo III e soprattutto il tradimento pur esso prezzolato del generale Lucio Caracciolo duca di Roccaromana il quale benché fosse noto come perfetta identificazione del prode cavaliere, bravo nelle armi, gentile e cortese in società, in realtà agí ignobilmente macchiando col tradimento la sua divisa di capitano delle guardie del corpo di Ferdinando, funzione per la quale gli era stata attribuita la Gran Croce del Real Ordine di San Gennaro,o di san Giorgio (non ricordo bene.., ma non cambia d’un ette la faccenda!). Egli tradí ignobilmendo consentendo l’ingresso attuato con un sotterfugio (come ricorderà sul Monitore la stessa de Fonseca) nel forte di una masnada di giacobini che di lí a poco avrebbero indisturbati e con ferocia unica cannoneggiato alle spalle i proprii compatrioti, quei poveri popolani che strenuamente si opponevano all’invasione dell’armata giacobina di Championnet,popolani che si trovarono tra due fuochi: i francesi di fronte ed i napoletani traditori alle spalle! C’è sempre un prezzolato tradimento nella amara storia del Reame di Napoli: nel 1799 il tradimento di Roccaromana, Moliterno e dei loro manutengoli (che se non ci fosse stato quel tradimento, i lazzari, non colpiti alle spalle, avrebbero forse respinto Championnet e le sue truppe e probabilmente i sei mesi della Repubblica del 1799 non ci sarebbero mai stati!e Napoli avrebbe risparmiato ai napoletani i leoni di piazza dei Martiri) , nel 1860 quel tradimento infame dei generali Nunziante, Lanza, Landi e Clary corrotti dalle piastre turche della massoneria inglese!
1) L’ unica fonte di legittimità sostanziale della Repubblica del 1799 era rappresentata dallo Championnet, comandante in capo dell’esercito di occupazione , comandante che fa e disfa a suo piacimento istituendo il governo provvisorio formato da 25 membri non elettivi, ma scelti dallo Championnet tra i quali un tal Giovanni Bassal commissario francese e segretario dello stesso Championnet, messo lí per controllare dall’interno i giacobini napoletani, a riprova del fatto che la sedicente repubblica napoletana altro non fu che un’espressione della dittatura giacobina francese; ed il fallimento di detta repubblica è da ricercarsi fra l’altro nell’ambizione degli uomini che non chiamati sulla scena politica, brigarono, scatenando una guerra sotterranea per entrare a far parte del governo provvisorio, ergendosi a paladini della rivoluzione e quanti, quanti borghesi sedicenti impregnati di spirito rivoluzionario, appena videro innalzato l’albero col berretto frigio si schierarono dalla parte della repubblica che aveva legalizzato le loro nuove posizioni di privilegio; per dirla con l’Ecclesiaste: nihil sub sole novi!
2) Allorché poi ad opera del card. Ruffo e della sua armata sanfedista forte di un gran numero di lazzari e di militari rimasti fedeli al re legittimo, la repubblica fu spazzata via i giacobini che scamparono alla sacrosanta forca,i soliti intellettuali di professione costruirono la repubblica del ricordo aprendo un filone giaculatorio e giustificatorio attraverso varie opere polemiche, quando non palesemente mistificatorie come il famigerato Saggio di V. Cuoco, l’ Aperçu di Fr.sco Pignatelli, la Memoria degli avvenimenti di Napoli del 1799 di Amodio Ricciardi, tutte opere, ripeto giaculatorie e giustificatorie tendenti a dimostrare la giustezza di quel furore demolitorio giacobino teso a distruggere la società napoletana per edificare l’ottimo astratto quello propugnato da Francesco Mario Pagano, Eleonora Pimentel de Fonseca, Ignazio Ciaia, Domenico Cirillo, Giuseppe Leonardo Albanese, Vincenzio Russo e Francesco Caracciolo, giustiziati, e Vincenzo Cuoco, condannato all'esilio.
3) In tutti i saggi citati, sia pure con diversi accenti, si originò una nuova categoria politica: il mito dei martiri del ’99. Per il passato la categoria di martire era stata sempre applicata verso chi avesse sigillato col sacrificio della propria vita, la confessione ed appartenenza alla fede di Cristo; i saggisti summenzionati, stravolgendo il significato originario, usurparono una terminologia attribuendola a tutti coloro che erano morti non come seguaci di Cristo, ma in quanto giacobini,spesso atei, massoni e rivoluzionarii e quasi tutti contrarii alla fede confessionale e l’appellativo fasullo di martiri ancóra perdura nella memoria legato come è al nome d’una piazza centralissima di Napoli,un tempo largo di santa Maria della Pace ed oggi piazza de’ Martiri perpetuando nel tempo il ricordo di coloro che invece meriterebbero la damnatio memoriae per essere stati dei ribaldi traditori ed assassini dei proprii compatrioti; ed invece, juxta solitum, a Napoli, complici vecchi barbogi sinistrorsi comunisti o filomarxisti, si intitolano piazze e/o strade ad impostori ed assassini, macchiandosi in tal modo del reato di apologia di reato, il medesimo reato di cui si macchiò ed ancóra si macchia chi sostituí il nome di largo di Palazzo con quello di piazza del Plebiscito quel plebiscito di annessione posteriore al 1860, plebiscito che anche gli storici di regime non possono fare a meno ormai di considerare per quel che fu: un truffa continuata ed aggravata (e la truffa è un reato punito dal codice penale: non gli si può dedicare una piazza! È INDEGNO IL FARLO!!).
4) I superstiti della repubblica sconfitti – scampati alla forca – giurarono vendetta e misero in atto una guerra psicologica tentando di inficiare il valore della vittoria anti-rivoluzionaria; la rivoluzione della repubblica non fu dichiarata sconfitta, ma – eufemisticamente – passiva e tale passività fu addossata alla responsabilità dei lazzari contro-rivoluzionarii che non avevano colto o compreso lo spirito che aveva animato la rivoluzione, spirito che si può tranquillamente riassumere con il desiderio della solita borghesia di scrollarsi di dosso, dai proprî pastrani borghesi, il ciarpame pseudo-scientifico,socialisteggiante, di liberarsi delle scorie letterarie per conquistare i calzoni corti le polpe e le giamberghe del potere! In questa ottica I superstiti della repubblica tennero per nemico tutto l’ambiente popolano che si oppose o si era opposto alla repubblicanizzazione restando fedele al trono a malgrado del regime di terrore instaurato e mantenuto dai giacobini per tutto il semestre repubblicano!
Concludo, proclamando qui ad alta voce che gli autentici martiri del ’99 non furono quei 124 giacobini afforcati in piazza Mercato di cui la storiografia di regime continua a tramandare nome, cognome indirizzo e – chiedo scusa - codice fiscale! No i veri martiri del ’99 furono quei settantamila anonimi lazzari vittime delle baionette e del fuoco invasore, quando non delle bombe dei proprî compatrioti. Ed è a loro, spero, che stasera vada con il mio, anche il vostro commosso, reverente pensiero e per loro èlevo al Cielo una preghiera di suffragazione che tuttavia intendo estendere (i morti sono tutti uguali!) anche agli afforcati di piazza Mercato!!!
allegato 1
EDITTO REGIO DEL 1789
1) Il solo merito distingue tra loro gli abitanti di San Leucio; perfetta uguaglianza nel vestire; assoluto divieto di lusso.
2) 1 matrimoni saranno celebrati in una festa religiosa e civile. La scelta sarà libera dei giovani né potranno contraddirla i genitori degli sposi. Ed essendo spirito e anima della società di San Leucio l'uguaglianza tra i coloni sono abolite le doti. Io, re, darò la casa con gli arredi dell'arte e gli aiuti necessari alla nuova famiglia.
3) Voglio e comando che tra voi non siano testamenti; né veruna di quelle conseguenze legali che da essi provengono. La sola giustizia naturale guidi le vostre correlazioni; i figli maschi e fem¬mine succedano per parti uguali ai genitori, i genitori ai figli; poscia i collaterali nel solo primo grado; e in mancanza la moglie nell'usu¬frutto; se mancheranno gli eredi (e sono eredi solamente i sopradetti), andranno i beni del defunto al Monte e alla cassa degli orfani.
Le esequie semplici, devote, senz'alcuna distinzione saran fatte dal parroco a spese della casa. È vietato il bruno: per i soli genitori o sposi e non piú lungamente di due mesi, potrà portarsi al braccio segno di lutto. È prescritta la inoculazione del vaiuolo che i magistrati del popolo faranno eseguire senza che vi s'interponga autorità o tenerezza dei genitori.
4) Tutti i fanciulli, tutte le fanciulle impareranno alle scuole normali il leggere, lo scrivere, l'abaco; i doveri, e in altre scuole le arti. I magistrati del popolo risponderanno a noi dell'adempimento.
5) I quali magistrati detti Seniori verranno eletti in solenne adunanza civile dei capi di famiglia, per bozzolo segreto e maggioranza di voti. Concorderanno le contese civili o le giudicheranno; le sentenze in quanto alle materie delle arti della colonia saranno inappellabili; puniranno correzionalmente le colpe leggiere, veglie¬ranno all'adempimento delle leggi e degli statuti. L'uffizio di Seniore dura un anno.
6) I cittadini di San Leucio, per cause d'interesse superiore competenza dei Seniori o per misfatti, saranno soggetti ai magistrati e alle leggi comuni del regno. Un cittadino dato come reo ai tribunali ordinari, sarà prima spogliato segretamente degli abiti della colonia e allora sino a che giudizio d'innocenza nol purghi, avrà perdute le ragioni e i benefizj di colono.
7) Nei giorni festivi, dopo santificata la festa e presentato il lavoro della settimana, gli adatti all'armi andranno agli esercizi, militari; perciocchè il vostro primo dovere è verso la patria: voi sangue e con le opere dovrete difenderla e onorarla.
Queste leggi io vi do, cittadini e coloni di San Leucio.
Voi osservatele e sarete felici.
Ferdinando IV di Borbone
allegato 2
Non ò fatto, fino a questo momento alcun accenno alla dolorosa historia d’un’ altra martire del ’99 e cioè alla storia di Luisa Sanfelice anche lei finita nelle pagine d’un romanzo La Sanfelice di A.Dumas. Ne parlo ora in chiusura per ricordare che – come tanti altri nobili e/o borghesi del tempo - usò sputare nel piatto dove mangiava e con la sua delazione si rese responsabile dell’assassinio di un gran numero di fedeli ferventi sudditi fedeli ai Borbone, ma se ne ebbe il giusto castigo, finendo decapitata a malgrado avesse tentato di rinviare sine die la sua fine, fingendosi incinta. Il suo vero nome era Luisa Fortunata de Molina (figlia di un generale borbonico di origine spagnola, don Pedro de Molino e di Camilla Salinero), ma divenne "La Sanfelice" a 17 anni, dopo il suo matrimonio con il nobile napoletano Andrea Sanfelice, suo cugino. Il matrimonio le conferí anche il titolo di duchessa.
La sua storia d'amore con Andrea fu molto irrequieta e dissipata, tanto che a corte decisero di separare per un po' i due coniugi (1794). Ma durante un fugace incontro a Salerno Luisa rimase incinta e per punizione venne spedita al conservatorio di Montecorvino Rovella. Successivamente fu però riammessa a corte, nonostante non fosse gradita alla monarchia borbonica.
In seguito all'invasione francese del 1799 e alla costituzione della Repubblica Partenopea, i Borbone tentarono di riprendere il potere mediante una congiura guidata da una famiglia di banchieri, i Baker, o Baccher, di origine svizzera. Gherardo Baccher, ufficiale dell'esercito regio, perdutamente innamorato di lei (seppur non ricambiato) tentò di proteggerla dalle conseguenze della congiura consegnandole un salvacondotto. La Sanfelice tuttavia consegnò il salvacondotto al suo amante del momento, Ferdinando Ferri, che, venuto a conoscenza della trama, la denunciò. Molti membri della congiura furono arrestati e condannati a morte (si salvò solo il piú giovane dei Baccher, quel Placido che diventato sacerdote sarà nominato rettore della Chiesa del Gesú Vecchio, diventando il fervente Apostolo dell’Immacolata", cosí chiamato per il culto diffusissimo a Napoli, che egli seppe propagare nella città con la sua ‘Madonnina’) mentre la repubblica si avviava alla fine. I Baccher furono fucilati in gran fretta nel cortile di Castel Nuovo (probabilmente anche per vendette private), proprio il 13 giugno 1799, giorno della capitolazione della repubblica di fronte alla gloriosa armata sanfedista del cardinale Fabrizio Ruffo.
Il re Ferdinando non perdonò alla Sanfelice di aver collaborato coi repubblicani e, nonostante la sua giovane età, una volta tornato al potere, la fece condannare a morte. La esecuzione della sentenza fu rimandata piú volte, perché la Sanfelice, come ò detto, si dichiarò incinta, gravidanza confermata da due medici compiacenti (La Sanfelice era giovane, bella e piacente , ed il suo caso impietosí anche molti accesi nemici della rivoluzione). Nel 1800 venne concesso dal monarca un indulto che però non era applicabile alle sentenze già passate in giudicato: nel contempo, il re, sempre piú infastidito dalle proporzioni che prendeva il caso, dispose il trasferimento della Sanfelice a Palermo, dove una commissione medica escluse, al di là di ogni ragionevole dubbio, la gravidanza.Luisa Sanfelice venne, quindi, giustiziata pochi giorni dopo, l'11 settembre 1800, tra la commiserazione generale.Le belle che muoiono decapitate, destano sempre, nell’animo del popolo, pietà e compassione, e poi quell'accanimento reale nel volere a tutti i costi quella esecuzione apparve ai piú una sorta di vendetta a freddo.Le altre persone coinvolte nella repressione della congiura dei Baccher, Vincenzo Cuoco e Ferdinando Ferri, se la cavarono con l'esilio da Napoli. Il Ferri poté persino entrare nel ministero sotto Ferdinando II delle Due Sicilie. Un'altra vittima celebre della giustizia borbonica, Eleonora Pimentel Fonseca, contribuí involontariamente al tragico epilogo pubblicando nel suo Monitore Napoletano l'elogio della Sanfelice quale principale artefice del fallimento della congiura contro la repubblica giacobina del 1799.
raffaele bracale
Ho letto con interesse l'Articolo e pur ritrovandomi sulla linea dell'autore non posso far a meno di notare sui fatti del 1799 che l'invasione del regno fu provocata proprio fa ferdinando che entrando negli ex stati pontifici tentò senza succeso di ristabilire l'autorità papale in netto contrasto col trattato d brescia.Convengo con l'autore che i giacobini napoletani contavano poco o nienterispetto ai francesi epertanto non si potevano oporre efficacemente ad alcuna spoliazione che presumo infastidisse anche loro. Sempre napoletani erano. E comunque per completezza di opinione si dovrebbe parlare del successivo regno dei "due cognati" che comunque portò lustro al regno tanto quanto ne portarono i Borbone
RispondiEliminase da una parte c'è la romanzazione alla Striano dall'altra c'è eccessiva faziosità Realista. In mezzo, infine, ci sono i lazzari! il popolo! quello che i governanti (tutti) fanno felice "spensando prebende" sotto varie forme e a vario titolo ... quei lazzari che oggi chiameremmo camorristi, che i piemontesi definirono briganti... Quanta confusione! ed hanno ragione un pò tutti ed un pò nessuno. Dipende da quale angolazione si guardano gli eventi soprattutto mentre si manifestano. Perciò, direi, leggendo la storia, di non essere o eccessivamente euforici, nè particolarmente cinici. Lenòr Fonseca, ad esempio, così maltrattata dall'autore dell'intervento considerandola un'opportunista che ha sputato nel piatto e di contro tanto amata da Striano nel suo "resto di niente" fino a farne un'eroina rivoluzionaria, fu una donna comunque coerente fino in fondo pur martirizzata da dubbi atroci per le scelte che andava compiendo. E quel che conta, alla fine è il risultato: fu impiccata. E seppur la quasi totale maggioranza di esseri umani sotto il cielo di Napoli in quell'afoso agosto ritenne giusta e doverosa l'esecuzione, non fu affatto una cosa ben fatta. Questa somiglia molto a quella metafora usata per la TV: se l'hanno detta pure nel TG allora è vera e viceversa una cosa che non finisce nel notiziario non è nemmeno accaduta. Insomma siamo alle solite. A me piace pensare che i 5 mesi di repubblica napoletana, per quanto velleitari (come la stessa deFonseca avvertiva) servirono comunque a qualcosa. Se non altro a dimostrare che quel popolo di cui tutti indistintamente ci riempiamo la bocca fa solo ed esclusivamente i propri interessi partendo dalla propria minuta visone dei fatti (pulcinella docet e Totò, Sordi ed altri ancora, perfino Fracchia e Fantozzi, hanno perpetuato). Il popolo non fa le rivoluzioni. Non può farle, prima di tutto s'àdda regnere a panza. e se qualcuno li fa fare, meglio ancora, chiunque esso sia. La libertà è anch'essa una visione particolarmente soggettiva dei fatti: sogni e bisogni. La mia libertà è forse diversa dalla tua. Molto diversa! e allora che si fa? ci si decolla vicendevolmente? E' ciò che regolarmente accade in nome proprio della libertà. La libertà, dunque, non si impone. Ma allora che s'addà fà per migliorare le cose? e per migliore che s'intende? deFonseca&Co furono eroi e Ferdinando&Consorte una coppia di maiali? e viceversa! c'è sempre un viceversa, a rifletterci con attenzione.
RispondiEliminaNell'intervento a più riprese si fa cenno alla barbarie piemontese. Son daccordo (per ragioni diametralmente opposte) ma i piemontesi la pensano proprio viceversa!
Ultima riflessione: il ruolo che la camorria ha sempre avuto da Masaniello in poi e fino ad oggi. Ci possono essere molteplici letture. Quel che alcuni definiscono briganti altri rivalutano come patrioti! fatto sta che loro hanno (come il popolo. Anche perchè figli legittimi di quello stesso popolo) attentamente badato ai loro affari in ogni epoca e sotto ogni regime. Chiaramente in una situazione fragile come quella del 1799 fu facile schierarsi con i Borbone: se ne sarebbero ottenuti vantaggi impensabili che sotto quei 4 nobili sognatori. Esattamente come nella Sicilia degli anni 50 (occupazioni delle terre) a ruoli invertiti, però, stavolta. O quando nel passaggio tra i Borbone ed i Piemontesi Liborio Romano con la feccia capeggiata da Tor'e Crescienzo di fatto garantì potere agli uni, salvacondotti agli altri e benefici per tutti i lazzari felici.
Ma questa è storia o solo opinioni?
Semplicemente dico a me stesso: vacci piano con i giudizi definitivi.