giovedì 24 luglio 2008

PROVERBI E LOCUZIONI VARII

1Essere 'na pimmice 'e canapé.
Letteralmente: essere una cimice annidata in un divano. Id est: essere inaffidabile, subdolo e perfido come una cimice che - secondo la credenza popolare - è pronta a tradire il proprio simile o colui che abbia la sventura di tenerla nascosta nel proprio divano; il primo ad essere morsicato sarà proprio il padrone del divano.
2 Ma tenisse 'e gghiorde?
Letteralmente: fossi affetto da giarda? Domanda retorica che con aria insolente, viene rivolta a Napoli, a qualcuno che appaia pigro, indolente, scansafatiche, che non si muova, nè faccia alcunché, quasi fosse affetto da giarda la malattia che colpisce le giunture ed in ispecie il collo del piede dei cavalli producendo eccessiva enfiagione delle zampe delle bestie, impossibilitate, per ciò a procedere speditamente.
3 Jí cercanno 'mbruoglio, aiutame!
Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che possa aiutare. Id est: quando ci si trovi in situazioni o circostanze tali che non lascino intravedere vie d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di rifugiarsi in un non meglio identificato ‘mbruoglio (imbroglio,astuzia, inganno, moto di destrezza) che in un modo o in un altro consenta di risolver la faccenda. La locuzione a Napoli è usata a salace commento delle azioni di chi, per abitudine, non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per habitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido.
4 Appíla ca jesce feccia!
Letteralmente: tura giacché esce feccia. È questo il comando imperioso dato dall'oste al garzone che stia aiutandolo a travasare il vino affinché ponga lo stoppaccio o zipolo alla botte quando, oramai vuotata, questa cominci a metter fuori la feccia o (in gergo) la mamma del vino; per traslato vale: Zittisci, ché dici sciocchezze ed è il caustico ed imperioso comando che a Napoli si suole dare a chi - colloquiando - cominci a metter fuori sciocchezze o, peggio ancora, offese gratuite.
5 Â pprimma entratura, guardateve 'e ssacche!
Letteralmente: entrando per la prima volta, in qualche sito sconosciuto, badate alle tasche; id est: state attenti alle nuove frequentazioni specie di sconosciuti che possono derubarvi o procurare altri danni.
6 Mare a chi more e Paraviso nun trova.
Letteralmente: Povero chi muore e non trova posto in Paradiso.La locuzione intesa in senso lato la si usa per commiserare chi si trovi a gestire situazioni dalle quali non possa o non riesca a ricevere - per insipienza personale o sopravvenuta sventura - i benefici sperati. È inesatto oltre che blasfemo intender la locuzione come negazione di uno dei 4 Novissimi (Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso).
7 Doppo magnato e vìppeto" a' salute vosta".
Letteralmente: Dopo d'aver mangiato e bevuto:"alla vostra salute". L'espressione in epigrafe si usa a Napoli, per commentare sarcasticamente il comportamento di chi approfitta di una situazione proficua e posticipa gli atteggiamenti augurali, dopo di aver goduto di benefici per i quali la buona norma vorrebbe che gli auguri venissero fatti antecedentemente, prima cioè di godere dei frutti di azioni comuni; a mo' d'es.: un brindisi va fatto prima, non dopo una bevuta corale.
8 Metterse 'e casa e puteca.
Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casa e viceversa.
9 Fà 'o scrupolo d''o ricuttaro.
Letteralmente: fare lo scrupolo del magnaccia. Id est: scandalizzarsi grandemente al cospetto di altrui veniali mancanze, alla stregua di un lenone abituato a compiere gravi mancanze che si scandalizzasse di piccoli reati compiuti da altre persone.La locuzione è usata a Napoli appunto per bollare il comportamento chiaramente falso di chi abitualmente incline a delinquere mostra di scandalizzarsi davanti a piccole mancanze...
Aproposito della voce ricuttaro, preciso quanto segue:
Da sempre il lenocinio è stato praticato da piccoli furfantelli e/o camorristi; temporibus illis (fine ‘800) i piccoli furfanti e/o camorristi erano arrestati e spesso finivano sotto processo con minaccia di pena certa; durante tali processi furfanti e camorristi erano difesi da avvocati che (se non appartenenti alla camorra) esigevano congrue parcelle. All’uopo provvedevano i compagni dei processati o dei già detenuti ( furfanti e/o camorristi di piccola o grossa taglia...) che procedevano ad una questua piú o meno vessatoria tra i piccoli commercianti e bottegai che aprivano i loro esercizî o nel rione in cui operavano i furfanti/camorristi finiti sotto processo o anche nelle strade adiacenti il tribunale o le carceri. Tale questua finalizzata fu detta ‘a recoveta (la raccolta); da recoveta a recotta il passo è breve ed ancora di piú lo è da recotta a recuttaro/ricuttaro di modo che con l’espressione fà ‘a recotta (fare la ricotta) non si significò produrre il tipico gustoso formaggio ricavato dal latte di pecora, ma si indicò l’azione di coloro che facessero quella vessatoria raccolta rammentata , e poiché poi quei medesimi raccoglitori spesso si dedicavano al lenocinio ed allo sfruttamento della prostituzione, furono indicati con la voce ricuttaro/recuttaro voci che estensivamente furono ed ancora sono in uso nel napoletano per indicare chiunque sfrutti qualcuno in qualsiasi campo.

10 Purtà p''e viche.
Letteralmente: menare per i vicoli. Id est: comportarsi truffaldinamente nei confronti di qualcuno, imbrogliandolo, confondendolo, rimandando sine die il compimento di promesse formulategli, conducendolo per tortuosi e dispersivi vicoli in luogo della retta e più breve via maestra. L'espressione è normalmente intesa in senso figurato, ma potrebbe esserlo anche in senso concreto nel deprecato caso del furbo tassista che,invece di andare diritto alla meta, porti il povero passeggero in giro per la città prima di depositarlo a destinazione.
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