RAGÚ NAPOLETANO
È inutile domandarsi quale sia la salsa con pomodoro piú nobile, celebrata, ricca e dotta della cucina napoletana poiché tutti conoscono la sola, unica risposta possibile: il ragú ovviamente!
Il ragú napoletano è molto diverso da tutti gli altri ragú di carne, pure ottimi, di cui è ricca la cucina italiana. È diverso per gli ingredienti, per la lunga preparazione, per l'estrema attenzione che richiede,per quella tipica fase di preparazione, fase detta del peppiare ed infine per l'aroma che purtroppo sempre piú raramente si diffonde, il sabato sera, nelle scale dei palazzi di Napoli, dove ahimé sono giunti gli anatemi di tutti i nutrizionisti del tubo mediatico che ànno convinto anche i poveri napoletani a bandire dal loro desco domenicale questa sontuosa salsa per sostituirla con insipide salsine bollite, senza nerbo e/o gusto, insipide e prive di grassi animali, salsine che mai e poi mai possono convolare a felici nozze sulla tavola domenicale con i tronfi maccarune ‘e zite spezzati a mano o, meglio ancora, con duttili pacchere magari ‘mbuttunate!
Fortunatamente ci sono ancora dei napoletani d’antan, che - come carbonari o cospiratori del tempo andato continuano a parlare e talvolta a preparare mitici ragú come il Cielo comanda!
Molti grandissimi della letteratura e dell'arte lo ànno celebrato.Rammenterò per tutti don Peppino Marotta che usava dire che il ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga e/o conquisti alla stregua di una promozione o un successo!Io mi limito a riportarne la ricetta, premettendo che il risultato finale dipenderà quasi esclusivamente dalla sensibilità e dalla … mano calda (lèggi: attenzione, preparazione, solerzia ed …amore) del cuoco o della cuoca.
Prima però di dare la ricetta con ingredienti e preparazione, soffermiamoci sulla espressionePEPPïARE – peppïà che è voce onomatopeica indicante quella fase propedeutica del momento prossimo alla conclusione della preparazione del ragú napoletano, allorché dal fondo della pentola dove è in cottura la salsa di carne e pomodoro, affiorano ripetutamente in superficie delle bolle d’aria che al culmine della tensione si rompono producendo un suono simile a quello che produce chi tira una boccata di fumo dalla pipa. Il toscano traduce in maniera piuttosto imprecisa e superficiale: sobbollire.
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Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú.
Il segreto per far peppiare la salsa sta nel tenere la fiamma piuttosto bassa, nell’evitare di turare completamente con il coperchio la bocca della pentola, ma nel poggiare attentamente il coperchio solo su di un lato della pentola mentre nella direzione opposta occorre poggiare il coperchio non sul bordo della pentola, ma sul cucchiaio di legno posto di traverso l’imboccatura, per modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda.
Solo dopo che la salsa abbia peppiato per piú di un’ora e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione dell’olio e dello strutto che affiorano in superfice lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno, si potrà spegnere il fuoco .
In chiusura rammenterò che la voce peppïà è resa nelle Puglie con il termine pippijà che, ad un dipresso, ripete l’onomatopea partenopea peppïà, mentre in Sicilia è usato il termine carcariare voce che, risultando essere un denominale di carcara ( calcara o grossa pentola), lascia presumere che l’azione significata dal vocabolo presupponga un’ebollizione così violenta tale che possa indurre il sugo ad uscir di pentola; non è pertanto il napoletano peppïare che come ò spiegato indica un bollore sí prolungato, ma calmo, direi quasi riflessivo, mai agitato o violento. In napoletano, in effetti, il verbo carcarïare/carcarïà è usato per indicare il rumoreggiare, l’agitarsi.
Rammento ancòra che quando in napoletano vogliamo indicare un'azione agitata di un individuo che aneli a qualcosa e lo voglia subitaneamente, diciamo che, a proposito del bene desiderato, quell'individuo sta scarcarenno ossia è cosí agitato da tracimare l'ipotetica pentola del comportamento.
peppïà – pippijà = pipeggiare, fare il rumore della pipa ; voci onomatopeiche.
carcarïare/carcarïà =rumoreggiare; bulicare rumorosamente; voce verbale denominale di carcara che con derivazione dal lat. tardo (fornacem) calcaria(m), deriv. di calx.calcis 'calce' indica innanzitutto la fornace in cui si fanno cuocere i calcari per produrre la calce o il forno in cui si fonde la miscela di sabbia e soda usata per fabbricare il vetro e per traslato – nel caso che ci occupa - una grossa pentola, una caldaia, un grande recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa;
scarcarenno = tracimando la caldaia voce verbale (gerundio ) dell’infinito
scarcarí = tracimar la caldaia denominale di carcara da un
ex-carcara però con cambio di coniugazione che da un atteso excarcarïà passa adexcarcarí.
E veniamo alla preparazione; cominciamo con
Ingredienti e dosi per 6 persone
Per la prima fase di preparazione, la lardellatura
• 100 g. di prosciutto crudo possibilmente grasso
• 50 g. di pancetta tesa affumicata
• Un ciuffetto di prezzemolo
• Pepe
Per la seconda fase
• 1,5 Kg. in un sol pezzo di primo taglio di manzo (noce(pezza a cannello) o magatello (lacerto))
• (3 tracchiolelle (puntine) di maiale per complessivi 400 g.)(facoltative)
• da 600 g. ad 1 kg di cipolle vecchie
• 100 g. di strutto
• 50 g. di lardo di pancia
• 1 bicchiere d'olio d’oliva e.v.p.s. a f.
• 50 g. di pancetta tesa affumicata
• 250 - 300 ml di vino rosso secco
• Da 100 a 300 grammi di concentrato di pomodoro
• 1 litro e mezzo di passata di pomodoro o 1 kg. e mezzo di pomidoro tipo Roma o san Marzano sbollentati, pelati e passati al passaverdure a buchi fitti.
• Sale doppio q.s.
Preparazione
Lardellate la carne con il prosciutto, la pancetta, il prezzemolo ed il pepe e legatela bene.
Tritate grossolanamente , usando un affilatissimo coltello o una lama a mezza luna, su un tagliere di legno prima il lardo e, via via la rimanente pancetta, e le cipolle. Si può anche usare un tritacarne per questa operazione, sarà un’operazione piú rapida, ma io la sconsiglio; infatti c'e il rischio di perdere il succo e con esso l’aroma delle cipolle.
Ponete tutto il trito nella casseruola possibilmente di coccio o di rame stagnato, insieme allo strutto ed all'olio e, a fuoco bassissimo, riscaldate fino a quando lo strutto sarà fuso e la cipolla comincerà appena a soffriggere. Aggiungete la carne e, per chi vuole seguire la variante, le puntine (tracchiolelle) di maiale. Fate scottare il pezzo di carne su ogni lato, indi incoperchiate e lasciate rosolare , sempre a fuoco bassissimo, rivoltando ancóra frequentemente le carni.
Attenzione! Le puntine di maiale cuociono molto prima, quindi potrebbe essere necessario toglierle per qualche tempo dalla pentola.
Quando le cipolle cominciano a prendere colore, scoprite, mescolate e rivoltate la carne piú spesso, aggiungendo poco per volta il vino che dovrà evaporare tutto. Fatto questo, le cipolle saranno ormai ben rosolate, ogni traccia di liquido sarà sparita e non rimarrà che il grasso che sobbolle lentamente.
Questa prima fase vi vedrà impegnati per circa 2 - 2,5 ore. Durante tutto questo tempo non è consigliabile allontanarsi dai fornelli: le cipolle potrebbero bruciare, rovinando tutto.
Seconda fase
Aumentate, ma di poco, il fuoco, per dargli un po' di forza, ma non molta: appena sufficiente ad accogliere gli altri ingredienti che sono freddi.
Aggiungete non piú di due o tre cucchiai di concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere, fino a quando non diventa scurissimo.Fate molta attenzione: il concentrato deve sciogliersi nel grasso, prendendo sí colore, ma non bruciare!
Solo a questo punto va aggiunto tutto l’altro concentrato, sempre nelle stesse quantità, e cosí via, sempre con la stessa procedura, finché non l'avrete terminato.
Durante questa fase sicuramente le puntine (tracchiolelle) di maiale saranno cotte e vanno tolte delicatamente, per evitare che si spacchino aprendosi e disfacendosi.
Questa seconda fase (ancor piú delicata della prima perché dovrete controllare la cottura della carne e perché si corre il rischio che il pomodoro si attacchi) vi impegnerà per altre 2 o 3 ore.
A questo punto aggiungete tutto il passato di pomodoro,un po’ di sale le foglie di basilico spezzettate a mano e non piú di un mestolo d'acqua bollente,e a pentola scoperta lasciate prima cuocere per circa un’ora e poi, incoperchiando come suggerito, lasciate peppiare (cuocere a fuoco bassissimo) per almeno un'ora e mezzo.
Se non l'avete già fatto, togliete tutta la carne e disponetela in un piatto: la rimetterete nel sugo a fine cottura.
La salsa sarà cotta quando vi apparirà densa, lucida, scurissima ed untuosa.
Verificate il sale, non dovrebbe essere necessario aggiungerne, rimettete la carne in casseruola e lasciate riprendere il bollore per pochi minuti.
Dato il lungo tempo di preparazione (almeno 7 ore) vi suggerisco di preparare il ragú il sabato, trasferendolo alla fine della cottura dalla pentola in una zuppiera di coccio o porcellana. Inoltre, lasciandolo riposare, il ragú matura e risulterà ancora piú gustoso.
Questa salsa va usata per condire 6 o 7 etti di maccheroni di zite spezzettati a mano in pezzi da 4 o 5 cm. cadauno.
Spolverare le porzioni impiattate con abbondante grana o (meglio ancora!) pecorino grattugiati e profumato pepe nero.
Servire come pietanza la carne affettata coperta con qualche cucchiaio di salsa.
Il ragú si serve, quasi esclusivamente con la pasta grossa: maccheroni di zite spezzati a mano, ma si possono usare anche rigatoni, maltagliati rigati. Ottimi poi i paccheri, magari imbottiti con ricotta di pecora ma difficilmente si posson trovare.
Dopo un congruo piatto di ziti a ragú si può anche non mangiare altro, fatta eccezione, come detto, per la carne del ragú, con un contorno di verdura cotta; a Napoli si usano i friarielli, sorta di tenerissime cime di rapa, (da soffriggere a crudo in padella con aglio, olio e peperoncino); tale verdura lontano da Napoli, non esiste, per cui si può sostituirla, sia pure indegnamente con bietole, spinaci o patate stufate, ma ‘e friarielle so’ n’ata cosa!
Raffaele Bracale
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