1. A stracce e petacce
Ad litteram: A stracci e brandelli; locuzione usata per significare tutte le azioni fatte in modo discontinuo, con scarsa applicazione, a morsi e bocconi, azioni che lasciano presagire risultati pessimi.
stracce s.m.pl. di straccio letteralmente straccio, pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare (in quest'ultimo caso, anche come prodotto commerciale specificamente fabbricato a tale scopo): il commercio, l'industria degli stracci; straccio per lavare i pavimenti, per spolverare; dare, passare lo straccio | ridursi uno straccio, (fig.) diventare magro, deperito | sentirsi uno straccio, (fig.) estremamente debole; voce deverbale di stracciare che è dal lat. volg. *extractiare, deriv. di tra°ctus, part. pass. di trahere 'trarre';
petacce s.f. pl. di petaccia = straccio, cencio, brandello; voce derivatata dal lat. pitacium ma attraverso lo spagnolo pedazo= pezzo, cencio.
2. ‘A sotto p’’e chiancarelle!
Ad litteram: Di sotto a causa dei penconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli: strette doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano l’impiantito dei solai.
‘a sotto loc. avverbiale che vale da/di sotto formata dalla preposizione ‘a= da che è dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; e dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc + l’avverbio sotto = sotto, in posizione inferiore dal tardo lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto';
chiancarelle s.f. pl. di chiancarella = panconcello/a: asse di legno di contenuti spessore e lunghezza, assericavata dal taglio longitudinale del tronco d'albero (per solito castagno) e destinata, dopo la stagionatura, a essere ulteriormente tagliata in assi piú sottili, un tempo destinata alla formazione dell’impiantito di solai e/o pavimenti; la voce napoletana è un diminutivo di chianca che è dal lat. planca (tavola): normale nel napoletano il passaggio del digramma pl a chi cfr. platea→chiazza - plumbeum→ chiummo - plus→ cchiú - pluere→chio(v)ere; rammento che in napoletano la voce chianca derivata di planca indica la macelleria, il negozio di vendita di carni al minuto in quanto in origine nelle macellerie la carne veniva esposta e sezionata su di una tavola (planca→chianca) di legno.
3. Aíza, ca venono ‘e gguardie
Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni.
Oggi la locuzione è usata per convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge.
4. Arriciette ‘e fierre e ghiammuncenno
Ad litteram: raccogli i ferri del mestiere ed andiamo via. Locuzione usata a mo’ di perentorio comando dagli artieri e rivolta ai propri, meglio al proprio garzone affinché raccolti i ferri usati per svolgere il lavoro, li riponga in un contenitore da asporto e ci si possa allontanare dal luogo, ove si lavori o si sia lavorato, per far ritorno alla bottega. Il verbo arricettà, reso con l’italiano raccogliere deriva originariamente dal termine ricietto che significa tregua, pace e nella locuzione vorrebbe quasi intendere che ai ferri occorre dare,dopo una giornata di lavoro, finalmente tregua, non tenendoli piú sparsi a dritta e mancina, ma raccolti nel loro contenitore.
Modernamente la locuzione è usata all’incirca con la stessa valenza della precedente quando si voglia sollecitare un importuno a lasciarci liberandoci della sua sgradita presenza.
5. A pesielle pavammo oppure ne parlammo.
Ad litteram: al tempo dei piselli pagheremo oppure ne parleremo. Locuzione con la quale si tenta di rimandare la soluzione dei debiti o dei problemi a tempi migliori. In tempi remoti la locuzione posta sulla bocca di un contadino voleva dire: pagherò i miei debiti al tempo della raccolta dei piselli, quando farò i primi guadagni della stagione; posta invece sulla bocca di un medico o peggio d’un becchino aveva l’aria di una minaccia vvolendo significare: al tempo dei piselli ti necessiterà la mia opera o perché cadrai in preda di coliche che l’ortaggio ti procurerà, o - peggio ancora - ne decederai!
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