domenica 7 giugno 2009

MERETRICIO e voci collegate

MERETRICIO e voci collegate

Questa volta ci addentreremo nel campo pericoloso del meretricio e delle voci toscane e napoletane ad esso collegate.
Comincerò col dire che con la parola meretricio etimologicamente dal latino meretricium che è da merere= guadagnare, si intende la prostituzione, il prostituire, il prostituirsi; in partic., attività di chi fa commercio abituale del proprio corpo al fine procurarsi immediato e facile guadagno; s’usa dire che tale attività, che è innanzi tutto femminile, ma talora pure maschile, sia stato il mestiere (quale attività individuale o organizzata) piú antico del mondo; non stento a crederlo: come commercio individuale è l’unico commercio che non abbisogna di ingenti capitali o di avviamento,non è neppure vero che sia richiesta una particolare avvenenza fisica, si può svolgere all’aperto ed al chiuso indifferentemente, gli strumenti di lavoro son forniti gratis da madre natura e non necessitano di particolare manutenzione e, adottando piccole precauzioni, è mestiere che può svolgersi per lungo tempo assicurando lauti guadagni oggi esenti da tassazione statale, quantunque non da quella del cosidddetto protettore o magnaccia ( voce etimologicamente forgiata sul romanesco magnà=mangiare addizionato del suffisso dispregiativo accia) e cioè lo sfruttatore di prostitute ed estensivamente l’ uomo che vive alle spalle di una donna.Ricorderò súbito che in napoletano tale sfruttatore è detto ricuttaro; la parola napoletana fu ricavata verso la fine del 1800 per adattamento corruttivo della parola recoveta che diede recotta donde il derivato recuttaro o ricuttaro; ‘a recoveta era quella raccolta di fondi, raccolta vessatoria operata (tra i piccoli bottegai ed il popolino di taluni rioni popolari della città bassa) ad opera di taluni malavitosi dediti altresí al lenocinio (dal latino lenocinium che è da lenone(m)=in origine mercante di schiave, poi protettore), raccolta necessaria per sostenere le spese di difesa dei camorristi finiti nelle maglie della giustizia e sottoposti a giudizio per il quale si rendeva necessaria l’opera di avvocati difensori che quando non fossero affiliati alla camorra, occorreva pagare.
La donna che esercita il meretricio è ovviamente la meretrice (etimologicamente dall’acc. latino meretricem che è come meretricium da merere= guadagnare);ma è voce eccessivamente dotta e di àmbito forense; altra voce toscana usata per indicare la donna che faccia commercio del proprio corpo è ovviamente prostituta che è dal lat. prostituta(m), f. sost. di prostitutus, part. pass. di prostituere =prostituire e piú esattamente mettere in vendita o a disposizione da pro (a favore) e statuere (porre); ma la voce piú tipica, usata fin dal 14° sec. (accanto a voci –poi vedremo - regionali,per indicare chi eserciti quel mestiere fu ed ancora è - nel gergo ed in talune espressioni artistiche (cinema, teatro e t.v.) – mignotta; i piú recenti calepini la ritengono di derivazione francese da mignotte= favorita da un antico mignon, ma penso – tenendo presente che prima che divenisse (1400) toscana, la voce fu essenzialmente laziale - che non sia peregrina l’idea che mignotta possa esser corruzione di m(ater) ignota abbreviato in m. ignota corrotta in mignota e poi mignotta, mater ignota fu l’annotazione apposta a margine di taluni nomi di trovatelli in antichi elenchi dell’anagrafe capitolina.
Prima di sconfinare nel napoletano, segnalo l’ultima voce usata in toscano per indicare la meretrice; essa è puttana ma è voce essenzialmente pluriregionale trasmigrata nel lessico toscano; questa parola etimologicamente è d’origine latina-barbarica: putana che è da puta= fanciulla, ma ci è pervenuta con l’aggiunta di una desinenza (na) rispondente alla declinazione debole dei tedeschi; è parola che oggi à un senso dispregiativo che però in origine non ebbe (infatti puttana valse dapprima ragazza e poi meretrice),ed è pervenuta nelle lingue regionali italiane e da queste al toscano illustre per il tramite del francese putain e l’antico spagnolo putaña.
E veniamo finalmente al napoletano dove è viva e vegeta (accanto a molte altre che ora qui dirò) la voce pluriregionale –
- puttana voce sulla quale si sono forgiate: puttanizio/a che è il meretricio in genere e
puttaniere usato per indicare chi sia solito avere rapporti sessuali con meretrici ed estensivamente ed iperbolicamente colui che ami circuire o correr dietro le donne avvenenti o meno;
- malafemmena altra voce molto conosciuta (anche per merito di una fortunata canzonetta del principe A. de Curtis (Totò) che si intitola appunto Malafemmena, quantunque la donna adombrata nella canzone non faccia il mestiere piú antico, ma si sia limitata forse a saltuarî tradimenti in danno del suo innamorato) formata dall’unione di mala (dal latino malus/a = cattivo/a) + femmena (dall’acc. latino foemina(m) = femmina, donna)con tipico raddoppiamento espressivo popolare della postonica m in parole sdrucciole;
- zoccola che – come illustrai sub TOPO etc – è in primis il grosso topo di fogna ed estensivamente la prostituta che come quel topo frequenta nottetempo i marciapiedi;
etimologicamente zoccola è da sorcula diminutivo latino femm. di sorex-ricis;
- le ultime seguenti voci sono tutte usate figuratamente per indicare la prostituta o meretrice e di tutte già alibi dissi; per cui qui le elenco solo per amore di completezza; esse sono: saittella, lòcena, lumèra,pereta dette voci possono essere usate sí per indicare la prostituta, ma piú spesso servono ad indicare una donna solo volgare o chiassosa o lercia;
lòcena la locena pur essendo un taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, ricavato dal quarto anteriore della bestia, il meno pregiato e meno costoso, è da ritenersi di mediocre qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è connotato in Italia, quello che piú si attaglia a simili minime qualità, è proprio il napoletano lòcena.
Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio/a ed i successivi locio/locia (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locina→locena.
Chiarito il concetto di partenza, passiamo al significato traslato: fu quasi normale in un’epoca: fine ‘500, principio ‘600 in cui la donna non era tenuta in gran conto (a quell’epoca risalgono, a ben pensare, quasi tutti i proverbi misogini della tradizionale cultura partenopea …), trasferire il termine lòcena da un taglio di carne di scarto, ad una donna… di scarto, quale poteva esser ritenuta una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale..
saittella La saittella è quella sorta di feritoia che si trova alla base dei marciapiedi, feritoia il cui compito è quello di favorire il deflusso delle acque piovane ed incanalarle nei condotti fognarii che si trovano appena sotto il piano stradale; normalmente i ratti che stazionano nelle fogne usano queste feritoie, che non sono assolutamente protette, ma aperte e libere per sortire ed invadere l’abitato.
Etimologicamente la parola saittella è corruzione del termine toscano saiettera o saettiera che era nelle antiche mura, lo spazio tra i merli, spazio da cui i difensori potevano tirare con l'arco, la balestra e sim., rimanendo al coperto; tale spazio e la parola che lo indicava è preso a riferimento per la forma di tronco di piramide che è sia della saiettiera (orizzontata in senso verticale) che della saittella(che invece è aperta orizzontalmente).
Rammenterò appena, per amor di completezza, che con linguaggio triviale, la parola saittella è usata anche per indicare, estensivamente, una donna di facili costumi, la stessa che come ò segnalato altrove è pure detta alternativamente: péreta o lòcena.
Lumera è esattamente il lume a gas ma viene per traslato riferito a donna becera e volgare ed a maggior ragione ad una prostituta che abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una pereta. Faccio notare – come ò già detto – che pereta è il femm. riscostruito del masch. pirito e deve perciò intendersi che pereta è un gran peto, una grande scorreggia maggiormente rumorosa e forse fastidiosa del corrispondente pirito= peto, scorreggia; e ciò perché in napoletano – come passim ò molte volte rammentato - i nomi femminili si intendono riferirsi a cose, oggetti etc. intesi maggiori dei corrispondenti maschili: cfr. cucchiara + grande di cucchiaro, tammora + grande di tammurro carretta + grande di carretto etc. l’etimo di lumera= lume a gas è dal fr. ant. lumière,ricavato dal lat. luminaria, neutro pl. di luminare 'lampada, fiaccola'

péreta donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di persona) è il femminile ricostruito di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda.

Abbiamo infine le ultime due voci che sono:
- sittantotto in riferimento al numero 78 che nella smorfia napoletana o cabala indica appunto la prostituta;
- quatturana che sta esattamente per quattro grana corrispondente all’importo della tassa che su ogni prestazione, sotto il regno di Ferdinando I (di Aragona e di Sicilia), detto Il Giusto (c. 1380-1416), re di Aragona e di Sicilia (1412-1416)le meretrici dovevano pagare allo stato; detto termine passò poi ad indicare la prostituta in genere e con valenza piú triviale, l’organo sessuale delle meretrici. Raffaele Bracale

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