31.  Addó vede e addó ceca.
Ad litteram: dove vede e dove non vede(mostrandosi quasi cieco)
Espressione che, per solito viene riferita a caustico commento delle azioni di taluni individui  proclivi ai facili entusiasmi  e ad immotivate antipatie in forza dei quali esprimono giudizi e/o sentenze tali  da o  elevar agli onori degli altari i giudicati o, viceversa ridurli nella polvere. Il pi ú famoso a Napoli esponente storico di questa categoria di persone fu il filosofo  don Benedetto Croce di cui ancóra oggi si dice che dove vedeva e dove cecava e che, a mo’ d’esempio, se da un lato, elevò alla gloria Salvatore Di Giacomo, facendone, a suo dire, il massimo poeta partenopeo, d’altro canto, immotivatamente  stroncò Ferdinando Russo, né mai  rivide il suo pensiero malato di malevola  partigianeria, che tanto pi ú è deleteria, quanto pi ú è altisonante il nome del soggetto da cui promana.
32.  Abbuffarse ‘e zifere ‘e viento
Ad litteram: gonfiarsi di  soffi di vento Detto di chi, borioso e supponente si dia le arie del superuomo, ma - in realtà - risulta essere  un vacuo pallone gonfiato dal soffio del vento e pertanto destinato a  sgonfiarsi in breve tempo.
33.  Avenno, putenno, pavanno
Ad litteram: avendo, potendo, pagando.L’ espressione, che tradotta pedissequamente nella sua forma  comportante tre gerundi consecutivi, non à un  comprensibile significato, lo acquista se si considera il terzo gerundio pavanno (pagando) come se fosse un tempo finito reggente la frase e la si traduce: pagherò, se avrò e se potrò,  viene usata  da chi, invitato a prendere l’ impegno di ottemperare  ad un debito contratto, intende procrastinarne  sine die la soluzione  e vi pone delle condizioni che in realtà non sono effettive, ma dipendono esclusivamente dalla propria volontà, per modo che la locuzione potrebbe rendersi con un:”pagherò, se vorrò”.
34.  Addurà ‘o fieto ‘o miccio
Ad litteram: annusare il puzzo del lucignolo o meglio  annusare il puzzo della miccia
Con la parola miccio, in napoletano si indica sia il lucignolo della candela che la miccia di un ordigno e nella fattispecie è questa seconda valenza che bisogna considerare  giacché l’espressione nel suo significato nascosto sta per: fiutare un pericolo, accorgersi  dell’approssimarsi di un danno; orbene il lucignolo della candela puzza quando da acceso diventi  spento, ma  allora non è foriero di alcun  pericolo, mentre la miccia di un ordigno quando è accesa e sprigiona un suo greve olezzo, allora prospetta un prossimo, pericoloso scoppio.
35.  Aizà ‘a mano 
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere
L’ espressione che viene usata quando si voglia fare intendere  che  si è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto  del sacerdote  che al momento di assolvere i peccati  , alza la mano per benedire e mandar perdonato il penitente.
36.  Ô tiempo ‘e Pappacone.
Ad litteram: Al tempo di Pappacoda  Espressione usata a Napoli per dire che ciò di cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto  si tratterebbe di cose impossibili da riprodurre o riproporre; La parola Pappacone  è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose  ed artistiche vestigia in parecchie strade di Napoli.
37.  Ô tiempo d’’e cazune a teròcciole.
Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole carrucole metalliche.
38.  Arricurdarse ‘o cippo a Furcella, ‘a lava d’’e Virgene, ‘o catafarco ô Pennino, ‘o mare ô Cerriglio.
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentarsi di cose o luoghi o avvenimenti  ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo) parola  poi corrotta in cippo e cos í mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa  poi  sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1- ‘a lava d’’e Virgene ( ovvero  quel tumultuoso torrente di acqua piovana  che a Napoli  fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente  sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini,- (cos í chiamata  perché nella zona  esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) - e percorrendo di gran carriera la via Foria  si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura  e tutto ciò che capitasse lungo il suo percorso),2 - ‘o catafarco  al Pendino (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta del Corpus Domini; in primis la parola catafarco indica il catafalco, l’alta castellana su cui veniva un tempo sistemata la bara durante i funerali solenni; qui è usato per  traslato ad indicare un altare molto imponente), infine: 3 - ‘o mare al Cerriglio (cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorii amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli.
39.  Acrus est e te ll’hê ‘a vevere
Ad litteram : è acre, ma devi berlo
La locuzione è  tipico esempio di frammistione tra un tardo latino improbabile ed un vernacolo pieno.
 Cos í a Napoli si suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di talune situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di seguito  la storiella  donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostitu í il vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato  portò alle labbra il calice contenente l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)
il curato, minacciandolo:” Dopo la messa t’aspetto in sacrestia...”
il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me truove!” (Probabilmente non mi troverai...)
Oggi la locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere qualcun altro  che debba soggiacere agli eventi e non se ne possa esimere.
40.  Ammacca  e ssala, aulive ‘e Gaeta!
Ad litteram:  Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione.
41.  “ A  llu frijere siente ll’addore” - “A llu cagno, siente ‘o chianto”
Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore” _ Al momento di cambiarli, piangerai.”
Locuzione  che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse  tra un venditore ed un compratore, viene usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il rischio d’esser ripagato allo stesso modo.
Un anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi  sent í il pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase.
42.  Addó arrivammo, llà mettimmo ‘o spruoccolo
Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco.  La locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento  di un’azione iniziata e non compiuta del tutto, sia  per  rassicurare qualcuno timoroso dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi  in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento  che le forze ci sorreggono; giunti a quel punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione per portarla successivamente  a compimento.”
43.  Addó vaje o jiate cu 'o ciuccio?!
Ad litteram: dove vai o andate  con l'asino ? Domanda retorica che si suole rivolgere a coloro che, pur non conducendo realmente un asino, lo facciano metaforicamente e con la loro azione  producano  comportamenti o atteggiamenti raffazzonati,  discutibili o riprovevoli destinati a generare  effetti deleterii, volendo significare: state tenendo un comportamento tale che è lesivo dell'integrità reale o fittizia altrui, comportamento da cui dovete recedere subito.
44.  'Ammuina è bbona p''a guerra... 
Ad litteram: il caos, la baraonda è utile in caso di guerra; id est: per aver successo in caso di lotta occorre che ci sia del caos, della baraonda; mestando in esse cose si può giungere alla vittoria nella lotta intrapresa.La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno del gran chiasso che stia producendo, volendo fargli intendere  che si è capito dove vuole mirare e che si è preparati a prendere contromisure adeguate.
45.  A  stracce e petacce
Ad litteram: a stracci e cenci  id est: a morsi e bocconi  detto di azioni compiute  malvolentieri, lentamente  e con frequenti interruzioni di tal che difficilmente se ne può prospettare il compimento.
46.  Aumme aumme
Ad litteram: celatamente oppure alla chetichella;  modo di dire  di sapore vagamente onomatopeico  riproducente il gesto della masticazione  beneducata fatta cioé a bocca chiusa, per modo che solo chi già sia al corrente, capisca di che si tratta : infatti le azioni fatte nel modo riportato in epigrafe  comportano una qualche segretezza e silenziosità di modi.
47.  Avutà fuoglio
Ad litteram: girare il foglio ovverossia: mutare argomento, cambiare discorso, soprattutto quando lo si faccia repentinamente  acclarata la impossibilità di sostenere pi ú oltre  proprie argomentazioni chiaramente prive di forza e vuote di corposo sostrato dialettico.
48.  ‘A Madonna v’accumpagna
Ad litteram: La Madonna vi accompagni Locuzione augurale che si suole rivolgere a chi, dopo d’averci fatto visita,   ci stia lasciando per fare ritorno al proprio domicilio , perché nell’affrontare la strada non incorra in pericoli inattesi, ma sia protetto nel suo andare dalla vigile compagnia della Vergine.Talvolta però quando la compagnia  del visitatore sia stata noiosa ed importuna e la visita si sia protratta eccessivamente è facile che colui che congeda il visitatore all’accomiato augurale  riportato in epigrafe aggiunga tra i denti un molto meno augurale: e ‘o diavulo ve porta (e il diavoli vi porti via).
49.  ‘A malora ‘e Chiaia
Ad litteram: la cattiva ora di Chiaia. Detto, ancóra oggi, quale caustica apposizione di ogni momento in cui si devono svolgere incombenze  che non si  possono delegare ad altri e che, obtorto collo, occorre portare a compimento. Storicamente la locuzione nacque a significare  quel cattivo orario (tardo pomeridiano ) durante il quale  le donne abitanti nei pressi della zona di Chiaia, si recavano insieme sulla vicina spiaggia ( in latino: plaga, da cui Chiaia) per sversare in mare il contenuto dei graveolenti vasi di comodo detti in napoletano canteri in cui le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici.
50.  A mmorte ‘e subbeto
Ad litteram: subitaneamente, repentinamente  Locuzione avverbiale che viene usata soprattuto  quando si voglia significare ad un proprio sottoposto che l’ordine ricevuto deve esser eseguito in maniera subitanea, repentina, senza por tempo in mezzo tra l’ordine e la sua esecuzione  che deve avvenire con la stessa celerità con cui avviene una morte  repentina.
51.  Appujà ‘a libbarda
Ad litteram: appoggiare l’alabarda  id est: scroccare, profittare a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che viene tuttora usata quando  si voglia commentare il violento atteggiamento di chi  vuole scroccare qualcosa o, pi ú genericamente, intende profittare  di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis i soldati spagnoli erano usi aggirarsi  all’ora dei pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate, l í poggiavano la propria alabarda  volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti.
52.  ‘A sotto p’’e chiancarelle!
Ad litteram: Di sotto, a causa dei panconcelli! o meglio  Attenti, voi che state di sotto, ai panconcelli È l’avvertimento che usano gridare dall’alto ai passanti  gli operai che  provvedono alla demolizione di edifici, affinchè i passanti stiano attenti ad eventuali cadute di materiali; nella fattispecie stiano attenti alla caduta dei panconcelli, strette doghe , per solito, di stagionato legno di castagno  che poggiate trasversalmente sulle travi portanti  facevano da sostrato e sostegno ai solai delle abitazioni; l’improvviso cedimento di detti panconcelli  avrebbe potuto comportare grossi danni.
Oggi, per traslato, la locuzione viene usata  quando si voglia  avvertire che ci si trova davanti ad una situazione  grave o foriera di pericolo, o quando ci si vuole dolere di non aver fatto a tempo  ad avvertire gli altri  dell’approssimarsi d’un danno  e il danno stesso si sia già manifestato. 
53.  Allerta, allerta
Ad litteram: all’impiedi, all’impiedi id est: sbrigativamente e celermente; detto di cose portate a termine  con grandissima rapidità, rinunciando ad ogni comodità - quale ad es. quella di sedere - pur di concludere l’intrapreso il pi ú presto possibile; va da sé che una cosa fatta allerta allerta può comportare il rischio che non venga fatta  secondo i canoni previsti e dovuti, ma - al contrario -  in modo rabberciato.La locuzione è usata spessissimo in riferimento ad un veloce, inatteso e disimpegnato rapporto sessuale che altrove è indicato con l'espressione: farse 'na basulella. (vedi num. 254).
54.  ‘A Messa d’’e disperate.
Ad litteram: la Messa dei disperati; va da sé che non si tratta di una tipica funzione religiosa celebrata ad hoc a pro di non meglio identificati disperati; si tratta pi ú semplicemente  di un modo di  dire usato nei confronti di coloro  che son usi a tardare agli appuntamenti, presentandosi con notevole ritardo là dove sono attesi ed adducono a loro scusante il fatto di esser stati trattenuti  altrove. Pi ú chiaramente dirò che un tempo  - quando non esistevano le Messe Vespertine, a Napoli l’ultima messa celebrata  era quella delle ore 14.30  nella Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina; a codesta messa che, principiando tardi si protraeva ben oltre le ore 15, partecipavano i pi ú inguaribili disperati  tiratardi  che normalmente perdevano il canonico appuntamento delle ore 15 con il sacramentale rag ú domenicale, tirandosi sulla testa i rimbrotti dei familiari che vedevano andare in malora il piatto di zite al rag ú che si freddava nell’attesa dell’ultimo commensale. 
Quando poi, finalmente costui giungeva quasi in coro gli si chiedeva: “Ma che sî stato â messa d’’e disperate?” anche quando chiaramente il ritardo non fosse dipeso dalla partecipazione a detta funzione.
55.  Arrostere ‘o ccaso cu ‘a cannela
Ad litteram: arrostire il cacio con la candela  piú consonamente affumicare il cacio con la candela  id est:  cercare di ottenere qualcosa con mezzi inadeguati come sarebbe tentare di ottenere l’affumicatura di un formaggio  con l’ausilio di una candela; impresa impossibile stante la scarsità dei mezzi usati.
56.  Asseccà ‘o mare cu ‘a cucciulella
Ad litteram: prosciugare il mare  servendosi della minuscola valva di una arsella
Locuzione che, come la precedente significa: tentare un’impresa disperata, qui con l’aggravante di voler conseguire una cosa inutile oltreché impossibile: nessuno riuscirebbe, anche avendo a disposizione  grandissimi mezzi, a vuotare il mare.
57.  Accattarse ‘o ccaso.
Ad litteram: portarsi via il formaggio. Per la verità in lingua napoletana  il verbo accattà significa innanzitutto: comprare, ma nella locuzione in epigrafe  bisogna intenderlo nel suo significato etimologico  di portar via  dal latino: adcaptare iterativo di capere (prendere).
La locuzione non à legame alcuno con il fatto di acquistare in salumeria o altrove del formaggio; essa si riferisce piuttosto al fatto  che i topi che vengono attirati nelle trappole da un minuscolo pezzo di formaggio, messo come esca, talvolta riescono a portar via l’esca senza restar catturati; in tal caso si usa dire ca ‘o sorice s’è accattato ‘o ccaso ossia che il topo à subodorato il pericolo  ed è riuscito a portar via il pezzetto di formaggio, evitando però di esser catturato. Per traslato, ogni volta che uno fiuti un pericolo incombente  o una metaforica esca approntatagli, ma se ne  riesce a liberare, si dice che s’è accattato ‘o ccaso.
58.  Aiza ‘ncuollo e vatténne
Ad litteram: alza addosso  e va’ via; id est: caricati indosso quanto di tua competenza ed allontanati. Robusto modo di invitare qualcuno, probabilmente perché importuno, ad  allontanarsi avendo cura di portar via con sé quanto di sua spettanza, per modo che non abbia a scusante, per ritornare, il fatto di dover recuperare il suo. Anticamente era, sia pure limitatamente alla prima parte della locuzione l’ordine che si impartiva ai facchini, affinché principiassero sollecitamente la loro incombenza di trasportar merci  o altro issandole sulle loro robuste spalle; oggi, limitatasi la locuzione ad un invito, sia pure perentorio ad  allontanarsi  che viene rivolto agli importuni, l’aiza ‘ncuollo della locuzione è pletorico e viene mantenuto per non guastare  il sapore di antico di cui è pervasa  l’espressione.
59.  Avimmo fatto assaje!
Ad litteram: abbiamo fatto molto! Ironica locuzione, da intendersi in senso chiaramente antifrastico, che viene pronunciata  come amaro commento da chi voglia far intendendere  ad un suo ipotetico compagno di ventura di aver completamente mancato il comune centro prefissosi, e di non aver concluso nulla dell’intrapreso, anzi di essersi affaticati inutilmente in quanto il risultato del loro operato è stato completamente nullo e non si è ottenuto alcun risultato concreto, che se pure ci fosse, sarebbe cosí piccola cosa rispetto all’impegno profuso, da non esser tenuto in alcun conto.
60.  Alla sanfrasòn oppure sanfasòn
Ad litteram: alla carlona; detto di tutto ciò che venga fatto  alla meno peggio, senza attenzione e misura, in modo sciatto  e volutamente  disattento, con superficialità e senza criterio.L’espressione è, pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura).
BRAK
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