1. Barba, capille e ppalluccella ‘mmocca specialmente nell’espressione serví ‘e barba etc.
Ad litteram: barba, capelli e pallina in bocca specialmente nell’espressione servir di barba etc. Cosí, un tempo, veniva indicato il “servizio” completo offerto dai barbitonsori girovaghi, che per pochi soldi servivano il cliente di rasatura di barba e taglio di capelli, offrendo per sopramercato al cliente una piccola sfera che inserita in bocca e trattenuta tra denti e guancia, consentiva a questa di tendersi in maniera da favorire la rasatura; la sfera offerta, naturalmente monouso, era costituita o da una piccolissima mela che, terminata la rasatura veniva mangiata, o da un congruo confetto (pralina), (ricoperto da una friabilissima glassa zuccherina),prodotto in quel di Sulmona, confetto che, assolta la sua funzione, veniva mangiato.
Oggi l’espressione in epigrafe è usata da chi voglia significare che il suo comportamento, nei riguardi del destinario della locuzione, non è suscettibile di miglioramento in quanto è un comportamento pieno e completo in ogni sua parte o manifestazione.
2. Buono pe scerià ‘a ramma
Ad litteram: buono per soffregare le stoviglie di rame
Un tempo, quando la chimica non aveva ancóra prodotto tutti i detergenti o detersivi che, aiutando la massaia, inquinano il mondo, e quando l’acciaio 18/10
non era entrato ancóra in cucina sotto forma di stoviglie, queste erano di lucente rame opportunamente, per le parti che venivano a contatto con il cibo, ricoperte di stagno .Per procedere alla pulizia delle stoviglie di rame si usavano due ingredienti naturali: sabbia ‘e vitrera (sabbia da vetrai, ricca di silice) e limoni ; orbene quegli agrumi non edibili perché o di sapore eccessivamente aspro o perché carenti di succo, erano destinati allo scopo di pulire e rendere luccicanti le stoviglie; per cui di essi frutti si diceva che erano bbuone pe scerià ‘a ramma. Per traslato, oggi di chi, uomo o cosa, manchi alla sua primaria destinazione, si dice ironicamente che è buono etc. il verbo
scerià id est: soffregare, nettare, lucidare viene da un tardo latino: flicare da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià tutti con il significato di soffregare.
3. Accunciarse quatt' ove dinto a 'nu piatto.
Ad litteram:Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...tutte quelle in eccedenza probabilmente sono state sottratte ad altri).
4. Bbuono p’aparà ‘o mastrillo
Ad litteram: buono per armare la trappolina id est: appena sufficiente a predisporre l’esca di una trappolina. La locuzione si usa nei confronti di qualcosa, soprattutto edibile, che sia cosí parva res da non poter soddisfare un sia pur modesto appetito, ma appena appena sufficiente a far da esca; per traslato la locuzione è usata nei confronti di tutto ciò che sia palesemente piccolo e/o modesto.
5. Bene in salute e scarzo a denare
Ad litteram:Bene in salute, ma poco provvisto di danaro.
Spesso alla semplice, spontanea domanda : “Come state?” fatta da un conoscente incontrato per caso, a Napoli si suole rispondere con la locuzione in epigrafe con la quale ci si vuol mettere al riparo da eventuali sorprese, volendo quasi dire: “Se la tua domanda è stata fatta con la semplice intenzione di informarti sul mio stato di salute, sappi che sto bene; ma se la domanda era propedeutica ad una richiesta di prestito, sappi allora che le mie condizioni economiche attuali, non mi permettono di fare prestiti o elargizioni; evita perciò di farmene richiesta!”La locuzione è divenuta col tempo, quasi una frase idiomatica e viene usata sempre in risposta alla domanda de quo, indipendentemente se esistano o meno condizioni economiche precarie.
6. Caccià ‘e ccarte
Ad litteram: tirar fuori le carte Non si tratta però, chiaramente di tra fuori da un cassetto le 40 carte di cui è formato il mazzo napoletano di carte da giuoco per principiare una partita.
Si tratta, invece, di procurarsi le necessarie documentazioni burocratiche per avviare una certa pratica o per portarla a compimento.In particolare la locuzione in epigrafe è usata dai promessi sposi che, intendendo contrarre il loro matrimonio, devono sobbarcarsi all’impresa di procurarsi presso uffici pubblici e/o luoghi di culto le prescritte documentazioni, dette in maniera onnicomprensiva: carte, senza le quali, non è possibile pervenire alla celebrazione delle nozze. Va da sè che quasi tutti i negozi giuridici necessitano di ineludibili carte da procacciare e ciò à dato modo a taluni napoletani, disperatamente senza lavoro, di inventarsi un mestiere: quello di procacciatore di carte; questo utilissimo individuo, per poche lire si accolla l’onere di fare lunghissime file davanti agli sportelli degli uffici dell’anagrafe pubblica, o si accolla la fatica di raggiungere posti lontani e impervi da raggiungere per procurare al richiedente le carte necessarie.
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