giovedì 11 febbraio 2010

BUZZURRO MALEDUCATO ROZZO etc.

BUZZURRO MALEDUCATO ROZZO etc.


Anche questa volta,come feci alibi parlando di anticchia, lenticchia etc., prendo spunto da una richiesta fattami da una cara amica, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, amica di cui, per questioni di privatezza, mi limiterò ad indicare le sole iniziali di nome e cognome: N.C. e mi soffermo parlare delle voci italiane in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. Cominciamo dicendo che in italiano per indicare un soggetto proclive alla villania e/o a comportamenti ineducati si usano una o piú delle seguenti voci:
buzzurro s. m. [f. -a] 1 nome che si dava in Toscana ai montanari svizzeri che d'inverno scendevano a vendere caldarroste, castagnaccio e/o polenta oppure ad esercitare il mestiere di spazzacamino;
2 soprannome affibbiato a Roma, dopo il 1870, ai piemontesi e agli altri invasori settentrionali trasferitisi nella capitale;
3 (estens.) persona rozza, villana, zotica.
Per ciò che riguarda l’etimo, checché ne dica il D.E.I. che pilatescamente si trincera dietro uno sconfortante etimo sconosciuto, penso che ben si possa seguire l’idea di Ottorino Pianigiani che postulò una derivazione dal tedesco putzer→buzzer= che netta, che pulisce, azioni semanticamente vicinissime a quelle dello spazzacamino;
maleducato agg. e s. m. [f. -a] che, chi non à avuto una buona educazione; screanzato, villano: una persona maleducata; è un bel maleducato! Per ciò che attiene all’etimo è voce formata dall’addizione di male (avv. derivato dal lat. male, avv., deriv. dell'agg. malus 'cattivo' nel significato di 1 in modo non buono, non equo, non giusto; 2 in modo non soddisfacente, non conveniente, non rispondente alle aspettative: non in conformità con le leggi morali o le convenzioni sociali)unito ad educato in funzione di agg.: che à ricevuto una buona educazione; cortese, garbato, gentile; educato è il p. p. del verbo educare (= formare con l'insegnamento e con l'esempio il carattere e la personalità di qualcuno, spec. dei giovani, sviluppandone le facoltà intellettuali e le qualità morali secondo determinati principi; verbo che è dal lat. educare, intensivo di educere 'trarre fuori, allevare', comp. di ex- 'fuori' e ducere 'trarre';
rozzo : agg.vo 1 si dice di cosa ancora ruvida, non ben levigata o rifinita: pietra rozza; lana rozza, grezza; muro rozzo, non intonacato | (estens.) non finito di lavorare, ancora in abbozzo: mobile, disegno rozzo
2 (fig.) non ingentilito, non raffinato, non dirozzato: un uomo rozzo; parole rozze; una civiltà ancora rozza
3 sgarbato, maleducato: avere modi molto rozzi
è voce derivata dal lat. volg. *rudius, compar. neutro di rudis; cfr. rude;
grossolano : agg.vo 1 poco fine, di esecuzione poco accurata; ordinario, dozzinale: una stoffa grossolana; un lavoro grossolano
2 approssimativo, non preciso: un conto grossolano
3 di modi volgari e poco raffinati, di scarsa educazione: gente grossolana; un uomo grossolano; tenere un comportamento grossolano ' scherzi grossolani, volgari, di cattivo gusto | errore grossolano, enorme, marchiano;
derivato dal lat. tardo grossu(m) + il suff. di pertinenza aneus→ano ed epentesi eufonica del suono consonantico;
rustico: agg.vo 1 di campagna: fondo rustico | stile rustico, che arieggia quello campagnolo | pizza rustica: pasticcio ripieno di formaggi, carne, salumi e aromi vari
2 (fig.) riferito a persona, poco socievole, scontroso, rozzo: un uomo dal carattere rustico; avere modi rustici, villani | (estens.) semplice, alla buona: una cena rustica
3 detto di cose, grezzo, non rifinito: facciata rustica, senza intonaco;
deriva dal lat. rusticu(m), che è da rus ruris 'campagna';
sgarbato/a agg. e s. m.e f. [f. -a]
1 che non à garbo, sgraziato: una risata sgarbata
2 che si comporta in modo poco garbato, poco cortese: un impiegato molto sgarbato | che denota scortesia: risposta sgarbata; contegno sgarbato | persona sgarbata. Per ciò che attiene all’etimo, è voce formata da una s distrattiva + l’agg.vo garbato (derivato di garbo 1 che à compitezza nel comportarsi e nel trattare con gli altri; amabilità, cortesia 2 chi à modo aggraziato di eseguire una cosa: scrivere, dipingere con garbo | a garbo, come si deve, per bene, a modo: un lavoro fatto a garbo
3 che à esattezza, finitezza di forme; linea armoniosa che si conferisce a un oggetto mediante un accurato lavoro di modellatura e rifinitura; quanto all’etimo l’aggettivo garbato è un denominale di garbo che è forse (quest’ ipotesi è infatti morfologicamente poco convincente…) garbo e conseguentemente garbato è dall’ a. a. tedesco garwî= ornamento, forma ma piú probabilmente dall’arabo qalib= modello, sagoma passato nel francese med. come galbe donde il ns. garbo;
villano/a agg. e s. m.e f. [f. -a]

1 (ant. , lett.) abitante della campagna: però giri Fortuna la sua rota / come le piace, e 'l villan la sua marra (DANTE Inf. XV, 95-96) | cfr. il proverbio : carta canta, villan dorme, quando si à in mano qualcosa di scritto, si può stare piú tranquilli che i patti vengano rispettati
2 (spreg.) persona rozza, priva di garbo e cortesia: comportarsi da villano; non fare il villano! | villano rifatto, rivestito, ripulito, si dice di chi è diventato ricco o è salito socialmente, ma à conservato animo e modi rozzi | cfr. il proverbio : scherzi di mano, scherzi da villano. anche agg.vo 1 rozzo, scortese, maleducato: un atto, un modo villano; un ragazzo villano; 2 (ant.) crudele, spietato: Morte villana, di pietà nemica, / di dolor madre antica; quanto all’etimo la voce villano è dal lat. tardo villanu(m), deriv. di villa;
zotico/a agg.vo m. e f. [pl. m. –ci pl. f. che] villano/a, rozzo/a, incivile: un uomo zotico; maniere, espressioni zotiche
anche s. m. e f. persona zotica. quanto all’etimo la voce zotico è forse dal lat. (i)dioticu(m) agg.vo di idiota= che è chi conduce vita privata, persona rozza, incolta,ignorante, uomo privato', che come tale fu considerato 'incompetente, inesperto' rispetto a chi rivestisse incarichi pubblici; altra ipotesi è che zotico sia dal gr. zotikós 'pieno di vita' e tale ipotesi si spiegherebbe semanticamente col fatto che chi è pieno di vita e/o vitalità è esuberante fino ad essere scostumato per eccessiva vitalità; altra opinione, infine cui mi sento di potere aderire è che zotico derivi dal lat. ex-òticus= forestiero e dunque ignaro delle regole, costumanze e corretti usi del paese in cui ci si trovi con conseguenti comportamenti rozzi, villani o addirittura incivili. Quest’ultima ipotesi, per il vero, appare un po’ forzata quanto alla morfologia perché è rarissimo il passaggio della x latina a z.

Esaurite cosí ad un dipresso le voci dell’italiano, veniamo al napoletano dove troviamo:
banchiéro s.m. uomo maleducato e plebeo e per estensione, monello, bricconcello; per quanto riguarda l’etimo,una scuola di pensiero fantasiosamente ipotizzò fosse parola derivata dai comportamenti non del tutto signorili, quando non truffaldini, tenuti dagli addetti (banchieri) fiorentini ai banchi di cambiavalute ed affini, addetti fiorentini che nell’epoca medioevale operarono nella città di Napoli; è idea però che non convince assolutamente, non essendo né accertati, né attestati comportamenti poco signorili se non truffaldini di quei tal fiorentini, ed alla luce del sostantivo banchèra (donna ciana, cialtrona, spregevole e plebea) corrispettivo al femminile della voce a margine, penso che ambedue le voci banchiéro e banchèra siano da collegarsi alla voce banco (mobile a forma di tavolo allungato che negli esercizi commerciali o nei mercatini popolari separa i venditori dai compratori, a volte con vetrine per l'esposizione della merce, voce derivata dal tedesco *bank 'sedile di legno') e semanticamente il collegamento tra banco e comportamento rozzo, villano, spregevole è da cercarsi nel fatto che chi avesse, specialmente nei mercatini rionali, un banco per la vendita al minuto di merci e/o vettovaglie agiva in maniera non signorile anzi piuttosto rozza e villana, essendo spesso tali venditori ( e lo vedremo qui di seguito) degli ineducati contadini o montanari che offrivano direttamente i prodotti che avevano loro stessi coltivato in campagna o in altura. A margine di tutto ciò sottolineo che in napoletano il suffisso maschile iéro/e(dal francese ier cfr. G. Rohlfs) al femminile perde il dittongo diventando èra come ad es. alibi salumiero/e ma salumèra;
calandriéllo s.m.ed esclusivamente maschile : un’eventuale femminile calandrella e lo vedremo qui di sèguito è voce di diverso significato ed etimologia. Il termine calandriello indica in primis un calzare da montanaro, ciocia e per traslato villano, rozzo, scortese, maleducato come è inteso comunemente chi provenga dal monte; rammento che la voce a margine – con piccoli adattamenti morfologici – è presente in un po’ tutti i linguaggi regionali del ns. meridione e dell’area mediterranea; per quanto riguarda l’etimo si tratta di un diminutivo (cfr. il suff. iello) di un’originaria calandra che il D.E.I. dice voce derivata da una base mediterranea cal- donde calo/calonis e caliga che indicavano appunto calzature di tipo rustico; il nome della calzatura passò poi ai montanari che la usavano; ricordo ancóra che il napoletano oltre la voce calandriello à anche la voce calandrella che a tutta prima a gli sprovveduti potrebbe apparire essere il femminile di calandriello ma non è cosí essendo calandrella voce affatto originaria di diverso etimo e significato: ora del primo pomeriggio allorché il sole scotta maggiormente ; l’etimo di calandrella è dallo spagnolo calenturilla diminutivo di calentura= calore febbrile;
cafone s. ed agg.vo m. villano,zotico, contadino, montanaro villanzone, rozzo, scortese, maleducato proveniente dalla provincia napoletana;il medesimo villano,zotico, contadino, montanaro proveniente da province diverse da quella napoletana, in napoletano è indicato come cafone ‘e fora ; E su ciò non v’à questione; si è d’accordo un po’ tutti. Il problema sorge quando si comincia a congetturare intorno all’etimologia della parola..Ci sono numorose opinioni : in primis quella che, partendo da scritti di Cicerone(Filippiche ed altro), riallaccia la voce cafone ad un nome personale di origine osca: Cafo riferito con tono spregiativo ad un uomo incolto e villano; altra opinione è quella che riallaccia il termine cafone al verbo osco(la cui esistenza, peraltro, non è provata) *kafare= zappare.Segnalo infine la proposta (che mi pare migliore di altre) dell’amico prof. Carlo Jandolo, proposta, ripresa peraltro da quella di G.Alessio, che collega la parola cafone al greco: skaphèus, collaterale di skapaneus= contadino, zappatore.
Escludo altresí, in quanto da ritenersi leggende metropolitane, le idee che cafone possa derivare dal fatto che gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia onnicomprensivamente detti cafune, giungendo in città,vi camminassero legati gli un gli altri con una fune, o l’altra idea che fossero detti cafune gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia che venissero in città ad acquistare bestiame e vi giungessero armati di fune per legare e tirar via le bestie comprate.
Ciò annotato passo ad indicare quella che per un periodo fu la mia diversa opinione fondata sul fatto che, storicamente, nel tardo ‘800 ed ai principi del ‘900 eran definiti, nel parlar comune,cafoni non solo gli zappatori, i villani e consimili, ma estensivamente un po’ tutti gli abitanti o i nativi dei paesini dell’entroterra campano, paesini arroccati sui monti ,-come quelli del sannio- beneventano, del casertano o dell’ alta Irpinia - difficili da raggiungere e chi li raggiungeva con carretti o altro aveva bisogno di aiuto per ascendere fino al paese propriamente detto. A tale bisogna provvedevano nerboruti paesani che scendevano incontro ai visitatori , ed erano armati di robuste funi con le quali aiutavano nell’ascensione le persone bisognose d’aiuto.Tali paesani erano indicati con la locuzione “chille cu ‘a fune o chille c’’a fune “ id est: quelli con la fune. Da c’’a fune a cafune il passo è breve e d è ipotizzabile che con esso termine si indicassero tutti gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia. cafune è comunque un plurale. Il singolare cafone pensai si era potuto formare successivamente tenendo presente i consueti fenomeni metafonetici della lingua napoletana alla stregua di guaglione che al plurale fa guagliune. Trascorso del tempo ad una piú attenta lettura ò dovuto tuttavia convenire che la mia non fosse ipotesi propriamente scientifica e che anzi potesse giustamente apparire un’ipotesi paretimologica percorribile sí, ma poco convincente.
Ed è perciò che una volta segnalata, faccio un passo indietro, atteso che solo gli stupidi non cambiano mai idea, e mi accodo ben volentieri alla proposta (che mi pare migliore di altre) dell’amico prof. Carlo Jandolo, proposta, ripresa per altro da quella di G.Alessio (peraltro assente nel D.E.I.), che collega la parola cafone al greco: skaphèus, collaterale di skapaneus= contadino, zappatore
Cazzeo/a/cazzero/era a.vo e s.vo m. e f. tanghero/a, villano/a, zoticone/a, grossolano/a, rozzo/a, maleducato/a. Etimologicamente è voce derivata dall’addizione del s.vo cazzo e del suffisso di pertinenza ero→eo/era→ea; la voce cazzo(membro virile, pene, voce derivata dal greco akation= albero della nave e fu voce del linguaggio gergale dei marinai) è spesso e qui usata figuratamente in senso spregevole per indicare una persona sciocca, minchiona cosí come ad es. in cazzone= scioccone, babbeo;
chiòchiaro/chiòchiero: sost. ed agg.vo m. voce ancóra viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare (come ampliamento semantico) il villano, lo scostumato rozzo individuo proclive al comportamento ineducato, ma usata in primis per indicare il melenso, lo sciocco, il babbeo di zucca vuota,ed in tale accezione la voce è accompagnata per solito da un gesto offensivo consistente nel far muovere velocemente ed alternativamente l’inalberato avambraccio a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice , tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (termine dall’etimo sconosciuto, di àmbito laziale usato per indicare un particolare tipo di calzatura indossata dai contadini) alla voce chiochia unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero si arriva ai nostri chiòchiaro/chiòchiero;
ciamàrro/tamàrro s.m. letteralmente in primis bestia da macellare e per traslato zoticone, villano, rozzo, incivile; etimologicamente sia nella forma ciamàrro che in quella di tamàrro son da collegarsi allo spagnolo zamàrro= fiacco, zotico;
ciampruósco/zampruósco s.m. letteralmente in primis grossa scarpa, scarpone, scarpaccia e per traslato zoticone, villanzone,tanghero,screanzato; voce esclusivamente maschile (non appare attestata un femminile ciamprosca/zamprosca); è voce che etimologicamente pare derivare da una base zampra/ciampra (dal francese chambre) addizionata del suffisso uósco forse adattamento del suffisso dispregiativo, diminutivo del lat. cl. usculus; la base zampra/ciampra è la medesima presente anche in zambracca (1 cameriera sudicia e sciatta, 2 (estens.) prostituta 3 serva di infimo conio, fantesca addetta alla pulizia dei cessi); la voce zambracca origina dall’addizione del suffisso dispregiativo acca (accia) con la parola zambra (che è dal francese chambre) in francese la voce chambre indicò dapprima una generica camera, poi uno stanzino ed infine il gabinetto di decenza.Semanticamente essendo la voce chambre nell’ultima accezione di natura spregiativa si presta sia alla formazione del s.vo dispregiativo zambracca, sia alla formazione dell’ugualmente dispregiativo s.vo zampra/ciampra→ zampruósco/ciampruósco = scarpone, scarpaccia;
cutecóne s.m. ad litteram: coticone e cioè sordido, taccagno, untuoso spilorcio; e per ampiamento semantico anche zotico, villano; parola accrescitivo di cotica dal b.latino cutica(m)=cotenna;

furetano/a sost.m. e femm.le = campagnolo/a, contadino/a voce derivata dal b. lat. foritanus/a tratto da foris= fuori (il contadino, il campagnolo vengono ovviamente da fuori città e sono accreditati di essere carenti di educazione e perciò villani, rozzi villanzoni,tangheri);
‘gnurante a.vo m. e f.1 che non sa, non conosce, non è informato; che è privo del tutto o in parte di determinate nozioni: essere ignorante di musica, in matematica | (assol.) non sufficientemente preparato nello studio o nella professione, nel mestiere che fa: uno scolaro, un giornalista, un tecnico ignorante.
2 che non ha istruzione, che è senza cultura: una persona ignorante
3 (fam.) privo di buona educazione e dunque zotico, villano, rozzo; etimologicamente la voce a margine risulta essere un adattamento dialettale del particio presente ignorante del verbo ignorare (dal lat. ignorare, deriv. di ignarus 'ignaro’); il verbo ignorare è comunque estraneo al napoletano;
‘ndurrone/a a.vo e s.vo m. e f.zoticone/a, villano/a,incivile; etimologicamente è voce ricavata dall’addizione di un in (illativo) + l’agg.vo lat. duru(m) nel significato di sgraziato, rozzo, impudente, spiacevole, con raddoppiamento espressivo della liquida r ed aggiunta di un suffisso accrescitivo (one/a);
Pacchiano/a questa volta, ci troviamo difronte ad una parola (sost. ed agg.vo m. o f.) oramai pressoché desueta , ma che fu molto usata negli anni tra il ’40 ed il ’50 dello scorso secolo e fu usata per indicare i contadini, i provinciali ed estensivamente gli zoticoni ed i rozzi provinciali provenienti dai paesi (nei quali per altro si rifugiarono parecchi napoletani per sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale) della campagna partenopea (da non confondere dunque con i cafoni per solito provinciali di montagna).
Ancora piú estensivamente con il termine pacchiano si identificò il villano, il rozzo provinciale fisicamente ben pasciuto, e con il corrispettivo pacchiana la contadinotta di generose forme, quella contadina, detta affettuosamente ‘a pacchianella ‘e ll’ova, che ogni giorno era solita rifornire le case dei cittadini sfollati id est:fuggiti dalla città, di generi alimentari freschi (uova, formaggi,insaccati, latte, burro nonché verdure ed altri prodotti dell’orto).
Chiarito ad un dipresso il concetto di pacchiano/a, passiamo a parlare brevemente della sua etimologia.
Sgombriamo súbito il campo da quella che – a mio avviso – è solo una graziosa, ma pretestuosa paretimologia e cioè che con la parola pacchiana e poi il corrispondente maschile si indicasse, contrariamente al cafone che è montanaro, la contadina, la villana e poi il contadino, il villano che giungessero in città p’’a chiana attraverso cioè la pianeggiante campagna. È altresí da escludere una pretesa derivazione onomatopeica da un ipotizzato, ma non spiegato suono pacchio.
Cosa mai produrrebbe nel pacchiano il suddetto suono? Non è dato sapere!...
Un’altra tentazione è che il termine pacchiano/a possa collegarsi al sostantivo italiano pacchia =gran mangiata e per estensione: vita beata e tranquilla, gioiosa ed allegra (dal latino: patulum→pat’lum→pac’lum→pacchio e pacchia = cibo,pasto),oppure che il termine pacchiano/a possa essere un deverbale di pacchiare: vivere beatamente, satollandosi di cibo e/o altro, senza quasi fatica; a me non pare però che, per quanto ben nutriti e satolli, i contadini durino una vita che sia solo una pacchia; ugualmente penso sia da scartare l’ipotesi che pacchiano/a possan derivare da un tardo latino regionale pachylus→pachilós derivato da un pachýs greco ="grassoccio".
Non resta dunque che aderire, per l’etimologia di pacchiano, a quanto proposto dal grandissimo prof. Rohlfs che ne congettura una derivazione per metatesi dal sostantivo chiappa (forgiato su di una radice indoeuropea klapp) nel significato però non di sasso sporgente, ma di natica, elemento sporgente del corpo umano, tenendo presente la morfologia fisica del pacchiano o piú spesso della pacchiana, dotati quasi sempre di sostanziose natiche sporgenti.
ruónto sost. ed agg.vo solamente m non è attestato, né codificato un ipotetico femminile ronta; è antica parola (cfr. D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe etc.) ormai desueta che valse plebeo, villano, volgare; di non tranquilla lettura l’etimo; scartata (per patente differenza di significati) a mio avviso una derivazione dal lat.ro(tu)du(m)→rodu→ruodu→ruondu→ruontu non resta che pensare ad una derivazione dal lat. rudis= rozzo, inesperto, ignorante, incapace quantunque morfologicamente passare da rudis a ruonto comporta un cammino non chiaro e difficilmente perseguibile;
scrianzato/a agg. e s. m.e f. ineducato/a, scortese, che, chi è senza creanza; maleducato/a;
chiarissimo l’etimo in quanto la voce a margine è formata sulla voce crianza (creanza,compitezza, gentilezza dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare') con la protesi di una s distrattiva;
scurbutéco/a agg. e s. m.e f. di per sé in primis indica chi è affetto da scorbuto e solo figuratamente che, chi à un carattere scontroso, aspro, rozzo, volgare e scostante;
tranquillo l’etimo derivando la parola dall’unione del suffisso aggettivale eco/eca→ico/ica con il sostantivo scurbuto (scorbuto che è dal lat. scient. mediev. scorbutus, derivato dall'ant. scandinavo skyr-bjugr, nome di una malattia (bjugr) causata dal latte cagliato;
stòteco/stuóteco/a : agg.vo e s. m.le o f.le letteralmente ( con derivazione etimologica da un incrocio delle voci latine stu(ltum) + (idio)ticu(m) è lo/a stolto/a,il/la rimbambito/a, lo/la stordito/a e per ampliamento semantico l’ignorante, l’idiota, il/la rozzo/a;

tàmmarro agg.vo e s. maschile e solo maschile: non è né attestato, né né codificato un ipotetico femminile tàmmara; è un antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino e pure per ampiamento semantico sbirro; oggi è parola ancóra vivanel linguaggio popolare e vale ( epperò ormai solo come aggettivo) rozzo, volgare, ignorante , zotico e scostante; quanto all’etimo è parola derivata dall’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri; la voce napoletana è stata altresí influenzata dall’ omonimo ebraico tammar = pianta da datteri; semanticamente l’accostamento tra l’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri e la voce napoletana tàmmaro è da ricercarsi nel fatto che nell’inteso comune il colono, il contadino e pure lo sbirro oltre che il mercante sono individui carenti di educazione e buone maniere e dunque rozzi, volgari, ignoranti, zotici e scostanti;
terrazzano sost.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né né codificato un ipotetico femminile terrazzana; è altro antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino, nonché nativo ed abitante di un sobborgo rurale; per ampliamento semantico persona rozza, incolta, volgare quali normalmente sono intesi coloro che si dedicano al duro lavoro dei campi. Etimologicamente è parola derivata dal lat. mediev. terrazanu(m), deriv. del class. terra 'terra'; normale nel napoletano il raddoppiamento espressivo della z;
zampàmpero o in una forma contratta zàmpero; la forma a margine zampàmpero è sost.vo ed agg.vo maschile e solo maschile:infatti non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile zampàmpera, mentre la forma contratta zàmpero è anche usata al femminile zàmpera; quella a margine è voce nata intorno al 1830 nel significato originario di guitto, attore miserabile, persona che vive in modo misero, squallido, attore comico che recita in piccole compagnie girovaghe, attore da strapazzo passato poi a significare cafone, tanghero, zotico, villanzone quale normalmente fu inteso chi si dedicava al duro, oscuro lavoro di saltimbanco. . Etimologicamente è parola derivata dal nome proprio d’un tal Luigi Anzampàber (mancano precisi dati anagrafici, ma il nome è riportarto nell’Enciclopedia dello Spettacolo di P. Gelli 1977, nonché nell’ Almanacco italiano pubblicato da Marzocco nel1960)
che appunto intorno al 1830 sosteneva le parti di Stenterello nella compagnia girovaga d’un tal Filippo Perini (anche di costui mancano precisi dati anagrafici); il cognome di Luigi Anzampàber venne nel corso del tempo variamente storpiato in Azempàmber, Azempambèr fino a Zampàmber donde i napoletani trassero il loro zampàmbero= guitto, attore miserabile, persona che vive in modo misero, squallido attore da strapazzo, attore comico che recita in piccole compagnie girovaghe, e poi cafone, tanghero, zotico, villanzone.
E veniamo alle ultime due voci per le quali ci troviamo in presenza di due parole usate in primis per indicare un oggetto e poi ,come accaduto per altre parole già esaminate (cfr. ciampruosco, calandriello etc.), passate ad indicare, per traslato, il villano, il rozzo, lo scortese, il maleducato come è inteso comunemente chi usi l’oggetto di cui qui di seguito:
zampitto s.m. ma nel traslato aggettivale anche femminile zampitta. In origine la voce a margine (s.vo maschile) indica un particolare tipo di calzatura rustica usata da contadini e/o montanari; nel traslato vale villano/a, villanzone/a, rozzo/a; etimologicamente il s.vo è legato alla parola zampa (di per sé 1 ciascuno degli arti degli animali; in partic., la parte dell'arto che tocca terra: le zampe del cavallo, del cane, della gallina, della mosca; le zampe anteriori, posteriori dei quadrupedi; animale a due, a quattro zampe; alzare, allungare le zampe | in cucina, la parte inferiore dell'arto, dal ginocchio in giù: una zampa di maiale arrosto | zampe di gallina, (fig.) rughe sottili che si formano intorno agli occhi | a zampa di gallina, (fig.) si dice di scrittura brutta e illeggibile. 2 spec. pl. (scherz.) gamba dell'uomo: camminare a quattro zampe, carponi; andare a zampe all'aria, cadere rovinosamente; (fig.) fallire | mano dell'uomo: qua la zampa!; giù le zampe!, si dice in tono minaccioso a chi cerca di mettere le mani su qualcosa
3 (non com.) gamba, piede di un mobile: le zampe della sedia, dell'armadio
4 struttura o dispositivo che per forma o funzione ricorda l'arto di un animale; quanto all ‘etimo si ritiene un incrocio di zanca con gamba di cui zanca è sinonimo.);
zappiéllo sost.vo e poi agg.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile zappélla; come s.vo indica una piccola zappa; la zappa è un attrezzo originariamente agricolo manuale usato nei lavori dei campi (ma poi (specialmente nella forma ridotta di zappetta) è oggetto usato anche da altri artieri: giardinieri, muratori ecc.); esso oggetto consiste in una lama, per lo piú di forma trapezoidale o rettangolare leggermente incurvata, infilata perpendicolarmente in un manico di legno; serve a rompere le zolle, fare solchi ecc. in napoletano la voce femminile zappetta (diminutivo di zappa che è dal lat. tardo sappa(m)) è diventata il maschile zappiello secondo il noto criterio che passim ò illustrato, per il quale gli oggetti maschili sono intesi piú piccoli ( anche ovviamente attraverso il diminutivo) dei corrispondenti femminili intesi piú grandi (cfr. ad es. alibi ‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo) ‘a carretta (piú grande rispetto a carretto piú piccolo )unica eccezione: ‘o tiano (piú grande rispetto a tiana piú piccola )etc. ; l’oggetto a margine passò poi nel traslato aggettivale, ad indicare il villano, il villanzone il rozzo cosí come pensato, nell’inteso comune, l’artiere che usi l’oggetto a margine.
sfrucedato/sfrucetato/a – sfrucecato/a ed ò parlato al singolare di una voce in quanto è del tutto evidente che la seconda (sfrucecato) è solo una palese corruzione popolare della prima (sfrucedato/a o pure sfrucetato/a) che quale participio passato di *sfrucedare/*sfrucetare indica in napoletano(ma pure – come vedremo – nei dialetti umbri, abruzzesi etc.) indica – dicevo - chi nei suoi comportamenti ecceda e vada oltre i limiti consentiti dimostrandosi screanzato, maleducato, sguaiato,e ciò soprattutto nel modo di mangiare (magnà comme a ‘nu sfrucetato).In effetti i verbi indicati sfrucedare/*sfrucetare furono formati proprio per significare un modo di mangiare abnorme, eccessivo, spropositato, operazione compiuta con foga ed avidità; dal modo di mangiare i verbi ricordati si estesero poi ad ogni comportamento abnorme,eccessivo, spropositato e lo sfrucedato/sfrucetato – sfrucecato finí per indicare genericamente lo screanzato,il maleducato,lo sguaiato etc.Ciò precisato, prima di affrontare il nodo etimologico, tento di chiarire il percorso semantico che à condotto dalle narici (che quando siano grosse (come quelle delle bestie) e/o dilatate vengon dette froge) ad un modo di mangiare e/o di comportarsi maleducato, incivile, cafone, zotico, villano, scostumato. La faccenda si spiega piuttosto rapidamente atteso che chi mangi in modo screanzato, maleducato, sguaiato, incivile e scostumato e lo faccia perciò con foga ed avidità smodata tiene continuamente la bocca riempita di cibo, al segno di non poter respirare con essa bocca ed è costretto a farlo con le narici (froge) dilatandole al massimo.
Dal punto di vista etimologico, “sfrucetato” è composto in effetti da un prefisso latino “ex-“, con valore intensivo e da un derivato di froce plurale di frocia, forma partenopea, ma pure romana, umbra, abruzzese dell’italiano “frogia”. Quest’ultima parola, che indica tipicamente ciascuna delle narici (o meglio la sua estremità) di molti animali, viene utilizzata anche per l’uomo,seppure nel solo ambito letterario o in quello del linguaggio scherzoso. Il termine “frogia” à origine comunque nel mondo animale: e se ne postula (quanto all’etimo) un latino volgare “froces”, derivato per successive sincope e metatesi, dal latino classico “forbices→for(bi)ces→froces (forbici, tenaglie), con il senso di “nasiera per i buoi”.L’adattamento partenopeo di frogia (che è – come ò detto - propriamente la falda cartilaginosa delle narici) passata a frocia è avvenuto probabilmente non dal lat. froces, ma per influsso di un francese *froge desunto da fauce contratto in foce/foge e con epentesi di una erre rafforzativa per cui da foce/foge è scaturito froce/froge che al sing. è frocia.
A questo punto devo sottolineare come i termini in epigrafe nati in ambito partenopeo siano trasmigrati nel parlato di parecchie altre regioni centro – meridionali (Lazio, Abruzzo, Molise, Umbria, Basilicata, Calabrie) nel medesimo significato e fino a qui nulla di strano (la lingua napoletana presta o cede in giro volentieri i suoi lemmi); lo strano è che come tanti altri termini (camorra, guaglione, scugnizzo,sfogliatella, vongola, ammoina/ammuina etc. e derivati), quelli in epigrafe partiti dalla lingua napoletana son pervenuti nell’italiano sia pure con un qualche accomodamento di talché il napoletano sfrucedato/sfrucetato – sfrucecato è diventato in italiano sprocedato/sprocetato mantenendo però invariato il significato di abnorme,eccessivo, spropositato. Francamente (ecco lo strano!) non mi riesco a spiegare che ragioni vi siano per mutare una etimologica effe di sfrucedato/sfrucetato cambiandola in una incongrua p di sprocedato/sprocetato... Misteri della lingua italiana! Come misterioso mi appare il fatto che solo Salvatore Battaglia nel suo Grande dizionario della lingua italiana abbia accolto la voce sprocedato/sprocetato; tutti gli altri a comincire dal D.E.I. di Battisti ed Alessio, al Treccani al Dizionario della lingua italiana del De Mauro, al Grande dizionario Garzanti della lingua italiana non prendono in considerazione la voce sprocedato/sprocetato... Forse la ritengono voce dialettale e/o regionale e dunque da da omettere se non da snobbare. Potrei perdonare detta omissione solo al Grande dizionario Garzanti della lingua italiana i cui curatori ( sudio Lemmari – Milano) in altra occasione, per un’altra voce, mi significarono gentimente che il loro dizionario accoglie non tutti i lemmi , ma solo quelli a vastissima diffusione ed accertato uso; non posso invece perdonare l’omissione all’albagia arrogante dei boriosi curatori del Treccani e del De Mauro. Tutto ciò sempre che il glorioso prof. Salvatore Battaglia non abbia accolto la voce sprocedato/sprocetato in omaggio alla sua nascita ed alla sua attività svolta in àmbito meridionale (Catania, 1904 † Napoli, 1971) ed al ricordo dello sfrucedato/sfrucecato partenopeo.Ma ne dubito, ché – se cosí fosse stato – il Battaglia probabilmente avrebbe accolto l’originario sfrucedato/sfrucecato senza stravolgerlo in un inconferente sprocedato/sprocetato. Sempre che questo stravolgimento non sia stato operato da un improvvido collaboratore del Battaglia che, a sua volta abbia – per una volta – omesso il controllo!

E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento e soddisfatta l’amica N.C. e chi dovesse leggere queste paginette.
Satis est.
Raffaele Bracale

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