martedì 23 febbraio 2010

‘A MONACA D’’O BBAMMENIELLO

‘A MONACA D’’O BBAMMENIELLO

‘A monaca d’’o Bbammeniello: ògne nove mise, fasciatóre e savaniello!
Antichissima desueta espressione che tradotta letteralmente suona:La monaca del Bambin Gesú: ogni nove mesi fasce e sottofasce; espressione che fino a tutti gli anni cinquanta fu usata con sarcasmo nei confronti di spose eccessivamente prolifiche ed usata altresí, per traslato giocoso, nei confronti di chiunque che, per colpevole iperattività in qualsivoglia campo d’azione, necessitasse di aiuti continui. L’espressione nacque in àmbito popolare con malevola cattiveria, chiamando in causa le pie Suore del Bambino Gesú, dell’omonimo Istituto Suore del Bambino Gesú sito in Napoli in san Giovanni Maggiore Pignatelli a ridosso dell’Università degli Studi in pieno centro storico; l’istituto era nato (per opera di un tal Nicola Barrè dell’Ordine dei Minimi di s. Francesco di Paola, noto professore di teologia e Bibliotecario a Parigi) in Francia nel 1666,(con il fine dell’assistenza ed istruzione di bambini, ragazzi/e bisognosi) e solo nel 1906 era approdato in Italia,dapprima nel Bergamasco e poi si era esteso , rispondendo agli appelli della Chiesa Italiana, con molte comunità in Calabria , nelle periferie di Roma, nel centro storico di Napoli ed in diversi luoghi della regione campana , dove le pie suore stavano accanto ai bambini, alle famiglie in difficoltà , condividendo la vita delle persone semplici. e distinguendosi per la catechesi e l’istruzione di tutti i ragazzi/e e facendosi amare per la loro presenza fattiva nei confronti di tutti coloro che ne avevano bisogno; tra coloro che si mostravano bisognosi di aiuto vi furono i primis le ragazze traviate che, per essere assistite, venivano spesso accolte nell’istituto (dove ricevevano accanto ad una migliore istruzione anche un avviamento ai lavori donneschi) e poiché moltissime di esse vi entravano da gravide, diventando madri nell’istituto, si diffuse l’infame credenza che i bimbi generati lo fossero stati, non dalle ragazze madri accolte nell’istituto, ma dalle stesse monache del Bambino Gesù e si coniò persino, con inusuale cattiveria,(per un popolo come il napoletano sempre paziente e comprensivo difronte ai casi della vita...), si coniò persino l’espressione in epigrafe con la quale si fa riferimento al continuo sciorinio di fasce e sottofasce imbandierate alle finestre del’Istituto. Rammento che a Napoli all’incirca nel medesimo periodo vi fu alla Salita Pontecorvo un altro istituto che accoglieva le ragazze madri ed era annesso al Convento di San Francesco dette delle Cappuccenelle (Il complesso fu costruito al termine del XVI secolo allo scopo di potervi ospitare le ragazze madri. Si trattava di una struttura gestita da suore appartenenti all'ordine francescano. All'inizio del XVIII secolo la ristrutturazione del convento fu affidata a Giovan Battista Naclerio, che progettò il suo rifacimento in stile barocco.; in questo istituto venivano altresí segregati i ragazzi disobbedienti e/o riottosi che affidati alla severa educazione delle suore, si sperava mutassero indole diventando piú costumati, disciplinati,rispettosi etc. Ed in effetti la reputazione di istituto in cui si impartiva un’educazione rigida ottenuta anche con metodi severi, rigorosi, rudi, inflessibili faceva sí che tra i ragazzi si temesse molto la minaccia: Te ‘nzerro dint’ ê Ccappuccenelle! (Ti rinchiudo nell’istituto di Correzione delle Cappuccinelle), minaccia grave quasi come quella: Te ‘nzerro dint’ ô Serraglio (Ti rinchiudo nell’istituto di Correzione annesso all’ Albergo dei Poveri!). Si trattava di minacce severe che spesso sortivano l’effetto voluto di ridurre all’obbedienza i ragazzi che non lo fossero, ma che non fossero di indole veramente cattiva e/o ribelle e si contentassero delle sole minacce per rientrare nei ranghi.
Ricordo che il monumentale Albergo dei Poveri (détto anche Reclusorio oppure Serraglio )in piazza Carlo III fu opera voluta dal re Carlo di Borbone (Carlo Sebastiano di Borbone (nome completo: Carlos Sebastián de Borbón y Farnesio; Madrid, 20 gennaio 1716 –† Madrid, 14 dicembre 1788) fu duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I dal 1731 al 1735, re di Napoli e Sicilia senza utilizzare numerazioni (era Carlo VII secondo l'investitura papale, ma rifiutò tale ordinale) dal 1735 al 1759, e da quest'anno fino alla morte re di Spagna con il nome di Carlo III (Carlos III) e cosí I napoletani lo ricordarono. Quinto figlio di Filippo V di Spagna, ma primogenito dei nati dal suo secondo matrimonio con Elisabetta Farnese) ed edificato, ma non completato mai, su progetto di Ferdinando Fuga (Architetto Firenze 1699 - † Roma 1781), nell’utopica idea originale di raccogliervi tutti i poveri del regno, ma ci si limitò ad accogliervi vecchi e vecchie poveri ed abbandonati che affidati all’assistenza pubblica continuarono ad elemosinare per le strade ed a partecipare, dietro piccolissimo compenso ai funerali di borghesi facoltosi o alle processioni rituali; nel medesimo Albergo de’ Poveri furono accolti sempre affidati alla gratuita assistenza pubblica i ragazzi e le ragazze sordomuti/e di famiglie povere, mentre quelli/e di famiglie borghesi versavano una contenutissima retta mensile; a questi sordomuti/e erano equiparati i ragazzi e/o le ragazze che indocili/e, indisciplinati/e quando non addirittura d’indole malvagia,che venivano rinchiusi nell’istituto di correzione annesso all’ Albergo; tenendo presente il comportamento aggressivo e quasi ferino di di tali ragazzi/e giudicati alla stregua di animali, l’Albergo dei Poveri fu comunemente détto Reclusorio (deriv. del lat. reclusus, part. pass. di recludere 'recludere': prigione, ricovero per i mendicanti e gli accattoni) oppure Serraglio che di per sé con derivazione dal provenz. serralh, che è dal lat. volg. *serraculu(m) 'chiusura', deriv. di *serrare 'chiudere' è un s.vo m.le
1 (ant.) riparo, sbarramento difensivo; luogo chiuso
2 il complesso degli animali appartenenti a un circo; il luogo in cui si tengono chiusi
monaca s.f. suora, appartenente a un ordine monastico femminile; voce che è dal lat. tardo monacha(m), che è dal gr. monaché;
fasciatóre s. f. plurale di fasciatóra =fascia per neonato, striscia di tessuto robusto usata un tempo per avvolgere strettamente i neonati; quanto all’etimo si tratta di un deverbale di fasciare (dal lat. tardo fasciare ) aggiungendo al part. pass. fasciato il suff. ora→ura usato per ottenere dei sostantivi verbali;
savaniello/ savanella s. m.o f. sottofascia, topponcino, pannolino in cui avvolgere il bacino del neonato prima fasciarlo; quanto all’etimo si tratta di un derivato dello spagnolo sabanilla; da notare che la voce savaniello maschilizzazione dell’originaria savanella fu coniato per indicare un pannolino alquanto piú piccolo della corrispondente voce femm.le savanella che indicò un pannolino piú ampio secondo il noto criterio che in napoletano considera femminile un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo – tina piú grande, carretto piú piccolo – carrettapiú grande etc. con le sole eccezioni di caccavo piú grande e caccavella piú piccola, tiano piú grande, tiana piú piccola).
raffaele bracale

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