MIERCHE, GNASTE & dintorni
Questa volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, quel G.D.N.,del quale per problemi di privatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome, amico che è uno dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta relativa alle due antiche parole napoletane in epigrafe, voci che cercherò di illustrare assieme ad altre voci napoletane che ne siano sinonime, e sono molto contento della richiesta perché mi darà modo di illustrare alcune parole napoletane antiche e disusate, ma grandemente icastiche.
Tanto détto, entriamo in medias res parlando della voce
mierco s.vo m.le che al pl. è mierche e che à un ampio ventaglio di significati valendo in primis: suggello,bollo, marcatura, emblema, segno, impronta
e per traslato figurato cicatrice, marchio.;
la voce (che è attestata anche come s.vo f.le merca nei medesimi significati) è un denominale del germ. marka =segno. Una volta perdutosi l’uso di suggellare i documenti con ceralacca, bolli e marcature, emblemi, segni ed impronte personali onnicomprensivamente détti mierche, una volta perdutosi quell’uso, il termine mierco venne usato nel significato traslato di cicatrice, marchio retaggio d’una qualche ferita d’arma bianca (rammento l’espressione: fà ‘nu mierco a uno = ferirlo lasciandogli cicatrici), o venne usato in senso meno rovinoso od esiziale per indicare le piccole sbucciature (anche in assenza di cicatrici) spesso presenti sugli arti o altre parti del corpo dei bambini adusi ad un comportamento scapestrato, scriteriato, imprudente, dissennato tale da procurar loro piccoli danni nella persona; (tra i mierche piú noti in àmbito puerile vi furono le sbucciature di gomiti e ginocchia e/o le sciaccate (ferite prodotte per solito alla testa da un colpo di pietra o di bastone; voce deverbale del lat. flaccare)ed i bomboloni/bombò (tumefazione prodotta per solito alla testa da un urto ricevuto o procuratosi scontrandosi inopinatamente con un corpo condundente; voce d’origine onomatopeica in relazione alla forma bombata della tumefazione).
gnaste/’nchiaste = s.vi m.li pl. di gnasto/’nchiasto; per il vero si tratta d’un unico sostantivo rappresentato in doppia morfologia di cui la seconda ‘nchiasto fu quella originaria e di partenza, mentre l’altra gnasto ne fu e ne è solo un adattamento del parlato con
1)metatesi accompagnato dal passaggio dalla affricata palatale sorda (c) alla corrispondente sonora (g) (‘nc→’ng→gn),
2)sincope della consonante diacritica (h) resa inutile dalla metatesi,
3)semplificazione del dittongo (ia→a);
la voce ‘nchiasto (poi gnasto) è una derivazione dal lat. emplastru(m) (marcato sul greco émplastrom)con il seguente percorso:emplastrum→(e)mplast(r)u(m)→mplastu(m)→’nchiasto (con consueto passaggio del gruppo pl a chi + vocale (cfr. cfr. platea→chiazza – plus→cchiú – plangere/planctum→chiagnere/chianto – plenam→chiena etc.) e valse in primis empiastro,fastidio ed a seguire per traslato piccola enfiagione,minuscola lividura ed ancóra sempre per traslato soprattutto come diminutivo ‘nchiastillo/gnastillo riferito ad oggetto valse cosa da nulla, sciocchezzuola, mentre riferito a persona di genere maschile bassa di statura valse omuncolo,omino, nanerottolo; declinato al femminile ‘nchiastella/gnastella valse donna petulante e fastidiosa; infine sempre nella forma m.le ‘nchiastillo/gnastillo identificò i nei posticci che le donne e/o i bellimbusti del ‘700 si dipingevano o applicavano sul viso.
Rammento in coda a tutto ciò che le voci mierche e gnaste/nchiaste usate di conserva valsero (come in una notissima poesia satirica dedicata a Giacomo Leopardi dal compianto Angelo Manna (Acerra, 8 giugno 1935 –† ivi 11 giugno 2001)) mestizie, cordogli,lutti, pianti, abbattimenti, scontentezze, malumori etc.
E concludo esaminando i termini che nelle varie accezioni considerate sono sinonimi delle voci in epigrafe; mierco inteso come suggello,bollo, marcatura, emblema, segno, impronta oltre la già cennata merca à quali sinonimi: sinco, schiacco, verzaglio; inteso come cicatrice mierco à quali sinonimi:sfríttula, tracchia; mentre la voce gnaste/nchiaste nel significato di empiastro,fastidio à quali sinonimi tra i piú ancóra in uso: afflezzione, apprietto, chiàjeto, fettiglia,sàsina,susta, taluorno, zucamiento; inteso invece come cosa da nulla, sciocchezzuola à quali sinonimi tra i piú ancóra in uso: cerenfruscolo,fessaría, ‘gnotula/’gnotularía, jacovella, jacuvella o ghiacovella; inteso infine come enfiagione lividura à quali sinonimi tra i piú ancóra in uso: bòffa attentuta, cravúgnolo/gravuognolo/cravuonchio,mulignana, ‘nturzore/’nturzamiento,peròteca, vozza/vozzola.
Prendo in esame tutte le voci e su qualcuna sarà giocoforza ch’io mi soffermi alquanto.
singo/sinco, s.vo m.le segno, marchio, ogni impronta visibile lasciata da qualcosa; oggetto o figura che serve a distinguere o a indicare; voce in doppia morfologia( originariamente con l’affricata palatale sonora (g) e successivamente, nell’uso popolare con la corrispondente sorda (c))etimologicamente lettura metatetica del lat. signu(m) 'segno, marchio';
schiacco, s.vo m.le di per sé la voce indicò in primis un bersaglio di carta, che colpito manteneva un’impronta donde per metinomia l’impronta stessa, il segno; etimologicamente deverbale del lat. ex-capulare→ex-caplare= schiacciare, imprimere;
verzaglio, s.vo m.le di per sé la voce indicò in primis l'obiettivo da colpire con un'arma obiettivo che colpito (come per la voce precedente) manteneva un’impronta donde per metinomia l’impronta stessa, il segno; etimologicamente dal fr. ant. bersail, che è dal germ. *birson 'andare a caccia' con la consueta alternanza del napoletano b/v (cfr. bocca→vocca – barca→varca – basiare→vasà etc.);
sfríttula, s.vo f.le di per sé in primis pezzetto di carne e/o grasso di maiale residuale della fusione del medesimo grasso per ottenerne la sugna; successivamente nella morfologia per adattamento popolare di sfrestola, ferita da taglio, cicatrice da accostarsi semanticamente alla sfríttula pezzetto di carne e/o grasso di maiale residuale per il fatto che la cicatrice presenta un aspetto contorto e grinzoso tal quale le sfríttole dopo la lavorazione; etimologicamente la voce a margine è un deverbale (p. pass.sfritto addizionato del suff. dim. ola→ula che continua il lat. olus/ola e che unito ad aggettivi o sostantivi forma alterati con valore diminutivo o vezzeggiativo) di sfrijere intensivo di frijere dal lat. frigere;
tracchia, s.vo f.le voce che è dal greco tràchelos= collo, cervice ed indica in primis un pezzo di carne di maiale,una costina che se di collo è detta tracchia umida , in quanto piú morbida e succosa, se di costato è detta tracchia asciutta in quanto essendo povera di grasso è meno morbida e succosa; per accostamento semantico poi la voce valse cicatrice che per solito presenta un aspetto contorto e grinzoso e con margini non ben definiti tal quale le tracchie che son ricavate con un taglio approssimativo e non ben definito; la voce a margine fu riferita alla cicatrice in senso spregiativo specialmente quando le cicatrici fossero quelle di persone pòvere, sporche e/o male in arnese;
afflezzione, s.vo f.le 1 stato di grande tristezza e abbattimento;
2 ciò che provoca tormento, angoscia; voce dal lat. afflictione(m) con il tipico raddoppiamento espressivo della l'affricata alveolare sorda (z) come in tutte le voci terminanti in zione precedute da vocali, raddoppiamento espressivo presente altresí in tutte le voci terminanti in gione precedute da vocali, che comporta la geminazione della affricata palatale sonora (g);
apprietto, s.vo m.le voce usata per indicare in primis un tipo particolare di fastidiosa lite che è quella derivante da una sollecitazione noiosa o petulante tipica – come vedemmo altrove – dell’apprettatore cioè dell’ annoiatore; etimologicamente, come il ricordato apprettatore, anche
l’apprietto è un deverbale del latino adplictare(figuratamente: ridurre in pieghe; lat.: plecta = piega );al proposito rammenterò che anche il toscano appretto cioè la miscela chimica usata per dar particolar forma e consistenza ai tessuti o pellami, piú che al francese apprêt penso debba collegarsi al latino ad-plictare; per ampiamento semantico la voce a margine vale poi fastidio, atteso che una lite comporta una sensazione di molestia e di disturbo;
chiàjeto, s.vo m.le è essenzialmente la lite (accompagnata dal fastidio che ne deriva) tesa a reclamar per sé cose o priorità di atteggiamento davanti a talune situazioni; a Napoli infatti di chi litigando, esiga, richieda qualcosa che pensa gli spetti di diritto, s’usa dire, a mo’ di giustificazione, che se sta chiajtanno ‘o ssujo :sta reclamando il suo; etimologicamente la parola chiàjeto viene da un latino medievale: placitu(m) = disputa, lite in attesa di giudizio; cuntrasto che è la seccante, noiosa, irritante, sgradevole, spiacevole, fastidiosa lite forte per contrapposizione anche maschia e dura, resistenza puntigliosa; etimologicamente dal basso latino contra +stare = star di contro, porsi di fronte;
fettiglia, s.vo f.le noia, seccatura, grattacapo, impiccio, bega, molestia, portata quasi di lontano a mo’ di strale; la parola usata piú spesso al plurale fettiglie è da collegarsi etimologicamente al verbo latino figere, verbo che diede il termine fictilia da cui il napoletano fettiglie usato nella gustosissima espressione partenopea senza figlie, senza fettiglie= chi non à figli(maschi o femmine che siano)non à fastidi..., ma – aggiungo io – neppure soddisfazioni o gioie; alle medesime fettiglie come già alibi dissi ma qui ribadisco penso sia da collegarsi il verbo napoletano fettiare verbo che un tempo serví ad identificare un’azione ben precisa: quella di sogguardare insistentemente una persona o anche solo un quid, in maniera però concupiscente fino a determinare fastidio nella persona guardata; in particolare i giovanotti che si fossero messi sulle piste di un’avvenente ragazza insistentemente, negli anni tra il 1950 ed il 1960, se la fettiavano fino a che la ragazza infastidita, o non cedeva alle non dichiarate, ma chiaramente sottintese avances o non chiamasse a propria difesa un fratello, un cugino, un fidato amico che convinceva con le buone o le tristi il disturbatore esortato a fettiare altrove. Il verbo veniva usato anche nei riguardi di cose desiderate, ma – per mancanza di soldi – mai conquistate; a mo’ d’es. diremo che in quegli anni se fettiavano un abito, un paio di scarpe, una cravatta, o anche l’intera vetrina di una pasticceria o trattoria;
sàsina, s.vo f.le voce ampiamente desueta che valse in primis sequestro dei beni; poi per ampiamento semantico seccatura,grattacapo,persecuzione; etimologicamente derivata dal fr. saisie=pignoramento con epentesi eufonica della consonante nasale dentale (n);
susta, s.vo f.le molestia inveterata ed assidua tale da spingere ad una reazione, anche violenta, il/i molestato/i. la parola è un deverbale di sustà che è dal latino suscitare→sus(ci)tare→sustà= eccitare;
taluorno, s.vo m.le lamento reiterato, ripetizione noiosa, canto fastidioso; etimologicamente taluorno non deriva come improvvidamente e fantasiosamente pensò qualcuno (D’Ascoli) da un inesistente latino: tal-urnus: ripetizione; in realtà il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente esclusa (manca persino nel Pianegiani, ma non nel D.E.I.!) nei correnti ed accreditati vocabolarî della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una tipica dittongazione regionale della sillaba to (forse intesa breve) la voce latorno divenne latuorno sia in area calabro-lucana che in area pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f.le dell'agg. praeficus 'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché la prefica era preposta al gruppo delle ancelle che piangevano; in effetti essa prefica fu la donna che, presso gli antichi romani, veniva pagata per piangere e lamentarsi durante le cerimonie funebri; l'usanza ancóra sopravvive in alcune aree mediterranee europee; scherzosamente la voce prefica è usata poi anche per indicare una persona che si lamenti per nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche riépeto/liépeto che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi; riépeto o liépeto s.vo m.le sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza/dissimilazione partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente atto noioso e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il fantasioso tal – urnus del D’Ascoli, si possa tranquillamente intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno.
zucamiento, s.vo m.le la molesta tipica d’un molestatore che assale il molestato quasi con la riprovevole foga di volergli suggere l’anima o i succhi vitali; deverbale di zucà =succhiare che è dal latino sucus; il piú noioso di tali molestatori détti zucature fu un tempo il cosiddétto zucafistole (succhiapiaghe) personaggio, peraltro veramente esistente in antichi ospedali napoletani dove si assumeva il compito di depurare, mediante suzione/aspirazione, del pus esistente, le piaghe di taluni malati, operazione necessaria, ma pur sempre fastidiosa!Figurarsi poi quando il fastidio non porti almeno il beneficio della depurazione!
cerenfruscolo, s.vo m.le voce desueta, ma registrata da tutti i calepini d’antan nel significato primo di bagattella, minuzia, sciocchezza e per estensione ed ampliamento semantico, in quello di bizzarría, stranezza bizzosa, stravaganza. Quanto all’etimo si sospetta un incrocio tra i lat. caere(folium) e frustulum = bruscolo di cerfoglio; il cerfoglio in nap. cerefuoglio indica oltre che la pianta delle ombrellifere anche gli sgorbi fatti a caso con penne e/o matite sui fogli di carta ed ancóra i vezzi, le moine, le sdolcinature, tutte cose che semanticamente posson ricondursi alle bizzarríe,alle stranezze bizzose nonché alle minuzie e/o sciocchezze;
fessaría, s.vo f.le che letteralmente vale errore di poco conto, ed estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione insulsa tipica dello sciocco; la voce a margine deriva forse da fesso con il suff. arius→aro + il suff. astratto tonico ía; epperò non gli dovrebbe essere comunque estranea, come reputo e morfologicamente piú vicina la voce fessa (l’organo sessuale femminile esterno) ( part. pass. del verbo latino findere) dalla fessaría (da fessa+ aría da arius) sciocchezza, stupidata, deriva la toscana fessería di significato analogo). Faccio notare qui la solita incomprensibile, stupida mutazione che opera il toscano trasformando una A etimologica (da fessa→ fessaría) per adottare una piú chiusa E (fessaría vien cioè trasformata in fessería) forse nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?!) lingua di Alighieri Dante, Manzoni(Imbonati?) Alessandro…etc.In ogni caso con la voce fesso (dell’italiano e del napoletano) derivato attraverso il sign. del femm. fessa dell'Italia merid., pop. si indica l’imbecille, lo sciocco quello cioè capace di errori di poco o molto conto, ed ancóra estensivamente sciocchezze, stupidaggini, azioni insulse etc. Rammento talune espressioni popolari in uso sia nella lingua nazionale che nel napoletano: fare fesso, m’hê fatto fesso : riferito a persona, ingannarla: mi vuoi proprio fare fesso? fam., fare il fesso/ fà ‘o fesso, fare lo spiritoso, o anche il temerario. Scherz si indica lo sciocco,il balordo , voce in ogni caso da far risalire al lat. fissu(m), part. pass. di findere 'fendere');
‘gnotula/’gnotularía, s.vo f.le bagattella, minuzia, nonnulla, quisquilia. cosa di poco conto ed ancóra estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione non chiara ed inutile etc. voce dalla doppia morfologia, ma dall’identico significato; etimologicamente nella prima forma ‘gnotula è dal lat. ignotus→(i)gnot(us)→’gnotula con influenza del lat. inutilis addizionato del suffisso diminutivo neutro plurale, poi inteso femminile ula; nella seconda forma all’iniziale ‘gnotula è stato aggiunto il suffisso tonico aría suffisso corrispondente al lat. –arius/aria, che forma aggettivi e sostantivi, derivati dal latino o formati direttamente in italiano e/o napoletano , che stabiliscono una relazione;
jacovella, jacuvella o ghiacovella, s.vo f.le Le parole in esame sono tre rappresentazioni morfologiche leggermente diverse di un’ unica voce, termine antichissimo, presente fin dal sec. XIV e ss., già preso in esame e contenuto nell’ Elenco di parole napoletane (primo modesto tentativo di dar vita ad un vocabolario della lingua napoletana), elenco che Colantonio Stigliola (Nola1548 -†Napoli1623) mise in appendice alla sua versione in napoletano dell’ Eneide.
Pur essendo antichissimo, il termine non è però desueto ed ancora vive nell’uso quotidiano in tutta l’area linguistica campana, radicato principalmente sia nell’ alta Irpinia che nel napoletano. Amplissimo il ventaglio dei significati che partendo dal comportamento superficiale, cosa poco seria,modo di agire che genera confusione, inconcludenti tira e molla, giungono all’ intrigo, pretesto, banale astuzia, sotterfugio teso a perder tempo, a giocherellare, a cincischiare, nel tentativo di defilarsi per non compiere qualcosa di molto piú serio; anticamente il vocabolo che sto esaminando fu usato anche per indicare dispettucci da innamorati, vezzi, moine, tenerezze da innamorati, quegli stessi che – come vedemmo alibi – erano detti anche vruoccole o cicerannammuolle; piú spesso comunque la jacovella, jacuvella o ghiacovella indicò la trama, l’intrigo, la gherminella piú o meno sciocca, buffonesca, cialtronesca, semplicistica.
Per ciò che attiene all’etimologia di jacovella/jacuvella/ ghiacovella, questa volta devo dissentire da quanto proposto dall’ amico il dotto avv.to Renato de Falco, attivissimo (ad ottant’anni suonati!) esperto di cose napoletane il quale per la voce in esame, rifiutando altre piú accolte e convincenti etimologie, ipotizza una culla latina, chiamando in causa uno strano jaculum= dardo dandone però una connessione semantica a jacovella che mi pare troppo inconferente se non pretestuosa…
Non so come sia accaduto, ma questa volta reputo che l’amico Renato – solitamente preciso ricercatore – sia stato un po’ superficiale e si sia lasciato sfuggire che la parola jacovella/ jacuvella/ ghiacovella nacque in ambito teatral-marionettistico per identificare le gherminelle, le azioni sceniche di un tal Giacomino (in dialetto Jacoviello diminutivo di Jacovo id est Giacomo che poi altro non era che l’adattamento del nome proprio francese Jacque, nome con il quale colà si soprannominò il contadino sciocco e semplicione, contadino che in tal veste entrò nel teatro delle marionette dove fu Jacovo o Jacoviello e le sue azioni furono le jacovelle jacuvelle o, con diversa scrittura, le ghiacovelle. E tali azioni furon prese a modello per identificare tutte quelle elencate in principio. A titolo di curiosità rammento altresí che dall’originario nome francese Jacque si trasse la voce giacchetta che era il tipo di indumento pratico e non ricercato indossato dai contadini.
Non so cosa abbia spinto Renato de Falco a scartare l’ipotesi Jacovo e a proporre il latino jaculum.
Ma è rimasto solo!
F. D’Ascoli, C. Jandolo e recentemente M. Cortelazzo propendono in coro ,ed indegnamente io con loro, per una degradazione semantica del nome proprio Giacomo – Jacovo.
bòffa attentuta, s.vo f.le addizionato di agg.vo; rigonfiamento scuro, tumefazione illividita, gonfiore bluastro retaggio d’ un colpo ricevuto con un corpo contundente;etimologicamente la voce boffa è d’origine onomatopeica, mentre l’agg.vo attentuta è voce verbale(p.pass. f.le aggettivato di attentà= tinteggiare di bruno denominale di ténta=tinta,colore);
cravúgnolo/gravuognolo/cravuonchio s.vo m.le dalla triplice morfologia, ma identico significato.
Cosí nel napoletano vengono indicati foruncoli, un bitorzoli, sporgenze, pustolette presenti in genere sul volto di persone il piú delle volte giovani; foruncoli, bitorzoli, sporgenze, pustolette talora lividi o di colore bruno; à/ànno derivazione da carbunculus diminutivo di carbo/onis; debbo ritenere quindi che “graungelo” o “gravungelo”attestate in Castelvolturno nei medesimi significati siano adattamenti locali delle voci che ò indicato.
s.vo m.le
mulignana, s.vo f.le = indica in primis la melanzana, pianta erbacea largamente coltivata per i frutti commestibili di forma oblunga o ovoidale, con buccia violacea lucente e polpa amarognola; la voce (per accostamento semantico al colore bluastro/violaceo del frutto) è usato per indicare una lividura,una contusione,un’ecchimosi; etimologicamente è voce dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi melign(i)ana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi peto o petro e s’ebbe petonciano o petronciano.
la voce melanzana fu talvolta ritenuta, ma impropriamente derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia
‘nturzore/’nturzamiento s.vi m.li tumefazione, turgescenza, turgore,tumescenza,tumidezza spesso di color bruno; ambedue i sostantivi sono deverbali di ‘nturzà/’nturzare=gonfiare(denominale del lat. tardo in→(i)n→’n+tursu(m), per il class. thyrsu(m)= torso umano la cui morfologia richiama il senso della tumidezza;
peròteca, s.vo f.le letteralmente infiammazione che colpisce mani e piedi accompagnata da manifestazioni di enfiagioni illividite;per estensione generica enfiagione; etimologicamente la voce è stata ricavata per bisticcio/incrocio del s.vo père= piede con il tardo lat. parotĭda = parotide, la piú voluminosa delle ghiandole salivari, a struttura acinosa, situata tra il condotto uditivo esterno e il ramo montante della mandibola, ghiandola talora soggetta ad infiammazione e tumefazione;
vozza/vozzola, s.vo f.le in primis vistosa tumefazione, rigonfiamento nella parte anteriore del collo, dovuta all'ingrossamento della tiroide, gozzo; per traslato
(fam.) gola, stomaco di una persona: regnerse ‘a vozzola(riempirsi il gozzo), mangiare esageratamente | tené coccosa dint’â vozza(aver qualcosa nel gozzo), (fig.) non riuscire a mandar giú un'offesa, un affronto o a tollerare qualcosa di sgradito | me sta ‘ncopp’â vozza ( mi sta sul gozzo), (fig.) si dice di cosa o persona che non si sopporta | nun tenerse niente dint’â vozza (non tenere nulla nel gozzo), (fig.) dire tutto quello che si à da dire; la voce a margine nella doppia morfologia (la seconda non è che una sorta di diminutivo della prima attraverso l’aggiunta del suff. ola che continua il lat. olus/ola e che unito ad aggettivi o sostantivi forma alterati con valore diminutivo o vezzeggiativo) la voce a margine, dicevo, nella doppia morfologia è un derivato del lat. tardo gargăla «trachea», da una radice *garg- assai diffusa in lingue romanze e in altre lingue indoeuropee antiche: da gargăla→gargozza donde (gar)gozza→gozza→vozza con la tipica alternanza partenopea di g e v o v e g/c (cfr. volpe/golpe, vunnella/gunnella, vongola←concula –gallo/vallo – vappa→guappo etc.).
E con questo penso proprio d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico G.D.N., ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
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