mercoledì 1 settembre 2010

VOCI NAPOLETANE DERIVATE DALL’ARABO

VOCI NAPOLETANE DERIVATE DALL’ARABO
Elenco qui di sèguito, senza ordine o sistematicità un congruo numero di lemmi dell’idioma partenopeo che, a mio avviso, sono mutuati dalla lingua araba.

- cuffià/cuffiare verbo tr. = corbellare, prendere in giro; del verbo è spessissimo usato come sostantivo o agg.vo il part. pass. cuffïato (cioè corbellato, gravato di peso e per ampliamento semantico, infastidito etc.); il verbo a margine cuffià/cuffiare è un denominale del sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
- Cupeta s.vo neutro = sorta di torrone cioè dolce fatto con mandorle e pistacchi e/o noci e con miele); la voce copeta/cupeta donde copetaro/cupetaro (fabbricante e/o venditore di copete/cupete) deriva dall’arabo qubaita/qupaita;

- bbuórdo sost. masch. letteralmente bordo, ciascuno dei fianchi o murate di una nave o di qualsiasi imbarcazione; la parte del fianco emergente dall'acqua: nave d'alto bordo, con la fiancata alta; virare di..., ma ma nella classica espressione partenopea menà a bbuórdo estensivamente sta per stomaco, corpo per indicare ad un dipresso la parte del corpo quasi protetta da ipotetiche murate; etimologicamente probabilmente dal tedesco o molto piú facilmente dall’arabo bord con dittongazione espressiva (probabilmente dipesa dal fatto che la o di bord fu intesa breve);
- cantàro= misura di aridi che derivato dall’arabo qintâr vale in napoletano quintale= cento rotoli. Va da sé che la voce cantàro (quintale) non deve confondersi con càntaro/càntero= vaso di comodo, alto cilindrico contenitore in terraglia smaltata usato, olim, per accogliere le deiezioni fisiologiche dell’ intera famiglia;la voce càntaro/càntero è derivata non dall’arabo, ma dal lat. càntharu(m) che è dal greco kàntharos;
guàllera =ernia; termine mutuato dall'arabo wadara di pari significato; con esso termine il napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma anche per traslato, il sacco scrotale ed è a quest'ultimo che con ogni probabilità ci si riferisce nella classica, becera, ma gustosa locuzione partenopea Me staje abbuffanno ‘a guàllera (mi stai grandemente infastidendo) prestandosi esso sacco scrotale , data la sua quasi sfericità, ad essere sia pure figuratamente gonfiato. La voce verbale abbuffanno= gonfiando, è il gerundio dell’infinito abbuffà che etimologicamente deriva da un latino ad +bufo→adbufo→abbufo→abbuffo= farsi gonfio come un rospo (lat. bufo/onis).
Segnalo ora, qui di sèguito altre icastiche locuzioni che coinvolgono la voce guàllera,sempre in ordine al fastidio; tali locuzioni vengono usate a secondo il grado del tedio che si prova; la prima, mutuata dall'àmbito culinario, proclama: me staje facenno oppure m’ hê fatto ‘a guallera â pezzaiuola(mi stai facendo oppure mi ài fatto l'ernia alla pizzaiola)pezzaiuola ( e cioè alla maniera del pizzaiolo che in napoletano è pezzaiuolo con derivazione, attraverso i suffissi di pertinenza iuolo/iuola,della voce pizza che etimologicamente qualcuno opta forse per un’origine germ., dal longob. bizzo 'morso, focaccia';altri piú fantasiosamente da un non attestato *apicia (pàtina) preparazione culinaria attribuita (ma non è dato sapere in base a quali risultanze o reperti) al cuoco romano Marco Gavio Apicio( nato intorno al 25 a.C. e morto verso la fine del regno di Tiberio). A mio avviso, essendo la pizza una focaccia, una schiacciata di pasta di farina lievitata, lavorata e spianata, si può quanto alla semantica tranquillamente far riferimento al participio pass. sostantivato pinsa del verbo latino pinsere=pigiare, schiacciare; e morfologicamente partendo da pinsa con un tranquillo, consueto passaggio nel napoletano di ns ad nz (cfr. insalata→’nzalata – insapidu(m)→’nzipeto e successiva assimilazione regressiva nz→zz si può approdare a pizza evitando di scomodare i morsi longobardi o pretese e non comprovate preparazioni culinarie attribuite a Marco Gavio Apicio. Altra locuzione usata è quella che mutuata dal linguaggio del lavoro d'ebanisteria, proclama: me staje scartavetranno 'a guallera ( mi stai levigando l'ernia con la carta vetrata)dove la voce verbale scartavetranno è il gerundio dell’infinito scartavetrà = carteggiare, denominale di carta vetrata con una consueta prostesi di una s intensiva. Infine esisite una locuzione che - mutuata dall'ambito sartoriale - nella sua espressività barocca, se non rococò, afferma: me staje facenno 'a guallera a plissé (mi stai facendo l'ernia pieghettata) quasi che fosse possibile trattare l'ernia come una gonna, pieghettandola longitudinalmente in modo minutissimo; plissé è voce fr. propr. part. pass. di plisser 'pieghettare', deriv. di pli 'piega' ed è entrata tal quale nella parlata napoletana con il medesimo significato di pieghettatura.
In coda ed a margine di tutto quanto detto a proposito di guallera rammento che l’ernia, in napoletano, oltre che guallera à molti altri nomi che connotano quella noiosa affezione, fuoruscita di un viscere o di un organo dalla cavità in cui è normalmente contenuto: ernia addominale, inguinale, ombelicale, del disco; ernia strozzata etc. affezione che in italiano si rende con la sola voce ernia (voce che, etimologicamente, piú che al lat. hira= budella, penso si possa acconciamente collegare al greco ernòs= ramo, pollone in quanto simulante, a prima vista, una sorta di proliferazione o germinazione) addizionata, come visto, con degli specificativi inguinale, scrotale etc., nell’idioma napoletano, ò detto, che quell’affezione è resa invece con numerosissimi sostantivi ad hoc; li illustro qui di sèguito cominciando ovviamente con
1 - guallera/guallara segnatamente ernia scrotale con etimo dall’arabo wadara di identico significato;
2- ‘ntoscia che è propriamente l’ernia addominale con derivazione dal greco enthostídia→(e)nt(h)osci(di)a→’ntoscia= intestini;
3- burzone altra voce usata per indicare l’ernia scrotale o quella ombelicale s. m. accrescitivo (vedi suff. one) di borza derivato del lat. tardo bursa(m), dal gr. byrsa 'pelle, otre di pelle'ed in effetti di per sé la voce a margine indicò dapprima lo scroto ossia la borsa che contiene i testicoli, e solo successivamente un’ernia scrotale ;
4- paposcia voce usata per indicare l’ernia inguinale quel noioso rigonfiamento che talvolta afflige gli anziani inducendoli ad un’andatura circospetta e lenta; la voce a margine è un derivato del lat. parlato *papus (rigonfiamento) addizionato del suff. modale osa femm. di uso;
5- mellunciello letteralmente piccolo melone con il quale torniamo all’ ernia scrotale; la voce a margine è un diminutivo (vedi suffisso ciello) di mellone che è dall’ acc. tardo lat. melone(m), da mílo/onis, forma abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mílopépon -onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépon 'popone; la voce napoletana mellone comporta rispetto all’acc. lat. melone(m);
il raddoppiamento espressivo della liquidaconsonante laterale alveolare;
6 - contrappiso letteralmente contrappeso che è voce (derivata come l’taliano dall’addizione di contra (contro) + (p)piso (peso)) usata per indicare un’ernia inguinale o addominale che insista su di un solo lato del corpo facendo quasi da contrappeso all’opposto lato;
7 - quaglia letteralmente quaglia voce usata indifferentemente per indicare un’ernia addominale, inguinale, o ombelicale, che abbia la tipica forma ad uovo dell’uccello colto nella posizione di riposo con le alucce chiuse e raccolte su se stesso; la voce nap. quaglia è dall'ant. fr. quaille, che è forse dal lat. volg. *coàcula(m), di probabile orig. onomat. se non, piú acconciamente, da un latino parlato *quà(r)uala che richiamava il verso dell’uccello;
8 - zeppula letteralmente zeppola voce che con derivazione dal latino serpula indica innanzi tutto un caratteristico dolce partenopeo, in uso per la festività di san Giuseppe(19 marzo) , di pasta bigné disposta, con un sac a poche, a mo’ di ciambella, poi doppiamente fritta: una prima volta in olio bollente e profondo, una seconda volta, a seguire nello strutto o (meno spesso e meno saporitamente) cotta al forno in un’unica soluzione, spolverata di zucchero e variamente guarnita con crema pasticciera ed amarene candite; il dolce à origini antichissime quando intorno al 500 a.C. si celebravano a Roma le Liberalia, le feste delle divinità dispensatrici del 'vino e del grano nel giorno del 17 marzo. In onore di Sileno, compagno di bagordi e precettore di Bacco, si bevevano fiumi di vino addizionato di miele e spezie e si friggevano profumate frittelle di frumento; le origini del dolce dicevo furono antichissime , anche se pare che la ricetta attuale delle napoletane zeppole di san Giuseppe sia opera di quel tal P. Pintauro che fu anche, come vedemmo alibi, l’ideatore della sfogliatella, e rivisitando le antichissime frittelle romane di semplice fior di frumento, diede vita alle attuali zeppole arricchendo l’impasto di uova, strutto ed aromi varî e procedendo poi ad una doppia frittura prima in olio profondo e poi nello strutto; la tipica forma a ciambella della zeppola rammenta la forma di un serpentello (serpula) quando si attorciglia su se stesso da ciò è probabile sia derivato il nome di zeppola (è normale il passaggio di s a z e l’assimilazione regressiva rp→pp) ; d’altro canto l’esser détto dolce gonfio e paffutello ben può richiamare il rigonfiamento tipico di un’ ernia inguinale, addominale o ombelicale;
e siamo infine a
9 - pallèra voce con la quale si torna ad indicare estensivamente l’ernia scrotale; di per sé infatti la voce pallèra (con etimo da palla che è dal longob. *palla, che à la stessa radice di balla (dal fr. ant. balle, che è dal francone balla sfera) + il suff. di pertinenza era) indica in primis segnatamente lo scroto quale contenitore delle palle( cosí vengon detti in napoletano i testicoli intesi sbrigativamente sferici, anzi che ovoidali ); normale estendere il significato di pallèra da scroto ad ernia scrotale: lo scroto è pur sempre un rigonfiamento tal quale un’ ernia.
Giunti qui consentitemi una curiosità; nella parlata napoletana esiste un vocabolo papuscio di cui la precedente paposcia a tutta prima potrebbe erroneamente sembrare il suo femminile metafonetico; in realtà non vi è alcun nesso, se non una fuorviante assonanza…, tra paposcia e papuscio; la paposcia abbiamo visto cosa è e ne abbiamo indicato l’etimologia; il papuscio invece non indica alcuna affezione; è solo (con derivazione dall’arabo ba- bús- 'copripiedi'ricavato con tutta evidenza dall’indiano pa-push, di identico significato ) è solo il modo napoletano di render l’italiano babbuccia (che è mutuata dal franc. babouche).

-
- Arrassusia
Ad litteram:Lontano sia Non accada mai! Esclamazione accorata che si suole pronunciare spesso accompagnata da un gesto scaramantico, nella temuta evenienza di un pericolo, o - peggio - di un danno.
La locuzione divenuta termine unico in realtà è formata dal vocabolo arrasso (lontano) derivato dall'arabo harasa di identico significato, e dal congiuntivo ottativo sia.
(piglià 'nu) - zzarro id est:errare, prendere un abbaglio,incorrere in un impedimento, inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; zarro dall'arabo zahr (=dado- sasso sporgente).
- vajassa= serva, fantesca; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in italiano: bagascia= meretrice
- ciaraffe dall’arabo giarif (moneta sonante),
cardàscio, agg.vo e sv.vo m.le = amico fedele,fratello con etimo dall’arabo kardasč;

- filusce o filusse o ancora felusse= danaro contante
Sull’origine del termine si è a lungo discusso chiamando in causa volta a volta, ma fantasiosamente, il latino folliculus contenitore dei soldi e per estensione soldi medesimi o ancora piú fantasiosamente il nome dei sovrani spagnoli Filippo I o II o III da cui: Felippo, Felippusse ed infine Filusse. La faccenda è molto piú semplice e seria derivando, a mio avviso, il vocabolo de quo dall’arabo fulus plurale di fals (dal greco phóllis =obolo)nel significato appunto di moneta, danaro; la voce araba invase tutto il bacino mediterraneo al segno che in Calabria, con analogo significato, abbiamo filusu , in Sicilia: filussi, in Toscana: pilosso, in Spagna: felús ed in Portogallo: fuluz;
sanzaro/a s.vo m.le o f.le
di per sé in napoletano, con la voce a margine si intende il sensale, il mediatore, l’intermediario, spec. per la compravendita di immobili o di prodotti agricoli e di bestiame. in senso estensivo chi combina matrimoni; oppure (ancóra in senso estensivo e furbesco)ed è il nostro caso) mezzano, ruffiano. La voce napoletana deriva dall’arabo simsâr→sinsâr→sansâr→sanzaro.

-scerocco = scirocco; tipico vento meridionale, vento caldo proveniente da Sud-Est che proviene dal Sahara e da altre regioni del nord Africa. La voce scerocco deriva dall’arabo shulúq, vento di mezzogiorno.
- zzuccaro= zucchero dall’arabo sukkar,
- carrafe = caraffe, vasi monoansati di vetro o altro materiale, usati solitamente per servire in tavola l’acqua da bere: etimologicamente dall’arabo garafa=vaso per attingere.
- giarre : vasi vitrei bassi e panciuti, provvisti di manico, vasi usati per bere birra o altre bevande fermentate, etimologicamente dall’arabo djarrah attraverso lo spagnolo jarra,
- tazze, tazzine e tazzulelle tutte dall’arabo tas/tasa,
- canacca/ cannacca (dall’arabo hannaqa)= collana vistosa usata da donne del popolo per agghindarsi in maniera eccessiva e ridondante.
- nzacarrone antico e desueto sost. nap.= chiacchierone, ciarlatore da collegarsi all’arabo zacar=racconto, secondo il percorso morfologico zacar+ il suff. accrescitivo one e con protesi di una n eufonica che non necessita perciò d’alcun segno diacritico aferetico non trattandosi di in→’n ma di una semplice consonante eufonica protetica.
- matarazzo sost. masch.= materasso, ma quale voce furbesca, giocosa è usata pure per significare una persona grande, grassa e grossa tale da potersi appaiare iperbolicamente ad un materasso, cioè il rigonfio involucro pieno di lana su cui ci si distende per riposare; la voce è etimologicamente da collegarsi all’arabo matrah con il suffisso estensivo aceus,che in napoletano diventa azzo;
- ciofèca – cefèca sost. femm.= liquido meglio bevanda (vino, caffè ed altro) scadente, di scarto, di pessimo gusto.
la voce è di schietta derivazione araba: šafèq che in arabo indica appunto un liquido, una bevanda corrotta o piú estensivamente tutto il cattivo delle cose, di qualità inferiore, di scarto, di nessun valore ed addirittura uomo di poco conto, donna sgraziata e malvestita. L’ idioma napoletano ed gli altre parlate o dialetti regionali ànno recepito però solo il significato attinente alla qualità di una bevanda.
Ciò chiarito, passiamo a fare un breve elenco degli adattamenti morfologici che – in altri dialetti – à subìto il napoletano ciofèca o cefèca;vediamo: in toscano: ciufeca o anche cipeca, in romanesco: ciufeca, in abbruzzese: cifechë, in calabrese e siciliano:cifeca.
Rammenterò, per amor di completezza che in romanesco (e solo in romanesco )partendo da ciufeca si è coniato l’aggettivo: inciufegato/inciufecato che sta per impiastricciato di sporcizia.
A questo punto devo sottolineare che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, i varî dialetti – con eccezion forse del siciliano e calabrese - ànno mutuato i loro adattamenti dal napoletano e non direttamente dall’arabo, atteso che gli arabi le loro invasioni le operarono principalmente nel sud dello stivale in danno dei regni meridionali ed a Napoli e nel napoletano lasciarono, come stiamo vedendo, numerose testimonianze della loro lingua. - sciòtta (acqua calda e salata) dall’arabo shott= acqua salmastra
- surbetta sost. femm.le = sorbetto, gelato che è da serbet voce arabo-turca.
- tauto/tavuto sost. masch. =bara che è dall’arabo tabut (arca), attraverso lo spagnolo ataúd/ataút;
- cafè= caffè sost. neutro derivato dall’arabo qahuah attraverso il turco qaveh); rammenterò a margine che la parola cafè quando sia preceduta dall’articolo ‘o, in napoletano, per indicare la pianta o la bevanda va rigorosamente scritta con la geminazione iniziale della c e dunque: ‘o ccafè; scritto con una sola c: ‘o cafè, indicherebbe il luogo, la mescita dove viene venduto e servita la bevanda di caffè).
- patacca sost. femm.le = è una falsa moneta antica di grosse dimensioni il cui nome è derivato dall’arabo bataqa attraverso lo spagnolo pataca.
- tammorra sost. femm.le = grosso tamburo usato nelle danze popolari è voce derivata dall’arabo: tambur attraverso un cambio di genere,(attesa la piú ampia (rispetto al tamburo) forma dello strumento, forma piú ampia intesa perciò femminile come avviene ad es. per cucchiaro piú piccolo e perciò maschile e cucchiara più grossa e perciò femminile, per tino piú piccolo e perciò maschile e tina più grossa e perciò femminile, carretto piú piccolo e perciò maschile e carretta piú grossa e perciò femminile etc. fanno eccezione tiano che è piú grosso, ma maschile rispetto a tiana che è piú piccola e stranamente femminile; fa altresí eccezione caccavo che è piú grosso, ma maschile rispetto a caccavella che è piú piccola e femminile), assimilazione regressiva della b alla m assimilazione che è tipica della parlata napoletana.
Va da sé che il tammurriello = piccolo tamburo abbia il medesimo etimo di tammurro/tammorra di cui è diminutivo con naturale cambio di genere dall’ampio femminile al piú contenuto maschile;
- bardascia sost. femm.le usato per indicare una giovane donna, ragazza e spesso lo si poteva incontrare nel simpatico diminutivo – vezzeggiativo bardascella.L’ etimologia di bardascia è originariamente dal persiano bardal attraverso l’ arabo: bardağ che è propriamente la prigioniera, la schiava giovane ed estensivamente la ragazza cosí come nel napoletano.
- mammalucco: sostantivo masch. usato per indicare lo stupido patentato, lo sciocco impenitente, dall’aria frastornata détto pure cannapierto; etimologicamente questo mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato prigioniero.
- sciabbecco: sostantivo masch. usato per indicare precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione; in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk) indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza – facilmente preda dei venti e dei marosi; la voce a margine non va confuso con la successiva che è
- sciabbàcco s.vo m.le in primis vale: fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto e poi per estensione e/o traslato lamento, lamentela, reclamo, protesta, querela, piagnisteo (che non possono mancare in una baraonda);etimologicamente è voce dall’arabo šábak= trambusto.


- sciaveca sost. femm.le = sciabica, indica la grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dinto a ll’acqua id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia abbastanza remunerativo.
Etimologicamente la parola sciaveca attraverso lo spagnolo xabeca cosí come la toscana sciabica deriva dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga.
Rammenbto altresí la voce sciavechiello derivato di sciaveca con consueto passaggio al maschile in quanto oggetto notevolmente piú piccolo della femminile sciaveca.
Lo sciavechiello è invatti una piccola contenuta rete a rastrello, munito di alto manico di legno usata sulla battigia per pescare arselle e/o telline, spingendo in avanti il rastrello munito di retino nel quale far transitare la sabbia bagnata in cui di annidano arsellee/o telline; talvolta il pescatore inverte il senso di marcia ed invece di spingerlo, trascina lo sciavechiello; in tal caso si dice che à avutato ‘o sciavechiello espressione che in senso traslato vale: à girato le spalle disinteressandosi di qualcosa.
- catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in napoletano, con derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV sec. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me che divenne na per render femminile la parola originariamente maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; difficile stabilire i motivi di tale adattamento corruttivo di me in na: probabilmente si rese necessario atteso che si durava fatica a volgere al femminile un nome terminante in me facendolo diventare un ovvio ma, tuttavia spesso, per errore, parole terminanti in me passando al femminile non mutavano desinenza; fu forse necessario perciò cambiar questa in na (desinenza che non ingenera confusione)!) si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni;
- azzeccà verbo che come significato primo à: colpire nel segno, centrare, indovinare (ed in tal senso è forse dal tedesco zeken= menare un colpo), ma quando signica unire strettamente, incollare, attaccare in questa accezione reputo sia da collegarsi all’arabo zêg).
- canzirro = mulo, bardotto; il sost. masch. napoletano canzirro à un etimo dal greco kanthélios, incrociato con l’arabo hinzir;
- mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi peto o petro e per indicare il medesimo ortaggio s’ebbe petonciano o petronciano.
Altre volte la voce melanzana fu ritenuta, ma impropriamente, derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia.
- burraccia/vurraccia =borraggine o borragine derivata per l’italiano dal lat. mediev. borragine(m), mentre il napoletano, con tipica alternanza partenopea b/v è dritto per dritto dall’arabo abu rach=burraccia con tipico raddoppiamento interno popolare della r e della c e deglutinazione della a iniziale intesa articolo: aburach= ‘a burraccia; di per sé abu rachc significa "padre del sudore" forse per la particolare attività di questo vegetale che è sudorifero); la borraggine o borragine è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente vegetali, di frittelle etc. ;
-rummano = romano cioè il peso della stadera (dall'ar. rumman, propr. 'melagrana', per la forma del peso simile a quella della melagrana.
-sciorba/ sciorbacca deriva , nel significato di zuppa/zuppaccia , dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto trattasi di zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso;
- sciarra sost. femm.le = lite, bisticcio, ma non violento, particolarmente quello fra innamorati (cfr. l’espressione ànno fatto sciarra= ànno litigato, ma son pronti a riappacificarsi) voce che è dall’ arabo šarr= disputa.
tàmmaro agg.vo e s.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile tàmmara; è un antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino e pure per ampiamento semantico sbirro; oggi è parola ancóra viva nel linguaggio popolare e vale ( epperò ormai solo come aggettivo) rozzo, volgare, ignorante , zotico e scostante; quanto all’etimo è parola derivata dall’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri; la voce napoletana è stata altresí influenzata dall’ omonimo ebraico tammar = pianta da datteri; semanticamente l’accostamento tra l’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri e la voce napoletana tàmmaro è da ricercarsi nel fatto che nell’inteso comune il colono, il contadino e pure lo sbirro oltre che il mercante sono individui carenti di educazione e buone maniere e dunque rozzi, volgari, ignoranti, zotici e scostanti;
varda s.f. = basto, soma da asino o mulo che è dall’arabo barda con consueto adattamento partenopeo della labiale esplosiva b che diventa v (cfr. bocca→vocca – barca→varca – bacile→vacile etc.).
vurraccia = borraggine o borragine ( voce di prob. di origine araba da (a)bu rach che significa "padre del sudore" forse per la sua particolare attività sudorifera),altri optano per una derivazione dal fr. borrache;ò or ora détto che la voce napoletana à un etimo o arabo o francese, anche se pare (terza ipotesi) che non gli sia estranea la voce catalana borracha che indica sia la verdura che una fiasca da viaggio (l’italiana borraccia) tipica per la voce napoletana l’alternanza b→v ed il passaggio della o atona → u; allo stato delle cose, propendo per l’etimo arabo che penso abbia potuto influenzare sia il francese che il catalano ); la voce borraggine o borragine è invece derivata dal lat. mediev. borragine(m), con tipica alternanza partenopea b/v) è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente vegetali ;
scialare nel napoletano è verbo intransitivo dal notevole ventaglio di significati: godersi la vita o particolari occasioni, con riguardo all’abbondanza del cibo o d’ altro , vivere nell’abbondanza, spendere allegramente senza parsimonia, vivere negli agi, nel lusso; etc.; nell’italiano dove è pervenuto dal napoletano è verbo transitivo non comune e vale: scialacquare, dissipare: scialare un patrimonio, una fortuna | (in usi assoluti cosí come nel napoletano) vivere negli agi, nel lusso; spendere con larghezza, senza parsimonia: una famiglia abituata a scialare; c'è poco da scialare!, occorre fare economia, non c'è troppa abbondanza! Etimologicamente il verbo napoletano trae dall’arabo scialach ( esser felice, esser fortunato, esser opulento, godersi la vita o particolari occasioni) quantunque altri ipotizzino un lat. *exhalare che però piú pertinentemente diede esalare.
Dal medesimo verbo scialare (e dunque ugualmente dall’arabo scialach) traggono quali deverbali molti sostantivi e/o aggettivi presenti nel napoletano e talora anche nell’italiano, quali:
scialo – scialicco - scialamiento s.vi m.li = spreco, sperpero, lusso smodato;
scialuso/scialosa agg.vo m.le o f.le = prodigo/a, sprecone/sprecona etc.
scialacquone/a agg.vo m.le o f.le = scialacquatore/trice, spendaccione/a
scialapòpolo s.vo m.le = sprecone, sperperatore.
scialò s.vo m.le = sciattone, sciamannato,
scialacore s.vo m.le presente, quasi ampliamento di scialo solo nel napoletano:godimento, piacere gradito,goduria, sollazzo soprattutto con riferimento al bere e mangiare; a scialacore locuzione avverbiale = con godimento, dilettevolmente, abbondantemente;
zaganadall’arabo zahara ( chiaro,splendente) poi che in origine la zàgana (nastro, fettuccia esclusivamente bianco).
E qui mi fermo, ripromettendomi di ampliare l’elenco, quando e se dovessi trovare altre voci pervenute nel napoletano con provenienza dall’arabo.
raffaele bracale

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