1.  Jí truvanno Cristo ‘int’ ê lupine  o meglio Jí truvanno Cristo dinto a la pina
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini  o meglio  Andar cercando Cristo  nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca  di una cosa difficile da trovarsi  o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte,  non metterebbe conto il mettersene alla ricerca.
Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della seconda  che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione, quella consigliata, si può intendere a pieno la valenza delle espressioni,  valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento  ad  incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú corretta la seconda, quella che   fa riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un ciuffetto di cinque peli comunemente detto: manina di Cristo e la locuzione richiama la ricerca di detta manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente: infatti  occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne  i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè  di Cristo; spesso capita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta va sprecata e si rivela inutile. Qualche altro scrittore di cose napoletane  nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata  leggenda  che vede stranamente la Vergine Maria  non esser misericordiosa con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta, mentre non v’è  anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
2.  Jí truvanno chi ll’accide  nell’espressione: va truvanno chi ll’accide
Ad  litteram: andare in cerca di chi l’uccide nell’espressione va in cerca di chi l’uccide
espressione usata  per commentare le antipatiche  azioni del provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi.
3.  Jí truvanno guaje cu ‘a lanternella
Ad  litteram: andare in cerca di guai  con un lanternino detto di chi  per sua natura  e non per sopraggiunte casualità, si va cacciando di proposito  nei guai, quasi andandone  alla ricerca con una lanterna per meglio trovarli.
4.  Jí pe fiche e truvà cetróle
Ad  litteram: andare in cerca di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata  simile a quella ricordata al num. 361 atteso che  il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico.
5.  Jí ô bbattesemo senza ‘o criaturo
Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da battezzare)  locuzione usata  per bollare situazioni  macroscopicamenti carenti degli elementi essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti  si accingono ad operazioni  destinate a fallire perché prive  del necessario sostrato  dimenticato per distrazione  o non conferito per disattenzione.
6.  Jí a ppuorto (o a Puortece) pe ‘na rapesta.
Ad litteram: recarsi al porto (oppure a Portici) per (acquistare) una rapa. Id est: impegnarsi  eccessivamente, affaticarsi oltremodo per raggiungere un risultato modesto o meschino come sarebbe il recarsi al mercato ortofrutticolo all’ingrosso un tempo ubicato nei pressi  del porto oppure recarsi   addirittura  a Portici, piccolo comune agricolo  nei pressi di Napoli, per acquistare una sola, insignificante rapa.
7.  Jí dint’ a ll’ossa.
Ad litteram: andare nelle ossa  detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi  assaporarne i benefici fin nelle ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano fisico , potendosi usare anche o spesso  con riferimenti morali.
8.  Jí ‘nfreva
Ad litteram: andare in febbre  id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti  da destare agitazione, foriera di febbre.
9.  Jí mettenno ‘a fune ‘e notte
Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte.  Locuzione che si usa pronunciare risentitamente,  in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domanda retorica:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?)per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste  di carattere economico; a mo’ d’esempio  quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui  nel negargli il richiesto usa  a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare:  essendo una persona  onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ho i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue richieste; perciò règolati e mòderale !
10.  Jí truvanno ova ‘e lupo e piettene ‘e quinnece.
Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare alla ricerca di uova di lupo  che è un animale viviparo  o cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai piú di  tredici.
11.  Jí truvanno scescé
Espressione intraducibile ad litteram  con la quale si identifica  chi, in ogni occasioni cerchi cavilli, pretesti, adducendo scuse  per non operare come dovrebbe o  facendo le viste di non comprendere,  per esimersi; talvolta  chi si comporta come nella locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara corruzione del francese chercher (cercare) Probabilmente, durante la dominazione murattiana, se non in quella angioina, un milite francese  si fermò a chiedere una informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usò una frase contenente l’infinito: chercher”
Il popolano che non conosceva la lingua francese  fraintese lo chercher, che gli giunse all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé).
12.  Ll’urdemu lampione ‘e Forerotta.
ad litteram:l’ ultimo lampione di Fuorigrotta  id est: essere l’ultimo, inutile, insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione  si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i lampioni  dell’illuminazione stradale erano numerati  ed accesi a sera progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di  essi lampioni contrassegnato con il num. 6666 era ubicato nella periferica zona occidentale  della città  nel quartiere detto di Fuorigrotta  ed era l’ultimo ad essere acceso , quando già le prime luci del giorno  ne  sminuivano l’utilità;alla luce di quanto detto  si comprende che  è solo un  divertente, ma incoferente  esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num. 6  che nella smorfia indica tra l’altro lo sciocco, il lampione  contrassegnato 6666  possa indicare un gran babbeo.
13.  Ll’ommo ‘ncopp’â salèra
Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco  di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati  a quella statuina posta  come impugnatura  alla sommità dei coperchi delle saliere di terracotta, statuina che  riproduceva le sembianze di un tal Tom Pouce nanetto inglese che  intorno al 1860 si esibí a Napoli in uno spettacolo di circo equestre.
14.  Lloco te voglio, zuoppo, a ‘sta sagliuta
Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita (vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si parrà la tua nobilitate e che viene usata  nei confronti  di tutti i saccenti, supponenti millantatori  che certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando  non saranno sufficienti per raggiungere un risultato  le parole di cui i millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i fatti  che i soliti millantatori sono incapaci di produrre. 
15.  Levammo ‘accasione
Ad litteram: Togliamo l’occasione  id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di non favorire  la maldestra  commistione di terzi, in faccende  che non dovrebbero riguardarli.
16.  Levammo ‘a taverna ‘a nannte a Carnevale.
Ad litteram: Togliamo la taverna  di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici eccessi  alimentari  che si potrebbero produrre se non si procedesse ad eliminare eventuali occasioni  scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata in tutte le case  dove, preparata una buona torta, si correva il rischio che i bambini  ne mangiassero continuatamente fino, forse ad incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni  un adulto, provvedendo a metter la torta fuori della portata dei  ragazzi , si esprimeva con la locuzione in epigrafe.
17.  Levàte ‘o bbrito.
Ad litteram: Togliete il vetro  id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e  lavassero i bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere  che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi.
18.  Levà ‘a frasca ‘a miezo
Ad litteram: togliere la frasca di mezzo; id est: cessare definitivamente un’ attività, togliersi di mezzo, sbaraccare; la locuzione richiama  ciò che facevano gli antichi osti - con mescita  specialmente in strade di campagna - i quali al momento della cessazione  anche solo stagionale della propria attività solevano staccare  dall’architrave della porta dell’osteria il telaio ligneo ricoperto di frasche che vi avevano apposto all’inizio della stagione per segnalare che in quella osteria era giunto il vino nuovo. A Napoli vi fu una strada un tempo periferica che proprio per la presenza di numerose osterie  che inalberavano le frasche fu detta  ‘a ‘Nfrascata; attualmente la strada  è intitolata al poeta pittore Salvator Rosa ((Napoli, 21 o 22 luglio 1615 – † Roma, 15 dicembre 1673)
19.  Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna.
Ad litteram: Lillo, Lélla  al piede di sant’Anna.id est: prostrati ai piedi di Sant’Anna. Cosí con l’espressione in epigrafe vengono indicate tutte le coppie di coniugi    anziani  in ispecie quelli che si recano  insieme a quotidiane funzioni religiose  o anche quelle coppie di anziani  che non ricevono mai visite di parenti od amici  e si devono contentare della reciproca compagnia; la locuzione rammenta una coppia di attempati coniugi  realmente esistiti e dimoranti in quella strada detta ‘a ‘nfrascata, coniugi che non  si volevano rassegnare alla mancanza di figli e solevano recarsi in una cappella privata  della zona a prostarsi davanti all’effige di sant’Anna per impetrare la grazia di un erede,che ovviamente (data la tarda età) non ebbero  e restarono ugualmente soli.
L’espressione in epigrafe nacque in origine come Lillo, Lélla e ‘o  pere ‘e sant’ Anna con riferimento ad un’abitudine invalsa nel popolino di recarsi a venerare una presunta reliquia di Sant’ANNA (un piede!) conservato nella cappella della propria abitazione napoletana  dal conte Giovan Battista di Tocco di Montemiletto abitazione ubicata appunto alla confluenza piú alta della strada detta ‘a ‘nfrascata,   , discendente del capostipite Guglielmo di Tocco che s’ebbe il titolo di conte di Montemiletto (Av) al tempo degli Angioini sotto Carlo III Durazzo. L’incredibile reliquia (oggetto della venerazione di creduli fedeli) era esposta dal conte  in occasione della ricorrenza di sant’Anna (26 luglio) sull’altarino della propria  cappella, conservata in una preziosa teca di cristallo tempestata di gemme preziose, ma a mio avviso – probabilmente si trattava – come è lecito supporre! -  solo di un reperto artistico ligneo e/o di cartapesta che in quell’ epoca (fine ‘500 principio ‘600) di smaccata  credulità popolare era stata accreditata come autentica reliquia ; questo piede di sant’Anna faceva il paio con altra presunta reliquia (il bastone di san Giuseppe) protagonista d’un’altra espressione che suona Sfruculià 'a mazzarella 'e san Giuseppe
Ad litteram: sbreccare il bastoncino  di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo  con continuità asfissiante.
La locuzione  si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento,  sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia  di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi, come appartenuto al santo padre putativo di Gesú. Il settecentesco tenore  espose nel suo palazzo il bastone e vi pose a guardia un suo servitore con il compito di rammentare ai visitatori di non  sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecole)  della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià.
Normalmente, a mo' di ammonimento,  la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON.
Torniamo alla locuzione di partenza  per la quale si può ipotizzare  che correttamente l’originario Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna (Lillo, Lélla e il piede di  sant’ Anna) sia stato trasformato in e debba leggersi come Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna. (Lillo, Lélla al piede di sant’ Anna id est: Lillo, Lélla(prostrati) ai piedi di sant’Anna) quando ci si rese conto che il piede oggetto di venerazione non era una reliquia del corpo di sant’Anna, ma solo un pregevole (?) manufatto.
 
20.  Levarse ‘a miez’ê bbotte
Ad litteram: togliersi di mezzo ai botti. Defilarsi, sottrarsi da rischi e pericoli e farlo vilmente  magari a danno altrui. Da notare che con la voce bbotte a margine non si intendono le percosse, ma i fuochi artificiali.
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