TRUFFA, RAGGIRO, FREGATURA & dintorni
Lo spunto per queste paginette mi fu dato l’altro giorno dall’assistere alla proiezione televisiva d’un famosissimo film del principe della risata Totò (Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis, in arte Totò (Napoli, 15 febbraio 1898 –† Roma, 15 aprile 1967),). L’esilarante pellicola, incentrata sul racconto dei numerosi, continuati imbrogli e raggiri messi in atto, per sopravvivere, da una coppia di lestofanti (lo stesso Totò ed il compare impersonato da Nino Taranto (Napoli, 28 agosto 1907 – †Napoli, 23 febbraio 1986) aveva per titolo Totò truffa ’62 e l’amico N.C. (i consueti problemi di privatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome), con cui assistevo alla proiezione mi chiese quali fossero i sinonimi in italiano del s.vo truffa ed i corrispondenti del napoletano; glieli elencai rapidamente e qui li illustro piú diffusamente; in italiano abbiamo dunque:
truffa, s.vo f.le
1 (dir.) il reato commesso da chi ricava illecito profitto a danno di altri avendoli indotti in errore con artifici e raggiri: commettere una truffa; essere vittima di una truffa
2 (estens.) frode, inganno, imbroglio | legge, decreto truffa, nel linguaggio giornalistico, legge, decreto il cui vero fine sia diverso da quello dichiarato e si risolva a danno della collettività.
Etimologicamente dal provenz. ant. trufa, che è dal lat. tardo tufera, propr. 'tartufo', poi 'inganno';
raggiro, s.vo m.le
– L’azione o l’effetto del raggirare, sempre in senso fig., quindi imbroglio, inganno fatto per mezzo di parole tortuose e promesse allettanti o di altri mezzi idonei a sorprendere l’altrui buonafede: è riuscito a farsi strada a forza di raggiri; mise in campo tutti i più sottili r.; è un infame r.; adoperò raggiri e violenze. In diritto penale, il raggiro può essere elemento costitutivo del reato di truffa. Etimologicamente deverbale di raggirare = trarre qualcuno in inganno; abbindolare, truffare: farsi, lasciarsi raggirare;
aggirarsi, girare intorno; (fig.) vertere, incentrarsi; raggirare deriva da aggirare con protesi di un r(i) iterativo;
fregatura, s.vo f.le
1 (pop.) inganno, truffa, imbroglio: dare una fregatura, imbrogliare; prendere una fregatura, essere imbrogliato | cosa scadente, deludente: quel film è una fregatura
2 (non com.) il fregare un oggetto contro un altro; il segno che ne rimane. Etimologicamente deverbale di fregare (dal lat. fricare) fregare = 1. a. Passare piú volte la mano o un oggetto condotto dalla mano sulla superficie d’un corpo, premendo con piú o meno forza: f. il pavimento con la spazzola; fregarsi gli occhi (per cacciare il sonno, o per accertarsi di essere bene sveglio, di vederci bene, davanti a cosa che susciti meraviglia o incredulità); fregarsi le mani, una contro l’altra, per scaldarsele o per mostrare soddisfazione (è anche espressione metaforica per indicare uno stato di contentezza, di soddisfazione e sim.). b. Strisciare sfregando: E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito (Dante); animali che avanzano fregando il ventre al suolo; f. il gesso sulla lavagna; f. ... 2. (non com.) segnare, cancellare con uno o piú freghi
3. (pop.ed è il ns. caso) ingannare, truffare; rovinare, danneggiare: restare fregato; farsi fregare' bocciare a un esame, a un concorso | vincere, superare, spec. con l'astuzia, ma anche con l'inganno e con la frode: fregare un avversario, un concorrente | rubare: mi hanno fregato la moto; un oggetto fregato
4 (volg.) possedere sessualmente; fottere | (assol.) avere un rapporto sessuale ||| fregarsi v. intr. pron. (pop.) non preoccuparsi, disinteressarsi, infischiarsi (usato esclusivamente nella forma fregarsene): fregarsene di qualcuno, di qualcosa | in espressioni di tono volgare: chi se ne frega?; frégatene!.
Imbroglio s.vo m.le
1 groviglio, intrico: un imbroglio di fili
2 (fig.) faccenda, situazione intricata, confusa: cacciarsi in un imbroglio; tirarsi fuori da un imbroglio. DIM. imbroglietto, imbrogliuccio PEGG. imbrogliaccio
3 (fig. ed è il ns. caso ) espediente inteso a trarre in inganno, a modificare illecitamente la situazione a proprio vantaggio: questo affare nasconde un imbroglio
4 (mar.) ciascuno dei cavetti applicati a una vela per poterla serrare
5 (mus.) intreccio di parti vocali o strumentali con sovrapposizione di ritmi diversi; è frequente nelle opere buffe o di carattere giocoso.
Etimologicamente deverbale di imbrogliare : ingannare, confondere,avviluppare per modo che l’ingannato, il confuso, l’avviluppato è quasi impossibilitato a venir fuori dalla situazione fonte del suo inviluppo; etimologicamente con ogni probabilità il verbo italiano imbrogliare è un adattamento del corrspondente napoletano ‘mbruglià che, a sua volta è da un imbogliare→’mbogliare (con successiva epentesi di una erre eufonica)derivato da un in illativo + bollire nel senso di confondere (ciò che bolle si mescola talmente che si fonde con e cioè confonde; ma per completezza vedi oltre sub ‘mbroglia.
A questo punto esaurite le voci dell’italiano passiamo alle numerose voci napoletane:
bidone s.vo m.le
1 in primis grosso recipiente di lamiera o di plastica, di forma generalmente cilindrica o parallelepipeda: i bidoni del latte; i bidoni della spazzatura; semilavorato d'acciaio a sezione rettangolare, largo 15-30 cm, alto 1-3 cm e lungo 4-10 m, da cui per successiva laminazione si ricavano lamiere sottili.
2 (fig. fam.ed è il caso che ci occupa ) imbroglio, truffa: fare, prendersi un bidone | appuntamento andato a vuoto | acquisto incauto, sbagliato
3 (fam.) apparecchiatura, macchina che non funziona o funziona male | atleta di scarsa abilità o che si rivela inferiore alle attese; etimologicamente è voce derivata dal fr. bidon
frabbuttaria, s.vo f.le
1 in primis: malizia, doppiezza, cattiveria, comportamento da farabutto e quindi
2 slealtà, grave mascalzonata, inganno spregevole, truffa ignobile; etimologicamente è voce denominale di frabbutto= canaglia, briccone, furfante; a sua volta frabbutto (dal quale, rammento per incidens, è stato recuperato l’italiano farabutto) è dal ted. Freibeuter 'predone' ' filibustiere', che è dall'ol. vrijbuiter, comp. di vrij 'libero' e buit 'bottino';
mattunella,s.vo f.le
letteralmente:
1mattonella, piastrella quadrata, rettangolare o esagonale, di cemento, graniglia o ceramica, usata per rivestimenti e pavimentazioni edilizie, laterizio o conglomerato di forma varia per pavimentazioni e rivestimenti
2 denominazione generica di oggetti che ànno una forma simile a una mattonella: mattonella di carbone, di gelato
3 sponda del tavolo da biliardo.; etimologicamente è un denominale di mattone,che si ritiene marcato sul lat. maltha, gr. μάλϑα o μάλϑη.
4 sotterfugio, trabocchetto, tranello, trappola, imbroglio, truffa, frode
È esattamente dalla accezione sub 3 che deriva semanticamente il significato sub 4. Per apprezzare tale passaggio occorre far riferimento ad un’icastica espressione partenopea che suona: Fà ‘a mattunella che ad litteram è fare la sponda, fare la mattonella Lo si dice di chi, nei rapporti interpersonali si comporti ingannevolmente, ipocritamente come ad es. di chi faccia le viste di augurarti il bene, mentre in cuor suo abbia tutt’altra intenzione. La locuzione è mutuata dal giuco del biliardo dove il giocatore pur cercando la buca, mira la sponda detta in gergo mattunella e vi scaglia la biglia contro.Chi fa la mattonella trae in inganno, imbroglia, tende un tranello;
‘mbroglia, s.vo f.le
1 grossogroviglio, intrico:’na ‘mbroglia ‘e file( un imbroglio di fili )
2 (fig.) faccenda, situazione intricata,grandemente confusa: ‘nfilarse dinto a ‘na ‘mbroglia (cacciarsi in un imbroglio);
3 (fig.ed è il ns. caso ) importante, grosso, ignobile espediente inteso a trarre in inganno, a modificare illecitamente la situazione a proprio vantaggio: st’affare annasconne ‘na ‘mbroglia(questo affare nasconde un imbroglio); ‘mbròglia è altresí una fantasticheria intrisa di parole eccedenti, un pretesto lungamente... diluito di chiacchiere tendenti al raggiro ed è quanto all’etimo un deverbale di ‘mbruglià= imbrogliare che a sua volta è dal fr. ant. brouiller 'mescolare, confondere', deriv. di brou 'brodo' e semanticamente si spiega essendo – come ò detto – la ‘mbroglia null’altro che una sequela di parole eccedenti, un pretesto di chiacchiere diluite tali quale un brodo.
In coda a tale voce faccio notare che dal medesimo verbo ‘mbruglià→imbrogliare l’italiano trasse il s.vo m.le imbroglio che nel napoletano è s.vo f.le (‘mbroglia) secondo il noto principio che già illustrai alibi che nel napoletano un oggetto o qualsiasi altro è inteso, se maschile, piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; se ne ricava che la ‘mbroglia napoletana è pensata piú grave o grossa dell’imbroglio dell’italiano;
pagliettaría s.vo f.le voce di quasi esclusivo àmbito forense è infatti precisamente il cavillo, l’ espediente dialettico, la trovata quasi sempre truffaldina, ma ingegnosa, azioni che di per sé son tutte riconducibili al modo di agire dei cosiddetti
paglietta s.vo m.le e solo m.le voce singolare maschile che indica un avvocatucolo,un leguleio cavilloso, ma inesperto e spesso truffaldino; letteralmente la voce a margine parrebbe essere un diminutivo vezzeggiativo di paglia e come tale femminile, mentre in realtà è – come ò detto- voce singolare maschile (‘o paglietta) nei significati detti ed è voce che al plurale va scritta correttamente ‘e pagliette, mentre scritta con la geminazione iniziale: ‘e ppagliette torna ad esser femminile indicando i tipici cappelli di paglia, solitamente usati dagli uomini) e va letta con la geminazione iniziale della p; scritta però, come ò detto, con la iniziale p scempia: ‘e pagliette, la medesima voce plurale di paglietta è maschile e per chiaro traslato o sineddoche indica appunto avvocatucoli, legulei cavillosi, ma inesperti quegli stessi cioè che ad inizio del 1900 usavano indossare a mo’ di divisa comune una paglietta (cappello di paglia (donde il nome, partendo da un lat. palea(m)) da uomo, con cupolino alto, in foggia di tamburo, bordato di nastro di seta, ampia e piatta tesa rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti gli altri uomini che erano soliti indossare, in ispecie nella bella stagione, pagliette di color chiaro; e con questa spiegazione penso d’aver fatto giustizia sommaria del parere di qualcuno (ma non ne ricordo il nome…né meriterebbe d’esser rammentato ) che fantasiosamente fa risalire il termine paglietta inteso, come riportato, quale avvocatucolo, leguleio cavilloso, ma inesperto e truffaldino all’ampia gorgiera rigida indossata sulle toghe dagli avvocati d’antan; ora atteso che la gorgiera fu colletto plissettato ed inamidato indossato da talune categorie di notabili in epoca cinquecentesca e seicentesca,e poi definitivamente dismesso, mentre il tipo paglietta inteso avvocatucolo etc. è figura del tardo ‘800 – principî ‘900, non vedo dove (se non presso un costumista tearale) un avvocatucolo del tardo ‘800 o dei primi del ‘900 avrebbe potuto reperire una gorgiera inamidata e plissettata da indossare sulla toga...
da paglietta con aggiunta del suffisso di pertinenza ria si è giunto a pagliettaría voce che per sua fortuna è rimasta nell’àmbito della parlata napoletana e non è pervenuto in quello della lingua italiana dove è pur presente la voce paglietta nel significato di avvocatucolo etc.; ò detto per sua fortuna poi che se la voce pagliettaría fosse approdata nel dialetto di alighieri dante sarebbe stata certamente stravolta in pagliettería= azione o comportamento da paglietta subendo lo stesso trattamento della voce partenopea fessaría che pervenuta nell’italiano divenne fessería assumendo una inesatta e chiusa e non etimologica al posto della esatta aperta a forse nella sciocca convinzione che una vocale chiusa fosse piú consona di una aperta alla eleganza (?) della lingua nazionale;
paraustiello s.v. m.le vedi oltre in coda sub trastula;
perraría,s.vo f.le
letteralmente comportamento da pérro (cane furente; cfr. sp. perro); poi
1 atto crudele,cattiveria, malvagità;
2 inganno inumano, malvagio, efferato, sadico, etimologicamente dallo sp perrería= mascalzonata;
scartiloffio/a, s.vo m.le o f.le
Ci troviamo questa volta a parlare di due parole, l’una maschile, l’altra femminile, che fan parte del fiorito ed icastico linguaggio partenopeo, ambedue nell’originario significato di atto, manovra truffaldini tesi a raggiunger lo scopo di affibbiare, per solito a stranieri, carta straccia in luogo di buona carta mnoneta; estensivamente poi ogni atto o manovra truffaldini operati in danno di sprovveduti, disattenti, incolti, creduloni che facilmente si lasciano raggirare ed imbrogliare.
Storicamente le voci in epigrafe nacquero tra il finire del 1700 ed i principi del 1800 a Napoli, al tempo delle frequentazioni di viaggiatori stranieri che accorrevano a visitare le città centro meridionali e nacquero nell’àmbito della camorra (setta di malviventi che uniti in consorteria tentano di procacciar con ogni mezzo lecito, ma piú spesso illecito, guadagni e benefici ai propri membri; etimologicamente camorra è corruzione ed adattamento del termine spagnolo gamurra che, a sua volta è da chamarra = abito di foggia iberica preferito dalla peggior risma di lazzaroni partenopei) che, per il tramite di suoi adepti, gestiva a suo pro quell’antico fenomeno turistico; non è che il trascorrer del tempo abbia fatto cambiar molto le cose; attualmente a Napoli, ma ugualmente in altre città centro-meridionali le vittime preferite degli scartiloffisti che sono ovviamente coloro che praticano lo scartiloffio, sono pur sempre i turisti o i derelitti cafoni e/o pacchiani, cioè gli sprovveduti provinciali che giungono in città divenendo, a loro malgrado, súbito preda di furbi lestofanti truffatori che li raggirano ed imbrogliano; e ciò avviene non perché i cittadini stanziali siano piú furbi o svelti dei cafoni o dei pacchiani, ma solo perché i cittadini ben conoscono di che infidi panni vestono i truffatori che si aggirano per piazze, vicoli e stazioni della città ed accuratamente tentano di evitarli e tenersene lontani.
Torniamo alle parole a margine e vediamone un po’ l’etimologia, per la ricerca della quale non bisogna mai dimenticare il significato originario di scartiloffio/a che è la truffa tesa ad appioppar carta straccia in luogo di buona cartamoneta; ordunque:
Scartiloffio/a addizione del sostantivo scartoffia con l’aggettivo loffio/a;
Scartoffia : voce gergale forse nordica, per indicare una carta da giuoco senza valore, una cartina;
Loffio/a: letteralmente frollo, cascante, molle e quindi scadente, inutile; etimologicamente da un ant. tedesco: slapf→slaf, ma non gli sarebbe estraneo il latino labi da cui il toscano labile =inconsistente.
Si comprende facilmente che una scartoffia che sia anche loffia rappresenti quanto di peggio possa capitare ad un povero turista o ad un provinciale che approdi o giunga nella nostra città o in cento altre città d’arte del centro-meridione; rammenterò – per chiudere in … allegria - l’incipit del film Guardie e ladri in cui lo scartiloffista Totò (ecco che torna il principe del sorriso…) si dedicava ad una particolare forma di scartiloffio: l’appioppare ad un credulo turista americano una grossa patacca che è una ovviamente falsa moneta antica di grosse dimensioni il cui nome è dall’arabo bataqa attraverso lo spagnolo pataca.
traniello s.vo m.le
insidia, trappola per trarre in inganno o indurre in errore;
etimologicamente deverbale di tranare, variante ant. di trainare (dal lat. volg. *traginare, deriv. di *tragere, per il class. trahere 'trarre')propr. 'trascinare in un'insidia'; in coda all’elencazione dei termini napoletani che rendono l’italiani truffa, raggiro, fregatura etc. ne considero altri due vocaboli che pur sostanziando un raggiro o una fregatura, mancano del cattivo intendimento di ricavare illeciti profitti in danno di altri avendoli indotti in errore con artifici e raggiri; si tratta infatti di due vocaboli d’àmbito artistico e segnatamente teatrale e si riferiscono ambedue alle innocenti gherminelle usate da attori e saltimbanchi per divertire il pubblico degli ingenui, candidi spettatori con i loro spettacoli farciti di trucchi e giuochi di mano; i vocaboli sono:
jacuvella,s,vo f.le
termine antichissimo, presente fin dal sec. XIV e ss., già preso in esame e contenuto nell’ Elenco di parole napoletane (primo modesto tentativo di dar vita ad un vocabolario della lingua napoletana), elenco che Colantonio Stigliola (1548 -1623) mise in appendice alla sua versione in lingua napoletana dell’ Eneide.
Pur essendo antichissimo, il termine non è però desueto ed ancora vive nell’uso quotidiano in tutta l’area linguistica campana, radicato principalmente sia nell’ alta Irpinia che nel napoletano. Amplissimo il ventaglio dei significati che partendo dal comportamento superficiale, cosa poco seria,modo di agire che genera confusione, inconcludenti tira e molla, giungono all’ intrigo, pretesto, banale astuzia, sotterfugio teso a perder tempo, a giocherellare, a cincischiare, nel tentativo di defilarsi per non compiere qualcosa di molto piú serio; anticamente il vocabolo che sto esaminando fu usato anche per indicare dispettucci da innamorati, vezzi, moine, tenerezze da innamorati, quegli stessi che – come vedemmo altrove – erano detti anche vruoccole o cicerannammuolle; piú spesso comunque la jacovella/jacuvella/ ghiacovella indicò la trama, l’intrigo, la gherminella piú o meno sciocca, buffonesca, cialtronesca, semplicistica.
Per ciò che attiene all’etimologia di jacovella/jacuvella/ ghiacovella, questa volta devo dissentire da quanto proposto dall’ amico il dotto avv.to Renato de Falco, attivissimo (a dispetto dei suoi ottant’anni) esperto di cose napoletane il quale per jacovella/jacuvella/ ghiacovella rifiutando altre piú accolte e convincenti etimologie, ipotizza una culla latina, chiamando in causa uno strano jaculum= dardo dandone però una connessione semantica a jacovella che mi pare troppo inconferente se non pretestuosa…
Non so come sia accaduto, ma questa volta reputo che l’amico Renato – solitamente preciso ricercatore – sia stato un po’ superficiale e si sia lasciato sfuggire che la parola jacovella/ ghiacovella nacque in ambito teatral-marionettistico per identificare le gherminelle, le azioni sceniche di un tal Giacomino (in dialetto Jacoviello diminutivo di Jacovo id est Giacomo che poi altro non era che l’adattamento del nome proprio francese Jacque, nome con il quale colà si soprannominò il contadino sciocco e semplicione, contadino che in tal veste entrò nel teatro delle marionette dove fu Jacovo o Jacoviello e le sue azioni furono le jacovelle o, con diversa scrittura, le ghiacovelle. E tali azioni furon prese a modello per identificare tutte quelle elencate in principio. A titolo di curiosità rammento altresí che dall’originario nome francese Jacque si trasse la voce giacchetta che era il tipo di indumento pratico e non ricercato indossato dai contadini.
Non so cosa abbia spinto Renato de Falco a scartare l’ipotesi Jacovo e a proporre il latino jaculum.
Ma è rimasto solo!
F. D’Ascoli, C. Jandolo e recentemente M. Cortelazzo propendono in coro ,ed indegnamente io con loro, per una degradazione semantica del nome proprio Giacomo – Jacovo.
- Trastula s.vo f.le
sostantivo femm. sing. usato per indicare un generico trucco e/o inganno; in realtà come deverbale di trastulià (che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o inganni da saltimbanchi) la voce a margine solo estensivamente indica ogni altro inganno teso ad imbrogliare, raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo napoletano trastulià donde la derivata tràstula sia un adattamento del toscano trastullare; non è cosí però; è vero che ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle galee romane, per poi divenire i banchi su cui si esibivano i saltimbanchi con i loro trucchi ed inganni detti in napoletano trastule e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir semplicemente l’imbroglione , ma mentre l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto per ledere gli adulti;
Giunti a questo punto rammenterò che tutte le voci che ò elencate furono usate negli scrittori partenopei (poeti, drammaturghi etc.) a far tempo dal 1400 con eccezione di quelle nate (ad. es. pagliettaría) in epoche successive. C’è una sola voce che non à trovato posto nei reperti letterarii, ma è rimasta a far tempo dal 1940 circa, nel parlato popolare ed ancora vi permane ben salda avendo soppiantato quasi tutte le voci elencate fin qui con le sole eccezioni di ‘mbroglia e tràstula; la voce è
paraustiello voce singolare maschile nata in origine in senso positivo per significare esempio, spiegazione ma che à finito per prendere il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, pretestuoso cavillo, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio, esempio, ma ad usum delphini, argomentazione tortuosa etc. Quanto all’etimologia ancóra c’è qualcuno che sulla scorta del primo significato di esempio, spiegazione propende per l’iberico para usted (per voi) quasi che con la parola paraustiello si volesse avvertire: tutto ciò che abbiamo detto è stato un esempio portato per voi. La cosa non convince soprattutto perché il paraustiello fin quasi dal suo apparire non fu usato solo nel senso positivo di esempio, spiegazione ma prese quasi súbito nell’uso del discorrere popolare (come ò detto) il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio,argomentazione tortuosa e dunque mi pare corretto pensare per l’etimo di paraustiello ad un adattamento del greco paràstasis che vale giustappunto ragionamento, metafora, argomentazione.
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale
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