lunedì 28 marzo 2011

VARIE 1101

1.È 'na bbella jurnata e nisciuno se 'mpenne.
Ad litteram: È una bella giornata e nessuno viene impiccato.Con la frase in epigrafe, un tempo erano soliti lamentarsi i commercianti che aprivano bottega a Napoli nei pressi di piazza Mercato dove erano innalzate le forche per le esecuzioni capitali; i commercianti si dolevano che in presenza di una bella giornata non ci fossero esecuzioni cosa che, richiamando gran pubblico, poteva far aumentare il numero dei possibili clienti. Oggi la locuzione viene usata quando si voglia significare che ci si trova in una situazione a cui mancano purtroppo le necessarie premesse per il conseguimento di un risultato positivo.
2. 'E meglio affare so' cchille ca nun se fanno.
Ad litteram: i migliori affari sono quelli che non vengono portati a compimento; siccome gli affari - in ispecie quelli grossi - comportano una aleatorietà, spesso pericolosa, è piú conveniente non principiarne o non portarne a compimento alcuno.
3. Quanno 'e figlie fòttono, 'e pate so' futtute.
Ad litteram: quando i figli copulano, i padri restano buggerati Id est: quando i figli conducono una vita dissoluta e perciò dispendiosa, i padri ne sopportano le conseguenze o ne portano il peso; va da sé che con la parola fòttono (voce verbale 3° p. pl. ind. pres. dell’infinito fóttere dal lat. futúere)non si deve intendere il semplice, naturale, atto sessuale, ma piú chiaramente quello compiuto a pagamento per divertimento o vizio; il medesimo atto compiuto nell’àmbito del rapporto coniugale esula da quanto affermato in epigrafe.
4. Primma t'aggi''a 'mparà e ppo t'aggi''a perdere....
Ad litteram: prima devo insegnarti(il mestiere) e poi devo perderti. Cosí son soliti lamentarsi, dolendosene, gli artigiani partenopei davanti ad un fatto incontrovertibile: prima devono impegnarsi per insegnare il mestiere agli apprendisti, e poi devono sopportare il fatto che costoro, diventati provetti, lasciano la bottega dove ànno imparato il mestiere e si mettono in proprio, magari facendo concorrenza al vecchio maestro.
5.'Na mela vermenosa ne 'nfraceta 'nu muntone
Basta una sola mela marcia per render marce tutte quelle con cui sia a contatto. Id est: in una cerchia di persone, basta che ve ne sia una sola cattiva, sleale, di indole malvagia o peggiore, per rovinare tutti gli altri.
6. Chella ca ll'aíza 'na vota, ll'aíza sempe.
Ad litteram: quella che la solleva una volta, la solleverà sempre. Id est: una donna che, per darsi, tiri su le gonne una volta, le tirerà su sempre; piú estesamente: chi commette una cattiva azione, la ripeterà per sempre; non bisogna mai principiare a delinquere, o a comportarsi male altrimenti si corre il rischio di farlo sempre.
7. Chella cammisa ca nun vo' stà cu tte, pigliala e stracciala!
Ad litteram: quella camicia che non vuole star con te, strappala! Id est: allontana, anche violentemente, da te chi non accetta la tua amicizia o la tua vicinanza.

8. Â sera so' bastimienti, â matina so' varchetelle.
Ad litteram: a sera sono grosse navi, di mattina piccole barche.Con il mutare delle ore del giorno, mutano le prospettive o le proporzioni delle cose; cosí quegli accadimenti che di sera sembrano insormontabili problemi, passata la notte, alla luce del giorno, si rivelano per piccoli insignificanti intoppi.
9. O chesto, o cheste!
Ad litteram: o questo, o queste.La locuzione viene profferita, a Napoli quando si voglia schernire qualcuno con riferimento alla sua ottima posizione economica-finanziaria; alle parole devono essere accompagnati però precisi gesti: e cioè: pronunciando la parola chesto bisogna far sfarfallare le dita tese delle mano destra con moto rotatorio principiando dal dito mignolo e terminando col pollice nel gesto significante il rubare; pronunciando la parola cheste bisogna agitare la mano destra atteggiandola a mo' di corna,(tenendo cioè tesi e distesi indice e mignolo e serrate contro il palmo le altre dita) per significare complessivamente che le fortune di chi è preso in giro sono state procurate o con il furto o con le disonorevoli azioni della di lui moglie, figlia, o sorella, inclini a farsi possedere per danaro.
10.Cu 'o furastiero, 'a frusta e cu 'o paisano 'arrusto.
Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta (per scacciarlo)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento, proverbio che viene di lontano ed è attualissimo, quantunque proverbio un po’ strano per la filosofia comportamentale del popolo napoletano,abituato da sempre ad accogliere chicchessia e per solito ligio ai precetti divini del soccorso e dell’aiuto fraterno anche verso gli stranieri.
Furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori';
paisano s.vo ed agg.vo m.le =1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.)
2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano.
11. A lume 'e cannela spedocchiame 'o pettenale.
Ad litteram: a lume di candela, spidocchiami il pettinale (id est: monte di Venere). Il proverbio è usato per prendersi giuoco o sarcasticamente redarguire chi, per ignavia, rimanda alle ore notturne ciò che potrebbe fare piú agevolmente e proficuamente alla luce diurna.
pettenale s.m. = monte di Venere, pube, pettignone dal lat. pectinale(m).
12.Chi tène mali ccerevelle, à da tené bboni ccosce.
Ad litteram: chi à cattiva testa, deve avere buone gambe. Id est: chi è incline a delinquere, deve avere buone gambe per potersi sottrarre con la fuga al castigo che dovesse seguire al delitto.Inteso in senso meno grave il proverbio significa che chi dimentica di operare alcunché deve sopperirvi con buone gambe per recarsi a pigliare o a fare ciò che si è dimenticato di fare o prendere.
13.Quanno 'e mulinare fanno a ponie, strigne 'e sacche.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino, conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del proprio.
14.Meglio magnà poco e spisso ca fà unu muorzo.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio epicureo che spinge a piluccare, (per estendere al massimo - nel tempo -il piacere della tavola), piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
15.Tre songo 'e ccose ca strudono 'na casa: zeppole, pane caudo e maccarune.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una casa: focaccine dolci, pane caldo, maccheroni. Da sempre a Napoli, le spese per l'alimentazione ànno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva consumato in quantità maggiore di quello raffermo, ed i famosi maccheroni che all'epoca costavano molto piú della verdura; oggi tutto costa di piú, per cui è difficile fare un elenco delle cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
16.Addó hê fatto 'o palummaro? Dinto â vasca d''e capitune?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il sommozzatore? Nella tinozza dei capitoni?!La frase è usata sarcasticamente quando ci si voglia prender giuoco di qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non à esperienza, come di un operaio subacqueo che, in luogo delle profondità marine, manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú grossi capitoni.
Palummaro s.vo m.le = Chi fa il mestiere di scendere sott’acqua, completamente immerso, per compiere una determinata operazione; voce napoletana, voce poi pervenuta nell’italiano come palombaro, usata come ò detto per indicare chi esegue lavori sott'acqua (pesca, ricerche, ricuperi ecc.) munito di scafandro; è voce che deriva per metafora da un lat. tardo *palumbariu(m) 'sparviero', perché chi fa tale mestiere, immergendosi richiama l'immagine dello sparviero che cali sulla preda.

17. 'A vipera ca muzzecaje a cchella murette 'e tuosseco.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera.
18. E sempe Carulina, e sempe Carulina...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagava con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.


19.Tre cose stanno male a 'stu munno: n'auciello 'mmano a 'nu piccerillo, 'nu fiasco 'mmano a 'nu terisco, 'na zita 'mmano a 'nu viecchio.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse.
20.Uovo 'e n'ora, pane 'e 'nu juorno, vino 'e n'anno e guagliona 'e vint'anne.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare tutta l'umidità dovuta alla cottura, vino giovane che è il piú dolce e il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte.
21.A chi piace lu spito, nun piace la spata.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio).
22.Addó nun miette ll'aco, nce miette 'a capa.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
23.Zitto chi sape 'o juoco! ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
24.Vuó campà libbero e biato? Meglio sulo ca male accumpagnato.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato? Meglio solo che male accompagnato. Il proverbio in epigrafe, in fondo rende l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo!
25.Quanno 'na femmena s'acconcia 'o quarto 'e coppa, vo' affittà chillo 'e sotto.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di uno che le soddisfi le voglie sessuali.
26.Quanno quacche amico te vene a truvà, quacche ccazzo le mancarrà.
Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare, qualcosa gli manca (e la vuole da te). Amaro, pessimistico proverbio con il quale si significa che, nella vita, non bisogna mai attendersi gesti di liberalità o di affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono forse - in fondo - degli sfruttatori, che ti frequentano soltanto per carpirti qualcosa.
27.Ll'uocchie so' ffatte pe guardà, ma 'e mmane pe tuccà.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano - sogliono azzardare palpeggiamenti delle rotondità femminili.
28. Zappa 'e femmena e surco 'e vacca, mala chella terra ca l'ancappa.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra.
29.'Amice e vino ànno 'a essere viecchie!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere veramente buoni) devono essere di antica data.
30.'A meglia vita è cchella d''e vaccare pecché, tutta 'a jurnata, manejano zizze e denare.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e danaro.
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