1- TENÉ 'E FRUVOLE DINT'Ô MAZZO.
Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole sono i fulmini, le folgori dal latino fulgor con roticizzazione e successiva metatesi della elle.
2- RUMMANÉ Â PREVETINA O COMME A DON PAULINO.
Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, poverissimo sacerdote nolano che,potendo contare per il suo sostentamento giornaliero su di un’unica prevetina (moneta che negli anni 1850 e ss. corrispondeva ad appena 13 grani cioè a 56,745 lire italiane e che si ebbe questo nome perché con essa si pagava la celebrazione d’ una messa piana e fu quindi moneta di pertinenza quasi esclusiva dei preti) potendo contare per il suo sostentamento giornaliero su di un’unica prevetina non ne aveva di che comprare ceri per celebrar messa, e si doveva accontentare di tizzoni accesi.
3- TANTO VA 'A LANCELLA ABBASCIO Ô PUZZO, CA CE RUMMANE 'A MANECA.
Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto più icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella della locuzione è propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi dal secchio.
4- SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI CÒGLIE.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir còlpito. È la locuzione - invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da capacità o perizia.
5-'O PIEZZO CCHIÚ GRUOSSO À DDA ESSERE 'A RECCHIA.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il piú grande avrebbe dovuto essere l'orecchio.
6- ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole o anche inadatto ad o incapace di un lavoro che faccia le viste di svolgere, quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui iperbolicamente siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova.
7- METTERE A UNO 'NCOPP' A 'NU PUORCO.
Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale (altrove, Roma, a dorso d’asino) affinché venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie.
8- ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
9- SI ME METTO A FFÀ CAPPIELLE, NÀSCENO CRIATURE SENZA CAPA.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica.
10- A - NUN FÀ PÉRETE A CHI TÈNE CULO. B - NUN DÀ PONIE A CHI TÈNE MANE.
I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salve di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salve. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani.
11- CHI SE FA MASTO, CADE ‘INT'Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare, atteso che quei tali ammaestramenti e/o consigli non son supportati da effettiva scienza teorico-pratica, ma solo da vellitaria sciocca albagia o prosopopea.
12- TUTTO A GGIESÚ E NNIENTE A MMARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
13- CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri!
14- PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce,nano inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, ad esibirsi in un circo equestre,nano che essendo molto piccolo e ridicolo fu preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
15- FÀ COMME A SSANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
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