domenica 4 settembre 2011

L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO

L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO

Questa volta affronto un argomento sul quale, son certo incontrerò piú di una resistenza non solo tra ça va sans dire i miei detrattori, ma pure tra i miei affezionati ventiquattro lettori...; ma tant’è: chi va pe chisti mare chisti pisce piglia! Pazienza, correrò il rischio ma penso che sia giunto il momento di fare un po’ di chiarezza e dire come stanno realmente le cose, delucidare cioé che (per tirarsi súbito il dente) il napoletano del popolo (che è poi quello che fa l’autentico idioma partenopeo...) rifugge dall’impiego del condizionale, (tollerato , rara avis, e non raccomandato in poesia, ma sconsigliato tassativamente in prosa...) usando in sua vece l’imperfetto congiuntivo! Prima di procedere faccio però un paio di premesse da cui non bisogna prescindere: a)il napoletano è una parlata autoctona costruita nobilmente, come del resto il toscano/fiorentino e tutti gli altri linguaggi locali dell’Italia, verosimilmente sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca);
b) l’idioma napoletano scritto ed orale è un linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle della lingua nazionale. Argomentiamo; so bene che in molte grammatiche del napoletano sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) è codificata e contemplata l’esistenza del condizionale sia presente che passato (ess. sarría= sarei / sarría stato= sarei stato – avarría=avrei/ avarría avuto= avrei avuto etc.), ma come è facile arguire gli addetti ai lavori sono in genere dei letterati e/o professori, degli studiosi tutti con un abbondante retroterra culturale di studi universitari, persone che son ferratissime nell’uso della lingua nazionale e da essa condizionati e spesso son restie a tuffarsi nell’idioma popolare per imbibirsene e riportarlo cosí com’è nell’uso comune, nei loro scritti evitando di passarlo allo staccio della lingua italiana, staccio che quando poi finisce nelle mani di poeti e/o parolieri di canzonette, illetterati a digiuno sia dell’italiano che dell’esatto napoletano, ch’essi vergano scimmiottando l’italiano, dà come risultato gli inesatti vorria/vurria o addirittura un raccapricciante vularria in luogo dell’esatto vulesse usato nel parlato popolare. Del resto, per tornare al’esistenza in talune grammatiche del condizionale, e prima di chiarire perché il popolo usi il congiuntivo imperfetto, dirò che i medesimi autori succitati per illustrare la nascita del condizionale nel napoletano fanno ricorso ad un farraginoso percorso morfologico che può esser forse al piú seguíto da un letterato, ma certamente non da un incolto popolano! Ad es. il condizionale sarría deriverebbe dall’incontro di *essere +habeba(m)→*(es)ser(e) (h)a(b)e(b)a(m)→seraéa→seréa→sarría ed ugualmente il condizionale avarría seguirebbe il medesimo percorso etimologico dall’incontro di*habere +habeba(m) etc. E quando, quando un incolto popolano si sarebbe avventurato o avventurerebbe in tali gineprai linguistiti? Piú probabile che l’anonimo illetterato autore dei versi di Vorria ca fósse ciaola, piú probabile che Leonardo Vinci l’ illetterato autore dei versi di Vurria addeventare soricillo, come l’illetterato Vincenzo Russo autore dei versi di I’ te vurria vasà, come ancóra il giornalista Antonio Pugliese autore dei versi di Vurria per non esser tacciati di provincialismo si siano lasciati condizionare dall’ italiano vorrei ritenuto piú elegante del napoletano vulesse; ancóra di piú si lasciò condizionare Adolfo Genise dottore in lettere ed impiegato delle Ferrovie, autore dei versi di Suonno ‘e fantasia che ritenendo poco elegante il napoletano vulesse ed eludendolo creò un mostruoso vularría . A questo punto non mi resta che chiarire perché il napoletano del popolo rifugge dal condizionale ed usa l’imperfetto congiuntivo; la cosa affonda le sue radici nel fatto che – come ò détto nelle due premesse - il napoletano è forgiato sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica ed è noto che i latini non usavano il condizionale, ma in sua funzione il perfetto ed il piuccheperfetto congiuntivo e da quest’ultimo derivò l’imperfetto congiuntivo napoletano; per cui possiamo addirittura esagerare dicendo che sia piú esatto rispetto all’origine latina l’uso napoletano dell’imperfetto congiuntivo (vulesse) piuttosto che il condizionale dell’italiano (vorrei).
E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento e sperando d’avere interessato e forse scandalizzato i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak

3 commenti:

  1. Salve.

    È la prima volta che mi imbatto in una spiegazione "tecnica" del perché, difatti, usiamo l'imperfetto congiuntivo laddove nel c.d. italiano si usa il condizionale.

    È molto convincente, devo dire, per quanto poi il mio parere possa valere, io che son solo un appassionato.

    Pur tuttavia, ultimamente leggevo «Pulicinella e lo diavolo zuoppo» (http://goo.gl/ke5Ql) dove il napoletano usato è tendenzialmente molto più verace e meno toscanizzato. E anche lì vi ho trovato l'uso di condizionali come vurria o sarria, etc.

    Come la vede in questo caso? Lo trova un caso che può essere spiegato consistentemente come tutti gli altri in cui troviamo l'uso del condizionale?

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  2. Il condizionale (vurria sarria ecc) nel napoletano parlato è inusuale. Io penso che questo modo di dire è stato italianizzato, perché tradotto in italiano scritto è più corretto grammaticalmente. ma nel linguaggio popolare si usa decisamente l'imperfetto congiuntivo (vuless faces)

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