martedì 26 giugno 2012
LA SMORFIA NAPOLETANA parte 1a
LA SMORFIA NAPOLETANA
parte 1a La smorfia napoletana
parte 1a
Ò in animo di illustrare tutti i 90 numeri con i relativi significati corrispondenti ai singoli numeri, cosí come tradizionalmente riportati nella smorfia (ma segnalando passim anche significati alternativi attribuiti a taluni numeri in tradizioni familiari) o cabala (che etimologicamente è dall'ebr. qabbalah, cioè propr. 'dottrina ricevuta, tradizione' ed è l’arte con cui, per mezzo di numeri, lettere o segni, si presumeva e si presume di indovinare il futuro o di svelare l'ignoto | (estens.) operazione magica; cosa misteriosa, indecifrabile | cabala del lotto, serie di operazioni aritmetiche per indovinare i numeri del lotto che potrebbero sortire) libro dei sogni in cui ad ogni avvenimento, persona o cosa sognati si assegna un numero di riferimento, tradizionale napoletana; in questa prima parte contemplerò i numm. da 1 a 30,
cominciamo col dire che con la parola smorfia non si intende la contrazione del viso che ne altera il normale atteggiamento ed è provocata per lo piú da sensazioni dolorose o spiacevoli; ad es.: una smorfia di dolore,...; in tale accezione la parola si fa derivare da un antico sostantivo morfa o morfía = bocca addizionato di una s distrattiva per significare il movimento contrattivo che altera i normali caratteri della bocca; rammenterò al proposito di morfía = bocca che da esso termine si trasse il verbo gergale della parlesia (gergo ossia linguaggio convenzionale usato dagli appartenenti a determinate categorie o gruppi sociali al fine di non farsi intendere da chi ne è estraneo: nella fattispecie linguaggio dei dei suonatori ambulanti) smorfí/smurfí = mangiare; in effetti la parola smorfia come nome dato al libro dei sogni da cui si ricavano i numeri per il lotto, spec. quello con figure destinato agli analfabeti, etimologicamente si fa risalire a Morfeo, nome del mitologico dio del sonno. Ciò detto, cominciamo l’elencazione:
1 – L’ITALIA cioè a dire: la nazione che abitiamo; etimologicamente il nome sta per o terra dei vitelli o, ma meno probabilmente, terra dei fiumi; nell’un caso e nell’altro la porzione di territorio detta Italia fu in origine quella meridionale e segnatamente quella calabro-lucana bagnata dal Tirreno, per modo che si può dire che storicamente i Savoia del risorgimento usurparono oltre che il territorio, persino il nome d’ Italia!
Fu solo nel tardo ottocento che, in omaggio alla raggiunta unità col numero 1, nella smorfia si indicò l’Italia; precedentemente pare che a Napoli con il numero 1 si indicasse il SOLE e talvolta il REAME.
2- ‘A PICCERELLA= la bambina etimologicamente voce derivata da un lemma fonosimbolico pikk (donde anche l’italiano: piccino) con ampliamento della base attraverso rillo/rella(piccerillo/piccerella) o altrove reniello/renella (piccereniello/piccerenella). Con il numero a margine si indicò un tempo anche i militi della pubblica sicurezza adusi ad aggirarsi sempre in coppia.
3- ‘A GATTA = la gatta, il gatto etimologicamente voce derivata da un accusativo femminalizzato di un basso latino cattu(m)→catta(m). Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la cantina e le botti per il fatto che il gatto è solito aggirarsi tra le botti delle cantine.
4- ‘O PUORCO=il maiale, il porco etimologicamente voce derivata da un accusativodel basso latino porcu(m). Con il numero a margine si indicò un tempo, con gusto malsano,e con patente riferimento offensivo, anche la stella di David e/o la stella cometa (di pertinenza ebraica).
5- ‘A MANA = la mano etimologicamente voce derivata da un accusativo latino manu(m) reso femminile mana(m); anche nel toscano anticamente la mano fu mana. Con il numero a margine si indicò un tempo anche le ossa dei morti rappresentate dalle dita della mano.
6 – CHELLA CA GUARDA ‘NTERRA = la cosa che guarda a terra , eufemistico giro di parole usato furbescamente per indicare la vulva femminile etimologicamente voce derivata da un accusativo basso latino vulva(m) variante di volva(m)= matrice.In napoletano (cfr.mi alibi) sono numerosissime le voci usate per indicare la vulva. Con il numero a margine si indicò un tempo però anche qualcosa di molto piú pudico: la luna calante che nella sua forma di falce con gobba che con una qualche buona volontà ripeteva ad un dipresso la forma della vulva.
7 – ‘O VASETTO che letteralmente è il piccolo vaso, quantunque qualcuno – seppure erroneamente - lo ritenga diminutivo non di vaso (nome generico di recipienti di varia forma e materiale che per lo piú servono a contenere e a conservare prodotti alimentari, e come tale etimologicamente da un lat. volg. vasu(m), per il class. vas vasis), ma di vaso(= bacio che come tale etimologicamente è dal latino basiu(m));in effetti nel pretto napoletano il diminutivo usato di bacio non è vasetto, ma vasillo! Con il numero a margine si indicò un tempo altresí le forbici figurazione dello strumento usato per la potatura delle piante di casa alloggiate in un vaso.
8 – ‘A MARONNA e segnatamente ‘A ‘MMACULATA = LA Madonna ed in particolare la Madonna Immacolata, atteso che nella religione cattolica, la festa liturgica della Vergine Immacolata cade agli 8 di dicembre; maronna o anche madonna sono voci che etimologicamente vengono dal latino mea+domina= mia signora; è titolo d’onore che un tempo si dava alle donne e che oggi è riservato esclusivamente alla Madre di Cristo; in Abruzzo e in taluni paesini del Piemonte è titolo di rispetto usato dal popolino ed in particolare dalle nuore rivolto alle suocere; ‘mmaculata sta per immacolata ed etimologicamente è voce derivata dall’unione di un in detrattivo + il sostantivo macula nonché il suffisso aggettivale ato/a (come a dire senza macchia ); interessante notare come l’in detrattivo, diventato proclitico della voce macula abbia perduto la i d’avvio sostituita dal segno della procope (‘) producendo altresí l’assimilazione progressiva nm→ mm. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí l’incudine strumento di lavoro usatissimo e come tale accolto nella smorfia e proprio al numero 8 rappresentante il doppio corno proprio dell’incudine.
9 – ‘A FIGLIATA = la figliolanza o il frutto del parto e cioè l’insieme di tutti i figli generati con lo stesso parto; etimologicamente è voce deverbale (anticamente usata anche nel toscano, ma ora ammessa raramente e solo in riferimento al parto degli animali) derivata del verbo figliare (generare, partorire) che è dal latino filium. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la credenza e la rosa coltivata, la prima quale figurazione dell’abbondanza, la seconda come figurazione d’ un frutto di parto derivato da una coltura nata dalla messa a dimora d’ un seme, come da un seme deriva la figliolanza o il frutto del parto.
10 – ‘E FASULE = i fagioli, etimologicamente è voce derivata dal basso latino faseolu(m) dim. di pàsílus, dal gr. phásílos e con detto termine si indica in primis i legumi edibili, ma anche estensivamente i soldi, atteso che - come altrove dissi - i legumi (fagioli, ceci etc.) un tempo furono usati come merce da baratto. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il cannone e la squadra ambedue pensati in istretta colleganza con i fagioli (danaro): il primo perché emblema della guerra che à sempre un motivo scatenante nel danaro o nella potenza economica, il secondo perché emblema della massoneria associazione segreta a sfondo socio-economico.
11 – ‘E SURICE = i sorci, i topolini (etimologicamente è voce derivata dall’accusativo sorice(m) del latino sorex/ricis) e nella fattispecie sono segnatamente quelli che talvolta inopinatamente invadono le abitazioni domestiche, da non confondere con i ratti o peggio ancora con i grossi topi da fogna detti zoccole ( vedimi alibi sub TOPI). Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il mastrillo e/o le tenaglie ambedue di competenza dei topi atteso che il mastrillo (dal lat. mustriculu(m) è la trappola per topi che tal quali delle tenaglie serra gli imprigionato.
12 – ‘E SURDATE = i soldati (intesi come militari di truppa, inquadrati in plotoni, squadre, battaglioni, compagníe etc.) etimologicamente surdate plurale di surdato è voce deverbale (participio passato) di soldare che sta per prendere al soldo,reclutare milizie; a sua volta soldo è dal latino solidu(m) (nummum) “moneta massiccia”, nome di una moneta d'oro romana dell'età imperiale. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il cappellaio e la caffettiera; interessanti ambedue i collegamenti tra soldati e cappellaio o caffettiera; il primo collegamento lo si ritrova nel fatto che un tempo per identificare un milite si faceva riferimento sia alla divisa, ma in primis al cappello completamente diverso per ogni corpo militare d’appartenenza e per ogni grado; il secondo collegamento à invece un significato piú ironico e furbesco atteso che un tempo i militari in libera uscita erano soliti trascorrere molto tempo, invitando forosette, cameriste e/o nutrici a seguirli nelle tante mescite di caffé della città napoletana degustando la bevanda e fumando sigari aromatizzati; da tale abitudine si finí ironicamente per identificare soldati e caffettiera.
13 – SANT’ANTONIO esattamente è sant’Antonio da Padova il santo predicatore portoghese, al secolo Fernando Bulhão (Lisbona, 15 agosto 1195 - †Padova, 13 giugno 1231) è stato un frate francescano, ed è santo e dottore della Chiesa cattolica, che gli tributa da secoli una fortissima devozione.Prima agostiniano a Coimbra (1210), poi (1220) francescano, viaggiò molto vivendo prima in Portogallo quindi in Italia; la sua ricorrenza liturgica cade appunto il 13 giugno donde il numero 13 assegnatogli nella smorfia; esiste però un altro sant’Antonio venerato nella tradizione della Chiesa cattolica ed è Sant'Antonio Abate chiamato anche Sant'Antonio il Grande, Sant'Antonio d'Egitto, Sant'Antonio del Fuoco, Sant'Antonio del Deserto o Sant'Antonio l'Anacoreta (251?-† 356), eremita egiziano, che è considerato l'iniziatore del Monachesimo cristiano e il primo degli Abati in quanto a lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale abbà, si consacrano al servizio di Dio, ma dai napoletani che gli sono devotissimi, tale santo (la cui ricorrenza liturgica è fissata ai 17 di gennaio è chiamato sant’Antuono, appunto per distinguerlo dal santo Antonio predicatore portoghese.
Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il pesaturo(mortaio) ed il candeliere e/o la candela; il collegamento tra pesaturo (deverbale del tardo lat. pistare→pis(t)are) = mortaio ed il numero 13 è da cercarsi nel fatto che (con evidente quiproquò)si confusero il sant’Antonio da Padova con il sant’Antonio anacoreta, giacché il pesaturo(mortaio) era usato dai monaci del TAU,titolari d’una chiesa, un monastero ed un ospedale dedicati a sant’Antonio Abate, monaci che pestando nel mortaio il grasso di maiale vi ricavavano un linimento pomatoso per curare gli infermi affetti dal morbo Herpes zoster (détto fuoco sacro o di sant’Antonio);ugualmente insistendo nel medesimo quiproquò di confusione del sant’Antonio da Padova con il sant’Antonio anacoreta,si collegò il candeliere e/o la candela a costui quale santo protrettore del fuoco, anche quello d’una candela o candeliere. A proposito del numero 13 connotante il candeliere/candela, rammento un icastico modo di dire partenopeo che suona:
Stà sempe 'ntridice/’ntririce.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, al centro, in vista, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candeliere perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo.
Con l'espressione in esame a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti. etimologicamente‘ntridice/’ntririce avv. di luogo = nel mezzo, al centro, in vista; è forgiato con un in→’n illativo + tridice/tririce = tredici numerale dal lat. tredecim, comp. di trís 'tre' e decem 'dieci'; nella morfologia tririce da tridice è riscontrabile la rotacizzazione osco-mediterranea della d→r.
14 – ‘O ‘MBRIACO = l’ubriaco, l’ebbro, ed estensivamente il frastornato etimologicamente è voce derivata da un in illativo + un tardo latino (e)briacu(m) per il classico ebrius (ebbro); come abbiamo già visto altrove l’in proclitico comporta la procope della i segnata con (‘) e dopo la caduta della sillaba d’avvio e di ebriacum il consueto mutamento della n in m dinnanzi all’esplosiva b. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí l’oste, il vinattiere nonché l’osteria, la bettola, la mescita di vino ; il collegamento tra l’ubriaco e tuttele voci or ora elencate si coglie súbito.
15 – ‘O GUAGLIONE = il ragazzo, l’adolescente, da non confondere con il bambino, il piccino o addirittura il lattante che son detti volta a volta con altri termini quali: ‘o criaturo (da un tardo latino creatura(m)), ‘o piccerillo (da un lemma fonosimbolico pikk che diede anche piccino con base ampliata in rillo), ‘o nennillo(diminutivo di ninno che è voce onomatopeica fanciullesca) che se piccolissimo è addirittura n’anema ‘e dDio; per quanto riguarda la controversa etimologia di guaglione rimando a ciò che alibi sub guaglione trattai ad abundantiam. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí i bottoncini da camicia infantile ed i boys-scaut; anche in questo caso è semplice cogliere l’accostamento sia quello tra i bottoncini da camicia infantile ( bottoncini che son di pertinenza dei ragazzi) sia quello con i boys-scaut (che di norma, son dei ragazzi).
16 – ‘O CULO = il culo, sedere, deretano che etimologicamente è voce derivata dal greco koilos attraverso il basso latino culu(m); rammenterò, per il gusto di ricordarlo che nelle tombole familiari (in cui si usi accanto al numero estratto ricordarne anche il significato, allorché venga estratto il detto numero chi sta compiendo l’operazione , in luogo di dire:”Sidece, ‘o culo!” amenamente intima: “ 16! Copritelo!” volendo significare : Ponete un segnalino sul numero che ò estratto, ma volendo anche lasciare intendere per giuoco: Chi avesse il proprio sedere scoperto, lo ricopra!
Con il numero a margine si indicò un tempo altresí l’artista che dipinge o scolpisce ed il tamburo; anche in questo caso è possibile, benché non sia semplice cogliere l’accostamento del culo conl’artista che dipinge o scolpisce e con il tamburo; tuttavia li chiarirò: il primo accostamento lo si coglie pensando che tra il tardo ‘600 ed il ‘700 vi furono moltissimi pittori e scultori che produssero gran copia di dipinti o statue molti dei quali raffiguranti nudi femminili o maschili con prorompenti anatomie tali da farle accostare all’artista che le aveva dipinte (o scolpite); piú complesso l’accostamento del culo al tamburo; per comprenderlo bisogna soffermarsi sul fatto che furbescamente nell’inteso comune popolare esistono varii tipi di culo: 'O CULO A BUTTIGLIONE, A MAPPATA, A PURTERA, A TAMMURRO, A MANDULINO,
Ad litteram: avere il culo a forma di bottiglione, di pacco, di portiera, di mandolino. Cosí, in vario modo si suole alludere alle diverse configurazioni di unfondoschiena e segnatamente di un fondoschiena femminile; la forma piú - diciamo - pregiata è ritenuta l'ultima: quella che arieggia la struttura del mandolino. Il fondoschiena a buttiglione (accrescitivo di butteglia) è invece quello vasto, massiccio ed inelegante (tal quale una grossa bottiglia) di una donna tozza e grassa il cui fondoschiena faccia da pendant con la rotondità della pancia. Il fondoschiena a mappata (quantità di roba che si contiene in un tovagliolo, fagotto,fardello) è quello vasto ed inelegante come che inviluppato in troppi panni che ne nascondano la forma. Il fondoschiena a purtèra ( adattamento al femminile di purtiére= portinaio, guardaportone) è quello informe, schiacciato ed inelegante come nell’inteso comune si pensa sia il fondoschiena di una portinaia adusa a stare seduta tutto il giorno in guardiola sino ad averne il fondoschiena schiacciato. Infine il fondoschiena che ci occupa è quello a tammurro cioè quello scostumato e risuonante di una popolana adusa a rumorosamente scorreggiare.
17 – ‘A DISGRAZZIA = la disgrazia, l’ accidente,l’ infortunio, la cattiva sorte, la sventura etimologicamente è voce derivata dall’unione del prefisso negativo latino dis + il sostantivo gratia(m) che è da gratus= gradito nel senso che grazia o grazzia sta per cosa gradita e di conseguenza disgrazzia (correttamente scritto in napoletano con la doppia z ) sta per cosa sgradita in quanto sventurata.
Con il numero a margine si indicò un tempo altresí ‘o cane ‘e presa (il cane da guardia) nonché ll’amico traritore(l’amico infedele); anche in questo caso è possibile, benché non sia semplice cogliere l’accostamento della disgrazia con un cane da guardia o con un amico infede; tuttavia tenterò di chiarire; un amico che tradisce è veramente una disgrazia, come è o sarebbe una disgrazia imbattersi ( ad es. nottetempo) con un mastino napoletano (cane ‘e presa) di guardia.
18 – ‘O SANGO = il sangue e segnatamente quello umano versato a seguito di ferimenti per aggressioni subíte; etimologicamente è voce derivata con ogni probabilità da un acc. latino sangu(m) metaplasmo volgare di un basso latino sangue(m)collaterale del classico sanguine(m) . Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la carne a ragú con evidente rifermento al rosseggiare del pomodoro.
19 - ‘A RESATA = la risata,l’allegria nonché il ridere in modo sonoro e prolungato e segnatamente quello a squarciagola, indice di allegria esuberante e rumorosa; etimologicamente è voce costruita come derivazione femminile sul sostantivo lat. risu(m), a sua volta deriv. di ridíre “ridere”. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la carne secca (prosciutto e salame) con evidente rifermento al fatto che l’assunzione di tali cibi mette allegria.
20 – ‘A FESTA= la festa e segnatamente quella annessa ad una ricorrenza religiosa, ma anche pagana-popolare; ad es.: ‘a festa ‘e san Gennaro, ‘a festa ‘e piererotta; etimologicamente festa è voce costruita sul neutro plurale (poi inteso femminile dell’aggettivo latino festum =solennità gioiosa; il festum latino pare sia da agganciarsi al greco estiào per festiào = festeggio banchettando e – per vero – non v’è a Napoli festa o festività che , giusta l’origine greca dei partenopei, non abbia per corollario un lauto banchetto. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il fornaio ed il giuoco in generale con evidente rifermento nell’un caso e nell’altro alla festosità una volta del luogo (la bottega del fornaio) una volta del divertimento di chi gioca.
21 – ‘A FEMMENA ANNURA = la donna nuda, intesa come emblema non della lascivia, ma della prorompente bellezza; nell’immaginario collettivo partenopeo la donna nuda è in ogni caso uno spettacolo bello ed apprezzabile; è da notare che nella smorfia il numero che connota questa donna nuda sia appunto il 21 quello che segue il numero 20 che indica la festa essendo intesa la donna nuda quasi un naturale ed adeguato completamento della predetta festività ; etimologicamente femmena è dal latino femina(m), voce connessa con fecundus “fecondo”; normale il raddoppiamento popolare della m in parola sdrucciola; annura è il femminile di annuro che è da ad+nudus, parola nella quale la prima d à subíto l’assimilazione progressiva nd→nn, mentre la seconda d à subíto la tipica rotacizzazione mediterranea per cui d→r.
Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il barbiere e l’anello con pietra preziosa; anche in questo caso è possibile, benché non sia semplice, cogliere l’accostamento della donna nuda con il barbiere o l’anello con pietra preziosa; tuttavia tenterò di chiarirlo: il primo accostamento lo si coglie pensando che un tempo a Napoli molte botteghe di barberie non erano condotte non da uomini, ma da donne abbastanza procaci e con abbigliamenti con profonde scollature tali da permettere la visione dell’anatomia femminile; piú complicato trovare l’accostamento della donna nuda con l’anello con pietra preziosa; accostamento da cogliere tenendo presente il fatto che temporibus illis, la donna per dare accesso anche alla sola visione delle proprie grazie esigeva congrue contropartite rappresentate spesso da gioielli.
22 – ‘O PAZZO = il pazzo, il folle, il matto e segnatamente non il conclamato malato affetto da pazzia o altre affezioni mentali, ma colui che d’improvviso e senza un preciso movente dia in escandescenze diventando pericoloso ed aggressivo; infatti il malato affetto da pazzia in napoletano è detto malato ‘e capa, mentre del secondo s’usa dire: è asciuto pazzo o è asciuto a ‘mpazzí id est: è impazzito; etimologicamente la voce pazzo si fa risalire al latino patior = soffro, ma a mio avviso non gli è estraneo il greco pàtòs = infermità di corpo od anima, senza dimenticare che sempre il greco patheía pronunziato pathîa conduce dritto per dritto a pazzia. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il pozzo e l’arrotino; anche in questo caso è possibile, benché non sia semplice, cogliere l’accostamento del folle con il pozzo o l’arrotino; tuttavia tenterò di chiarirlo: in ambedue i casi il collegamento è rappresentato da una ruota; nel primo caso la ruota è appunto la noria del pozzo, quella relativa ad un antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, al tempo cioè di un famosissimo medico dei pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento uova di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la pesante ruota di un pozzo; il secondo collegamento quello tra il pazzo e l’arrotino è anch’esso da cogliersi nel fatto che l’arrotino facendo girare la ruota per azionare la mola su cui affilare le lame pareva quasi comportarsi a mo’ del matto che doveva far girare la ruota/noria del pozzo.
23 – ‘O SCEMO = lo scemo, lo sciocco, il tonto; etimologicamente la voce scemo viene dal latino semum e cioè non completo, dimezzato, mancante di una parte; da notare come la s + vocale produce la sc palatale come altrove simia diede scigna, ne-ipsu-unum diede nisciuno etc.Rammenterò che negli anni ’50 del ventesimo secolo, in Napoli il piú famoso scemo fu quello d’’e melacotte; questo povero scimunito di cui dico, riconoscibile anche di lontano per le sue sembianze quasi scimmiesche e per la sua andatura barcollante e dinoccolata strappava la vita trasportando un piccolo carretto a mano sul quale esponeva un congruo numero di mele cotte al forno, mele che vendeva in giro nei mesi invernali; nei mesi estivi sostituiva il carretto ligneo, con altro piú maneggevole col quale portava un giro, per venderlo ad un contenutissimo prezzo un suo sorbetto che serviva in croccanti cialde da gelato, sorbetto che usava reclamizzare al grido di: Garantito al limone! volendo significare che il suo sorbetto era prodotto con autentico succo di limone e non con polverine chimiche! Oggi ‘o scemo d’’e melacotte – parce sepultis!, non si aggira piú per Napoli, ma nei mesi estivi ancora qualche suo epigono proclama che il sorbetto che pure lui vende è garantito al limone, temo però che si tratti di millantato credito! Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il tessitore e lostorpiato; anche in questo caso è possibile, benché non sia semplice, cogliere l’accostamento del folle con il tessitore o lostorpiato; tuttavia tenterò di chiarirlo: in ambedue i casi il collegamento è rappresentato dall’atteggiamento: nel caso del tessitore la sua postura immobile innanzi al telaio con monotoni e ripetitivi movimenti delle mani lo appariglia ad un demente incapace di varietà comportamentale; idem valga per lo storpiato le cui menomazioni fisiche che gli impediscono liberi movimenti possono apparigliarlo ad un demente incapace di muoversi a suo libero arbitrio.
24 – ‘E GGUARDIE ed alibi ‘A PIZZA - di per sé nel significato primo si indicherebbero le guardie (e segnatamente quelle che prestano il loro servizio di notte in istrada) che furono di pubblica sicurezza ed oggi: polizia di stato, ma nell’immaginario colletivo dei sognatori, meglio delle sognatrici partenopee rientrano sotto la voce guardie e dunque sotto il num. 24 non solo gli agenti di P.S., ma ogni altro addetto alla sicurezza: vigili urbani, carabinieri etc purché sognati in divisa ed armati; guardia di cui guardie è il plurale, etimologicamente è giunta nel napoletano attraverso il portoghese guardia, dal gotico vardia = custode,difensore, vigilante; sotto il medesimo numero 24 alibi, specialmente in talune smorfie familiari si considera ‘a pizza(dal latino pinsam placentam=focaccia schiacciata dal verbo pinsere=pigiare, schiacciare con ns→nz→zz per assimilazione regressiva)la pizza (sia pure in senso generico, atteso che il piú usuale cibo popolare partenopeo, che come tale si conquistò un posto nella smorfia, è considerato anche con moltissimi altri numeri, secondo come sia variamente condita, per cui si à: p. napoletana – 2,p.dolce -36, p. rustica – 37, p. con sugna e formaggio – 61, p. con alici fresche – 62, p. pomidoro e mozzarella – 53 etc. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí i gamberoni ed il contadino che ara ; anche in questo caso è possibile cogliere l’accostamento delle guardie sia con i gamberoni che con il contadino che ara: in ambedue i casi il collegamento è rappresentato dall’ accoppiata: come le guardie procedono sempre in coppia, cosí il contadino che ara fa coppia fissa con il suo bue; d’altra parte non si serve mai in tavola meno d’una coppia di gamberoni.
25 – NATALE Si tratta ovviamente della festività del santo Natale con cui si commemora la natività di N.S. Gesú Cristo e non occorre dilungarsi una volta ricordato che tale festività è fissata tradizionalmente nel calendario liturgico della Chiesa cattolica ai 25 di dicembre donde il numero assegnatole nella smorfia. Rammenterò che storicamente nessun testo riporta come data di nascita del Signore il 25 dicembre ed essa fu stabilita perché gli antichi romani in tale data solevano festeggiare il dio Sole sorgente, di talché la Chiesa ritenne opportuno far propria la data assegnandola alla nascita di Cristo inteso quale autentico SOLE dell’umanità; quanto all’etimologia la parola natale è un aggettivo sostantivato dal lat. natale(m) concernente la nascita', deriv. di nasci “nascere”. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la conchiglia(emblema del pellegrino) e la processione ; anche in questo caso è possibile cogliere l’accostamento al Natale e perciò al 25 sia con la conchiglia che con la processione: in ambedue i casi il collegamento è rappresentato dalla sequela dei pastori in visita alla grotta della natività :in ambedue i casi si tratta di una sorta di pellegrini una volta rappresentati dalla cochiglia, un’altra dal fatto che i pellegrini procedono quasi sempre in gruppo e quasi in processione.
26 – NANNINELLA = Annina, cioè diminutivo vezzeggiativo del nome proprio ANNA quello che la tradizione cattolica assegna alla presunta anziana genitrice della Vergine Maria; poiché la memoria liturgica di tale santa cade ai 26 di luglio, ecco che il medesimo num. 26 è collegato nella smorfia a tale vecchia santa, sotto la cui figura tradizionalmente viene adombrata ogni anziana genitrice che venga sognata.
Quanto all’etimologia il nome Anna ed il corrispondente vezzeggiativo partenopeo Nanninella derivano da una voce ebraica: Ànnah nel significato di grazia, beneficio; quantunque di s. Anna ci siano poche notizie e per giunta provenienti non da testi ufficiali o canonici, il suo culto è estremamente diffuso sia in Oriente che in Occidente ed il suo nome è portato da moltissime donne magari addizzionato a quello di Maria (amata da Dio) ottenendo Anna Maria o anche Annamaria.
Tradizionalmente s. Anna è la protettrice di tutti i mestieri legati alla funzione materna: lavandaie, ricamatrici etc.
Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la zingara ed il grappolo d’uva nera; anche in questo caso è possibile, benché non sia semplice, cogliere l’accostamento di sant’Anna con la zingara ed il grappolo d’uva nera; tuttavia tenterò di chiarirlo: in ambedue i casi il collegamento è rappresentato dal colore olivastro; nel primo caso è quello della pelle della gitana,pensata vecchia con il volto segnato dagli anni cosí come è rappresentata sant’ Anna in tutta l’iconografia cristiana; nel secondo caso il colore olivastro è appunto quello del grappolo d’uva nera. 27 – ‘O CÀNTERO = grosso vaso da notte, pitale da non confondere con ‘o rinale che è appunto l’orinale, vaso molto piú piccolo del càntero o càntaro alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntàru(m) a sua volta dal greco kàntàros; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)! Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il baúle e/o la cassa(contenitori da asporto ) e lo sciarabballo (dal fr. char a bancs= carro rustico aperto con sedili per trasporto di passeggieri, usato soprattutto in provincia in sostituzione delle carrozze (vetture passeggieri riparate da un soffitto e da cortine di stoffa) ; anche in questo caso è possibile cogliere l’accostamento al càntaro e perciò al 27 sia del baúle e/o cassa che dello sciaraballo : in ambedue i casi il collegamento è rappresentato furbescamente dal fatto che per tutti gli elementi: càntaro,baule o cassa e sciarabballo si tratta di contenitori.
28 – ‘E ZZIZZE = i seni, le mammelle di esseri umani e bestie, ma segnatamente quelle della donna, intese però piú che come organo della lattazione, come elemento di attrazione sessuale; etimologicamente la voce zizza, di cui zizze è il plurale viene per adattamento dall’ accusativo tardo latino *titta(m)= capezzolo forse attraverso una forma aggettivale tittja(m) dove il ttj intervocalico diede zz che influenzò anche la sillaba d’avvio ti→zi. Rammenterò a proposito della voce a margine un antico detto partenopeo che recita:
'A meglia vita è cchella d''e vaccare pecché, tutta 'a jurnata, manejano zizze e denare. Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle vacche) e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari); per traslato se ne ricava il significato edonistico : la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e denaro. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí il lattaio e/o il biberon(contenitori da asporto )per un collegamento furbesco il primo, di pertinenza il secondo alle zizze e dunque al numero 28.
29 – ‘O PATE D’’E CCRIATURE= il padre di bambini/e e cioè l’organo maschile della riproduzione, senza del quale si pensava fosse impossibile mettere al mondo dei nati, il péne; il giro di parole fu eufemisticamente usato per evitare di pronunciare parole piú disdicevoli; per vero tale circonlocuzione non è solo napoletana, ad un dipresso la si ritrova anche altrove; nel dialetto romanesco il poeta G.G.Belli trattando del medesimo organo riproduttivo intitolò un suo divertente sonetto addirittura Er padre de li santi e in riferimento all’organo femminile La madre de li santi.
Prendiamo in esame la voce ‘e ccriature; scritta con la geminata iniziale cc essa è il plurale di criatura/o (che etimologicamente vengono dal latino creatura(m)) comprendente i due generi maschile e femminile: insomma ‘e ccriature sono onnicomprensivamente i nati maschi e femmine e talvolta anche solo le nate femmine; mentre usando la c scempia: ‘e criature si indica il plurale del maschile criaturo e dunque i soli nati maschi. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la chiave ed il baco da setaper un collegamento in ogni caso furbesco: il primo da cercarsi nel fatto che la chiave entrando nella toppa si comporta ad un dipresso come il péne che penetra altra toppa; nel secondo caso il baco da seta per la sua forma può essere furbescamente accostato al padre delle creature e dunque al numero 29.
30 – ‘E PPALLE D’’O TENENTE e cioè le munizioni dell’obice di competenza del tenente, ma per traslato furbesco i testicoli che intesi, impropriamente, sferici vengono assomigliati alle sferiche palle da cannone; va da sé che il tenente richiamato è ampiamente pretestuoso, suggerito come fu dalla facile rima con trenta.
Rammenterò che nei tempi andati, durante le estrazioni dei numeri nel corso di tombole familiari e perciò ridanciane quando chi estraeva i numeri annunciava: Trenta! ‘E ppalle d’’o tenente! invariabilmente trovava un capo ameno che commentava per dileggio: Tu ‘e sciacque e i’ tengo mente… (tu le sciacqui ed io guardo!) e va da sé che non intendesse riferirsi alle munizioni…
Quanto all’etimo la parola tenente è part. presente del verbo tenire corradicale di tendere ed identifica l’ufficiale di grado superiore a sottotenente e inferiore a capitano, ma essendo un riferimento ameno non mette conto soffermarsi oltre. Con il numero a margine si indicò un tempo altresí la mozzarella ed il pallone da calcio per un collegamento con le palle del tenente dunque al numero 30, in ambedue i casi facile da cogliere e da ricercare nella sfericità sia delle munizioni (palle) del tenente, che delle mozzarelle, che del pallone da calcio.
Raffaele Bracale (segue)
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