martedì 16 ottobre 2012

LEVÀ/LEVARSE E RELATIVA FRASEOLOGIA

LEVÀ/LEVARSE E RELATIVA FRASEOLOGIA Questa volta per contentare il caro amico A.B., di cui – per i soliti motivi di privatezza – mi limito ad indicare le sole iniziali di nome e cognome, per contentare, dicevo, l’amico (che me ne à fatto precisa richiesta) e forse qualcun altro dei miei ventiquattro lettori tratterò qui di sèguito di alcune locuzioni partenopee costruite con il verbo in epigrafe: levà/levarse Cominciamo con il darne un breve elenco per poi analiticamente trattarne: 1) Levà ‘accasione; 2) levà ‘accuppatura; 3) levà ‘a frasca; 4) levà ‘a purpetta ‘a dint’ô piatto; 5) levà ‘a taverna ‘a ‘nnant’a cCarnevale; 6) levà ll’ummeto; 7) levà mano 8) Levàte ‘o bbrito! 9) levà ‘o cuorio ‘a cuollo; 10) levà ‘o ffraceto ‘a miezo; 11) levarse ‘a preta ‘a dint’â scarpa; 12) levà/levarse ‘a tuórno ; 13) levarse ‘e paccare ‘a faccia; 14) levarse ‘na mola/’nu dente; 15) levarse ‘nu pisemo ‘a copp’ô vernecale; 16) levarse ‘o ppane ‘a vocca; 17) levarse ‘o sfizzio. Prima di analizzare le locuzioni diciamo che il verbo transitivo levà attestato anche talora anche come luvà e la sua morfologia riflessiva ed intransitiva pronominale levarse/luvarse è usato in napoletano nei soli significati di togliere/ersi, cavare/arsi, portar via, rimuovere, mentre non è usato nelle accezioni di alzare/rsi, sorgere, innalzare/arsi, sollevare/arsi per le quali si preferisce usare auzà/auzarse oppure aizà/aizarse; etimologicamente levà è dal lat. levare 'rendere leggero, sollevare', deriv. di levis 'lieve, leggero'. Esaminiamo le locuzioni: Levà ‘accasione; Ad litteram: Togliere l’occasione; id est:recedere dal proprio atteggiamento rinunziando ad esser presente fisicamente o con le proprie idee in luoghi o situazioni che potrebbero dar adito a contrasti, contese o anche solo a discussioni spiacevoli. La voce accasione s.f.le = occasione, circostanza, situazione particolare è dal lat. occasione(m), deriv. di occasum, supino di occĭdere= accadere; levà ‘accuppatura; Ad litteram: Togliere la scrematura; id est: cavar via il meglio, ciò che è alla sommità o che rappresenta la parte migliore di qualcosa; espressione usata in senso reale con riferimento alla scrematura della panna d’affioramento sul latte, oppure con riferimento alla porzionatura d’ un cibo quando si riservi la miglior parte della pietanza al commensale piú importante o meritevole d’attenzione.L’espressione è però usata anche in furbesco senso traslato con riferimento alla deflorazione d’na donna illibata. La voce accuppatura s.f.le = sommità,parte superiore o migliore di qualcosa è dal lat. ad + cuppa(m)→accuppa addizionata del suff. f.le tura del m.le turo, suffisso,che unito a una base verbale, forma sostantivi indicanti oggetti ( es.: attizza-turo) oppure il luogo di riferimento del s.vo, come per la voce in esame; . -turo/tura continuano il latino -torium (o -sorium), che à dato origine pure ai suffissi -torio e sorio/zorio. levà ‘a frasca; Ad litteram: Togliere il ramo fronzuto; id est: sbaraccare,cessare un’attività, dismettere un esercizio, ritornare alla normalità; l’espressione si rifà all’abitudine di antichi osti, soprattutto quelli che aprivono bottega lungo la strada detta dell’Infrascata, osti che solevano sospendere a gli stipiti del loro esercizio dei telai lignei adorni di rami fronzuti esposti per indicare ai possibili avventori che era giunto il vino nuovo e se ne assicurava la vendita al minuto. Quando poi si erano esaurite le provviste, il telaio veniva staccato per indicare che non era più possibile approvvigionarsi di vino nuovo, ma solo di quello vecchio e che l’esercizio ritornava alla normale vendita del vino dell’anno precedente. Ovviamente il telaio veniva staccato anche quando l’oste sbaraccasse,cessando definitivamente l’attività. Per traslato figurato l’espressione è usata in riferimento ad una qualsivoglia cessazione d’attività anche non commerciale. La voce frasca s.f.le = 1 piccolo ramo fronzuto; fronda: 2 (fig.) persona, spec. donna, leggera e volubile 3 pl. (fig.) cose vane, capricci; è voce dal lat. med. frasca levà ‘a purpetta ‘a dint’ô piatto; Ad litteram: Togliere la polpetta dal piatto (di qualcuno); id est: Profittare truffaldinamente di beni altrui; agire proditoriamente in danno di terzi sottraendo slealmente quanto di loro spettanza giungendo persino a carpirglielo, sotto il naso ed addirittura dal piatto!Espressione usata ovviamente latu senso. La voce purpetta [dal lat. pulpa-m addizionato del suff. -etta]s.f.le = di per sé polpetta, pietanza di carne o altra sostanza tritata, aromatizzata con condimenti e preparata in piccole forme rotonde e schiacciate che vengono fritte o cotte in umido qui è usata come emblema di un quid di pertinenza pronto per essere fruito e che invece venga sottratto in quanto appetibile, allettante e stuzzicante. levà ‘a taverna ‘a ‘nnant’a cCarnevale; Ad litteram: Togliere la bettola di davanti a Carnevale; id est: Togliere l’occasione di eccedere; genericamente non consentire al vizioso al dissoluto, all’impudico, al lascivo, al lussurioso, al corrotto la circostanza, l’evenienza l’opportunità, la possibilità, il destro di abbandonarsi all’ incontinenza, all’intemperanza alla sregolatezza, alla sfrenatezza, all’eccesso, che son del suo costume, sottraendogli quel che potrebbe invece metterlo nella condizione di esagerare.Nella fattispecie con il termine Carnevale si intende un ipotetico personaggio crapulone, mangione e beone emblema dell’omonima festività del Carnevale, periodo dell'anno che va dall'epifania all'inizio della quaresima; in partic., l'ultima settimana di questo periodo, dedicata tradizionalmente ai divertimenti e alle feste mascherate, periodo di feste, tempo di spasso e di allegria, chiasso e dilettevole confusione. Sottrarre a tale personaggio la possibilità di frequentare una taverna, significa togliergli l’occasione di dar luogo ad eccessive intemperanze, facendolo recedere dal suo consueto atteggiamento fatto di gozzoviglie,bagordi, bisbocce, crapule e stravizi. Va da sé che estensivamente l’espressione si attagli ad ogni occasione in cui sia buona norma sottrarre a chicchessia l’occasione prossima di peccato od errore. La voce carnevale di per sé nome comune, qui fittiziamente reso nome proprio è dall’espressione carne levare→carneleva(re)→carnevale, perché dopo tale periodo comincia l'astinenza quaresimale dalle carni; la voce taverna s.vo f.le osteria di infimo ordine, bettola è dal lat. taberna(m) con tipica alternanza b/v (cfr. bucca-m→vocca, basiu-m→vaso,barca-m→varca etc.). ‘a ‘nnant’a = da/di davanti a locuzione avverbiale locativa formata dalla preposizione da→’a dall’avverbio/preposizione annante→’nnant’[dal lat. *in+antea] e dalla prep. sempl. a; spesso, nel parlato, annante è attestato come annanze,ma si tratta sempre della medesima voce. levà ll’úmmeto; Ad litteram: Togliere l’umido; id est: seccare, inaridire, essiccare, asciugare, disidratare, disseccare,prosciugare, e figuratamente (come nel caso che ci occupa)importunare, infastidire, molestare, disturbare, irritare, scocciare togliendo quasi al soggetto infastidito i suoi succhi vitali. úmmeto s.vo m.le 1 [ in primis (solo sg.)] umidità; 2 [per traslato come nel caso che ci occupa ] umore,succo vitale, anche sangue 2 intingolo, condimento a base di sugo di pomodoro, olio, verdure, nel quale si fanno cuocere a lungo la carne, il pesce o altri cibi; voce dal lat. (h)umidum→(h)ummidum→úmmeto, (deriv. di (h)umíre 'essere umido')con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale[m] e ritrazione dell’accento tonico, come spesso nel latino parlato. levà mano Ad litteram: Togliere mano; id est:Terminare un lavoro, mettere fine ad un’incombenza avendola proficuamente menata in porto, cessare di realizzare, eseguire, effettuare alcunché: un lavoro,un incarico, una missione e tutto ciò quando l’espressione è intesa nel suo primitivo e positivo senso; tuttavia talora essa, coniugata all’imperativo leva mano oppure levàte mano, vale tutt’ altro, è da intendersi in senso ironico e sta per lascia/lasciate perdere, non occuparti/occupatevi di quel che tenti/tantate di fare, perché non ne sei/siete all’altezza e non lo porterai/portereste a compimento! Levàte ‘o bbrito. Ad litteram: Togliete il vetro id est: Raccogliete e mettete via i bicchieri, le caraffe, i peretti, le giarre etc. usati dai clienti in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e lavassero i contenitori usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere che il tempo corre e ci si approssima alla fine della giornata lavorativa oppure alla fine del lasso di tempo concesso per dar corso ad una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi se la si vuole completare adeguatamente. brito s.vo m.le 1 materiale solido composto di vari silicati che si presenta come una massa amorfa omogenea, dura, fragile, trasparente, dotata di speciale lucentezza, impermeabilità, resistenza a tutti i reagenti chimici (tranne l'acido fluoridrico e gli idrati di sodio e potassio concentrati), scarsa conducibilità termica ed elettrica; si ottiene mediante fusione, a temperatura elevata, di sabbie silicee mescolate principalmente a carbonato di calcio, soda o potassa, e trova impiego come materiale isolante e protettivo non oscurante, per fabbricare recipienti, oggetti d'uso e ornamentali ecc. 2a s.vo neutro oggetto di vetro 2b s.vo neutro coll. bicchieri, caraffe, peretti, giarre etc. usati per bere nelle bettole; voce dal lat. vitru(m). levà ‘o cuorio ‘a cuollo; Ad litteram: Togliere il cuoio di dosso, cavar la pelle; id est: opprimere, angariare, tormentare, affliggere, maltrattare qualcuno sino a, per iperbole, scorticarlo, cavargli la pelle di dosso cioè dalle spalle, dal corpo, dalla persona; cuorio s.vo m.le 1in primis cuoio 2 per estensione pelle umana; voce dal lat. cŏriu(m)→cuorio ‘ncuollo = addosso e letteralmente in + collo/sul collo: cuollo s.vo m.le = collo voce dal lat. collum con tipica dittongazione della o breve: cŏ llu(m)→cuollo ‘ncuollo= (i)n+cuollo→’ncuollo= addosso. levà ‘o ffraceto ‘a miezo; Ad litteram: Toglier il guasto di mezzo ; id est: eliminare quanto nuoccia o non sia consono; in ogni situazione, in un rapporto quale che sia,mirare ai risultati concreti, andare súbito al sodo togliendo via ogni questioncella marginale che sia di intoppo,di intralcio al raggiungimento dello scopo principale; espressione in origine di àmbito contadino riferita ai coltivatori di mele annurche i quali al momento della raccolta dei frutti solevano scartare súbito quelli guasti nel timore che tenendoli insieme a quelli buoni finissero per renderli marci vanificando la raccolta, la successiva lenta lavorazione per portare a maturazione su approntati letti di paglia le gustosissime mele ed il conseguente lucro derivante dalla vendita dei frutti maturi. Successivamente l’espressione si attagliò per estensione a qualsiasi àmbito lavorativo sino a riferirsi nell’uso corrente ad ogni circostanza in cui sia opportuno far piazza pulita di nocivi ostacoli, impacci, intoppi, inciampi, ingombri per non compromettere il buon esito finale. fràceto alibi agg.vo m.le1 guasto, andato a male, putrefatto; 2 (fig.) corrotto; 3 (fig.) intrido d’acqua ma, nel caso che ci occupa s.vo neutro:1 la parte guasta, andata a male di qualcosa; 2 (fig.) corruzione; 3 terreno bagnato. Voce lettura metatetica del lat. fradiciu(m). ‘a miezo da/di mezzo locuzione avverbiale di luogo formata dalla preposizione da→’a e dal s.vo m.le miezo =mezzo nel significato di punto, il tratto di spazio che divide idealmente in due parti uguali uno spazio o alibi l'arco di tempo che divide idealmente in due parti uguali un periodo di tempo; miezo è dal lat. mediu(m) levarse ‘a preta ‘a dint’â scarpa; Ad litteram: Togliersi la pietra di dentro alla scarpa; id est: in primis liberarsi di un fastidio, di un intoppo che intralci fastidiosamente il cammino; ma in senso esteso, furbesco e figurato vale vendicarsi rendendo pan per focaccia, memori del brocardo latino vim vi repellere licet [è consentito rintuzzar la forza, con la forza] o dell’espressione partenopea: fa’ comme t’ è ffatto ca nun è peccato [fa’ come ti è stato fatto ché non pecchi] preta s.vo f.le 1 in primis nome generico per indicare blocchi o frammenti di minerale o di roccia,1a sassolino, ciottolino 2 (figurato come nel caso che ci occupa) fastidio, intralcio,intoppo irritante, sgradevole, spiacevole Voce lettura metatica del lat. petra(m)→preta(m) che è dal gr. pétra. ‘a dint’â = da/di dentro alla/la locuzione avverbiale di luogo formata dalla preposizione da→’a e dalla preposizione articolata impropria dint’â = nella;rammento al proposito che in napoletano per formare alcune preposizioni articolate , si fa ricorso alla preposizione impropria dinto ( =dentro – in dal lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro'); le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle che accompagnate in posizione protetica dalla preposizione da→’a servono a formare le locuzioni di/da dentro allo, di/da dentro alla, di/da dentro ai/a gli/ alle. scarpa s.vo f.le 1 in primis come nel caso che ci occupa calzatura di vario tipo, di cuoio o di altro materiale 2 (fig. fam.) persona inetta, incapace 3 cuneo che si pone sotto le ruote dei veicoli per tenerli fermi su un pendio; voce dal germ. *skarpa 'tasca di pelle' levà /levarse ‘a tuórno ; Ad litteram: Togliere/Togliersi di torno; id est: allontanare, togliere qualcosa che costituisca un impedimento; riferito a persona, liberarsene (anche uccidendola); usato come riflessivo vale allontanarsi, farsi da parte evitando di interferire o di infastidire qualcuno con la propria presenza inopportuna. Spesso l’espressione in esame è usata con impazienza, coniugata all’imperativo:lèvate ‘a tuórno /levàteve ‘a tuórno [vattene,andatevene ] diretto a soggetto/i che con la sua/loro presenza fuori luogo risulti/risultino fastidioso/si. ‘a tuórno =di torno, d’attorno, locuzione avverbiale di luogo formata dalla preposizione da→’a e da tuórno s.vo m.le e avv. [deverbale del lat. tornare 'tornire', deriv. di tornus 'tornio'; da cui 'muovere in giro, girare']. – Giro, limitatamente ad alcune espressioni: tuórno tuórno , giro giro, tutt’in giro (‘nu piatto ‘ndurato tuórno tuórno [un piatto dorato torno torno]; cammenava tuórno tuórno â funtana[camminava torno torno alla fontana], ecc.); ‘a tuórno [di torno, d’attorno], ma solo nella locuz. in esame. levarse ‘e pàccare ‘a faccia; Ad litteram: Togliersi gli schiaffi dal volto; id est: affrancarsi d’un torto o oltraggio, affronto, ingiuria subíti, cancellandoli con uno o piú atti di portata analoga; espressione simile, ma piú icastica di quella esaminata che chiama in causa il ciottolino e la scarpa. pàccare s.vo m.le pl. del sg. pàccaro o pàcchero =schiaffo inferto un tempo a mano concava,indirizzato alle natiche, ma oggi dato a mano aperta e tesa indirizzato al volto, colpo che quando sia cosí violento da lasciare il segno è detto paccaro a ‘ntorzafaccia; percossa violenta in tutto simile al mascone esaminato alibi; da non confondere con la pacca della lingua toscana che è un colpo amichevole assestato solitamente sulle spalle, colpo che – contrariamente al pàccaro – non connota intenzioni proditorie e/o aggressive; va da sé che il pàccaro napoletano non possa etimologicamente derivare dalla suddetta pacca toscana attesa la gran diversità delle funzioni e scopi dei due colpi; infatti mentre la pacca toscana à una derivazione probabilmente onomatopeica, il pàccaro napoletano è da collegarsi al termine pacca (natica) addizionato del suffisso di pertinenza arius→aro: la pacca di riferimento non è ovviamente quella onomatopeica toscana, bensí quella che viene da un basso latino pacca(m) forgiato su di un longobardo pakka che indica appunto la natica, ma pure la quarta parte ricavata in senso longitudinale di una mela o pera; con ogni probabilità, originariamente il pàccaro/pàcchero fu la sberla con cui si colpivano le natiche, una sorta di sculacciata cioè e da ciò ne derivò il nome che fu mantenuto, accanto ad altri, quando il colpo, lo schiaffo mutò destinazione; una gran copia di pàccari assestati in veloce combinazione prende il nome di paccariàta che oltre a sostanziare un’offesa è da intendersi anche quale forma di dileggio; ‘a = da forma aferetica della preposizione semplice da→(d)a→’a [ che è dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc.] da non confondere con l’omografo ed omofono art. f.le ‘a =la [ che è forma aferetica del lat. (i°l)la(m)→la→(l)a→’a, f.le di ille 'quello' ]; faccia s.vo f.le = 1 (in primis.) la parte anteriore della testa umana [impropriamente anche delle bestie], dalla fronte al mento; faccia, viso, volto; 2 (estens.) espressione, atteggiamento del volto 3(fig.) apparenza aspetto 4(fig.) la parte di qualcosa volta verso chi guarda: [ voce dal lat. facies «forma, aspetto, faccia», affine a facĕre «fare»]. levarse ‘na mola/’nu dente; Ad litteram: Cavarsi un molare/un dente; id est: Dar corso, obtorto collo, ad azioni, impegni gravosi spesso dovuti e necessari ancorché fastidiosi; ottemperare ad obblighi irritanti, sgradevoli, spiacevoli, quali ad es. un esborso di danaro, da cui però ci si possa esimere mola s.vo f.le molare, ciascuno dei denti che, nell'uomo e in altri mammiferi, ànno la funzione di masticare il cibo; nell'uomo, gli ultimi tre denti situati in ognuno dei due lati dell'arcata superiore e inferiore. [voce dal lat. mola(m)= macina] dente/rente s.vo m.le di doppia morfologia: nella seconda: rente è presente la rotacizzazione osco-mediterranea dell’ occlusiva dentale sonora [d→r] = 1 dente, ciascuno degli organi ossei infissi nelle mascelle dell'uomo e di alcuni animali e convenzionalmente suddivisi in corona (parte visibile), colletto e radice; servono ad afferrare gli alimenti, a masticare, a mordere ecc. 2 (fig.) ciò che morde in senso morale 3 elemento sporgente di un oggetto o di un meccanismo 4 cima aguzza e dirupata di un monte. [ voce dal lat. dente(m)]. levarse ‘nu pisemo ‘a copp’ô vernecale; Ad litteram: Togliersi un peso da sopra allo stomaco; id est: . affrancarsi,liberarsi riscattarsi, emanciparsi di qualcosa o qualcuno che infastidendoci, disturbandoci, seccandoci, annoiandoci, importunandoci, incomodandoci quando non danneggiandoci ci risulti insopportabile e figuratamente indigesto tal quale un cibo pesate che gravi sullo stomaco ‘a copp’ô da sopra allo locuzione prepositiva locativa formata con la prep. da→’a con l’avv.coppa←’ncoppa [sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)] e con la preposizione articolata ô = allo (crasi di a+ ‘o (=lo) come alibi â è la crasi di a + ‘a(la) ed ê è la crasi di a + ‘e (=i/gli/le); vernecale s.vo m.le stomaco; la voce vernecale ( adattamento del lat. med. vernicare)indicò in primis una scodella, una ciotola, un recipiente(di ceramica o terraglia) verniciato e poi per traslato lo stomaco pensato quale contenitore... laccato dal cibo levarse ‘o ppane ‘a vocca; Ad litteram: Togliersi il pane di bocca; id est: mostrarsi munifico oltre il consueto o il consentito, fare del bene in maniera larga, addirittura esagerata, enorme, smisurata, smodata, sovrabbondante sino iperbolicamente a rinunciare al proprio sostentamento, cavandosi il cibo di bocca per darlo a gli altri; espressione usata a volte con malcelato rincrescimento per dolersi dell’irriconoscenza di chi beneficato, mostri di non apprezzare come merita colui che per lui si sia levato il pane di bocca. ppane s.vo neutro 1 pane, alimento costituito da un impasto di acqua e farina, per lo più condito con sale, lievitato e cotto al forno in forme diverse; 2 ciascuna delle forme di pasta lievitata che vengono cotte al forno; 3 (estens.) vitto, mezzo di sostentamento. [voce dal lat. pane(m)]; rammento che in napoletano le voci che indicano molti alimenti sono intese di genere neutro (cfr. ‘o ppane, ‘o ssale, ‘o ppepe, ‘o zzuccaro, ‘o ccafè) e come tali esigono, come tutte le parole neutre – se precedute dall’articolo ‘o – il raddoppiamento iniziale della consonante d’avvio;degli esempi fatti la voce cafè può essere di genere neutro ‘o ccafé ed in tal caso indica appunto l’alimento o la pianta donde si ricava; se invece è di genere maschile ‘o cafè indica l’esercizio il locale pubblico in cui si consumano, al banco o ai tavoli, caffè, bibite, liquori, paste, panini ecc. in cui si vende o si serve al banco la bevanda di caffè. levarse ‘o sfizzio. Ad litteram:Cavarsi la voglia; id est: concedersi il soddisfacimento d’ un capriccio, un ghiribizzo, un grillo, un ticchio facendo o dicendo qualcosa senza remore o esitazione. sfizzio s.vo m.le (correttamente scritto in napoletano con due zeta); tale voce, partendo dalla parlata napoletana, è approdata in quella nazionale seppure accolto e scritto con la z scempia: sfizio ma mantenendo il medesimo significato di: capriccio, voglia: togliersi uno sfizio;cavarsi la voglia di fare qualcosa | per sfizio, per puro capriccio, per divertimento portandosi dietro molte voci derivate, come:il sostantivo sfiziosità (cosa sfiziosa; in partic., ricercatezza alimentare), l’aggettivo sfizioso (che soddisfa una voglia, un capriccio; che piace, attrae,perchéoriginale)nonché l’avverbio:sfiziosamente e (per sfizio). Di non facile lettura l’etimologia di sfizzio; la maggioranza dei dizionari in uso (persino il D.E.I.!), si trincera, procurandomi attacchi d’orticaria!..., dietro il solito pilatesco: etimo incerto/etimo oscuro; qualcuno, un po’ forse fantasiosamente, propende per una culla latina da un (sati)s -facio di cui lo sfizzio conserverebbe il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza. Qualche altro, ancor piú fantasiosamente (vedi C. Jandolo) ipotizza un latino ex+ vitium nella pretesa che lo sfizzio configuri una sorta di stravizio. Non manca infine, per fortuna!, coloro (ai quali mi accodo ) che propendono non a torto, piú correttamente - per un’etimologia greca da un fuxis/feuxis(fuga, evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità; Giunto a questo punto penso di non dover aggiungere altro, d’aver contentato l’amico A.B. ed aver interessato qualcun altro dei miei 24 lettori, per cui metto un punto fermo ed annoto: satis est! Raffaele Bracale

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