venerdì 14 dicembre 2012

'A SOTTO P’’E CHIANCARELLE!

‘A SOTTO P’’E CHIANCARELLE! Ad litteram: (Toglietevi)di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli! Locuzione esclamativa (in origine grido di avvertimento) con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere nella valenza di Accidenti!, Perbacco!; essa, come già accennato , prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli. ‘a sotto = da/di sotto locuzione avverbiale e/o prepositiva formata da ‘a= da dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; o dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc. e da sotto avv. e preposiz. impropria = sotto dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto'; chiancarelle = panconcelli, travicelli strette, ma abbastanza lunghe (un metro) doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano (nelle costruzioni di una volta) l’impiantito dei solai. la voce è il plurale di chiancarella che etimologicamente è un derivato (diminutivo : vedi suff. ella+ l’infisso ar) del basso latino planca(m)=tavola lignea; dalla medesima planca(m)=tavola lignea il napoletano trasse la voce chianca = macelleria, rivendita di carni macellate; e ciò in quanto originariamente l’ esposizione e la sezionatura per la vendita al minuto delle carni avveniva tenendole poggiate su di un tavolo ligneo; tipico e normale il passaggio del gruppo latino pl come pure cl seguíto da vocale al napoletano chi (vedi plus→chiú=piú, platea→chiazza=piazza, plumbeum→chiummo=piombo, clausum→chiuso, etc.). Raffaele Bracale

2 commenti:

  1. Egregio Sig. Bracale, finalmente dopo tanto peregrinare, riesco a parlare con lei sul suo apprezzatissimo blog.
    Mi chiamo Giuseppe Capone, le scrivo da Maiori, Costiera Amalfitana, ho trentatrè anni e sono un appassionato di letteratura napoletana e soprattutto un "poeta" amatoriale di vernacolo napoletano, scrivendo delle poesiole che riscuotono, forse immeritatamente, un modesto consenso nei concorsi a cui partecipo di sovente. Detto questo, le voglio esternare tutto il mio apprezzamento, perchè è grazie anche alle innumerevoli lezioni di napoletano, che lei magistralmente elargisce sul suo blog, che io ho appreso più facilmente le numerose regole grammaticali dell'idioma partenopeo ed a tal proposito, volevo avere alcune delucidazioni in merito alla cosa, anche perchè a volte mi capita d'essere indeciso se non frastornato, nel dover opatare per alcune opzioni di cui voi, addetti ai lavori, vi rendete, vostro malgrado, protagonisti.
    Mi spiego: per esempio: l'art. indeterminativo 'NU,'NA, lei afferma di scriverlo graficamente con il segno diacritico dell'aferesi, diversamente invece, un altro illustre, quanto lei, dialettologo, preofessore, esperto del dialetto napoletano, Carlo Iandolo(dai cui libri ho cominciato ad apprendere le prime regole grammaticali, alcuni anni or sono) inserisce nei suoi testi gli articoli indeterminativi senza segno diacritico, semplicemente solo: NU, NA ; e ancora: l'avverbio di luogo LLA, lei asserisce di scriverlo senza accentarlo, perchè a differenza dell'italiano dove si confonde con l'articolo det .fem. LA, l'avv. si accenta in LÀ, in napoletano non c'è un altro monosillabo per cui confondersi, ma contestualmente, il prof. Iandolo usa su i suoi testi, la grafìa accentata LLÀ.
    Ora, fermo restando che sposo in pieno le sue tesi, (credendole, molto immodestamente, più consone e veritiere alla scrittura vernacolare) mi domando e le domando: perchè persone come lei e il signor Iandolo, (ce ne sarà sicuramente qualche altro di cui però, ignoro la fama) che hanno voce in capitolo e sono due dei professionisti più rinomati e stimati "del settore" e masticano la materia tanto da insegnarla, hanno idee così differenti in merito (e leggendo delle sue lezioni mi pare che lei abbia dissentito -non ricordo in merito a cosa- anche su alcune tesi del prof. De Falco)? Tutti noi che seguiamo la grafia vernacolare, dunque (appassionati, amatoriali come me o professionisti) dobbiamo essere indotti a pensare che la scrittura napoletana è basata sulle interpretazioni dei varii studiosi-dialettologi dell'idioma e quindi è soggetta a interpretazioni o ha (come credo) delle specifiche regole grammaticali?
    Le pongo questo quesito perchè personalmente, da "studioso", sia pur amatorialmente, di dialetto napoletano, sono indotto in confusione nel dover sposare una tesi a dispetto dell'altra, fermo restando che sposo in pieno, come le ho già esternato prima, le sue;
    forse si tratta del moderno dilemma che affonda le sue radici in quello antico del Galiani e di Luigi Serio, che avevano in merito al vernacolo partenopeo, due tesi contrapposte?

    La ringrazio anticipatamente della sua squisita gentilezza, e rinnovandole la mia stima, onorandomi di essere un suo affezionato lettore e sostenitore, le porgo distinti saluti.

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  2. Egregio Sig. Bracale, finalmente dopo tanto peregrinare, riesco a parlare con lei sul suo apprezzatissimo blog.
    Mi chiamo Giuseppe Capone, le scrivo da Maiori, Costiera Amalfitana, ho trentatrè anni e sono un appassionato di letteratura napoletana e soprattutto un "poeta" amatoriale di vernacolo napoletano, scrivendo delle poesiole che riscuotono, forse immeritatamente, un modesto consenso nei concorsi a cui partecipo di sovente. Detto questo, le voglio esternare tutto il mio apprezzamento, perchè è grazie anche alle innumerevoli lezioni di napoletano, che lei magistralmente elargisce sul suo blog, che io ho appreso più facilmente le numerose regole grammaticali dell'idioma partenopeo ed a tal proposito, volevo avere alcune delucidazioni in merito alla cosa, anche perchè a volte mi capita d'essere indeciso se non frastornato, nel dover opatare per alcune opzioni di cui voi, addetti ai lavori, vi rendete, vostro malgrado, protagonisti.
    Mi spiego: per esempio: l'art. indeterminativo 'NU,'NA, lei afferma di scriverlo graficamente con il segno diacritico dell'aferesi, diversamente invece, un altro illustre, quanto lei, dialettologo, preofessore, esperto del dialetto napoletano, Carlo Iandolo(dai cui libri ho cominciato ad apprendere le prime regole grammaticali, alcuni anni or sono) inserisce nei suoi testi gli articoli indeterminativi senza segno diacritico, semplicemente solo: NU, NA ; e ancora: l'avverbio di luogo LLA, lei asserisce di scriverlo senza accentarlo, perchè a differenza dell'italiano dove si confonde con l'articolo det .fem. LA, l'avv. si accenta in LÀ, in napoletano non c'è un altro monosillabo per cui confondersi, ma contestualmente, il prof. Iandolo usa su i suoi testi, la grafìa accentata LLÀ.
    Ora, fermo restando che sposo in pieno le sue tesi, (credendole, molto immodestamente, più consone e veritiere alla scrittura vernacolare) mi domando e le domando: perchè persone come lei e il signor Iandolo, (ce ne sarà sicuramente qualche altro di cui però, ignoro la fama) che hanno voce in capitolo e sono due dei professionisti più rinomati e stimati "del settore" e masticano la materia tanto da insegnarla, hanno idee così differenti in merito (e leggendo delle sue lezioni mi pare che lei abbia dissentito -non ricordo in merito a cosa- anche su alcune tesi del prof. De Falco)? Tutti noi che seguiamo la grafia vernacolare, dunque (appassionati, amatoriali come me o professionisti) dobbiamo essere indotti a pensare che la scrittura napoletana è basata sulle interpretazioni dei varii studiosi-dialettologi dell'idioma e quindi è soggetta a interpretazioni o ha (come credo) delle specifiche regole grammaticali?
    Le pongo questo quesito perchè personalmente, da "studioso", sia pur amatorialmente, di dialetto napoletano, sono indotto in confusione nel dover sposare una tesi a dispetto dell'altra, fermo restando che sposo in pieno, come le ho già esternato prima, le sue;
    forse si tratta del moderno dilemma che affonda le sue radici in quello antico del Galiani e di Luigi Serio, che avevano in merito al vernacolo partenopeo, due tesi contrapposte?

    La ringrazio anticipatamente della sua squisita gentilezza, e rinnovandole la mia stima, onorandomi di essere un suo affezionato lettore e sostenitore, le porgo distinti saluti.

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