lunedì 21 gennaio 2013

PIZZA DI SCARÒLE

PIZZA DI SCARÒLE Questa preparazione in uso nella cucina napoletana è tipica delle feste natalizie e di fine anno; infatti tale pizza viene consumata nei giorni del 24 e 31 dicembre quale desinare di mezzodí in attesa del luculliano pasto (quantunque di magro) serale di vigilia, ma trattandosi di un asciolvere squisito,ed i cui ingredienti son reperibili anche in ogni stagione, nulla vieta di prepararlo anche a Pasqua in alternativa alla pizza rustica, oppure quando lo si voglia! pizza s.vo f.le focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni,capricciosa etc.; questa che ci occupa è una focaccia rustica, salata farcita di scarole condite; la voce pizza piú che dal longob. bizzo 'morso, focaccia', penso sia un deverbale del latino pinsere= pestare, schiacciare: il part. pass. pinsa à dato pinza donde pizza (vedi ultra). *scarola o scariola,( dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo, esca') (s. f.) è una varietà di indivia; ed anche, in alcune regioni, una varietà di lattuga o cicoria; a Napoli ed in Campania esistono due speci di scarola-indivia: la riccia e la liscia; la prima è usata essenzialmente da cruda in insalata da sola o con altri ortaggi: cavolo bianco lesso etc. condita all’agro con olio aglio e limone o aceto, mentre la scarola-indivia liscia viene usata da cotta dapprima lessata in acqua salata e poi saltata in padella con olio, aglio, acciughe, capperi ed olive nere di Gaeta; è appunto quest’ultimo tipo che dev’essere usata per preparare la pizza di scarole; tale pizza può essere cotta al forno in una teglia ampia e poi divisa in fette triangolari e servita, oppure può esser fritta già monoporzionata in forma di calzoncelli semicircolari; in ambedue i casi gli ingredienti sono i medesimi. ingredienti e dosi per 6 – 8 persone per l’involucro: 9 etti di pasta da pane già lievitata + una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f. oppure : farina gr. 600 - una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f. -sale gr. 15 - un cucchiaino di zucchero - lievito di birra (un cubetto) - 350 cl. di acqua. per il ripieno: scarole lisce mondate e lavate Kg. 1,5 – 3 spicchi di aglio, mondati e tritati – 1 bicchiere di olio di oliva e.v.p.s. a f. – 2 etti di olive di Gaeta denocciolate – 1 etto di capperini di Pantelleria dissalati – due cucchiai colmi di pinoli tostati al forno (220°) o in padella con un filo d’olio – 1 etto di uvetta ammollata in acqua calda sale doppio una presa pepe bianco q.s. 10 – 12 filetti di acciughe sott’olio. procedimento Cominciamo con la versione a forno. L'impasto occorrente è essenzialmente quello del pane; se non lo si compra già pronto dal fornaio occorre procedere in questo modo: mettere su di un ripiano la farina a "fontana", aggiungere l'olio, l'acqua, il cubetto di lievito, lo zucchero ed il sale sulla corona ed amalgamare bene il tutto e porre la pasta a lievitare al caldo, in una terrina coperta con un canevaccio. Mondare e lavare le scarole, metterle in una pentola con poca acqua salata (sale grosso) e lessarle (15 min. circa), infine metterle a scolare, dopo d’averle un po’ strizzate. In un ampio tegame, provvisto di coperchio, versare tutto l’olio con i tre spicchi d’aglio schiacciati e farli soffriggere a fuoco vivace; eliminare gli spicchi d’aglio, aggiungere i filetti d’accighe e, aiutandosi con la punta d’un cucchiaio di legno, farli sciogliere nell’olio caldo, indi aggiungere le olive denocciolate e i capperi; a seguire dopo due minuti unire i pinoli e le uvette ed infine le scarole ben strizzate, condire con sale e pepe,incoperchiare, abbassare i fuochi ed ultimare la cottura mescolando di tanto in tanto (**). Lasciar freddare e preparare la tortiera alta di bordo e di circa 25 cm. di diametro per la cottura della pizza, oliandone la superficie. Dividere in due parti diseguali l’impasto ormai lievitato e usarne una parte (la maggiore) per la base,foderando accuratamente fondo e bordo della tortiera, aggiungere le scarole pressandole alquanto con il cucchiaio di legno e completare l’operazione coprendo le scarole con un "coperchio di pasta avanzata"; lasciar lievitare ancóra per circa un'ora in un luogo caldo ed asciutto ed infornare a 200°per 30 minuti.(*) Una volta che la pizza sarà cotta, estrarla dal forno farla intiepidire prima di porzionarla e servire. Note Attenzione! (*) Qualora si usasse la pasta di pane del fornaio, prima di usarla occorrerà intriderla bene con una tazza d’olio d’oliva. e.v.p.s. a f. stracciandola e riammassandola. (**)La cottura sarà ultimata quando la scarola non rilascerà piú acqua e l'olio incomincerà a friggere nuovamente. VERSIONE FRITTA Come ò già detto sia che si tratti di pizza di scarole al forno, che di pizze di scarole fritte gli ingredienti e le dosi sono i medesimi. Avremo dunque: per l’involucro: 9 etti di pasta di pane già lievitata, intrisa con una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f., oppure : farina gr. 600 - una tazza di olio d’oliva e.v.p.s. a f., -sale gr. 15 - un cucchiaino di zucchero - lievito di birra (un cubetto) - 350 cl. di acqua. per il ripieno: scarole mondate e lavate Kg. 1,5 – 2 spicchi di aglio – 1 bicchiere di olio di oliva – 1 etto di olive di Gaeta denocciolate gr. – ½ etto di capperini di Pantelleria dissalati – due cucchiai colmi di pinoli tostati al forno (220°) o in padella con un filo d’olio – 1 etto di uvetta ammollata in acqua calda, 10 – 12 filetti di acciughe sott’olio, sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s. per la frittura abbondante olio per friggere (arachidi, semi vari, mais, girasole). procedimento Si procede cosí come nella versione al forno fino a quando le scarole siano stufate; indi (*) si divide l’impasto in pezzi grossi come un mandarino e con l’aiuto di un matterello e di una rotellina dentellata se ne ricavano delle sfoglie spesse ½ cm. della grandezza e forma di un piattino da frutta, si dispongono tutte queste sfoglie sul tagliere infarinato l’una accanto all’altra e lungo l’ideale diametro di ognuna si pongono uno accanto all’altro due cucchiai di scarole stufate, si ripiega un lembo poggiandolo sull’altro, serrando il ripieno, si inumidisce d’acqua leggermente un bordo e si sigilla pressando con i rebbi di una forchetta ed ottenendo dei calzoncelli semicircolari che vanno fritti fino a doratura in olio bollente e profondo. Si servono caldi di fornello. (*)Attenzione! Qualora si usasse la pasta di pane del fornaio, prima di usarla non bisogna dimenticare di intriderla con una tazza d’olio d’oliva e.v. p.s. a f. NOTA LINGUISTICA Lavoce pizza è usata (come ò accennato), nel napoletano innanzitutto per indicare una tipica schiacciata tonda o rettangolare di pasta lievitata, condita in molti modi (ad es. salsa di pomidoro, aglio trito, origano, sale ed olio: pizza alla marinara o napoletana classica; salsa di pomidoro,mozzarella, formaggio grattugiato, basilico, sale ed olio: pizza margherita; divisa in quattro sezioni con una sottile croce di pasta sovrapposta alla schiacciata tonda; ognuna delle sezioni è condita diversamente: 1) pomidoro, aglio trito, origano, sale ed olio – 2) pomidoro,carciofini o funghi sott’olio, sale ed olio - 3) pomidoro, aglio trito,alici fresche, origano, sale ed olio – 4) ricotta, formaggio grattugiato,ciccioli di maiale, basilico, sale ed olio: quattro stagioni ; sugna e formaggio: pizza puverella, sugna pomidoro e formaggio : pizza guappa ;questi ultimi due tipi di pizza non si riscontrano quasi piú nei menú delle pizzerie napoletane specialmente da quando, seguendo i cervellotici dettami dei dietisti del tubo… catodico si è quasi del tutto abolita dall’elenco dei condimenti, la gustosa sugna; altre preparazioni che oggi si posson trovare in tantissime pizzerie napoletane e non, sono fantasiose variazioni ad libitum operate da i pizzaiuoli che si sbizzarriscono ad inventare nuovi condimenti). A margine della pizza guappa, rammento che dal suo tipo di condimento sugna e pomodoro si trasse l’espressione fà a uno ‘nzogna e pummarola (letteralmente fare uno sugna e pomodoro, cioè percuoterlo tanto (come richiede la pizza/schiacciata di riferimento) da vederlo rosseggiare di sangue (pummarola) e costringerlo a far ricorso a pomate o linimenti (‘nzogna). La pizza condita in uno dei modi rammentati, viene cotta piú o meno brevemente ad una temperatura di circa 400° in tipici forni a legna di mattoni refrattari. Con la voce pizza però a Napoli si indica, addizionandola di un aggettivo o uno specificativo, anche qualsiasi torta o preparazioni di paste rustiche o dolci variamente farcite e si ànno quindi: pizza ‘e scarole (torta con le scarole) pizza rustica (torta farcita di latticini, uova,salumi etc.) pizza doce (torta di pan di spagna farcita di creme) ed altre; una tipica pizza doce che però si è conquistato un suo nome specifico è il gattò mariaggio (torta di pan di spagna farcita di creme e ricoperta di naspro usata in occasione di sponsali: trae il suo nome dal francese gateau (torta) du mariage (del matrimonio;). Altra preparazione rustica è la cosiddetta pizza ‘e patane nota anche e meglio con il nome di gattò ‘e patane Il gattò di patate napoletano è una torta rustica, salata o meglio uno sformato di patate tipico della cucina partenopea dove fu introdotto dai cuochi francesi chiamati nel Reame di Napoli in occasione delle proprie nozze(1768) dalla regina Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, ma non è piatto derivante dalla cucina francese, ma inventato qui nel Reame, con tutti gli ingredienti usati nella cucina napoletana, con la sola eccezione del burro (ingrediente per solito …nordico) questa volta usato in luogo dell’olio d’oliva e.v. tipico della cucina meridionale e con l’eccezione del pomodoro mancante del tutto in questa preparazione il cui nome è gattò, evidente corruzione del lemma francese gateau (torta); al proposito ripeto che la parola gattò entrò anche, dopo la discesa dei cuochi francesi detti dai napoletani monzù,corrompendo il francese monsieur, nelle pasticceria napoletana dove con il nome di gattò mariaggio con evidente corruzione di gateau du mariage si indicò la dolce torta nuziale. Un’altra pizza doce (regina della pasticceria napoletana) che si è conquistato un suo nome ad hoc è la pastiera, per la cui trattazione rimando alibi. Pizza s f (gastr.) focaccia di pasta di farina lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale; per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni etc. Etimo incerto: qualcuno opta forse per un’origine germ., dal longob. bizzo 'morso, focaccia';altri piú fantasiosamente da un non attestato *apicia (pàtina) preparazione culinaria attribuita (ma non è dato sapere in base a quali risultanze o reperti) al cuoco romano Marco Gavio Apicio( nato intorno al 25 a.C. e morto verso la fine del regno di Tiberio). A mio avviso, essendo la pizza una focaccia, una schiacciata di pasta di farina lievitata, lavorata e spianata, si può quanto alla semantica tranquillamente far riferimento al p. p. sostantivato pinsa del verbo latino pinsere=pigiare, schiacciare; e morfologicamente partendo da pinsa con un tranquillo, consueto passaggio di ns ad nz e successiva assimilazione regressiva nz→zz si può approdare a pizza evitando di scomodare i morsi longobardi o pretese e non comprovate preparazioni culinarie attribuite a Marco Gavio Apicio. Scarola s.f. varietà di indivia; ed in alcune regioni, varietà di lattuga o cicoria. voce napoletana pervenuta poi all’italiano, con derivazione dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo, esca'). ‘nzogna s.vof.le= sugna, strutto Precisiamo súbito che la voce napoletana a margine che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto. Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso. Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna. Naspro s.vo neutro glassa zuccherina; la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà= ricoprir di naspro una torta o altro(a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro come ò fatto con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali ma con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca. Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convinse ed ancóra poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche, né d’altro canto non è attestato da nessuna parte che – fatta eccezione per la glassa della torta nunziale rigorosamente bianca(o almeno un tempo fu cosí: oggi assistiamo a tutto…) - dicevo non è attestato da alcuna parte che il naspro debba essere bianco ; penso di poter a proporre una mia ipotesi sia pure non supportata ancóra (ma non dispero!) da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)n-asperum→nasperum→naspru(m)→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros. Spero di non essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non convincimento, sono in ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non è soddisfatto dell'ipotesi Cortelazzo/Marcato e trova (ma spero non lo faccia per mera amicizia...) piú perseguibile la mia idea. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! raffaele bracale

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