venerdì 14 giugno 2013

VARIE 2411

1) CRAVÚGNOLO GRAVUOGNOLO o CRAVUONCHIO Cosí nel napoletano vengono indicati foruncoli, bitorzoli, sporgenze, pustolette presenti in genere sul volto di persone il piú delle volte giovani, foruncoli, bitorzoli, sporgenze, pustolette talora lividi o di colore bruno; à/ànno derivazione da carbunculus diminutivo di carbo/onis; debbo ritenere quindi che “graungelo” o “gravungelo”attestate in Castelvolturno nei medesimi significati siano adattamenti locali delle voci che ò indicato. 2)CURNUTO E MAZZIATO Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú icastica e cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse. curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta 1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni 2 (lett.) che à forma di corno o di corna. 3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge; quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno' mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastonr, randello; sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto) etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo; piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora etimologicamente da un lat. volg. *pĕcoru(m)→piecoro; nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci; murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola; voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva. Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la più cruda curnuto e scannato. Raffaele Bracale 3)INQIETARE, IMPORTUNARE, INFASTIDIRE & dintorni Questa volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, per parlare delle voci italiane in epigrafe ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano. Entriamo súbito in medias res e troviamo: inquietare v. tr. 1 rendere inquieto; turbare, preoccupare: pensieri che inquietano l'animo 2 (ant.) vessare, perseguitare, irritare, spazientire inquietarsi v. intr. pron. 1 (non comune) mettersi in ansia per qualcosa; preoccuparsi 2 irritarsi, spazientirsi: si inquieta con tutti per un nonnulla. Quanto all’etimo è un verbo derivato dal lat. inquietare, deriv. di inquietus 'inquieto'; importunare v. tr. dar fastidio, disturbare, recare molestia: specialmente con richieste ripetute: importunare una donna, infastidirla con un eccesso di galanteria o con apprezzamenti sconvenienti | in formule di cortesia: scusi se la importuno; non vorrei importunarla. Quanto all’etimo è un verbo derivato dall’aggettivo importuno che è dal lat. importunu(m), comp. di in- 'non' e (op)portunus 'opportuno'; infastidire v. tr. dar fastidio, disturbare, recare molestia: 1 recare noia a qualcuno: infastidire gli altri con le proprie lamentele 2 (ant.) provare ripugnanza per qualcosa; avere a noia ||| infastidirsi v. intr. pron. seccarsi, perdere la pazienza: s'infastidisce per cose da nulla. Etimologicamente è verbo derivato dal sostantivo fastidio con il prefisso di un in illativo; fastidio è dal lat. fastidiu(m) 'ripugnanza, disdegno', probibile contaminazione di fastus 'orgoglio' e taedium 'noia, disgusto'. I limitati verbi dell’italiano or ora illustrati trovano nel napoletano numerosissimi e forse piú precisi alleati che sono: abbafà v. intr. che in primis vale: inaridire, alidire, insecchire, riardere per effetto dell’eccessivo calore; per traslato vale: tediare, seccare, importunare che è del comportamento tipico delle persone fastidiose che si appiccicano addosso tal quale un’aria greve e calda; quanto all’etimo si tratta d’un denominale del sostantivo d’àmbito laziale e romano bafa collaterale di afa = calore eccessivo, alidore fastidioso; fruscià v. intr. e trans. che in primis vale fluire, scorrere copiosamente; per traslato vale: molestare, contristare, importunare (che è del comportamento tipico delle persone fastidiose) ed ancóra dissipare, sciupare; nella forma riflessiva frusciarse vale: affannarsi, affaccendarsi, pavoneggiarsi, darsi importanza (che è del comportamento tipico delle persone che affaccendate a fare alcunché, non ànno voglia e tempo di accorgersi degli altri ritenuti inferiori;) quanto all’etimo si tratta d’un derivato del lat. frustiare; ‘ncuità v. trans. in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: beffeggiare, fare, giocare una beffa a qualcuno, canzonare, deridere; la forma riflessiva ‘ncuitarse vale adirarsi, irritarsi; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n distrattivo + il lat. quietus=quieto, tranquillo e cioè incuitare/’ncuità sta per toglier la quiete, la tranquillità; ‘nfanfarí v. trans. che in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: frastornare,stordire, intontire; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro/’nfanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare; ‘nfardà v. trans. che in primis vale:Insozzare,sporcare e poi anche ripiegare e cioè dare luogo all’operazione detta infaldatura, operazione finale nella produzione dei tessuti, consistente nel piegare in falde sovrapposte la pezza del tessuto; quest’ultima accezione che compendia un’azione lunga, noiosa e fastidiosa, spiega semanticamente il passaggio del verbo a margine al significato di infastidire, dar fastidio; il verbo ‘nfardà deve il suo significato primo di insozzare, sporcare al fatto che etimologicamente è verbo ricavato da un in→’n (illativo) + il s.vo farda che in napoletano con etimo dall’ ant. francone fard vale escremento, sterco; il passaggio ad infaldatura è dovuto invece alla confusione popolare del s.vo farda →fard con farda (falda) che è dal gotico falda= piega ‘nfettà v. trans. che in primis vale:Infettare, contaminare; e poi annoiare, infastidire; etimologicamente è verbo dal lat. infectare 'avvelenare, turbare', deriv. di infectus; il passaggio semantico tra primo e successivi significati si spiega intuitivamente: ogni contaminazione, ogni infezione procura noia e fastidio…; scuccià v. trans. e riflessivo che vale: dar noia, fastidio ed esattamente rompere la testa; scocciarsi v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi; etimologicamente è verbo da un ex + coccia (cranio, testa) derivato da un lat. reg. cocia→coccia per cochlea= guscio della conchiglia concavo come il capo; sfastedià v. trans. e riflessivo che vale: infastidire, disturbare, importunare sfastediarse v. intr. pron. annoiarsi; etimologicamente è un denominale del lat. fastidiu(m)= noia, tedio addizionato in posizione protetica di una s intensiva; sfruculià verbo trans. infastidire, stuzzicare, punzecchiare tediosamente. Si tratta di un verbo della parlata napoletana, pervenuto poi nell’italiano,stranamente senza alcun adattamento (di solito i napoletanismi (cfr. ad es. scustumato→scostumato)mutano le chiuse u nelle piú aperte o ) nel significato di tediare, infastidire, punzecchiare, stuzzicare e simili. Illustro qui di seguito la piú famosa locuzione partenopea costruita con il verbo a margine: Sfruculià 'a mazzarella 'e san Giuseppe Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante, quasi sbreccandone dei pezzetti. La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un attento e severo servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto, durante un suo soggiorno veneziano da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi ( 1700 ca), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo tenore il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque il bastone in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire; stunà v. trans. e riflessivo che vale in primis:stordire con logorrea e/o eccessivo volume di voce, poi turbare, sconcertare ed infine rintronare,tramortire colpendo alla testa con un colpo;va da sé che lo stordire o il turbare comportino l’annoiare, il seccare, l’infastidire; stunarse v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi;con altra valenza piú restrittiva il verbo stunà vale stonare, fare stecche (nella musica o nel canto).Etimologicamente il verbo a margine è un derivato del fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extona¯re; mentre per la valenza relativa al canto si può accettare una derivazione dal s.vo tono con la protesi di una esse distrattiva: perdere il tono; stuzzecà v.tr. 1 toccare, frugare qua e là, spec. con un oggetto sottile e appuntito; toccare insistentemente, provocando irritazione, dolore; 2 (fig.) eccitare, stimolare; 3(fig.ed è il caso che ci occupa) molestare, irritare, punzecchiare; 3 (fig.) eccitare, stimolare; Per nulla tranquilla la questione etimologica del verbo a margine: per alcuni sbrigativamente si tratta di una voce onomatopeica, ma nessuno si perita di chiarire donde deriverebbe tale gratuita,supposta onomatopea, per cui mi pare che questa che parla d’onomatopea, sia idea da scartare; come pure mi pare da scartare l’idea che chiama in causa un non attestato lat. *tudiare (da tudes= martello) con una sovrapposizione di un longobardo stuzzian (=?): troppo arzigogolata e poco dimostrabile!...Come arzigogolata o troppo fantasiosa e poco dimostrabile o significativa è una ipotizzata derivazione dall’ a.a. tedesco stôzen(=?); ugualmente è – a mio avviso – da dirsi troppo arzigogolata e poco dimostrabile, oltre che molto fantasiosa quella che propose il Caix che pensò a non attestati *stoccicare/*stozzicare che ipotizzò derivati da stocco=arma bianca piú corta della spada, con lama piú stretta e a sezione triangolare, per ferire di punta. Tutto sommato, a mio avviso, se si vuole evitare di arrendersi ad un etimo sconosciuto lavandosene le mani, meglio mettersi sulle orme del D.E.I. e pensare a questo stuzzecà come ad un iterativo di tuzzà = urtare, sbattere contro etc.(derivato da un *tuccjare→tuzzà con cj→zz come alibi per allazzà – curazza etc.) iterativo rafforzato da una esse durativa in posizione protetica: da tuzzà→tuzzecà e poi stuzzecà nel significato di urtare ripetutamente e dunque molestare, irritare, punzecchiare; zucà v. trans. in primis vale: succhiare, suggere, poppare per traslato sta per seccare, infastidire, tediare; quanto all’etimo di questo verbo (per il quale è facilmente intuibile il collegamento semantico tra i primi significati e quelli traslati,) tutti concordemente parlano di una derivazione da un *sucare (denominale di sucus che diede anche un suculare donde succhiare). E penso di poter mettere un punto fermo: satis est. Raffaele Bracale

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