mercoledì 28 agosto 2013

VARIE 2506

1-Fà scennere 'na cosa da 'e ccoglie 'Abramo. Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid ( sia esso un'opera o una cosa) lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile o faticoso ottenimento accreditandone quasi la augusta provenienza. fà scennere = far discendere voci verbali degli infiniti fà di fare forma sincopata del latino fa(ce)re l’infinito troncato fa è scritto fa preferito all’apocopato fa’ per evitare una possibile confusione con il fa’= fai 2° pers. sing. dell’imperativo dello stesso fare/fa; scénnere= scendere discendere, portar giú derivato dal latino (de)scendere, comp. di dì- 'de-' e scandere 'salire'; nella voce napoletana si è verificata la consueta assimilazione progressiva nd>nn; cosa= cosa, termine generico usato per indicare qualsiasi entità, concreta o astratta, che sia oggetto dell'attenzione di chi parla o di chi scrive e che riceve... sost. femm. derivato dal basso lat. causa(m)=cagione che produsse *cosa(m) ed il verbo *cosare usato in luogo di causare; coglie= testicoli sostantivo femm. plur. del sing. coglia che dal neutro latino coleum (pl. colea inteso poi femm.) indicò (cosí come i greci koleòs e koleòn donde il latino coleum,) una borsa, un fodero e segnatamente quella dei testicoli, che finirono per assumere il nome della borsa che li conteneva 2 -Fà tre fiche nove ròtele Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera e si ammanti di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle due sicilie corrispondente in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario, 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, ancora oggi è in uso a Malta, che prima di divenire colonia inglese apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordiamo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba rate,trasformazione a sua volta della parola greca litra, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la litra divenne poi in epoca romana libra (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano. tre agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a due unità più una; nella numerazione araba è rappresentato da 3, in quella romana da III: l’etimo è dal latino tre(s); fiche sost. femm. plurale di fica che è il frutto del fico, frutto che invece in italiano è maschile: fico, come la pianta da cui deriva; l’etimo di fica (che in napoletano vale (alla medesima stregua della voce nordica figa) anche vulva, vagina con riferimento alla boccuccia, fenditura rosseggiante presente sulla base del frutto) è dal maschile latino ficus reso femminile; ficus è da collegarsi al greco phýo= produco a sua volta dall’ebraico phag il tutto a cagione della fecondità della pianta; il significato osceno è già presente nel greco sûkon che indica sia il frutto che la vulva; nove agg. num. card. numero naturale corrispondente a otto unità più una; nella numerazione araba è rappresentato da 9, in quella romana da IX con etimo dal latino nove(m); ròtele sost. masch. plurale metafonetico di ruotolo= rotolo di cui ò già detto. 3 - Fà fetecchia: I l termine in epigrafe ha un variegato ventaglio di significati nella lingua napoletana, ma tutti riconducibili al primario significato di vescia, scorreggia non rumorosa, scoppio silenzioso simile a quello del fungo che, giunto a maturazione , esplode silenziosamente emettendo le spore; col termine fetecchia , restando nell’ambito della silenziosità,viene indicato altresì lo scppio non riuscito di un fuoco d’artificio, e più in generale un qualsiasi fallimento o fiasco di un’operazione non giunta a buon fine Per ciò che attiene l’etimologia, tutti concordemente la fanno risalire al latino foetere nel suo significato di puzzare – tenendo prersente il primario significato di fetecchia, ma anche negli altri significati c’è una sorta di non olezzo che pervade la parola.e la riconduce al foetere latino: la voce esatta latina deverbale di foetere, che à dato fetecchia è un acc. lat. volgare feticula(m) per il class. foeticula(m). 4 – fettiare o fittiare I verbi in epigrafe(per l’esattezza, però si tratta di un solo verbo, scritto con due grafie leggermente diverse) sono caduti completamente in disuso tanto da non esser riportati da alcun dizionario, ma fino agli anni ’60 dello scorso secolo ebbero un loro uso continuato soprattutto fra i giovani napoletani. Essi verbi servirono ad identificare un’azione ben precisa: quella di sogguardare insistentemente una persona o anche solo un quid, in maniera però concupiscente fino a determinare fastidio nella persona guardata; in particolare i giovanotti che si fossero messi sulle piste di un’avvenente ragazza insistentemente se la fettiavano fino a che la ragazza infastidita, o non cedeva alle non dichiarate, ma chiaramente sottintese, avances o non chiamasse a propria difesa un fratello, un cugino, un fidato amico che convinceva con le buone o le tristi il disturbatore esortato a fettiare altrove.Il verbo veniva usato anche nei riguardi di cose desiderate, ma – per mancanza di soldi – mai conquistate,; a mo’ d’es. dirò che in quegli anni se fettiavano un abito, un paio di scarpe, una cravatta, o anche l’intera vetrina di una pasticceria o trattoria Finita l’epoca della ritrosia delle donne, avendo raggiunta un po’ tutti una certa disponibilità economica e diventate, le ragazze, prede di facile caccia, è venuta meno la necessità di fettiare e con l’azione son caduti in disuso e nel dimenticatoio i verbi che la rappresentavano. E passiamo all’etimologia; tenendo presente che in napoletano conserva anche il vocabolo fettíglie con il significato di noie, molestie e consimili, penso che sia per il sostantivo che per i due verbi in epigrafe si possa risalire al latino figere (colpire di lontano).giacché, specie per i due verbi la molestia si traduce solo nell’insistente sogguardare di lontano, non seguito da altre piú prossime azioni, un infastidire di lontano. 5- Chello ca nun se fa nun se sape o nun s’appura Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La fama o pure le vivaci chiacchiere della gente diffondono le notizie e le propagano , per cui se si vuole che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto prima o poi viene risaputoe solo il non fatto (sempre che non ci si trovi in presenza di malevole calunnie) non viene propalato e non si viene a sapere, né (appurato) cioè verificato; chello = quello, ciò che pron. dimostrativo neutro che indica cosa lontana da chi parla e da chi ascolta, o cosa non presente della quale si sta parlando; l’etimo è dal lat. volg. *(ec)cu(m) illu(d), propr. 'ecco quello; il maschile di detto pronome è chillo dal lat. volg. *(ec)cu(m) illu(m),mentre il femm. chella è dal lat. volg. *(ec)cu(m) illa(m), sape = sa voce verbale (3° pers. sing. ind. presente) dell’infinito sapere/sapé = sapere,venire a conoscenza, apprendere con etimo dal lat. volg. *sapíre, per il class. sapere 'aver sapore', poi 'essere saggio', appura=, viene a conoscenza, si sincera voce verbale (3° pers. sing. ind. presente) dell’infinito appurà=sapere,venire a conoscenza,sincerarsi, ricercare la verità di una cosa, controllarne l'esattezza; mettere in chiaro (e nel linguaggio tecnico: quadrare i conti) l’etimo è dallo spagnolo apurar= depurare>verificare. 6 -'O pesce gruosso, magna ô piccerillo. Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est più generalmente: il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari destinata sempre all'insuccesso quella se combattuta apertamente da un piccolo contro un grande. pesce = pesce, animale vertebrato acquatico di varia grandezza, per lo più fusiforme, rivestito di squame e provvisto di pinne per nuotare, con respirazione branchiale e scheletro osseo o cartilagineo, usato nel proverbio a figurare l’individuo potente(gruosso) opposto al soggetto debole o di scarsa valenza economica- sociale (piccerillo) l’etimo è dal lat. pisce(m); gruosso= grosso, che/chi à dimensioni notevoli (per volume, capacità, spessore, corporatura, estensione ecc.): ed estensivamente ricco, facoltoso, potente, importante agg. qual. masch. con etimo dal lat. tardo grossu(m) con normale dittongazione uonz; vaco mettenno vado mettendo, mi occupo di mettere, porre locuzione verbale formata da vaco=vado (1° pers. sing. ind. presente) dell’infinito jí= andare con etimo dal latino ire; le forme(i’ vaco, tu vaje, isso va) che ànno come tema vac= vad sono derivate dal lat volgare vadere 'andare'come quelle italiane(vado,vai,va); mettenno= mettendo voce verbale (gerundio) dell’infinito mettere= mettere, porre, situare etc. con etimo dallat. mittere'mandare' e 'porre, mettere'; funa= fune, corda, cavo sost. femm. dal lat. volg. *funa(m) per il class. fune(m); ‘e notte= di notte loc. avv. temporale dove ‘e= di sta per durante e notte è il sostantivo femminile indicante la parte del giorno solare, dal tramonto all'alba, in cui il sole rimane sotto l'orizzonte; l’etimo è dal lat. nocte(m) con assimilazione regressiva ct>tt. 9 - Puozze passà p''a Loggia. Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). È un malevolo augurio che vale : Possa tu morire. Infatti per la zona della Loggia di Genova, , temporibus illis, transitavano tutti i cortei funebri diretti al Camposanto, per cui augurare a qualcuno di passar per la Loggia di Genova (e non certo al sèguito d’un corteo funebre) equivaleva ad augurargli di decedere diventando il protagonista di quel transito per la Loggia di Genova; puozze= possa tu voce verbale (2° pers. sing. congiunt. pres. con valore ottativo) dell’infinito puté= potere derivato dal lat. volg. *potíre (accanto al lat. class. posse), formato su po°tens -e°ntis; passà= passare, transitare voce verbale infinito passare/passà con etimo dal lat. volg. *passare, deriv. di passus 'passo'; loggia = loggia di per sé edificio o parte di edificio aperti su uno o più lati, con copertura sorretta da pilastri o colonne, ma anche, nel medioevo, tale edificio o più edifici attigui come luogo di riunione di persone che esercitavano la stessa arte(loggia dei lanaioli) o appartenenti alla medesima consorteria (loggia massonica) o – ed è il nostro caso – appartenenti ad una stessa città di provenienza, nel nostro caso Genova, che in un determinato territorio della città,(loggia) per solito concesso in fitto, tenevano i loro traffici e commerci autoamministrandosi;attualmente la Loggia di Genova, ubicata un tempo a Napoli tra il c.d. Rettifilo e quello che poi sarebbe diventato il Borgo degli Orefici, non esiste più ed il suo nome resiste solo oltre che nel detto in epigrafe, sulla tabella viaria di una stradina aperta dove un tempo vi fu la Loggia ‘e Genova; loggia sost. femm. talvolta a Napoli, impropriamente sinonimo di terrazzo (la loggia napoletana come elemento architettonico in realtà è sempre scoperta,ubicata alla sommità del fabbricato, quasi mai con calpestio piastrellato ed è circondata su tre lati da un parapetto in muratura, mentre il terrazzo con impiantito calpestabile e piastrellato può essere anche coperto, sporgere da qualsiasi piano d’un fabbricato ed à una ringhiera in ferro non un parapetto in muratura) loggia etimologicamente è dal fr. loge, che è dal lat. tardo laubia(m), e questo dal francone *laubja 'pergola, chiosco'; Genova è la città marinara capoluogo della regione Liguria; un tempo fu una della quattro Repubbliche marinare d’Italia (Venezia, Pisa,Amalfi, Genova) ed ebbe notevoli rapporti d’affari con Napoli, dove un congruo numero di mercanti si stabilirono automministrandosi ed aprendo botteghe per i loro traffici e commerci, bettole e locande per avventori genovesi e/o napoletani, in un ben delimitato territorio (la Loggia di Genova) concesso (1503 circa) in fitto dal vicereame napoletano; 10 - Core cuntento â Loggia. Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Così il popolo partenopeo suole apostrofare ogni persona che faccia le viste d’esser perennemente spensierata e senza problemi propensa com’è , anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di Genova che, come ò detto, era una sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, territorio dove i genovesi svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi; il medesimo appellativo se lo meritò uno scrittore nolano tale Michele Somma che pubblicò agli inizi del 1800 una raccolta amena e faceta di cento racconti; lo scrittore tenne studio in Napoli in piazza Larga agli Orefici, nei pressi appunto della Loggia de’ Genovesi dove stazionava la colonia degli abitanti di Genova, residenti in Napoli, e dove fu ideata da certi cuochi che vi aprivono osteria la cosiddetta genovese gustosissima salsa a base di cipolle e carne di manzo,salsa che doveva sostituire nell’inteso degli ideatori il ragù, salsa a base di carne di manzo e pomodoro (ortaggio che da taluno non venne sùbito accettato come commestibile, ma solo come pianta ornamentale; la genovese non riuscí comunque a soppiantare il ragù e si dovette contentare d’affiancarlo, diventandola seconda salsa tradizionale della cucina partenopea; la cosa strana è che sebbene la genovese sia stata ideata da cuochi genovesi non amanti del pomodoro (ritenuto a torto poco commestibile in quanto velenoso!) a Genova la salsa è completamente sconosciuta e non è riuscita neppure ad affiancare il famosissimo pesto alla genovese. Ora qui di sèguito, segnalo la tradizionale ricetta della genovese. Dosi per 6 persone 2 Kg cipolle dorate di Montoro 1 Kg di Spezzato di manzo adulto (preferibilmente ricavato dalla pancia o dalla corazza) o in alternativa 1 kg. di fette di locena (soggolo) di manzo da ricavarne involti (brasciole) imbottiti di uva passita, pinoli,cubetti di pecorino, prezzemolo tritato, sale, pepe nero e legati con spago da cucina una piccola carota una costa di sedano due bicchieri vino bianco secco un bicchiere di olio extravergine di oliva Un pomodoro pelato (facoltativo) sale pepe 600 gr. di rigatoni 1 etto di grana (o meglio!) pecorino grattugiato Procedimento Affettate a velo le cipolle, (piangerete per un po’, ma pazienza; dopo ne sarete contenti! ), mettétele in una pentola con la carne, l’olio, la carota e il sedano tagliati a cubetti, eventualmente il pomodoro spezzettato; coprite, e fate cuocere per un’oretta a fuoco vivace – le cipolle dovranno diventare trasparenti e dovrà evaporare tutto il liquido, solo quando la cipolle saranno abbastanza asciutte versate il primo bicchiere di vino bianco, questa volta a fuoco bassissimo, e fate cuocere per circa altri 40 minuti. Versare l’altro bicchiere di vino, il sale e il pepe, e ripetere l’operazione precedente, tenendo il sugo a fuoco vivace per altri 50 minuti: (complessivamente il sugo dovrà stare al fuoco per un’ora e mezza!) facendo ben attenzione a non far attaccare il sugo alla pentola! se il sugo dovesse asciugarsi troppo, basterà aggiungere piccole ramaiolate di acqua bollente, correggendo eventualmente di sale. Con questo sugo condite i rigatoni lessati al dente e mandateli in tavola spolverizzati di formaggio grattugiato e di abbondante pepe nero. La carne la servirete come pietanza accompagnata da un’insalata verde o patate fritte. Buon appetito a tutti!!!! e ringraziatemi. Raffaele Bracale

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