mercoledì 16 ottobre 2013
VARIE 2585
1 SAN DUNATO, SAN DUNATO: SIMMO TUTTE STRUPPÏATE CHILLU LLÀ CCHIÚ BUNARIELLO TÈNE 'A GUALLERA E 'O SCARTIELLO.
Filastrocca autoconsolatoria che sogliono ripetersi l'un l'altro i componenti un consesso nel quale nessuno sia esente da malanni o pecche fisiche; in italiano, suona: san Donato, san Donato siamo tutti conciati male; il migliore tra di noi à l'ernia e la gobba!
guallera = ernia inguinale sost. femm. dall’arabo wadara.
scartiello = gobba posteriore sost. maschile proviene da un antico latino: cartellus (cesta/ gerla) che erano portate, proprio come una gobba posteriore, sulle spalle.
2 JÍ TRUVANNO SCESCÉ.
Letteralmente: andare in cerca di pretesti, scuse se non esimenti per non fare qualcosa o cercare un appiglio per litigare. Il termine scescé non incarna una parola precisa, ma significa tutta una situazione: quella della pretestuosa ricerca e arriva nel napoletano per il tramite del francese chercher: cercare e sta a significare il tipico reiterato andare e venire di chi cerca un quid, ma non sa bene quale esso sia e perché lo si cerchi.Con tutta probabilità durante la dominazione murattiana (1808 – 1815) un soldato francese interrogato da un popolano su cosa desiderasse rispose con una frase contenente il verbo chercher (cercare) ed il popolano che non conosceva l’idioma francese avvertí lo chercher come scescé e comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava in cerca di un non meglio identificato scescé) che da quel momento identificò scuse, pretesti e/o appigli imprecisati come imprecisato era stato lo scescé del soldato francese.
3 ESSERE DITTO TÒRTANO E SSENZA 'NZOGNA.
Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tòrtano, dal momento che egli è privo di strutto (elemento essenziale della ciambella rustica détta tòrtano). Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano (dal lat. tortilis= ripiegato, attorcigliato) è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser détta: tòrtano; alla stessa stregua, non si potrebbe dare del ladro ad uno se non si avesse la prova provata del suo ladrocinio.
la voce ‘nzogna= indica la sugna, lo strutto ricavato dal grasso di maiale e circa l’origine della parola sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare infatti che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
Ordunque la sugna ( che era essenzialmente di due specie: 1)‘nzogna ‘mpane(quella proveniente dal grasso sottocutaneo della groppa del maiale ed era un pannicolo interamente di grasso alto fino a tre dita); 2) lardiciello (quella proveniente dal grasso sottocutaneo della pancia del maiale ed era un pannicolo non interamente di grasso, striato di contenuti strati di carne ed alto non piú di un paio dita) era acquistata nel mese di dicembre, al tempo della macellazione dei maiali, in larghe falde in macelleria, tagliata in congrui cubi, messi poi a liquefare su di una fiamma dolce in un’ampia tiana, con poco sale fino, in compagnia di un paio di foglie di alloro, da noi detto giustamente lauro (forse da un latino: laurus / lau(da)re se non da un daurus che imiterebbe un greco drýs =quercia, pianta; lau(da)re si fa preferire rammentando che un tempo le foglie di lauro, piú che in cucina fossero usate per incoronare capitani, sacerdoti o atleti vittoriosi. Una volta ridotta allo stato liquido la sugna veniva fatta intiepidire un poco prima di esser versata in uno o più vasetti ed a temperatura ambiente la si lasciava raffreddare fino a che non acquistasse una consistenza cremosa; si recuperavano le foglie di lauro e le si poneva alla sommità del vasetto pieno, coprendo il tutto con dei fogli di carta oleata trattenuti da elastici; i residui della liquefazione dei cubi di sugna, venivano raccolti con una schiumarola forata ed adeguatamente pressati con una schiacciapatate per ricavarne dei piccoli panetti circolari detti ‘e cicule (= avanzi appunto dei pezzetti del grasso di majale, dopo cavatone lo strutto o sugna; dal latino:insciciolu(m) Va da sé che i ciculi piú gustosi fossero quelli residui del lardiciello e non della ‘nzogna ‘mpane )Rammento qui che con la medesima voce: cicoli o ciccioli in salumeria o, ma meno spesso, in macelleria si vendono dei gustosissimi prodotti industriali che provengono non dai residui della liquefazione di cubi di sugna, ma dalla cottura a vapore di carni, grasso e cotenna provenienti in massima parte dal collo del maiale, opportunamente salati e pepati. Al termine della cottura a vapore il tutto viene opportunamente pressato in forme metalliche fino ad ottenere dei grossi pani cilindrici piú larghi ( circa50 cm.) che alti(circa 15 cm) , che raffreddati vengono venduti a taglio ed a peso nelle salumerie al banco dei salumi cui sono, sia pure impropriamente apparentati; la sugna che comunque si ricava da questa spremitura di carni, grasso e cotenne viene venduta ugualmente come condimento sia pure di seconda scelta.
4 LL'ACQUA 'NFRACETA 'E BBASTIMIENTE A MMARE.
Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Cosí gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio.
5 AIZÀMMO 'STU CUMMÒ!
Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata a mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello reso piú ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, ed a maggior disdoro sprovvista d’adeguata dote, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (à alzato questo mobile pesante!) cummò = canterano, grosso mobile a cassetti; sost. masch. dal francese commode.
aizàmmo = alziamo, solleviamo (voce verbale 1° pers. plur. cong. esortativo dell’infinito aizà/aizare che è dal lat.volgare *altiàre→ →auzare→aizare→aizà.
6 È GGHIUTO 'O CCASO 'NCOPP' Ê MACCARUNE.
Letteralmente: È finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda à avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. È da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccarunare" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due grani ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre grani ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo.
7 VA TRUVANNO CHI LL'ACCIDE.
Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei di lui confronti.
8 ESSERE BRUTTO CU 'O TÈ CU 'O NÈ, 'O PIRIPISSO E 'O NAIANÀ.
Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere piú brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile ed esercizio inutile: un napoletano sa benissimo cosa vuole significare quando afferma di qualcuno che è brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà. In maniera piú volgare, ma forse piú icastica di persona brutta cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà s’usa dire è ‘nu cesso scardato (espressione che attiene alle qualità fisiche), ma declinata al femminile: cessa scardata è espressione che attiene alle qualità morali,ed è usata in riferimento ad una donna di facili costumi.
9 BUONO P'APARÀ 'O MASTRILLO.
Letteralmente:(appena) buono per armare la trappolina.Il mastrillo (dal lat. mustriculu(m)→mustriclu(m)→mustrillu(m)→mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un irrisorio pezzetto di formaggio; cosí che quando di si dice di una razione alimentare che è bbona p’aparà ‘o mastrillo (che è buona per armare la trappola), si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito.
10 JÍ ASCIANNO GUAJE CU 'O LANTERNINO.
Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare→adsciare→asciare: annusare con consueta trasformazione di fl in sci come per flos che in napoletano diventa sciore, flumen che diventa sciummo.
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