lunedì 13 gennaio 2014
IL VERBO METTERE E LA SUA FRASEOLOGIA
IL VERBO METTERE E LA SUA FRASEOLOGIA
Questa volta, prendendo spunto dall’antica locuzione
METTERE o MENÀ ‘O VELLÍCULO Ô FFUOCO
è stato il caro amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di chiarirgli significato e portata delle espressioni partenopee costruite con il verbo METTERE .
Mi accingo alla bisogna elencando dapprima le espressioni cosí come mi sovvengono per poi esaminarle analiticamente:
1- Mettere o menà ‘o vellículo ô ffuoco.
2 – Mettere ‘o ppepe ‘nculo â zoccola.
3 – Mettere ‘a capa a ffà bbene.
4 – Mettere’a coppa.
5 – Mettere ‘a lengua ‘int’ô ppulito.
6 – Mettere ‘a supponta.
7 – Mettere ‘a vammacia ‘mmocca.
8 – Mettere campanielle ‘ncann’â gatta.
9 – Mettere carne a ccocere.
10 – Mettere mane.
11 - Mettere mane ê fierre oppure Mettere mane â tela.
12 – Mettere mane â sacca.
13 - Mettere ‘e mmane ‘nnanze.
14 - Mettere recchie p’’e pertose.
15 - Mettere ll’uoglio ‘a copp’ô peretto.
16 - Mettere ‘mpuzature.
17 - Mettere ‘na pezza a cculore.
18 - Mettere ‘na pezza arza.
19 – Mettere puteca.
20 – Mettere spia.
21 – Mettere ‘ncalannario .
22 – Mettere nciuce.
23 – Mettere prete ‘e ponta.
24 – Mettere tenna.
25 – Mettere a uno ‘ncopp’a ‘nu puorco.
26 – Mettere ‘o ssale ‘ncopp’â códa/córa.
27 – Metterse ‘e casa e pputeca.
28 – Metterse ‘e ddete ‘nculo e caccià ‘anielle.
29 – Metterse ‘a lengua ‘nculo.
30 – Metterse ‘mmiezo.
31 – Metterselo dint’ ê chiocche.
32 – Metterse pavura.
33 – Metterse ‘nu cienzo ‘ncuollo.
34 – Metterse scuorno.
35 – Metterse ‘o cappotto ‘e lignammo.
36 – Mettere ‘a si-loca arreto.
37 - Miettele nomme penna!
38 - Metterse cu ‘a panza e cu ‘o penziero.
Prima di principiare l’esame analitico delle locuzioni diciamo súbito che il verbo mettere à nel napoletano varie accezioni, quali disporre, collocare, porre (anche fig.) indossare, vestire etc. ed è voce dal lat. mittere 'mandare' e poi 'porre, mettere'.
E veniamo all’analisi delle locuzioni:
1- Mettere o menà ‘o vellículo ô ffuoco.
Letteralmente: Mettere o buttare l’ombelico ( piú esattamente il cordone ombelicale) al fuoco. Antica espressione partenopea risalente addirittura al ‘600 (attestata nel Cortese, Basile, Trinchera ed altri, con la quale si era e si è soliti riferirsi all’atteggiamento da profittatore di chi, non invitato, faceva o fa in modo di appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti in occasione di una qualche ricorrenza o festività per partecipare ad una approntata festa, comportante distribuzione, spesso abbondante , di cibi e bevande; oppure appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita, invito in uso tra i napoletani che non lesinano a nessuno un pasto o una libagione.Di chi, non espressamente invitato, si comportasse in modo di trovarsi presente all’ora dei desinari, scroccando l’invito a tavola si diceva e si dice che aveva miso o aveva menato ‘o velliculo ô ffuoco! L’espressione nacque allorché, in tempi andati, le donne partorivano in casa assistite da una o piú levatrici dette mammàne oppure meno opportunamente (e qui di sèguito chiarirò)vammane Costoro una volta che la puerpera aveva partorito erano use tagliare il cordone ombelicale del bambino o bambina nato/a e buttare, con intento augurale, nel fuoco del braciere o del focolare il pezzo di cordone tagliato. A questa funzione seguiva un immediato festeggiamento con ampia distribuzione di cibo e bevande, festeggiamento cui partecipavano oltre i genitori ed i parenti prossimi del neonato o neonata, la/le mammana/e e tutti coloro che, invitati o no, fossero intervenuti al rito della ustione del cordone ombelicale. Dalla imitazione di questa situazione nacque il modo di dire di cui all’epigrafe riferita a tutti coloro che profittassero di una ricorrenza o festività per partecipare senza invito ad una approntata festa, comportante distribuzione, spesso grande, di cibi e bevande; oppure riferita a tutti coloro che avessero l’abitudine di presentarsi, senza preventivamente annunciarsi, in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita. Tutto quanto qui detto è da riferirsi espressamente al cittadino privato che approfitti di una situazione festevole per parteciparvi e satollarsi di cibo o bevande. Per indicare il medesimo atteggiamento da profittatore tenuto inizialmente non da comuni cittadini. ma da militari a Napoli fu in uso un tempo l’espressione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda id est: scroccare, profittare a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che viene tuttora usata quando si voglia commentare il violento atteggiamento di chi vuole scroccare qualcosa o, piú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis, al tempo del viceregno spagnolo (1503 e ss.) i soldati iberici, di stanza in quelli che poi sarebbero stati chiamati quartieri (spagnoli) a monte della strada di Toledo, erano usi aggirarsi all’ora dei pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate, lí poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti. Da questa abitudine prese vita la locuzione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda che valse dapprima : scroccare, profittare a spese altrui di un pasto e poi estensivamente profittare di una qualsivoglia situazione opportuna per conseguirne risultati favorevoli Si tratta dunque di espressione dal significato un po’ piú esteso di quella in epigrafe che è invece usata piú limitatamente per commentare l’atteggiamento di chi ottenga, contendandosene,beneficî molto circoscritti (quali cibi e bevande elargiti durante un festeggiamento).
menà verbo trans. = buttare, sospingere dentro o fuori ed anche, ma meno comunemente, trascorrere, passare, vivere ed estensivamente assestare, dare con forza, picchiare; l’etimo è dal tardo lat. minare, propr. 'spingere innanzi gli animali con grida e percosse', deriv. di minae 'minacce';
velliculo s.vo m.le = letteralmente ombelico, ma nella fattispecie solo una parte di esso e cioè il cordone ombelicale quello che una volta che sia reciso lascia un mozzicone che opportunamente legato e ripiegato verso l’interno forma il vero e proprio ombelico;l’etimo di velliculo è il medesimo di ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós 'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi della prima sillaba um, il passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.), il raddoppiamento espressivo della liquida nella sillaba li→lli e l’aggiunta di un suffisso diminutivo ulo/olo← olus.
vammana/ mammana s.vo f.le= levatrice, donna esperta che assiste le partorienti; per il vero nel parlato comune popolare la voce usata per indicare la levatrice e cioè colei che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto è mammàna con derivazione da un lat. volgare *mammàna(m); la voce vammana ( pur derivata dalla medesima voce del lat. volgare *mammàna(m)) ma con forma dissimilata nella cons. d’avvio che da mammàna passa a vammana è usata, nel parlato comune popolare, non per indicare una vera e propria levatrice che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto, ma per significare, in senso dispregiativo, quelle praticone, prive di adeguata preparazione, ma non di esperienza, aduse ad esercitare pratiche abortive clandestine (spesso servendosi di mezzi di fortuna, inidonei e pericolosi).Che si tratti di termine dispregiativo è dimostrato dal fatto che già anticamente (cfr. Basile) la voce vammana era usata quale epiteto.
appujià = verbo tr. 1in primis appoggiare, poggiare, avvicinare una cosa a un'altra che la sorregga, 2(fig.) aiutare, favorire; sostenere; l’etimo della voce napoletana, cosí come della corrispondente dell’italiano è dal lat. volg. *appodiare, deriv. del greco pódion 'piedistallo' ma nel verbo napoletano è avvenuta la chiusura della tonica ó →u, ed in luogo della dentale d che è caduta s’è adottato il suono di transizione j
2 – Mettere ‘o ppepe ‘nculo â zoccola.
Letteralmente:introdurre pepe nell’ano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora ci si serviva in primis, come mezzo di trasporto, delle navi , capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci, attratti dalle granaglie, solcassero i mari grossi topi ( in napoletano zoccole al sg zoccola dal lat. sorcula diminutivo di sorex), che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie e poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa,si diverte e gode ad attizzare il fuoco della discussione fra terzi...
3 – Mettere ‘a capa a ffà bbene Letteralmente:porre il capo a fare bene; id est: decidersi ad agire secondo i dettami della correttezza tenendo un comportamento retto giusto, idoneo, ortodosso, regolare che non offra appigli per reprimende, rimbrotti, sgridate, strigliate, rampogne. Locuzione usata con riferimento a chi adulto o che non lo sia ancóra abbia finalmente dismesso il comportarsi da spensierato e non agendo piú con leggerezza, sventatamente e/o superficialmente si sia risoluto a mettersi sulla strada della serietà per operare con responsabilità, affidabilità, impegno, scrupolosità, coscienziosità, coscienza.
4 – Mettere ’a coppa Letteralmente:mettere [a chiacchiere]al di sopra. Détto sarcasticamente di chi millantatore e vuoto parolaio decanti, ma senza alcun riscontro pratico, la sua vanagloriosa superiorità nell’àmbito del sapere, dell’essere o dell’avere sull’universo mondo, sparandola piú grossa nell’intento di farsi apprezzare per quel che non è.
‘a coppa/ ‘ncoppa prep. impr. ed avv. di luogo
come avv.
sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa
come prep.
1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa;
2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10° parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
- agg.vo invar. superiore (anche preceduto da di):’o rigo ‘e coppa; ‘o piano ‘e coppa( la riga di sopra; il piano di sopra)
s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): ‘a coppa è de plastica (il (di) sopra è di plastica.)
etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a.
5 – Mettere ‘a lengua ‘int’ô ppulito. Letteralmente: Mettere la lingua nel pulito. Locuzione di doppia valenza; strictu sensu è usata in riferimento a chi pur non essendo di elevata condizione sociale, per adeguarsi all’ambiente che fortuitu frequenti, tenta, sforzandosi, di non usare l’eloquio dialettale e di usare la lingua nazionale pur non essendovi avvezzo con risultati non sempre adeguati; con intento di dileggio è sarcasticamente usata in riferimento a chi parli con affettata ricercatezza scegliendo un’elocuzione artefatta, artificiosa, studiata esprimendosi con raffinatezza inusuale e perciò goffa risultando tutt’ altro che elegante, ricercato, raffinato.
ppulito s.vo astratto, neutro ciò che è oppure è inteso netto, decente, decoroso, dignitoso, conveniente ed anche fine, raffinato, distinto, signorile, chic, ricercato; voce deverbale del lat. pōlire→pulire; trattandosi di voce astratta è voce neutra ed esige [se preceduto dall’art. neutro ‘o (il/lo)oppure dalla crasi ô (al/allo)]il raddoppiamento della consonante d’avvio (p) indipendentemente dal fatto che in napoletano la consonante occlusiva bilabiale sorda (p) e quella sonora (b) vengono costantemente raddoppiate quale sia il posto che occupino nella parola.
6 – Mettere ‘a supponta Letteralmente: Apporre un puntello. Locuzione anch’essa di doppia valenza; se usata nel senso pratico fa riferimento al propizio intervento di chi fornisca il bisognoso di un piccolo asciolvere che faccia da temporaneo rincalzo del vuoto stomaco che reclami un sostegno, rinforzo, appoggio, supporto per lenire i morsi della fame; se usata in senso traslato con la locuzione in esame ci si riferisce al fatto che ad un neonato sia stato imposto il nome di suo nonno che avrà – hoc est in votis – nel nipotino un bastone della propria vecchiaia.
supponta s.vo f.le = 1 in primis puntello,supporto ausilio; 2 per estensione appoggio, base, collaborazione, assistenza. voce deverbale del lat. sub-punctare frequentativo di sub-pungere.
7 – Mettere ‘a vammacia ‘mmocca Letteralmente:mettere l’ovatta in bocca. Locuzione richiamante in primis un’antica, ma deprecabile abitudine usata nei confronti dei defunti, abitudine che, a censurabili fini estetici,prevedeva che ad un trapassato emaciato una volta che fósse stato privato di probabili protesi dentarie, venisse riempita la bocca con voluminosa ovatta per modo che il soggetto apparisse piú florido; la locuzione è usata altresí a dileggio di chi – benché vivo e vegeto – sia in cosí tanto cattive condizioni fisiche, da farlo apparire in tutto simile ad un macilento,scavato, scarno defunto e quasi sia d’uopo che gli si riempia la bocca d’ovatta.
vammacia s.vo f.le = bambagia, ovatta, cascame della filatura del cotone, nell'uso comune, cotone a fiocchi, non filato; voce dal lat. bambagiu(m), dal gr. pámbax -akos 'cotone' con risoluzione della prima b in v (cfr. bucca-m→vocca, barca-m→varca etc.)ed assimilazione regressiva della seconda b assimilata alla antecedente m ed infine passaggio dell'affricata palatale sonora (g) alla corrispondente affricata palatale sorda (c).
‘mmocca = nella bocca; voce formata dall’asgglutinazione [in posizione protetica] della preposizione in con il s.vo f.le bocca (dal lat. bucca-m) seguendo la norma che vuole che quando la preposizione in diventa proclitica di una parola che inizia con una consonamte labiale esplosiva: p o b, perde la i d’avvio sostituita dal segno (‘) dell’aferesi e muta la enne che diventa emme,spingendo talvolta all’assimilazione progressiva la consonante d’avvio come ad es. nel caso di in+ bocca→ ‘mbocca → ‘mmocca.
8 – Mettere campanielle ‘ncann’â gatta Letteralmente:Porre dei campanelli alla gola del gatto.Locuzione usata per riferire l’atteggiamento riprovevole di chi si diverta a propalare notizie riservate per il solo gusto di nuocere al prossimo, o a diffondere voci infondate seminando zizzania e ciò nell’intento di farsi notare attirando l’altrui attenzione sulla propria persona.
Ricordo che altri (e per tutti l’Altamura)leggono la locuzione nel significato di: suscitare in chi non li avrebbe, sospetti , dubbi o diffidenze e giustificano questa lettura riallacciandola ad una favola d’Esopo e/o La Fontaine sul gatto ed i topi che benché anelassero a volerlo fornire di sonagli per essere tenuti sull’avviso del suo accostarsi, non trovarono tra di essi il coraggioso che lo facesse. Ora, a mio avviso,se si eccettua il tenue richiamo a campanelli ed al gatto non esistono altri punti di contatto tra la menzionata favola ed i significati della locuzione sia che venga lètta cosí come ò riportato, sia che si prenda per buona l’altra lettura; in ogni caso la locuzione mi pare che nulla abbia a che spartire con la favola d’Esopo e/o La Fontaine .
- ‘ncanna= in gola espressione usata sia in senso reale come nel caso di funa ‘ncanna= corda alla gola – annuzzà ‘ncanna= soffocare per non riuscire a deglutire un boccone di cibo finito per traverso oppure in senso figurato come nel caso dell’rdpressione “'o sanco saglie 'ncanna e tt'affoca” (la parentela può soffocarti)[cfr. alibi] oppure in senso metaforico restà ‘ncanna= restare in gola détto di ciò a cui non sia pervenuti e/o non si sia potuto conseguire; ‘ncanna è: in+canna→(i)ncanna→’ncanna; (canna deriva dal latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale della gola); l’altra voce usata per indicare propriamente il canale della gola il gorgozzúle (dall'ant. gorgozzo o gorgozza, che è dal lat. volg. *gurgutiam, per il class. gurges -gitis 'gola’) è cannarone palesemente accrescitivo della pregressa canna; cannarone tuttavia non dovrebbe indicare la trachea (dal lat. tardo trachia(m), dal gr. trachêia (artìría), propr. '(arteria) ruvida', f. sost. dell'agg. trachys 'ruvido', perché al tatto risultano sensibili i passaggi fra un anello cartilagineo e l'altro) che è poi l’organo dell'apparato respiratorio a forma di tubo, costituito da una serie di anelli cartilaginei, compreso fra la laringe e i bronchi, organo cui si fa riferimento con il napoletano canna; cannarone è usato infatti soprattutto nelle espressioni in cui occorra sottolineare una pretesa vastità del tratto del tubo digerente che va dalla faringe allo stomaco, cioè dell’esofago (dal gr. oisophágos, comp. di óisein 'portare, trasportare' e phaghêin 'mangiare') di chi ingurgiti molto cibo e lo faccia voracemente; possiamo perciò dire che in napoletano – contrariamente da ciò che ritengono i piú avvezzi a far d’ogni erba un fascio, la voce canna corrisponde alla trachea mentre il cannarone è l’esofago.
A margine rammenterò che nell’uso del parlato soprattutto provinciale e/o dell’entroterra accanto al termine cannarone ne esistono altri due da esso derivati e che ne sono una sorta di dispregiativo e sono: cannaruozzo e cannaruozzolo; il suffisso ozzo/uozzo di matrice tardo latino volgare fu usato per indicare (cfr. Rohlfs G.S.D.L.I.E S.D. sub 1040 )qualcosa di rozzo, grossolano, contadinesco e dunque di pertinenza di voci dispregiative; tuttavia nel caso di cannaruozzolo ci troviamo in presenza di una sorta di divertente ossimoro determinato dall’aggiunta d’un suffisso diminutivo olus→olo ad un termine accrescitivo e dispregiativo come cannaruozzo (che in origine è cannar(one)+uozzo).
â preposizione art. = alla; â è la crasi (forma contratta) di a+ ‘a (a+ la), come alibi ô è crasi di a + ‘o (a+ il/lo) e vale al/ allo, come alibi ê è crasi di a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le) e vale ai/a gli oppure alle.
9 – Mettere ata carne a ccocere Letteralmente: Porre altra carne a cuocere. Détto del deplorevole modo di agire di chi provi piacere a dar motivo, destro, occasione, opportunità di discussioni, dispute e litigi, sobillando ed istigando e fornendo materia di contesa a persone i cui rapporti siano già esacerbati. Nella lingua nazionale è in uso un analogo, ma meno icastico “mettere legna al fuoco”.
carne/carna s.vo f.le
1 nel corpo dell'uomo e degli animali vertebrati, la parte costituita dai muscoli tené poca carna ‘ncuollo avere poca carne addosso, essere piuttosto magro; essere ‘ncarne essere (bene) in carne, essere ben nutrito, florido | carna viva carne viva, quella che rimane scoperta, senza la protezione della pelle, in seguito a una ferita o a una bruciatura | carne toste, mosce carnisode, flaccide, con riferimento all'aspetto esteriore del corpo di una persona | ‘ncarne e ossa in carne ed ossa, in persona: sî pproprio tu ‘ncarne e ossa? sei proprio tu, in carne ed ossa?! | ‘a propria carna la propria carne, (fig.) i figli, i congiunti
2 (estens. lett.) corpo umano; persona| carne ‘e maciello, ‘e cannone carne da macello, da cannone, soldati mandati allo sbaraglio | carna vattiata carne battezzata, i cristiani | ‘a resurrezzione d’ ‘a carna la resurrezione della carne, (teol.) la ricostituzione dei corpi dopo il giudizio universale
3 (fig.) l'essere umano considerato nella sua corporalità (si contrappone ad anima, spirito): ‘e piacere, ‘e debbulezze, ‘e tentazzione d’a carna 5i piaceri, le debolezze, le tentazioni della carne | essere fatto ‘e carne e d’ossaessere (fatto) di carne e ossa, avere le esigenze, i limiti e le debolezze proprie della natura umana
4 parte degli animali, spec. dei mammiferi d'allevamento, costituita soprattutto dal tessuto muscolare e adiposo, che viene usata come alimento dell'uomo;
voce dal lat. carne-m
cocere, v. tr. 1 sottoporre al calore del fuoco gli alimenti per renderli mangiabili e digeribili, o sostanze quali vetro, argilla ecc. per renderle adatte a determinati usi:cocere ‘a carne, ‘a pasta; cocere ô furno/tiesto, dint’â tiellaa ffuoco miccio (cuocere la carne, la pasta; cuocere al forno, in padella; cuocere a fuoco lento)
2 bruciare, ustionare; per estens., seccare, inaridire: teste ‘e vasenicola cotte dô sole (piante di basilico cotte dal sole)
3 (fig. non com.) far innamorare: ll’ à fatto cocere primma ‘e lle dicere ‘e sí (lo à lasciato cuocere prima di dirgli di sí) ||| v. intr. [aus. essere]
1 essere sottoposto a cottura: ‘a menesta sta cucenno (la minestra sta cuocendo)
2 seccare, inaridire, ‘e tteste coceno sott’ô sole (le piante inaridiscono sotto il sole)
3 scottare, esser febbricitante :’stu guaglione coce (questo ragazzo scotta)
4 (fig.) procurare offesa, umiliazione: chell’offesa ll’ è cuciuto assaje quella offesa gli è cociuto molto ||| cuocersi v. intr. pron.
1 pervenire a cottura: ‘a carne nun s’ è cuciuta bbuono (la carne non si è cotta bene)
2 bruciarsi, scottarsi: cocerse ô sole (cuocersi al sole) '
3 (fig. non com.) innamorarsi, tormentarsi, affliggersi, provare dispetto.
10 – Mettere mane Letteralmente: Porre mano; id est: principiare (alcunché).Espressione generica usata in riferimento a chi, presa una decisione, le dia continuità pratica affrontando una qualsivoglia attività con la dovuta solerzia; va da sé che con la locuzione non si intenda restringere il campo alla mera manualità, ma pur se si accenna alle mani, si intende comprendervi quanto altro necessiti di spirito, di intelligenza, di attenzione etc. per il conseguimento dell’opera intrapresa.
11 - Mettere mane ê fierre oppure Mettere mane â tela. Letteralmente: Porre mani ai ferri oppure Porre mani alla tela
Espressione analoga alla precedente, ma piú circostanziata. Nel caso in esame si fa riferimento all’attività di chi dà principio ad una attività di tipo artigianale; la prima riguarda l’attività di un artiere: fabbro, meccanico, falegname e simili, attività per le quali occorre munirsi di adeguati arnesi da lavoro, qui genericamente détti ferri; la seconda riguarda l’attività del sarto o del tessitore attività per le quali occorre lavorare stoffe, fodere o tessuti onnicomprensivamente détti tela.
fierre s.vo m.le pl. del sg. fierro = ferro, utensile, arnese per il lavoro voce dal lat. fĕrru-m→fierro; voce da non confondere con il s.vo neutro fierro = ferro, minerale elemento chimico di simbolo Fe; è un metallo grigio-argenteo, tenero, duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran numero di minerali, da cui si estrae fin dalla più remota antichità. La voce neutro comporta , se preceduta dall’art. neutro ‘o oppure dalla prep, art. ô, il raddoppiamento della consonante d’avvio (es.: ‘o ffierro – vattere cu ‘o martiello ‘ncopp’ô ffierro caudo[il ferro –picchiare con il martello sul ferro caldo]) mentre la voce maschile, anche se preceduta dall’art. maschile ‘o oppure dalla prep, art.ô, mantiene scempia la consonante d’avvio (es.: ‘o fierro pe stirà – leva chella pezza ‘a copp’ô fierrope sturà ‘a funtana[il ferro per stirare – Togli quello straccio di sopra il ferro per sturare la fontana]).
12 – Mettere mane â sacca Letteralmente:Ficcare le mani in tasca (per cavarne del danaro). Espressione usata con rassegnazione quando si è costretti a spendere danaro per sopperire alle quotidiane necessità. ed usata con rabbia davanti a sopravvenute necessità non previste e pertanto piú dolorose a petto delle usuali.
13 - Mettere ‘e mmane ‘nnanze Letteralmente: Porre le mani davanti (per premunirsi e/o difendersi). Locuzione che fotografa l’atteggiamento di chi chiarisca dall’inizio al proprio contraente illico et immediate di che panni vesta, quali siano le proprie idee, cosa ci si attenda dal negozio che si sta per compiere e quali siano i termini della questione sui quali non si è intenzionati a trattare e men che meno a cedere.
annanze/annante/’nnante/’nnanze prep. impr. ed avv.
1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti)
2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/annante/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo)
etimologicamente l’avv. in esame deriva dal lat. tardo abante 'avanti' con assimilazione regressiva della b in n e raddoppiamento espressivo della nasale: abante→anante→annante/annanze quest’ultimo anche nella forma aferizzata ‘nnanze;
14 - Mettere recchie p’ ‘e pertose Letteralmente: Porre le orecchie per i pertugi; id est: porsi all’attento ascolto, origliare, orecchiare, usciolare con attenzione e continuità al fine di non lasciarsi sfuggire notizie e/o voci che potrebbero riuscire utili, se non necessarie per l’azione che si à in mente di condurre in porto o che già sia in corso d’opera.
pertose = buchi; s.vo f.le pl. metafonetico del maschile pertuso (dal t. lat. *pertusu(m)); di pertuso esiste anche il normale pl. masch. pertusi/e ma viene usato per indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti e/o scarpe) o segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl. f.le pertose si indica qualsivoglia altro tipo di buco e segnatamente quelli piú grandi secondo il criterio napoletano per il quale un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile et versa vice ; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella.
15 - Mettere ll’uoglio ‘a copp’ô peretto Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo. La locuzione in senso traslato viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente.
uoglio:s.vo neutro = olio: da un latino oleu(m) cfr. greco: élaion; il classico oleu(m) diede il volgare òliu(m) con li→gli donde oglio → uoglio.
peretto s.vo m.le al pl. periette: caraffe vitree senza manico di varia capacità (dai 2 litri al quarto di litro) in cui si versava e talvolta ancóra si versa il vino per servirlo in tavola : etimologicamente per alcuni da ricollegarsi a pera di cui ricalcherebbe vagamente la forma; la cosa poco mi convince, e non prendo per buono quella che piú che una etimologia, mi appare una frettolosa paretimologia, ed atteso che a mia memoria ‘e periette ch’io conobbi non somigliavano ad una pera, né dritta, né capovolta, risultando invece essere dei cilindrici vasi vitrei (e solamente vitrei) che per tutta la loro altezza mantenevano il medesimo passo e solo verso l’alto presentavano una contenuta strozzatura che costringeva il vaso dapprina ad un modesto restringimento del passo e poi a slargarsi in una imboccatura svasata,ecco che quanto all’etimologia, penso che piú che alla forma ci si debba riferire al materiale ed al modo d’apparire d’essi periette che essendo (come ò detto) di terso e scintillante vetro (non esistono, né esistettero periette in coccio o porcellana…) penso ch’essi trassero il loro nome dall’antico alto tedesco peràt= chiaro, splendente, trasparente cosí come i periette furono e sono;quanto alla morfologia è normale nel napoletano fornire d’una paragoge (sillaba finale) le parole straniere terminanti per consonante che viene espressivamente raddoppiata e corredata d’ una semimuta finale (e/o); nel ns. caso peràt→peràtto→peretto, alibi ggasse←gas, tramme←tram etc.
16 - Mettere ‘mpuzature Letteralmente:aizzare, suscitare liti, alterchi, contrasti; fomentare dissidi. Locuzione usata per fotografare il deplorevole comportamento di chi [soprattutto donne] per mera cattiveria si diverta provocare, produrre, generare, originare, accendere, stimolare litigi, alterchi, diverbi, battibecchi, dissidi, dispute quando non zuffe, baruffe ed addirittura risse; tutti questi contrasti sono rappresentati con il termine onnicomprensivo ‘mpuzature il cui sg. ‘mpuzatura s.vo f.le è un deverbale di ‘mpuzà (che è dal lat. impulsare frequ. di impellere = aizzare).
17 - Mettere ‘na pezza a cculore Letteralmente:Apporre una toppa in tinta; id est: rabberciare,riparare un danno prodotto o verificatosi attraverso l’uso di un rattoppo, un rappezzo,una pezza che almeno nascondano lo strappo. Va da sé che la locuzione e usata sia nel senso reale (quando si tratta di rattoppare adeguatamente un abito strappato), che figuratamente in riferimento a chi con adeguate parole tenti di porre ripare ad una situazione interpersonale che si sia logorata.
pezza s.vo f.le = straccio, cencio, pezzo, ritaglio di tessuto, ma alibi anche lunga striscia di tessuto avvolta intorno a un cilindro di cartone o a uno scheletro di legno che i commercianti tengono per la vendita; è voce con etimo dal dal lat. med. pettia(m); rammento che la voce or ora esaminata non è il f.le del s.vo piezzo che à tutt’altro significato e con esso non va confuso; infatti piezzo è un s.vo m.le = pezzo, quantità, parte non determinata, ma generalmente piccola, di un materiale solido, qui usato nel significato di coccio, ciascuno dei pezzi in cui si rompe un oggetto fragile; l’etimo di piezzo è anch’esso dal lat. med. pettia(m) con metaplasmo e cambio di genere;
18 - Mettere ‘na pezza arza Letteralmente:Applicare un panno bollente o addirittura ardente.Locuzione che rappresenta l’esatto contrario della precedente; con questa ci si riferisce all’errata, se non malevola azione di chi invece di por riparo si adoperi per peggiorare una situazione come chi per lenire gli effetti di un’ustione adoperasse un panno bollente o addirittura ardente.
arza agg.vo f.le bruciata, ardente, bollente, inaridita, secca, riarsa; etimologicamente è un part. pass. agg.ato dal lat. arsa-m con passaggio di rs a rz come in borza←bursa-m - perzo←perso etc.
19 – Mettere puteca Letteralmente: Mettere bottega; id est: principiare un’attività commerciale o di servizio impiantandone una bottega.
puteca s.vo f.le = bottega, negozio, esercizio, rivendita, emporio, laboratorio, officina; voce dal greco apothéki→(a)pot(h)éki→puteca.
20 – Mettere spia Letteralmente: Mandare in giro uno o piú informatori che uscioli/ino con attenzione e continuità e riporti/ino notizie e/o voci che potrebbero riuscire utili, se non necessarie per l’azione che si à in mente di condurre in porto o che già si abbia in corso d’opera.Come si vede la locuzione fotografa ad un dipresso la medesima situazione rammentata antea sub 14 con la differenza che lí l’indagine è svolta di persona impegnando le orecchie proprie, mente in questa ci si serve di terze persone cui si affida l’incauto lavoro di origliare, informarsi e riferire.
spia s.vo f.le 1 (in primis) chi di nascosto, per compenso[come nel caso che ci occupa] o [alibi] mosso da malevolenza, riferisce notizie segrete e/o fatti compromettenti e non a chi possa valersene; chi esercita lo spionaggio 2(fig.) indizio, sintomo, segno rivelatore; 3 (tecn.) termine generico con cui si indicano i dispositivi di controllo e di segnalazione, luminosa o acustica, delle condizioni di funzionamento di una macchina, di un impianto, di un apparato e sim. voce dal got. *spaiha.
21 – Mettere ‘ncalannario. Letteralmente: Appuntare sul calendario. Espressione usata in riferimente all’agire di chi sempre anche eccessivamente prudente, cauto, accorto,timoroso che gli possano accadere danni o inconvenienti pensa per tempo a quel che potrebbe accadergli e prende in anticipo provvedimenti utili a evitare perdite, svantaggi, scapiti e discapiti ed addirittura programmi minuziosamente la propria vita scadenzandone per iperbole gli avvenimenti con cura e precisione maniacali annotandoli, analiticamente su di un calendario.
‘ncalannario = in/sul calendario agglutinazione funzionale in posizione protetica della preposizione illativa in aferizzata→‘n con il s.vo m.le calannario = calendario [sistema di suddivisione del tempo in periodi costanti (anno, mese, giorno), stabiliti in base alla durata di determinati cicli astronomici]; calannario è voce dal lat. calendariu(m)→calennariu-m→calannario, deriv. di calendae 'primo giorno del mese'.
22 – Mettere nciuce Letteralmente: Seminare pettegolezzi, maldicenze, calunnie diffamazioni con acrimonia e/o malevolenza nell’intento di nuocere al prossimo o addirittura per fomentare discordie. Espressione usata in riferimento al deprecabile atteggiamento soprattutto delle donne, ma pure di taluni uomini (appartenenti solo all’anagrafe al sesso maschile) che si divertono e godono nel far del male al prossimo pettegolando ,parlandone male, diffamandolo e spesso propalando fatti altrui, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece da pettegole e pettegoli viene bellamente disattesa!...); il svo nciuco di cui nciuce è il pl. è etimologicamente deverbale di nciucià = pettegolare, verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il parlottìo tipico di chi confabuli. Qui giunto rammento che partendo dalla premessa che trattasi di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di nciucio e nciucià ed alibi nciucessa = pettegola, non deriva da un in→’n illativo, ma è una semplice consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel caso di nc’è per c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti incolti, illetterati poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano) chi scrive ‘nciucessa, ‘nciucio o ’nciucià con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi (‘); a margine rammento poi che è l’italiano ad aver derivato [seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo ritenuto la n d’avvio, un residuo di in( erroneamente ricostruito e mantenuto nella lingua nazionale )] è l’italiano, dicevo che à derivato inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dallo inciucio italiano (nel qual caso sí che sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio).
23 – Mettere prete ‘e ponta Letteralmente: Frapporre pietre appuntite; id est: creare artificiosi ostacoli. Locuzione da intendersi sia nel senso reale che in quello traslato con riferimento all’azione ostile di chi[per solito donne invidiose],al solo fine di impedire a qualcuno/a il raggiungimento di uno scopo si adoperi astiosamente e con cattiveria contro quel/quella qualcuno/a per frammettere, inframmezzare, inserire reali o figurati intoppi, impedimenti, impacci, impicci, ingombri, intralci, paragonabili a pietre pericolosamente aguzze e nelle quali si possa inciampare, ferendosi.
prete s.vo f.le pl. di preta = pietra, nome generico per indicare blocchi o frammenti di minerale o di roccia veri o figurati. voce etimologicamente lettura metatetica del lat. petra(m)→preta-m , che è dal gr. pétra.
ponta s.vo f.le =punta, estremità acuminata di qualcosa; voce dal lat. tardo puncta(m) 'colpo inferto con una punta', deriv. di pungere 'pungere'.
24 – Mettere tenna Letteralmente: Inalzare una tenda; id est: prender posto in una tenda al fine di accamparsi. Locuzione usata sarcasticamente con riferimento a chi si attardi in un posto oltre il consentito o il preventivato quasi che, a mo’ di milite invasore, conquistata una posizione, avesse intenzione di stabilirvisi anche in barba o con malgrado di altri.
tenna s.vo f.le = tenda, piccolo padiglione facilmente smontabile, formato da teli di grosso tessuto impermeabile, sostenuto da pali e fermato da picchetti, usato come abitazione da popoli nomadi e come ricovero provvisorio da soldati e campeggiatori; voce dal lat. tardo tenda(m)→tenna-m, deriv. di (tílam) tentam; propr. '(tela) tesa', part. pass. di tendere 'tendere'
25 – Mettere a uno ‘ncopp’a ‘nu puorco Letteralmente:mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale – animale di cui la città di Napoli brulicava essendo detta bestia allevata da chiunque e dovunque – affinché il condannato venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie.
‘ncoppa/ ‘a coppa prep. impr. ed avv. di luogo
come avv.
sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa
come prep.
1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa;
2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10° parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra
¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica.
etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a. Mette conto parlare anche di ‘ncopp’â = sulla, sopra la - ncopp’ô sul sullo, sopra il/lo e di ‘ncopp’ê su gli/sulle, sopra i,gli/le;
queste tre locuzioni prepositive napoletane sono forgiate da un in→’n illativo e da coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, addizionate volta a volta da â (crasi di a ‘a=alla), da ô(crasi di a ‘o=al/allo),da ê(crasi di a ‘e= ai,a gli, alle).
puorco s.vo m.le =1 (in primis e come nel caso che ci occupa) maiale, porco, porcello 2 (per estensione .) carne di maiale: sacicce ‘e puorco (salsicce di porco) 3 (fig.) persona che fa o dice cose oscene. voce dal lat. pŏrcu-m→puorcu-m→puorco
26 – Mettere ‘o ssale ‘ncopp’â códa/córa. Letteralmente: Cospargere il sale sulla coda; id est: fallire il conseguimento di un risultato. Locuzione sarcastica usata a dileggio di chi tenti di pervenire ad un risultato positivo, ma inevitabilmente non riesca a conseguirlo per pochezza o inadeguatezza dei mezzi usati o piú spesso per mancanza di attitudine. Anticamente a gli uccellatori ed a gli addetti alla doma dei puledri tutti operai di modesta levatura mentale e dunque creduloni veniva suggerito, ma a mo’ di sfottò che per ottenere i risultati sperati di catturare gli uccelli o di ammansire i puledri fósse necessario cospargere di sale la loro coda; naturalmente la pratica [se anche fósse stata segúita] mai poteva sortire l’effetto voluto e l’espressione fu conservata per commentare il fallimento e/o la inutilità, l’inefficacia del tentativo intrapreso.
ssale s.vo neutro = sale, nel linguaggio corrente, il cloruro di sodio, presente in natura come salgemma o disciolto nelle acque del mare, e usato spec. per dar sapore ai cibi o conservarli; voce dal lat. sale-m; trattandosi di un alimento e voce neutra e quando è preceduta dall’art. neutro ‘o (il/lo) esige il raddoppiamento della consonante d’avvio per cui: ‘o ssale (cfr. alibi ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o ccafè etc.).
‘ncopp’â = sulla cfr. antea sub 25
códa/córa s.vo f.le [lat. volg. cōda, per il class. cauda] doppia morfologia d’un’unica voce; la seconda córa [con rotacizzazione osco-nediterranea della d→r] è del parlato, mentre códa è d’uso piú letterario. Parte assottigliata del corpo dei vertebrati opposta al capo, costituita da un asse scheletrico (regione caudale della colonna vertebrale), da muscoli e da tegumento; lo sviluppo e la funzione variano notevolmente, non solo da classe a classe, ma anche da ordine a ordine, da genere a genere di animali (la c. dei pesci e delle larve degli anfibî serve alla locomozione nell’acqua; la c. degli uccelli serve di sostegno alle penne timoniere;
27 – Metterse ‘e casa e pputeca. Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casa e viceversa.
casa s.vo f.le 1 (in primis)abitazione, dimora, alloggio, 2(per estensione) domicilio, residenza; voce dal lat. casa-m , propr. 'casa rustica' laddove la domus era propr. ' la casa padronale/signorile'.
28 – Metterse ‘e ddete ‘nculo e caccià ‘anielle Ad litteram:ficcarsi le dita nel sedere e tirarne fuori anelli.Détto sarcasticamente di chi abbia una fortuna cosí grande da procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili, agendo addirittura a mo’ di un prestidigitatore,capace di trucchi impensabili.
ddete s.vo pl. f.le del m.le dito [ dal lat. dĭgĭtus] (il plur. f. le ‘e ddete è usato per indicare ‘e dite non considerati separatamente, ma nel loro complesso). – 1. Complesso dei segmenti terminali della mano e del piede, segmenti che nell’uomo sono in numero di cinque per ciascun arto e si designano in italiano col numero ordinale (I, II, ecc.) o piú comunem., nella mano, con i nomi di pollice, indice, medio, anulare e mignolo; nel napoletano portano sia per la mano che per il piede i nomi di: dito gruosso (pollice),énnece (indice), dito ‘e miezo (medio), anulare e dito piccerillo (mignolo).
‘nculo = nel sedere; agglutinazione funzionale in posizione protetica della preposizione illativa in aferizzata→‘n con il s.vo m.le culo = in origine l’orifizio anale delle bestie poi per sineddoche il culo, il posteriore, il didietro, il sedere, il complesso delle natiche degli esseri umani ; etimologicamente è voce dal lat. culum che è dal greco koîlos ; questa voce napoletana a margine fu accolta temporibus illis anche nella lingua nazionale e viene tuttora usata ancorché catalogata, ma non se ne comprende il motivo, come voce volgare o popolare. Un tempo da qualcuno si ipotizzò che etimologicamente la voce potesse essere un adattamento del lat. caelu(m)(cielo) pigliando a riferimento semantico la concavità e dell’uno e dell’altro. Idea balzana stante la presenza diretta come ò détto della voce lat. culum marcata sul greco koîlos (vuoto, concavo) donde anche kolon= intestino; tuttavia rammento che la voce caelu(m)(Cielo) fu usata, quale nome proprio, al posto di Ciullo ( che della voce culo era stato un adattamento di comodo attraverso l’epentesi eufonica di una (I) ed il raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (L) ed infatti quel poeta di Alcamo nato nella prima metà del XIII secolo, e che fu uno dei piú significativi rappresentanti della poesia popolare giullaresca della scuola siciliana s’ ebbe in origine il nome di Ciullo d’Alcamo ( e cioè Culo di Alcamo)per essere il piú famoso pederasta passivo della sua città e successivamente al tempo del bigotto perbenismo didattico vide il suo nome mutato in Cielo d'Alcamo per non turbar la mente dei/delle giovani discenti.
caccià = cacciare il verbo napoletano rispetto all’omonimo italiano, quantunque abbia il medesimo etimo da un lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere'non è usato nel senso di dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o catturarlo o nel senso di introdurre, ficcare; spinger dentro con violenza, ma esclusivamente nel senso di tirar fuori, , cavare, estrarre, emettere; ò trovato perseguibile ed ò adottata l’ipotesi propostami da un amico cacciatore irpino che il verbo caccià nella sua accezione venatoria, si possa rendere graficamente con un utile caccïà nel quale la dieresi posta sulla i, aumentandone le sillabe e modificando la lettura dell’originario caccià, può indurre ad intendere il verbo in altro significato: nel senso cioè non di trar fuori, ma in quello di dar la caccia.Del resto già il buon D’Ambra nel suo insostituibile vocabolario, quantunque non adottasse la grafia caccïà avvertiva che in napoletano esistevano due verbi cacciare: l’uno trisillabo = metter fuori, cavare, estrarre etc. ed uno quadrisillabo = andare a caccia
Va da sé che qualora fosse accettata palam l’ipotesi proposta di usare l’infinito caccïà, per indicare l’andare a caccia, lasciando il caccià solo per indicare il mettere fuori, occorrerebbe modificare l’intera coniugazione del verbo che ad es. all’indicativo presente non potrebbe piú coniugarsi
io caccio
tu cacce
isso caccia
nuje cacciàmmo
vuje cacciàte
lloro càcciano
ma dovrebbe diventare per il verbo venatorio:
io caccéjo
tu caccíje
isso caccéja
nuje caccíjammo
vuje caccíjate
lloro caccéjano
ricalcando ad un dipresso la coniugazione del verbo ‘mmezzïà ( che è il sobillare, lo spingere ad azioni malevole, l’istigare con etimo da un lat. volgare in +*vitiare che all’indicativo presente à:
io ‘mmezzéjo
tu ‘mmezzíje
isso ‘mmezzéja
etc.
Quanto ò espresso à trovato riscontro in ciò che il vecchio cacciatore mi à riferito; e cioè che un tempo la battuta di caccia fu detta caccïata/caccíata (che risulta essere il part. pass. femminile sostantivato dell’infinito caccïà, laddove il part. pass. femminile sostantivato/aggettivato di caccià è cacciàta e vale messa fuori.
anielle s.vo m.le pl. del sg aniello = cerchietto di metallo che si porta al dito per ornamento o come simbolo di una condizione, di una dignità; il metafonetico pl. f.le anelle è voce poetica usata per indicare i riccioli di capelli. voce dal lat. anĕllu(m), dim. di anulus, e questo dim. di anus 'cerchio'.
29 – Metterse ‘a lengua ‘nculo Letteralmente: Porsi la lingua nel sedere; id est: zittirsi,ammutolirsi, tacere evitando di continuare a profferire vacue sciocchezze. Icastico, ma perentorio invito da intendersi chiaramente in senso metaforico [atteso che si è materialmente impossibilitati ad addivenire a quanto si è sollecitati] rivolto ai vuoti parolai, ai vacui ciarloni, ai futili millantatori,a gli insulsi fanfaroni affinché evitino di continuare a far vibrare a sproposito la lingua nel cavo orale, ponendosela lí dove non possa in alcun modo articolarsi riecheggiando!
30 – Metterse ‘mmiezo Letteralmente: Porsi nel mezzo. Locuzione da intendersi con un significato positivo oppure con uno negativo; in senso positivo è espressione riferito a chi dotato di altruismo e di buona volontà si interponga tra due questionanti per rabbonirli facendo da paciere anche a rischio della propria incolumità; in senso negativo l’ espressione è riferita a chi [saccente e supponente] senza alcun titolo usa intromettersi tra disputanti, specialmente quando non sia interpellato, tentando di imporre la propria presenza e dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú delle volte- non risolvono la disputa, ma anzi comportano in coloro che li ricevono un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per i poveri individui fatti segno delle stupide e vacue chiacchiere di colui che si mette in mezzo definito icasticamente:spallettone; al proposito penso che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di indicare una etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE.
31 – Metterselo dint’ ê chiocche Letteralmente:Ficcarselo nelle tempie; id est: porsi bene in mente un’idea,un principio, una norma comportamentale, quasi fissate/o nelle meningi, immagazzinarle/o a puntino nel cervello al fine di non dimenticarle/o mai e metterle in pratica senza avere a scusante il non averle/o apprese/o bene. Espressione usata dai genitori e rivolta a mo’ di monito ai figlioli quasi sempre in forma imperativa/esclamativa : Miettatillo dint’ ê chiocche!
chiocche s.vof.le pl. del sg chiocca = 1 (in primis) tempia 2(per estensione) meningi 3(per sineddoche ) testa, cervello; voce dal tardo lat. clocca-m→chiocca; di per sé clocca-m indicava la campama e semanticamente le tempie sono intese il punto della testa dove le idee risuonano.
32 – Metterse pavura Letteralmente: Impaurirsi; id est:prendere addoso la paura, spaventarsi quasi avvertendo sulla propria pelle, a mo’ d’abito messo, indossato, lo spavento, la fifa, la strizza o addirittura lo sgomento, il terrore, il panico.
pavura, s.vo f.le voce che ripete tutti i significati della corrispondente voce dell’italiano paura
1 sensazione inquietante che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato: tené pavura; pigliarse ‘na bbella pavura; deventà janco p’ ‘a pavura; tremmà ‘e pavura; 2 (estens.) timore serio, preoccupazione allarmante; presentimento scoraggiante: aggio pavura ca perdimmo ‘o treno!
Quanto all’etimo è voce derivata come quella dell’italiano dal lat. pavore(m) 'timore', con cambiamento di suffisso; la voce napoletana però conserva al contrario dell’italiano l’etimologicaconsonante fricativa labiodentale sonora v;
33 – Metterse ‘nu cienzo ‘ncuollo Letteralmente: Mettersi una tassa addosso; id est: gravarsi per mera liberalità o per stupidità remissiva di un balzello e/o peso non dovuto quasi assoggettandosi a quella medioevale imposta, a quel tributo che i contadini dovevano ai proprietari in virtú del jus domini.
cienzo s.vo m.le 1(in primis) entità del patrimonio sottoponibile a tributi;
2 (estens.) ricchezza, patrimonio;
3 (nella Roma antica), censimento dei cittadini e dei loro beni;
4(nel medioevo,come nel caso che ci occupa) tributo, imposta; voce dal tardo lat.*cĕnsu-m→cienzo per il class. cinsu-m.
‘ncuollo avv. di luogo vale
1 addosso, sulla persona, sulle spalle: che puorte ‘ncuollo?(che cosa porti addosso?); tené ‘ncuollo(avere addosso), avere con sé, su di sé; indossare | tené ‘a jella ‘ncuollo(avere la sfortuna addosso), (fig.) essere sempre sfortunato | chiammarse ‘e guaje ‘ncuollo(chiamarsi addosso i guai), (fig.) procurarseli | se ll’è ffatta ‘ncuollo p’ ‘a paura(per la paura se l’è fatta addosso, fare i bisogni corporali nei vestiti; (fig.) farsi prendere dalla paura, dal panico |parlarse ‘ncuollo (parlarsi addosso), (fig.) in continuazione e con autocompiacimento
2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle
1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra)
2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo
3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto;
34 – Metterse scuorno Letteralmente: Vergognarsi; id est: Quasi analogamente a quanto détto circa il metterse pavura, avvertire su di sé, quasi a pelle,a mo’ d’abito un sentimento che qui è quello di mortificazione derivante dalla consapevolezza che un'azione, un comportamento, un discorso, un atteggiamento ecc., propri o anche di altri, sono disonorevoli, sconvenienti, ingiusti o indecenti e provarne apertamente anche con la manifestazione del rossore del viso, disonore, imbarazzo, disagio, scorno.
scuorno s.vo astratto neutro = scorno, vergogna, umiliazione, beffa, ignominia, infamia, disonore, macchia, onta; voce deverbale di scurnà = mettere in ridicolo, deridere, svergognare che a sua volta è ricavato dal lat. cŏrnu-m.
35 – Metterse ‘o cappotto ‘e lignammo Letteralmente: Indossare il cappotto di legno.Icastica ed eufemistica locuzione usata per significare il decesso di una persona che, defunto che sia viene posto in una bara lignea [raffigurata come l’indumento che si porta su tutti gli altri cioè come un pastrano,come un soprabito questa volta di legno] per essere sepolto.
cappotto s.vo m.le pesante soprabito invernale da uomo e da donna; voce denominale di cappa che è dal lat. tardo cappa(m) 'cappuccio', da caput 'capo, testa'
lignammo s.vo m.le legname derivato del lat. ligname(n) 'armatura di legno' ( che è da ligna + il suff. coll. amen); la voce napoletana à il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (M).
36 – Mettere ‘a si-loca arreto Letteralmente: Apporre di dietro un (cartello dittante) LOCASI ; id est:deridere qualcuno in maniera continuata e palese. L’espressione rammenta una delle burle piú brucianti che gli scugnizzi della città bassa negli anni ’50 dello scorso secolo che per beffare, canzonare, irridere, dileggiare ignari, attempati e pazienti passanti destramente appiccicavano sulle code delle giacche di costoro un piccolo cartello con l’offerta d’affitto che a fine di dileggio, burla, canzonatura salacemente si riferiva alla parte anatomica dei malcapitati su cui il cartello andava ad insistere. Tecnicamente infatti il cartello dittante LOCASI , avviso che in napoletano era semplicemente ed acconciamente ‘a si-loca , era un annuncio che i proprietari di appartamenti solevano esporre sugli stipiti dei portoni di un fabbricato per portare a conoscenza di probabili affittuatari che nell’edificio v’era un’abitazione sfitta in attesa di inquilino.
si-loca s.vo f.le = 1 (in primis)cartello, avviso di cessione in fitto; 2 (per traslato) giubba eccessivamente lunga; voce ricavata per agglutinazione funzionale del pron. pers. rifl. m.le e f.le di terza pers. sing. e pl. si(forma complementare atona del pron. pers. sé[dal lat. si])posto in posizione proclitica e della voce verbale loca [3ª p.sg. ind. pr. dell’infinito lat. locare = 'collocare' ed 'affittare', deriv. di locus 'luogo'.
arreto o areto = (avv.di luogo) dietro,parte posteriore opposta al davanti; esattamente arreto è dietro con derivazione dal latino ad+retro con tipica assimilazione regressiva dr→rr e dissimilazione totale della r nella sillaba finale; invece areto (seppure spesso usato in napoletano in luogo di arreto) esattamente è di dietro derivazione dal latino a+retro; anche qui si verifica la dissimilazione che riduce retro a reto e spesso l’avverbio (giusta l’etimo) è scritto oltre che areto anche ‘a reto (da dietro).
37 - Miettele nomme penna Letteralmente: Letteralmente vale : Chiamala penna!; Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi vede qualcuno prestare un oggetto a persona che si ritiene non restituirà mai il prestito, volendo significare: “Ài prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non rivedrai mai piú il tuo oggetto che, come una piuma d’uccello è volato via!”
La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta (dal valore irrisorio di mezzo e poi un ventesimo di grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18 lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi.
38 - Metterse cu ‘a panza e cu ‘o penziero. Letteralmente: Porsi con la pancia e con la mente; id est: perseguire il raggiungimento di una meta agognata, inseguire il conseguimento di uno scopo, d’ un obiettivo,un intento,un piano, un progetto,un proposito rincorso con tutte le proprie forze sia fisiche [quelle rappresentate dalla pancia ] che mentali [rappresentate dal pensiero] Espressione che rende icasticamente l’ algido italiano agire con il braccio e con la mente. Mi corre l’obbligo di rammentare che l’amico avv.to Renato de Falco dà tutt’altra lettura della locuzione,ritenendola – ma, a mio avviso, troppo riduttivamente, di pertinenza femminile con riferimento al desiderio intenso di maternità della donna che porrebbe a servizio del concepimento la mente e... la pancia.
Ò riportato la cosa per scrupolo di coscienza, ma [e me ne duole] questa volta non mi sento di aderire all’idea, troppo limitativa, dell’amico de Falco!
panza s.vo f.le = pancia, epa; voce dal basso latino panticem con metaplasmo e sincope della sillaba ti donde pantice(m)→ *pan(ti)cja→*pancja→panza).
penziero s.vo m.le = pensiero, l’attività psichica mediante la quale l'uomo elabora dei contenuti mentali, acquisendo coscienza di sé e della realtà esterna che i sensi gli propongono, e formulando schemi concettuali che gli valgono come modelli interpretativi della realtà; la facoltà del pensare; ciò che si pensa; il contenuto, l'oggetto del pensiero. voce dal provenz. pensier, deriv. del lat. pensare;
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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