mercoledì 15 gennaio 2014

IL VERBO NAPOLETANO TREZZIÀ/TERZIÀ

IL VERBO NAPOLETANO TREZZIÀ/TERZIÀ Questa volta è stato l’amico G. L. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di chiarirgli oltre il significato e portata dei verbi partenopei in epigrafe e di indicargli quale ne sia l’etimologia. Gli ò risposto testualmente cosí: Il verbo napoletano trezzià e la sua lettura metatetica popolare terzià è verbo usato per rendere in napoletano quelli che in italiano sono succhiellare o spizzicare verbi che (uno per traslato, l’altro per estensione ) indicano lo scoprire a poco a poco le carte da gioco che si ànno in mano, per assaporare lentamente l’emozione. Di per sé il verbo spizzicare[denominale di pizzico (voce onomatopeica), nel significato di «piccola quantità», col pref. s- in funzione intensiva] vale mangiare in piccole quantità, ma per traslato come nel caso che ci occupa vale scoprire il margine superiore destro o sinistro delle carte da gioco lentamente, strofinandole l’una sull’altra e poi sfilandole una dopo l'altra tra l'indice e il pollice. Ugualmente il verbo succhiellare[derivato di succhiello( dal lat. tardo sŭculŭs)] in primis sta per succhiarsi, godersi tranquillamente qualcosa poco per volta e per estensione come nel caso che ci occupa vale scoprire a poco a poco le carte da gioco per assaporarne lentamente l’emozione. Il napoletano (per rendere i due verbi or ora esaminati) à, come ò accennato, il verbo trezzià e la sua lettura metatetica popolare terzià di semantica affatto diversa da succhiellare e spizzicare; il verbo napolitano infatti piú che alla quantità tiene riguardo agli effetti che sul giocatore provoca il movimento dello spizzicare o succhiellare che sortisce una sorta di inganno(con crescente emozione) dell’occhio del giocatore fino a quando scoprendo bene il margine della carta spizzicata egli non abbia contezza del reale valore della carta. Per quanto riguarda l’etimo di trezzià/trezià non mi sento di aderire alle proposte etimologiche né del D’Ascoli, nè di Carlo Iandolo che chiamano, poco convincentemente ambedue in causa il s.vo trezza; il D’Ascoli non chiarisce nè percorso morfologico, nè eventuale collegamento semantico tra un gruppo di tre ciocche di capelli lunghi che vengono tessute insieme passando alternatamente l’una sopra le altre così da riunirle in un unico elemento dalla caratteristica forma ondulata e l’azione del succhiellar le carte, mentre l’amico Carlo Iandolo propone una derivazione da trezza (treccia)con un infisso frequentativo -i- e postula una semantica che in ogni caso non mi convince: lo spizzicare delle carte presupporrebbe la distanza d’un capello tra due spazi successivi. Troppo fantasioso! Reputo invece che piú acconciamente si debba pensare all’antico francese tercier→trecier→treccier→trezzier→trezzià che valse appunto ingannare, cosí come accade – e l’ò détto - con il movimento dello spizzicare o succhiellare che sortisce una sorta di inganno(con crescente emozione) dell’occhio del giocatore. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico G.L. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste due paginette.Satis est. Raffaele Bracale Brak

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