giovedì 24 aprile 2014

VARIE 3003

1.MA TU VIDE ‘NU POCO QUANT’ È BBELLO PARIGGE! Icastica locuzione esclamativa che, tradotta ad litteram, pur sonando: Ma guarda un po’ quanto è bello Parigi! non sostanzia un’espressione ammirativa nei confronti della capitale di Francia; al contrario, sull’abbrivio dell’enfatico attacco (ma tu vide ‘nu poco = ma guarda un po’ ),prodromico di un moto di rabbia o fastidio, è da leggersi in senso quasi antifrastico: Ma guarda un po’ quale brutto guaio (mi doveva capitare)! L’espressione è usata a Napoli a dispiaciuto o rabbioso commento di tutti i guai o accadimenti importuni, se non grandemente lesivi, che dovessero occorrere; il guaio originario cui si riferisce l’espressione, guaio adombrato sotto il nome di Parigi, è la lue o sifilide(malattia infettiva a decorso cronico intermittente, trasmessa per via sessuale, provocata da una spirocheta che causa varie lesioni nell'organismo, in particolare, nell'ultima fase, a danno del sistema nervoso: sifilide acquisita, congenita); l’essere incappati in tale affezione è nascosto – nel parlato partenopeo - sotto il nome di Parigi (di cui in senso ironico ed antifrastico si esalta la bellezza!) o, altrove, con l’espressione andare o stare in Francia (rammenterò al proposito una divertente battuta dall’evidente doppio senso pronunciata da Totò/falso principe e rivolta all’attore Enzo Turco, che nella pellicola interpreta il personaggio di Paquale/falso marchese compagno di disavventure del falso principe, nella trasposizione cinematografica della commedia di E. Scarpetta Miseria e nobiltà: “Di’ tu, fratello quante volte siamo stati in Francia!...”, volendo significare: “ Confessa tu, fratello quante volte abbiamo avuto ricadute con manifestazioni di lue o di blenorragia, quest’ultima è un’ altra affezione, malattia venerea contagiosa dovuta a infezione da gonococco, che si manifesta come vulvovaginite nella donna e uretrite nell'uomo; in napoletano, ma anche in altri linguaggi espressivi,tale affezione prende il nome di scólo e sebbene sia meno grave della precedente sifilide,viene ad essa equiparata come malattie di origini galliche; in effetti a Napoli si ritenne che i morbi (détti comunemente: mal francese o morbo gallico) fossero stati portati e propagati ( nel 1494 circa) nella città, attraverso il contatto con le prostitute locali, dai soldati francesi al sèguito di Carlo VIII; da notare che – per converso – i francesi dissero la lue: mal napolitain nella pretesa che fossero state le prostitute partenopee a diffonderlo fra i soldati carlisti.Solo il Cielo conosce la verità! bbello letteralmente: bello, ciò che è dotato di bellezza; che suscita ammirazione, piacere estetico, ma nell’accezione della locuzione in epigrafe da intendersi in senso antifrastico: brutto, spregevole, dannoso; quanto all’etimo la voce a margine è un derivato del lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono'; lue = sifilide (fig. lett.) vizio, corruzione;dal lat. lue(m) 'imputridimento, decomposizione', prob. connesso con il gr. lyein 'sciogliere, dissolvere'; sifilide dal lat. scient. Syphilis -idis, deriv. di Syphilus, nome del protagonista del poemetto latino di G. Fracastoro "Syphilis, sive de morbo gallico" (1530) 2.DÀ ZIZZA 'E VACCA PE TTARANTIELLO. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantIello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne piú pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. 3. MANTENÍMMOCE PULITE, CA CE STANNO 'E CCARTE JANCHE! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci son presenti dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. 4. FACIMMO AMMUINA! Letteralmente: facciamo confusione. È l'invito a creare il disordine nel quale si possa mestare al fine di conseguire dei vantaggi. La locuzione in epigrafe, sia pure nella forma Facite ammuina dai soliti disinformati e bugiardi storici postunitari si ritiene essere stato addirittura il titolo di un articolo di un preteso regolamento della marina borbonica del 1841, articolo nel quale si sarebbero indicati i vari modi di fare ammuina; si tratta chiaramente di una voluta sciocchezza tesa a denigrare l'organizzazione e la valentía della marineria di Francesco II Borbone... Per amor di completezza ricorderò che il predetto fantasioso articolo recitava: All'ordine “Facite Ammuina”: tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora: chilli che stann' a destra vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a destra: tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tiene nient' a ffà, s' aremeni a ccà e a llà. Ò trascritto l’articolo così come l’ò travato in rete,(con tutti gli orrori di ortografia etc.) stampato su di un evidentemente falso proclama reale recante lo stemma borbonico. Non voglio soffermarmi piú di tanto sull’evidente falsità dell’articolo; mi limiterò ad osservare che essa si ricava già dal modo raffazzonato in cui è scritto; è evidente che il capo scarico che lo à vergato, mancava delle piú elementari cognizioni dell’idioma napoletano e l’abbia vergato a naso o per sentito dire: basti osservare in che modo errato sono scritti tutti i verbi, terminanti tutti con un assurdo segno d’apocope (‘) o di una ancora piú assurda elisione, in luogo della corretta vocale finale semimuta. A ciò si deve aggiungere l’incongruo, fantasioso congiuntivo esortativo che conclude l’articolo: s’aremeni, congiuntivo che è chiaramente preso a modello dal toscano, ma non appartiene alla lingua napoletana che usa ed avrebbe usato anche per il congiuntivo la voce s’aremena cosí come l’indicativo; infine non è ipotizzabile un monarca che, volendo codificare un regolamento in lingua napoletana, affinché fosse facilmente comprensibile alle proprie truppe incolte, si rivolgesse o fosse rivolto per farlo vergare a persona incapace o ignorante della lingua napoletana; ciò per dire che tutto l’evidentemente falso articolo fu pensato e vergato dal suo fantasioso autore, con ogni probabilità filosavoiardo in lingua italiana e poi, per cosí dire, tradotto seppure in modo sciatto ed approssimativo nell’idioma napoletano, cosa che si evince oltre che da tutto ciò che fin qui ò annotato dal fatto che nell’articolo (presunto napoletano) si parla di destra e sinistra, laddove è risaputo che i napoletani, anche i colti, usavano dire dritta e mancina. Sistemata cosí la faccenda del Facite ammuina , torniamo alla parola ammuina e soffermiamoci sulla sua etimologia; a prima vista si potrebbe ipotizzare, ma erroneamente che la parola ammoina sia stata forgiata sul toscano moina con tipico raddoppiamento consonantico iniziale ed agglutinazione dell’articolo la (‘a); ma a ciò osta il fatto che mentre il termine ammoina/ammuina sta, come detto, per chiasso, confusione, vociante baccano, la parola moina (dal basso latino movina(m)) sta ad indicare gesto, atto affettuoso, vezzo infantile; comportamento lezioso, sdolcinato, tutte cose evidentemente lontane dal chiasso e/o confusione che son propri dell’ ammoina/ammuina e lontane dal fastidio che da quel chiasso ne deriva all’adulto che, al contrario, è appagato e gratificato dalle moine infantili o talvolta da quelle femminili; sgombrato così il campo dirò che per approdare ad una accettabile etimologia di ammoina/ammuina occorre risalire proprio al fastidio, all’annoiare che il chiasso, la confusione, il vociante baccano procurano; tutte cose puntualmente rappresentate dal verbo spagnolo amohinar(infastidire, annoiare, addirittura rattristare) e convincersi che l’ ammoina/ammuina altro non sono che deverbali del verbo spagnolo. 5. TENÉ 'A NEVE DINT' Â SACCA. Letteralmente: tenere la neve in tasca/nel sacco. Id est: avere o mostrar d'avere grandissima fretta quale quella che dovrebbe portare chi trasportasse della neve tenendola in tasca o piú esattamente in sacchi di iuta e volesse evitare di perderla; cosa - peraltro - impossibile giacché basta il calore del corpo per portare alla liquefazione della neve trasportata tenendola in una tasca dei vestiti.Storicamente però l’espressione si riferisce alla sollecitudine forzata di coloro che prelevate le nevi dai nevai sui monti dell’Irpinia o altre alture campane provvedevano a trasferirle nelle città per gli usi domestici, trasportandole a dorso di mulo stipate in sacchi di iuta.Ed in tal senso va inteso il termine sacca dell’espressione che in napoletano indica sia la tasca di un abito che i sacchi per asporto. 6. A LIETTO ASTRITTO, CÓCCATE 'MMIEZO. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 6 bis 'O SCARPARO E 'O BANCARIELLO: NUN SE SAPE CHI À FATTO 'O PIRETO Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi à fatto il peto. Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere le proprie responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri le medesime, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. 7 'ARUTA OGNI MMALE STUTA. Letteralmente: la ruta spegne ogni male. È pur vero che l'erba ruta fu, temporibus illis usata come panacea per un gran numero di mali dalla epistassi alla verminosi etc. etc., ma posto che con il termine aruta in napoletano si intende anche il danaro, è piú probabile che la locuzione voglia significare che con il danaro si posson sanare tutti i mali, sia fisici che morali 8 'E DITTE ANTICHE NUN FALLISCENO MAJE. Narcisistica espressione con la quale si vuole intendere che la saggezza popolare espressa per il tramite dei proverbi antichi trova sempre il suo riscontro nella realtà dalla osservazione della quale i proverbi(id est: pro-bata verba =parole provate)prendono il via. 9 CHI VO’ BBENE Ô MARÍTO, VEVE 'NCOPP'A LL'ACÍTO. Letteralmente: chi vuol bene al marito beve anche in presenza di una crisi di acidità gastrica.Id est: il bene coniugale fa superare ogni avversità, anche a costo di sacrificio quale è quello di bere in presenza di una crisi di stomaco con versamento acido.L'acíto di per sé sarebbe l'aceto di vino, ma nella locuzione sta ad indicare quel succo acre che prodotto dallo stomaco spesso a seguito di cattiva digestione, torna in gola e nelle fauci disturbando(e dunque piú correttamente dovrebbe leggersi àcito= acido e non acíto= aceto, ma leggendo àcito e non acíto verrebbe meno la rima con maríto, rima con cui il proverbio è stato tramandato (cosí come nella forma in epigrafe) operando una piccola forzatura di significato della voce acíto. 10 'E CUNTE A LLUONGHE ADDIVENTANO SIERPE. Letteralmente: i conti che si protaggono diventano serpenti. Id est: i debiti a lunga scadenza diventano velenosi come i serpenti. La locuzione stigmatizza in modo conciso la piaga dell'usura. Chi ricorre a gli usurai per prestiti a lunga scadenza si rovinano ineluttabilmente. 11 DDIO NCE LIBBERA DÊ SIGNALATE. Letteralmente: Dio ci liberi dai segnati. Id est: Il Cielo ci liberi dalle persone segnate da un difetto fisico ché son coloro che, magari per acrimonia o per un senso di rivalsa verso il mondo, son pronti a commettere, in danno del prossimo, azioni riprovevoli. La locuzione partenopea ripiglia ad un dipresso l'antico motto latino: Cave a signatis!(attenti ai segnati). Raffaele Bracale

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