sabato 24 maggio 2014
‘NTRALLAZZO
‘NTRALLAZZO
La voce in epigrafe, voce ormai pervenuta nella lingua nazionale (sia pure non aferizzata, ma nella forma di intrallazzo) con particolare riferimento d’àmbito socio-politico, è voce non eccessivamente antica (risale infatti agli anni tra il 1940 ed il 1950)ed è di origine centro- meridionale: Abruzzo, Campania, Silicia; attualmente significa: imbroglio, raggiro, intrigo, ma originariamente stette per: scambio illecito di beni o di favori e con le voci: ‘nderlacce (abruzzese), ‘ntrallazzu (siciliano) e appunto ‘ntrallazzo o anche ‘nterlazzo (napoletano) si identificò dapprima il mercato o borsa nera e solo per stensione
l’ imbroglio, il raggiro,l’intrigo dapprima quelli generici, poi segnatamente – complice il linguaggio mediatico – quelli d’àmbito socio-politico.
Di non tranquilla lettura l’etimologia della voce a margine;
dai piú si pensa ch’essa derivi dal sicil. 'ntrallazzu 'intreccio, intrigo', a sua volta deriv. del lat. volg. *interlaceare, comp. di intra 'tra' e laqueus 'laccio', ma – pur non potendo negare un’ evidente somiglianza tra il siciliano 'ntrallazzu ed il napoletano ‘ntrallazzo penso che per il partenopeo, piú che ad un prestito siciliano, si possa risalire ad un antico tramite catalano: entralasar o anche un antico francese: entralacer ; sia il verbo catalano che quello francese furono forgiati sul precennato lat. volg. *interlaceare, comp. di intra 'tra' e laqueus 'laccio'e valsero: impaniare, intralciare, avviluppare donde il significato di azione che si manifesti in un imbroglio, raggiro,’intrigo; va da sé che il mercato/borsa nera configuri il medesimo imbroglio, raggiro,’intrigo.
A questo punto non ci resta che discutere se sia stato il napoletano o il siciliano a cedere alla lingua nazionale il vocabolo in esame; ma sarebbe questione di lana caprina nella quale è inutile e pericoloso addentrarsi ed io evito di entrarvi.
In coda ed a margine di quanto detto sulla voce ‘ntrallazzo, rammenterò che essa (sebbene ciò talvolta – per mano di taluni operatori dei media, poco preparati-, accada) non va confusa con la voce partenopea nciucio che à dato l’italiano inciucio e vale intrigo, sobillamento, pettegolezzo ed in ambito politico-giornalistico: accordo confabulatorio non lineare, frutto di basso compromesso.
La voce nciucio risulta essere, etimologicamente un deverbale di nciucià a sua volta derivata da un suono onomatopeico (ciuciú)riproducente il parlottío, il chiacchierío sommesso tipico di chi confabuli.
Partendo da tale premessa ne risulta che la n d’avvio di nciucio e nciucià non è il residuo di un in→’n illativo, ma una semplice consonante prostetica eufonica (come ad. es. è il caso di nc’è per c’è) ; erra perciò chi scrive ‘nciucio o ’nciucià con un pletorico ed inutile segno d’aferesi (‘); è l’italiano che à derivato (seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo pensato la n d’avvio, un residuo di in( che è stato erroneamente ricostruito ), à derivato in tempi abbastanza recenti (e ne è prova il fatto che nel vasto, esauriente D.E.I. di Battisti ed Alessio datato1950/57 la voce manca) il suo inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dall’ inciucio italiano (nel qual caso sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio). Non mi meraviglio della cialtroneria dell’italiano che spesso storpia il napoletano da cui però attinge a piene mani(cfr. ad es. il napoletano fessaria storpiato nell’italiano fesseria etc.).
Raffaele Bracale
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