venerdì 13 giugno 2014
VARIE 3962
1.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la comoda filosofia e/o strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
2.'NA VOTA È PPRENA, 'NA VOTA ALLATTA, NUN 'A POZZO MAJE VÀTTE'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
Nota linguistica
Vàtte’ è l’infinito apocopato di vatte(re), ma pur essendo apocopato mantiene il primitivo accento tonico e va dunque letto vàtte’ e non vattè come pure erroneamente fa qualcuno confondendosi con ciò accade per tutti gli altri infiniti del napoletano che pur apocopati si trascinano dietro l’accento tonico, risultando, anche graficamente, accentati sull’ultima sillaba.Nella fattispecie vàtte’ pur apocopato, à mantenuto necessariamente il primitivo accento tonico per consentire l’esatta rima tra allatta e vàtte’.
3.LÈVATE 'A MIEZO, FAMME FÀ 'O SPEZZIALE.
Letteralmente: togliti di torno, lasciami fare lo speziale...Id est:lasciami lavorare in pace - Lo speziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie. Sia l'erborista che il farmacista erano soliti approntare specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
4. ARTICOLO QUINTO:CHI TÈNE 'MMANO À VINTO!
La locuzione traduce quasi in forma di brocardo scherzoso il principio civilistico per cui il possesso vale titolo. Infatti chi tène 'mmano, possiede e non è tenuto a dimostrare il fondamento del titolo di proprietà.In nessuna pandetta giuridica esiste un siffatto articolo quinto, ma il popolo à trovato nel termine quinto una perfetta rima al participio vinto, prestito dell’italiano, perché – per il vero - in napoletano il part. pass. m.le di véncere è vinciuto e non vinto.
5.CU MMUONECE, PRIEVETE E CCANE, HÊ 'A STÀ SEMPE CU 'A MAZZA 'MMANO.
Con monaci, preti e cani devi tener sempre un bastone fra le mani. Id est: ti devi sempre difendere.Sarcastico consiglio (appartenente alla antica cultura popolare)che accomuna tra i soggetti fastidiosi o pericolosi monaci, preti e cani: i primi due adusi ad elemosinare e/o chiedere offerte son fastidiosi o pericolosi per le poco fornite tasche e/o sostanze personali, i cani (soprattutto i randagi) attentano continuamente all’incolumità fisica, per cui occorre difendersi da tutti, magari ricorrendo alle maniere forti; rammento che un tempo (relativamente ai cani, soprattutto nelle chiesuole dei paesini rurali) vi fu un soggetto che addetto alle pulizie ed alla sorveglianza della chiesa,aveva anche il còmpito di scacciare i cani che entrassero in chiesa e tale mansione fece assegnare a tale individuo il nome di scaccino parola che poi successivamente divenne sinonimo di sagrestano/sacrista.
6. CHI FRAVECA E SFRAVECA, NUN PERDE MAJE TIEMPO.
Chi fa e disfa, non perde mai tempo. L’ ironica locuzione da intendersi, chiaramente, in senso antifrastico, si usa a commento delle inutili opere di taluni, che non portano mai a compimento le cose che cominciano, di talché il loro comportamento si traduce in una perdita di tempo non finalizzata a nulla.
7.'A SCIORTA D' 'O PIECORO: NASCETTE CURNUTO E MURETTE SCANNATO...
Letteralmente: la cattiva fortuna del becco: nacque con le corna e morí squartato. La locuzione è usata quando si voglia sottolineare l'estrema malasorte di qualcuno che viene paragonato al maschio della pecora che oltre ad esser destinato alla fine tragica della sgozzatura deve portare anche il peso fisico e/o morale delle corna.
8. È FERNUTA 'A ZEZZENELLA!
Letteralmente: È terminata - cioè s'è svuotata - la mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
La voce zezzenella è un collaterale di zezzella ambedue diminutivi di zizza (=mammella) che viene per adattamento dall’ accusativo tardo latino *titta(m)= capezzolo forse attraverso una forma aggettivale tittja(m) dove il ttj intervocalico diede zz che influenzò anche la sillaba d’avvio ti→zi. .
9. È MMUORTO 'ALIFANTE!
Letteralmente: È morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussiego, della tua importanza, non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussiego , si ricollega ad un fatto accaduto sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grandissima importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era piú tempo di darsi arie...
10. CHI SE FA PUNTONE, 'O CANE 'O PISCIA 'NCUOLLO...
Letteralmente: chi si fa spigolo di muro, il cane gli minge addosso. È l'icastica e piú viva trasposizione dell'italiano: "Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia" e la locuzione è usata per sottolineare i troppo arrendevoli comportamenti di coloro che o per codardia o per ingenuità, non riescono a far valere la propria personalità, mostrandosi eccessivamente succubi e/o remissivi.
11.TRÒVATE CHIUSO E PIÉRDETE CHIST' ACCUNTO...
Letteralmente: Tròvati [cioè mettiti nell’(errata)condizione di stare] chiuso perdendoti questo cliente... Locuzione ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si stia per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente.
Accunto s. m. = cliente dal lat. adcognitus= molto conosciuto, la voce semanticamente si spiega con il fatto che chi è cliente frequentando continuamente una bottega finisce per essere molto noto e/o conosciuto.
12.È MMEGLIO A ESSERE PARENTE Ô FAZZULETTO CA Â COPPOLA.
Conviene esser parente della donna piuttosto che dell' uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è tenuta maggiormente in considerazione la famiglia d'origine della sposa piuttosto che quella dello sposo.
13.OGNE STRUNZO TENE 'O FUMMO SUJO.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo. Id est:ogni sciocco à sempre modo di farsi notare
14.CUNSIGLIO 'E VORPE, RAMMAGGIO 'E GALLINE.
Lett.:consiglio di volpi, danno di galline. Id est: Quando confabulano furbi o malintenzionati, ne deriva certamente un danno per i piú sciocchi o piú buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze. Il termine rammaggio, rotacizzazione del piú classico dammaggio, indica nell’idioma partenopeo il danno patito ed arrecato sia in senso materiale che morale.
Per ciò che attiene la sua etimologia, una superficiale ipotesi fa risalire il termine al francese dommage di identico significato E sarebbe ipotesi accettabile se il vocabolo appartenesse alla schiera di vocaboli mutuati dal francese durante la dominazione murattiana..., ma poiché la parola dammaggio esiste già nel Cortese, nello Sgruttendio e nel Basile - scrittori operanti alcuni secoli prima della dominazione indicata, ecco che l’ipotesi è da scartare e bisogna accettare quella che piú verosimilmente fa risalire il vocabolo ad un termine del latino parlato e cioè a damnajjum a sua volta derivante da damnum con il suffisso ajjo→aggio di carattere rustico di contro al classico aeus→eo come avvenuto anche per scarafaggio - scarabeo. Nel termine damnajjum si è poi verificata la consueta assimilazione regressiva della enne con la antecedente emme e si è avuto dammaggio.Ed è questa l’ipotesi che storicamente è da ritenersi piú vicina alla realtà, salvo prova contraria...
15.CHIACCHIERE E TABBACCHERE 'E LIGNAMMO, Ô BBANCO NUN NE 'MPIGNAMMO.
Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non ne prendiamo in pegno al Banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel 1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino e poi da Banca Intesa. La locuzione proclama la necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate azioni, improbabili e vacue promesse.
16.FEMMENE E GRAVUNE: STUTATE TÉGNONO E APPICCIATE CÒCENO.
Letteralmente: donne e carboni (son sempre pericolosi): spenti tingono e accesi bruciano. Id est: quale che sia il loro stato, donne e carboni sono ugulmente perniciosi.
17.VENÍ ARMATO 'E PIETRA POMMECE, CUGLIE CUGLIE E FFIERRE 'E CAZETTE.
Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi sottili e ferri(piú doppi)da calze ossia di tutto il necessario ed occorrente per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto in quanto armati degli strumenti adatti.
18.SIGNURE ‘E CARACÒ
Letteralmente: signori di (scala a) chiocciola
Icastica espressione usata un tempo a dileggio di quelle persone che facessero le viste d’essere di nobile prosapia laddove in realtà non lo erano risultando al contrario di bassa condizione civile, quando non addirittura dei meschini servitori.
Per comprendere la portata dell’espressione bisogna por mente al fatto che con il termine caracò (adattamento dello spagnolo caracol= chiocciola) si intendeva la scala a chiocciola quella che negli antichi palazzi nobiliari metteva in comunicazione l’ultimo piano con il sottotetto, la soffitta (in napoletano suppigno [da un lat. volg. subpingiu-m con assimilazione bp→pp e metatesi ng→gn]); il sottotetto, la soffitta erano destinate ad accogliere suppellettili vecchie ed inutili nonché tutto ciò che dovesse essere sgomberato, funzioni cui era adibita la servitú per cui la scala a chiocciola, il caracò finí per essere di esclusiva competenza della servitú che, negli antichi palazzi nobiliari,occupava il primo o il secondo piano atteso che era dal terzo che principiava il piano nobile destinato alla nobiltà.Da tutto ciò si ricava chiaramente che con l’espressione Signure ‘e caracò si intendeva , canzonare, prendere in giro, motteggiare chi – essendo di bassa estrazione sociale – usasse darsi delle arie, un tono, un contegno da aristocratico, patrizio, blasonato.
Brak
Nessun commento:
Posta un commento