venerdì 4 luglio 2014
SMARGIASSO E DINTORNI
SMARGIASSO E DINTORNI
Smargiasso è un'altra parola (come guaglione, guappo, sfogliatella, scugnizzo, camorra, vongola etc. ) partita dal lessico partenopeo e approdata in quello nazionale nel significato di gradasso, spaccone, millantatore. I medesimi significati si riferiscono allo smargiasso nei vocabolarî napoletani dove nello stesso senso si usano favone, grannezzuso, rodamunno, sbardellone, sbafante, spacca-e-mmette-ô-sole, squarcione; mentre il millantatore parolaio, supponente e saccente è soprattutto indicato con il termine spallettone. L'origine napoletana di smargiasso è dimostrata da due fatti: la parola è formata da smargi con l'aggiunta del suffisso dispregiativo asso, suffisso di pretta matrice meridionale-napoletano; in italiano si usa accio o talvolta azzo, mutuandolo dal ed adattando il napoletano asso→azzo. Scartata l'ipotesi di una derivazione dallo spagnolo majo (spaccone), penso che la voce smargiasso derivi dal greco màrgos=protervo, arrogante o da smaragízein = risuonare, rimbombare. È pur vero che manca l'intermedio del latino, ma se fosse esistito tale intermedio, la parola sarebbe potuta nascere in un punto qualsiasi dello Stivale, atteso che è abbondantemente riconosciuto e provato che fu il tardo latino la madre di tutti i linguaggi regionali d’Italia. Dunque, mancando l’intermedio latino, nel caso che ci occupa è la voce greca la lingua di riferimento ed il greco si parlò nell’Italia meridionale (Magna Grecia) non altrove.Soffermiamoci ora sulle voci dell’italiano che rendono quella dell’epigrafe, ed a seguire illustreremo i sinonimi del napoletano Abbiamo dunque in italiano:
megalomane: s.vo ed agg.vo m.le o f.le che, chi è affetto da megalomania, cioè damania di grandezza, da tendenza a fare le cose in grande, a presumere esageratamente delle proprie capacità, forze o possibilità fisiche,economiche o morali/intellettuali; voce comp. di megalo (primo elemento di parole composte, per lo piú di formazione moderna, dal gr. megalo-, forma compositiva di mégas megálou 'grande'; significa 'grande, grandezza') - e –mania (secondo elemento di parole composte di origine greca o di formazione moderna, dal gr. manía 'pazzia'; indica una tendenza ossessiva o patologica, oppure un'attrazione irresistibile per qualcosa (cleptomania,megalomania, ninfomania));
gradasso/a: s.vo m.le e f.le vanaglorioso/a, chi si vanta di fare cose eccezionali, senza averne la capacità, derivato dal nome di Gradasso, vanaglorioso personaggio dell'"Orlando innamorato" di Boiardo e dell’Orlando furioso" di Ariosto.
Spaccone/a s.vo m.le e f.le, dal significato simile al precedente gradasso/a , è un evidente accrescitivo derivato di spaccare: spezzare, dividere in piú parti; dal longobardo spahàn, fendere.
Millantatore/trice s.vo m.le e f.le indica chi si vanti o vanti qualità o meriti che non à ed è un deverbale di millantare id est: accrescere millanta volte.
Sbruffone/a s.vo m.le e f.le è chi si attribuisce meriti grandiosi o qualità eccezionali che non possiede o imprese esagerate; da sbruffare, voce onomatopeica che indica l'emettere dalla bocca e/o dal naso spruzzi di liquidi fisiologici, come può accadere a chi apra continuamente la bocca.
E veniamo al napoletano dove troviamo:
Favone/a s.vo m.le e f.le è il gran millantatore, vanesio chiacchierone oltre che saccente; piú che a fabulari=raccontar sciocchezze, si può collegare al latino favonius che indica un vento, come semanticamente al vento si posson appaiare le vuote parole.
Grannezzuso/zzosa s.vo m.le e f.le è l’altezzoso/a, l’altero/a e per estensione il/lavanaglorioso/a, il/lamillantatore/trice; da granne (grande).
Rodamunno s.vo m.le e solo m.le non essendo attestato un fem.le quantunque la voce a margine si presterebbe ad essere usata con cambio d’articolo sia per il m.le che per il f.le: ‘o rodamunno, ‘a rodamunno è chi si vanta con arroganza di imprese straordinarie o veramente affronta rischi ma solo per ostentare forza e bravura.Quanto all’etimo la voce a margine è l’adattamento locale del nome di Rodomonte, personaggio dell'«Orlando Furioso» di L. Ariosto (1474-1533), dotato di straordinaria forza e audacia
Sbafante/a s.vo m.le e f.le: vanitoso/a, vanaglorioso/a, aduso/a alla spacconeria; l’etimo è da ricercarsi in una serie onomatopeica ba... fa...(con protesi della tipica s napoletana intensiva) da collegarsi all'espirazione ed all'apertura di bocca per vantarsi.
Sbardellone/a: s.vo m.le e f.le il/la grande vanesio/a chiacchierone/a, aduso/a ad eccedere, in linea con il suo etimo da sbardellare= cascar dalla bardella (piccola sella),verbo derivato da bardellare = porre la bardella, con la protesi della esse che qui non è intensiva, ma distrattiva, per significare proprio il debordamento delle ciarle dello sbardellone.
Spacca-e-mmette-ô-sole: s.vo m.le o f.le indicherebbe di per sé l'azione di quei contadini che, raccolti i pomidoro li spaccano e li pongono al sole perché si secchino, ma va da sé che per ampliamento semantico, con la voce a margine ci si riferisca a chi si comporta in maniera di dar gran rilievo alle proprie azioni, quali che siano, esponendole a tutti e magnificandone ipotetiche positività (in realtà inesistenti) anche quando tali azioni non siano meritevoli di lode e/o di attenzione.
Squarcione/a s.vo m.le o f.le vale spaccone: da squarcià, dal latino volgare ex-quarciare, variante di ex-quartiare: dividere in quattro.
Spallettone: s.vo m.le e solo m.le non essendo attestato un fem.le quantunque la voce a margine si presterebbe ad essere usata anche al femminile con cambio di suff. colui che fu definito mastrisso, ironica corruzione del latino magister.Si tratta di colui che vuol dimostrare d'essere onnisciente, di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie di quelli degli altri, senza farsi mai coinvolgere ma solo dispensando consigli che non poggiano né su scienza né su esperienza, ma son frutto di saccenteria. Non v'è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato. L'economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L'educazione dei figli altrui, mai dei propri? A chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli. Per ciò che riguarda l'etimologia non vi sono certezze essendo il vocabolo sconosciuto ai compilatori di vocabolarî della parlata napoletana, adusi a pescare le parole negli scritti degli autori classici e, spesso, a tenere in non cale il vivo, corrente idioma popolare. Non posso allora che proporre un'ipotesi, non supportata da riscontri storico-letterarî ma che mi pare tranquillamente perseguibile: essendo il sostrato dello spallettone la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi: a mio avviso spallettone si è formato sul verbo parlettià (ciarlare) con la classica protesi della esse intensiva partenopea, l'assimilazione regressiva della erre alla elle e l'aggiunta del suffisso accrescitivo one secondo il percorso seguente: parlettià →sparlettià→sparlettone→spallettone.
Rammenterò in chiusura, come ò già chiarito che tutte le voci elencate, con la sola eccezione di spallettone possono essere usate, con cambio di suffisso, al femminile ad es.: grannezzuso/grannezzosa – favone /favona – squarcione/squarciona - sbardellone/sbardellona etc. Solo per spallettone il napoletano à coniato un corrispondente specifico per femminile che è cciaccessa derivato dal verbo ciarlare secondo il seguente percorso morfologico ciarl(are) + essa→ciarlessa da cui per il fenomeno dell’assimilazione ciaccessa e raddoppiamento espressivo della c d’avvio → cciaccessa.
In coda a tutto quanto détto rammento che l’aggettivo smargiasso, declinato al f.le smargiassa accompagnò il s.vo serenata nel titolo di una gustosa canzonetta del 1921: SERENATA SMARGIASSA per i versi di un tal Vincenzo Iannuzzi, un poeta d’estrazione ed ispirazione popolare [Napoli 11/9/1880 -†Roma ?/12/1947] e la musica di E.A.Mario [pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta (Napoli, 5 maggio 1884 – †Napoli, 24 giugno 1961),], canzonetta di giacca nella quale uno borioso spaccone porta una guappesca serenata ad un’anonima bella che pare non voglia prendere in considerazione il suo corteggiatore. Nel testo della canzone sono usati alcuni verbi non comunissimi che mette conto di illustrare e chiarire; per farlo partirò riportando i versi che li contengono per modo che siano piú facilmente comprensibili, lètti nel loro contesto: 1)‘A ronna nun s'à da trattá cu 'e guante/s'à dda ammappuciá! (la donna non si deve trattare con i guanti (cioè gentilmente), si deve sgualcire); 2) Mo ch'essa sente 'a serenata mia,/senza squarciunīá, /mi preferisce in mezzi a centi amante! (ora ch’essa udrà la mia serenata – senza esagerare – mi preferirà tra cento amanti!) 3) caccio 'a rivuldella/e ti frezzéjo le lastre a una a una!...(cavo il revolver e ti bersaglio i vetri ad uno ad uno ) 4) Domani, addó te 'ncòccio,(domani,dovunque ti sorprenda) 5) Ci vuole la parola convincente/e ll'ommo ca s'impone cu 'a presenza/
pe ffarla ricalá! (ci vuole la parola convincente e l’uomo che si imponga con la propria presenza, per farla desistere).Estraiamo i cinque verbi da illustrare: ammappucià – squarciunià –frezzejo – ‘ncoccio – ricalà e parliamone:
ammappucià verbo trans. inf. 1(in primis)sgualcire, gualcire, sciupare
2(figuratamente come nel caso che ci occupa) infastidire, tormentare una donna con ripetuti palpeggiamenti furtivi o palesi; verbo intesivo di ammappare che è un denominale del lat. ad + mappa (tovagliolo, strofinaccio).
squarciunīà verbo intrans.inf. millantare, smargiassare,far lo spaccone; voce da un lat. ex-quarciare variante di un lat. volg. ex-quartiare
frezzejo voce verbale trans. (1ª p.sg. ind. pr. dell’infinito frezzïà) dardeggiare, lanciar frecce e/o altri proiettili;verbo denominale di un lat.med. freza/friza.
‘ncoccio voce verbale in trans. (1ª p.sg. ind. pr. dell’infinito ‘ncuccià) 1(in primis come nel caso che ci occupa)sorprendere, incontrare, cogliere sul fatto, imbattersi2(figuratamente)ostinarsi, insistere, impuntarsi; voce denominale di un lat. in→’n+coccia(= testa, cranio cioè guscio del cervello).
ricalà/recalà verbo intrans.inf. desistere dal tenere un comportamento , cessare, interrompere, troncare, rinunciare, lasciar perdere; verbo intensivo composto da ri + calare che è del lat. tardo calare, dal gr. chalân 'allentare
Satis est.
Raffaele Bracale
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