mercoledì 11 febbraio 2015

VARIE 15/144

1.ABBIARSE A CCURALLE. Letteralmente: avviarsi verso i coralli. Id est: Anticiparsi, muovere rapidamente e prima degli altri verso qualcosa. Segnatamente lo si dice delle donne violate ed incinte che devono affrettare le nozze. La locuzione nasce nell'ambito dei pescatori torresi (Torre del Greco -NA ), che al momento di mettersi in mare lasciavano che per primi partissero coloro che andavano alla pesca del corallo. 2.AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE. Letteralmente: Ò veduto la morte con gli occhi. Con questa locuzione tautologica si esprime chi voglia evidenziare di aver corso un serio pericolo o rischio mortale tale da portarlo ad un passo dalla morte e di esserne fortunatamente restato indenne. 3.VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA. Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi. 4.VE DICO 'NA BUSCÍA. Vi dico una bugia. È il modo sbrigativo e piuttosto ipocrita di liberarsi dall'incombenza di dare una risposta, quando non si voglia prender posizione in ordine al richiesto e allora si avverte l'interlocutore di non continuare a chiedere perché la risposta potrebbe essere una fandonia, una bugia... 5.FÀ 'O FRANCESE. Letteralmente: fare il francese, id est: mostrare, dare a vedere o - meglio - fingere di non comprendere, di non capire quanto vien detto, allo scoperto scopo di non dare risposte, specie trattandosi di impegnative richieste o ordini perentori. Èl'equivalente dell'italiano: fare l'indiano, espressione che, storicamente, a Napoli non si comprende, non avendo i napoletani avuto nulla a che spartire con gli indiani, sia d'India che d' America, mentre ànno subíto piú d’ una dominazione francese ed ànno avuto a che fare con gente d'oltralpe, con le quali malamente s’intendevano. 6.'O PESCE FÈTE DÂ CAPA. Letteralmente: Il pesce puzza dalla testa. Id est: il cattivo esempio viene dall'alto, gli errori maggiori vengon commessi dai capi. Per cui: ove necessario, se si vogliono raddrizzare le cose, bisogna cominciare a prender provvedimenti innanzi tutto contro i comandanti. 7.'O PURPO S' À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA. Letteralmente: il polpo va fatto cuocere con la sola acqua di cui è pieno, senza aggiunta d’altri liquidi che non siano i condimenti. La locuzione si usa quando si voglia commentare l'inutilità degli ammonimenti, dei consigli et similia, che non vengono accolti perché il loro destinatario, è di dura cervice e non intende collaborare a recepire moniti e o consigli che allora verranno da lui accolti quando il soggetto si sarà autoconvinto della opportunità di accoglierli. 8.ACQUA ANNANZE E VVIENTO ARRETO... Letteralmente: Acqua davanti e vento dietro. È il malevolo augurio con cui viene congedato una persona importuna e fastidiosa cui viene indirizzato l'augurio di essere attinto di faccia da un violento temporale e di spalle da un impetuoso vento che lo sospinga il piú lontano possibile, sotto un diluvio d’acqua. 9.ABBUFFÀ 'A GUALLERA. Letteralmente: gonfiare l'ernia. Id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno al punto di procurargli una metaforica enfiagione di un'ipotetica ernia. Si consideri però che in napoletano con il termine "guallera" si indica oltre che l'ernia anche il sacco scrotale, ed è ad esso che con ogni probabilità fa riferimento questa locuzione.La voce guallera s.vo f.le = ernia è dall’arabo wadara di pari significato. 10.QUANNO 'A FEMMENA VO’ FILÀ, LL'ABBASTA 'NU SPRUOCCOLO. Letteralmente: quando una donna vuol filare le basta uno stecco - non à bisogno di aspo o di fuso.Id est: la donna che vuole raggiungere uno scopo, una donna che voglia qualcosa, è pronta ad usare tutti i mezzi (quali che siano) pur di centrare l'obbiettivo; non si ferma cioè davanti a nulla... spruoccolo s.vo m.le1(in primis) stecco, pezzetto di legno o di ramo, bastoncello, zeppa 2(per traslato furbesco e salace, la voce nel parlato della città bassa vale )pene, membro maschile con riferimento semantico non soltanto alla forma dell’aggeggio ma anche rammentandosi di una tipica espressione partenopea che associa lo stecco ad un buco. etimologicamente spruoccolo è da un tardo lat. *(e)xperŏccolo→sp(e)roccolo→spruoccolo (da ex + pedunculu-m) con sincope, assimilazione regressiva nc→cc dittongazione della ŏ diventata tonica e roticizazione osco/mediterranea d→r. 11.TENÉ 'E GGHIORDE. Letteralmente: essere affetto da giarda, malattia che colpisce giunture ed estremità di taluni animali; le parti colpite si gonfiano impedendo una corretta andatura. La locuzione è usata nei confronti di chi appare pigro, indolente e scansafatiche quasi avesse difficoltà motorie causate da enfiagione delle gambe che appaiono come contratte ed attanagliate da nodi. In turco, con il termine jord si indica il tipico doppio nodo dei tappeti - da jord a gghiorde il passo è breve. 12.FARSE CHIOVERE 'NCUOLLO. Letteralmente: farsi piovere addosso, ossia lasciarsi cogliere impreparato a qualsivoglia bisogna, non prendere le opportune precauzioni e sopportarne le amare conseguenze. 13.FÀ 'O CALAVRESE. Fare il calabrese, ossia non mantenere la parola data, esser mendace, spergiuro e mancator di parola tal quale un qualsivoglia calabrese che, malfidente di costituzione, sospettoso e diffidente usa non tener fede a quanto promesso, giurato o addirittura pattuito nel timore che il contraente, piú furbo di lui possa nuocergli... e gli abbia fatto stendere un patto in suo (del calabrese) danno. 14.FARSE 'A PASSIATA D''O RRAÚ. Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancóra la TV non rompeva l'anima cercando di imporci diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che à bisogno di una lunghissima cottura, tanto che la sua preparazione cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata domenicale. 15.STÀ SEMPE 'NTRIDICE. Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo; ora poiché nella smorfia napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che viene fuori l'espressione con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti...che agiscvono da impenitenti candelabri. 16. AÍZA, CA VENONO ‘E GGUARDIE Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni. Oggi la locuzione è usata per convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge. 17. ARRICIETTE ‘E FIERRE E GHIAMMUNCENNO Ad litteram: raccogli i ferri del mestiere ed andiamo via. Locuzione usata a mo’ di perentorio comando dagli artieri e rivolta ai propri, meglio al proprio garzone affinché raccolti i ferri usati per svolgere il lavoro, li riponga in un contenitore da asporto e ci si possa allontanare dal luogo, ove si lavori o si sia lavorato, per far ritorno alla bottega. Il verbo arricettà, reso con l’italiano raccogliere deriva originariamente dal termine ricietto che significa tregua, pace e nella locuzione vorrebbe quasi intendere che ai ferri occorre dare,dopo una giornata di lavoro, finalmente tregua, non tenendoli piú sparsi a dritta e mancina, ma raccolti nel loro contenitore. Modernamente la locuzione è usata all’incirca con la stessa valenza della precedente quando si voglia sollecitare un importuno a lasciarci liberandoci della sua sgradita presenza. 18. A PPESIELLE PAVAMMO oppure NE PARLAMMO. Ad litteram: al tempo dei piselli pagheremo oppure ne parleremo. Locuzione con la quale si tenta di rimandare la soluzione dei debiti o dei problemi a tempi migliori. In tempi remoti la locuzione posta sulla bocca di un contadino voleva dire: pagherò i miei debiti al tempo della raccolta dei piselli, quando farò i primi guadagni della stagione; posta invece sulla bocca di un medico o peggio d’un becchino aveva l’aria di una minaccia vvolendo significare: al tempo dei piselli ti necessiterà la mia opera o perché cadrai in preda di coliche che l’ortaggio ti procurerà, o - peggio ancora - ne decederai! 19. AVUTÀ FUOGLIO Ad litteram: girare il foglio ovverossia: mutare argomento, cambiare discorso, soprattutto quando lo si faccia repentinamente acclarata la impossibilità di sostenere piú oltre proprie argomentazioni chiaramente prive di forza e vuote di corposo sostrato dialettico. 20.AVUTÀ ‘O SCIAVECHIELLO Ad litteram: girare il rastrello ovverossia: mutare posizione, girare le spalle, dar le terga ad argomenti o a stati, momenti sgraditi. La locuzione è mutuata dal comportamento dei pescatori di telline o altri piccoli molluschi che si raccolgono rastrellando la battigia umida, dove essi si annidano,con una sorta di rastrello munito di reticella che di solito viene faticosamente spinto in avanti per smuovere l’arena bagnata e trarne i molluschi. Allorché l’operazione diventa troppo faticosa i pescotori spostano il rastrello alle spalle ed invece di spingerlo, lo trascinano ottenendo, con minore fatica, ugualmente buoni risultati (si lavora di piú a spingere che a tirare o trascinare!). La voce sciavechiello= rastrello con rete è un s.vo diminutivo maschilizzazione del femm.le sciaveca = sciabica che è grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dint’ a ll’acqua id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia mai abbastanza remunerativo. Etimologicamente la parola sciaveca pervenuta nel toscano come sciabica è derivata al napoletano (attraverso lo spagnolo xabeca) dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga. Rammento al proposito che essendo lo sciavechiello (rete/rastrello) notevolmente piú piccolo della rete sciaveca, si è resa necessaria la maschilizzazione del nome (al di là del diminutivo) dovuta al fatto che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso, se maschile, piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. 21. ‘A MADONNA V’ACCUMPAGNA Ad litteram: La Madonna vi accompagni Locuzione augurale che si suole rivolgere a chi, dopo d’averci fatto visita, ci stia lasciando per fare ritorno al proprio domicilio , perché nell’affrontare la strada non incorra in pericoli inattesi, ma sia protetto nel suo andare dalla vigile compagnia della Vergine.Talvolta però quando la compagnia del visitatore sia stata noiosa ed importuna e la visita si sia protratta eccessivamente è facile che colui che congeda il visitatore all’accomiato augurale riportato in epigrafe aggiunga tra i denti un molto meno augurale: e ‘o diavulo ve porta (e il diavoli vi porti via). 22. ‘A MAL’ORA ‘E CHIAIA Ad litteram: la cattiva ora di Chiaia. Detto, ancóra oggi, quale caustica apposizione di ogni momento in cui si devono svolgere incombenze che non si possono delegare ad altri e che, obtorto collo, occorre portare a compimento. Storicamente la locuzione nacque a significare quel cattivo orario (tardo pomeridiano ) durante il quale le donne abitanti nei pressi della zona di Chiaia, si recavano insieme sulla vicina spiaggia ( in latino: plaga, da cui Chiaia) per sversare in mare il contenuto dei graveolenti vasi di comodo detti in napoletano canteri in cui le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici. 23. A MMORTE ‘E SÚBBETO Ad litteram: subitaneamente, repentinamente Locuzione avverbiale che viene usata soprattuto quando si voglia significare ad un proprio sottoposto che l’ordine ricevuto deve esser eseguito in maniera subitanea, repentina, senza por tempo in mezzo tra l’ordine e la sua esecuzione che deve avvenire con la stessa celerità con cui avviene una morte repentina. 24. APPUJÀ ‘A LIBBARDA Ad litteram: appoggiare l’alabarda id est: scroccare, profittare a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che viene tuttora usata quando si voglia commentare il violento atteggiamento di chi vuole scroccare qualcosa o, pi ú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis i soldati spagnoli erano usi aggirarsi all’ora dei pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate, l í poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti. 25. ‘A SOTTO P’’E CHIANCARELLE! Ad litteram: Di sotto, a causa dei panconcelli! o meglio Attenti, voi che state di sotto, ai panconcelli È l’avvertimento che usano gridare dall’alto ai passanti gli operai che provvedono alla demolizione di edifici, affinchè i passanti stiano attenti ad eventuali cadute di materiali; nella fattispecie stiano attenti alla caduta dei panconcelli, strette doghe , per solito, di stagionato legno di castagno che poggiate trasversalmente sulle travi portanti facevano da sostrato e sostegno ai solai delle abitazioni; l’improvviso cedimento di detti panconcelli avrebbe potuto comportare grossi danni. Oggi, per traslato, la locuzione viene usata quando si voglia avvertire che ci si trova davanti ad una situazione grave o foriera di pericolo, o quando ci si vuole dolere di non aver fatto a tempo ad avvertire gli altri dell’approssimarsi d’un danno e il danno stesso si sia già manifestato. 26. ALLERTA, ALLERTA Ad litteram: all’impiedi, all’impiedi id est: sbrigativamente e celermente; detto di cose portate a termine con grandissima rapidità, rinunciando ad ogni comodità - quale ad es. quella di sedere - pur di concludere l’intrapreso il pi ú presto possibile; va da sé che una cosa fatta allerta allerta può comportare il rischio che non venga fatta secondo i canoni previsti e dovuti, ma - al contrario - in modo rabberciato.La locuzione è usata spessissimo in riferimento ad un veloce, inatteso e disimpegnato rapporto sessuale che altrove è indicato con l'espressione: farse 'na basulella. (vedi qui di seguito). 27. FARSE ‘NA BASULELLA. Espressione intraducibile ad litteram con la quale si indica il portare a compimento un veloce, disimpegnato e forse inatteso rapporto sessuale, condotto a termine alla meno peggio, magari per istrada, all’impiedi o pi ú precisamente allerta allerta. 28. ARROSTERE ‘O CCASO CU ‘A CANNELA Ad litteram: arrostire il cacio con la candela piú consonamente affumicare il cacio con la candela id est: cercare di ottenere qualcosa con mezzi inadeguati come sarebbe tentare di ottenere l’affumicatura di un formaggio con l’ausilio di una candela; impresa impossibile stante la scarsità dei mezzi usati. 29. ASSECCÀ ‘O MARE CU ‘A CUCCIULELLA Ad litteram: prosciugare il mare servendosi della minuscola valva di una arsella Locuzione che, come la precedente significa: tentare un’impresa disperata, qui con l’aggravante di voler conseguire una cosa inutile oltreché impossibile: nessuno riuscirebbe, anche avendo a disposizione grandissimi mezzi, a vuotare il mare. 30. ACCATTARSE ‘O CCASO. Ad litteram: portarsi via il formaggio. Per la verità nell’idioma napoletano il verbo accattà significa innanzitutto: comprare, ma nella locuzione in epigrafe bisogna intenderlo nel suo significato etimologico di portar via dal latino: adcaptare iterativo di capere (prendere). La locuzione non à legame alcuno con il fatto di acquistare in salumeria o altrove del formaggio; essa si riferisce piuttosto al fatto che i topi che vengono attirati nelle trappole da un minuscolo pezzo di formaggio, messo come esca, talvolta riescono a portar via l’esca senza restar catturati; in tal caso si usa dire ca ‘o sorice s’è accattato ‘o ccaso ossia che il topo à subodorato il pericolo ed è riuscito a portar via il pezzetto di formaggio, evitando però di esser catturato. Per traslato, ogni volta che uno fiuti un pericolo incombente o una metaforica esca approntatagli, ma se ne riesce a liberare, si dice che s’è accattato ‘o ccaso. 31. AÍZA ‘NCUOLLO E VATTÉNNE Ad litteram: alza addosso e va’ via; id est: caricati indosso quanto di tua competenza ed allontanati. Robusto modo di invitare qualcuno, probabilmente perché importuno, ad allontanarsi avendo cura di portar via con sé quanto di sua spettanza, per modo che non abbia a scusante, per ritornare, il fatto di dover recuperare il suo. Anticamente era, sia pure limitatamente alla prima parte della locuzione l’ordine che si impartiva ai facchini, affinché principiassero sollecitamente la loro incombenza di trasportar merci o altro issandole sulle loro robuste spalle; oggi, limitatasi la locuzione ad un invito, sia pure perentorio ad allontanarsi che viene rivolto agli importuni, l’aiza ‘ncuollo della locuzione è pletorico e viene mantenuto per non guastare il sapore di antico di cui è pervasa l’espressione. 32. AVIMMO FATTO ASSAJE! Ad litteram: abbiamo fatto molto! Ironica locuzione, da intendersi in senso chiaramente antifrastico, che viene pronunciata come amaro commento da chi voglia far intendendere ad un suo ipotetico compagno di ventura di aver completamente mancato il comune centro prefissosi, e di non aver concluso nulla dell’intrapreso, anzi di essersi affaticati inutilmente in quanto il risultato del loro operato è stato completamente nullo e non si è ottenuto alcun risultato concreto, che se pure ci fosse, sarebbe cosí piccola cosa rispetto all’impegno profuso, da non esser tenuto in alcun conto. 33. A LA SANFRASÒN oppure SANFASÒN Ad litteram: alla carlona; detto di tutto ciò che venga fatto alla meno peggio, senza attenzione e misura, in modo sciatto e volutamente disattento, con superficialità e senza criterio.La voce avverbiale sanfrasòn/sanfasòn è, pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura); la morfologia a la sanfrasòn oppure sanfasòn è un’eccezione atteso che, secondo le norme del pretto napoletano [che rifugge da voci terminanti per consonante], ci si sarebbe atteso a la sanfrasònne oppure sanfasònne con raddoppiamento della consonante e paragoge di una semimuta (cfr. tramme←tram, autobbusse←autobus, gasse←gas, bbarre←bar). 34. AZZUPPARSE ‘O PPANE. Ad litteram: intinger per sé il pane id est: godere delle altrui difficoltà, compiacersene commentandole malevolmente con cattiveria ed acrimonia, al fine di peggiorare la situazione morale di chi si trovi in difficoltà, quasi intingendo metaforicamente un pezzo di pane nelle disgrazie del malcapitato, per assaporare fino in fondo il patimento di chi si trova a percorrere un duro cammino. Brak

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