mercoledì 18 febbraio 2015

VARIE 15/180

1.COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VVENE PE MMO. Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, Pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli e con il ricavato celebrare solennemente la pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí mai il ladruncolo. 2. COMME PAGAZZIO, ACCUSSÍ PITTAZZIO Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata da F.A.S. GRUE: Francesco Antonio Saverio (1686-†1746), figlio di Carlantonio, che preferí la pittura di figure, famosissimo artista appartenente alla famiglia Grue, famiglia di ceramisti di Castelli (Teramo). Il caposcuola fu Carlantonio (1655-†1723), figlio di Francesco Antonio, che seppe dare nuovi colori alle decorazioni delle sue ceramiche con storie sacre e profane derivate da modelli dell'arte bolognese e della scuola napoletana contemporanea. Francesco Antonio Saverio fu noto per i suoi vasi di maiolica, e come détto riportò la frase in epigrafe su di un’antica albarella détta di san Brunone. 3. CAPURÀ È MUORTO ‘ALIFANTE! Ad litteram: caporale, è morto l’elefante! Id est: è morto l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere laute mance,… non vantarti piú, torna con i piedi a terra!Piú genericamente, con la frase in epigrafe a Napoli si vuol significare che non è piú né tempo, né caso di gloriarsi e la locuzione viene rivolta contro chiunque, pur in mancanza di acclarati e cogenti motivi, continui a darsi delle arie o si attenda onori immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700, allorché il re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un elefante che fu affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia per il compito ricevuto al quale annetté grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone mance da tutti coloro che andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il pachiderma. Di lí a poco però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era possibile vederne la carcassa conservata nel museo archeologico della Università di Napoli ed il povero caporale vide venir meno con le mance anche le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva le viste di dimenticarsi di non essere piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che non era il caso di montare in superbia era solito gridargli la frase in epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti coloro che senza motivo si mostrino boriosi e supponenti. 4. CÀNTERO SPETENATO - CESSO A VVIENTO. Ad litteram: Pitale spatinato - cesso a vento. Coppia di icastiche contumelie che a mo’ di offesa vengon rivolte a tutti coloro che sono ritenuti esserI spregevoli al punto di venir paragonati alternativamente o ad un vecchio vaso di comodo vaso che per il lungo uso abbia perduto la sua lucente patina d’origine, o - peggio ancóra, paragonati a quei vespasiani che un tempo troneggiavano lungo le strade per dar modo, a chi ne avesse impellente bisogno, di liberarsi dei propri pesi fisiologici. Nell’un caso e nell’altro chi venga fatto segno anche d’una sola delle contumelie riportate in epigrafe, significa che è ritenuto un lercio contenitore degli esiti , soprattutto solidi, corporali. Per completezza preciso qui che il càntero dell’epigrafe non era specificatamente il piccolo pitale, (termine con cui è stato tradotto, non avendo l’italiano una parola piú adatta) che oggi conosciamo, ma era un alto e grosso vaso cilindrico di terracotta ricoperta nell’interno e all’esterno di una lucente patina, vaso dall’ampia e comoda bocca, provvisto lateralmente di due solidi manici necessarii per la prensione; sulla larga bocca ci si poteva tranquillamente sedere per liberarsi dei propri esiti. Esso vaso detto anche, sia pure riprendendo un'antichissima formulazione già riportata nei classici napoletani, all’indomani del 1860, icasticamente si’ peppe con chiaro riferimento al gen. Garibaldi, troneggiava in tutte le case ,ma anche nelle camere da letto dei sovrani settecenteschi, alcuni dei quali erano soliti ricevere cortigiani e/o ambasciatori e plenipotenziari, quasi per metterli in soggezione, mentre essi monarchi procedevano all’operazione fisiologica mattutina. Il cesso a viento, sebbene provenga dal tempo degli antichi romani,è invenzione ottocentesca; concepito alla maniera del cesso alla turca non aveva porte, ma solo minuscoli divisorii di ghisa che servivano a tener lontani sguardi indiscreti Mancando le porte o altri intralci ed essendo a vento cioè del tutto aperti - ne era consentita una rapida pulizia con pompe idrauliche . càntero = grosso vaso da notte, pitale da non confondere con ‘o rinale che è appunto l’orinale, vaso molto più piccolo del càntero o càntaro alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)! 5. COPPOLA Ê DENOCCHIE! Ad litteram: coppola alle ginocchia È questo il modo piú cogente per suggerire il saluto piú deferente possibile, consistente nel cavarsi di testa il berretto e portarlo con ampio gesto ossequioso all’altezza delle ginocchia, da rivolgere ad un’autorità o un uomo o donna da rispettare. Preciso qui che taluno erroneamente non lègge l’ ê della locuzione come contrazione di a + ‘e cioè alle, bensí la lègge - errando- come congiunzione E e stravolge il significato della locuzione facendola diventare in luogo del corretto coppola alle ginocchia, lo scorretto coppola e ginocchia, quasi che il saluto dovesse consistere in un cavarsi il berretto e piegare le ginocchia, cosa invero assurda, essendo il napoletano aduso ad inginocchiarsi solo innanzi ad oggetti di culto. 6. CURNUTO E MAZZIATO Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú icastica e cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse. curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta 1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni 2 (lett.) che à forma di corno o di corna. 3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge; quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno' mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastonr, randello; sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto) etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo; piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora etimologicamente da un lat. volg. *pĕcoru(m)→piecoro; nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci; murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola; voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva. Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la più cruda curnuto e scannato. 7. COMME ‘A VIDE ACCUSSÍ ‘A SCRIVE Ad litteram: come la vedi cosí l’annoti. Id est:(Della persona o cosa di cui stiamo trattando non v’è altro da annotare oltre il modo con cui si presenta).Originariamente la locuzione si riferiva alla promessa sposa di cui al momento di scrivere i capitoli del contratto di matrimonio, non si poteva annotare alcuna dote pecuniaria, ma solo l’avvenente illibatezza di cui era palesemente fornita; in seguito la locuzione passò a significare che di qualsiasi cosa si trattasse non bisognava andare oltre ciò che apparisse ad un primo esame. 8. CHI ‘NFRUCE, NUN LUCE Ad litteram: Chi accumula stipando(beni e/o danaro)non rifulge . Id est: L’avaro, a malgrado possieda molte ricchezze messe via raccogliendone in quantità, non risulta risplendente, smagliante, lucente, rilucente davanti al prossimo in quanto non riesce a godere appieno dei beni accumulati atteso che non ne usa o mette in mostra nel timore che l’esposizione induca i malintenzionati a sottrarglieli. ‘nfruce = accumula, stipa voce verbale 3ª p. sg. ind. pr. dell’infinito ‘nfrúcere =ammassare, stivare, assembrare [lettura metatetica ed aferizzata con ritrazione d’accento(tipica del lat. parlato e volgare) e cambio di coniugazione del lat. infulcíre→(i)nflúcire→’nflúcere→’nfrúcere]. luce = riluce,risplende voce verbale 3ª p. sg. ind. pr. dell’infinito lúcere che è dal lat. lucère con ritrazione d’accento(tipica del lat. parlato e volgare) 9. PISCIÀ ACQUA SANTA P''O VELLICULO. Letteralmente: orinare acqua santa dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa. 10. Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane. 11. ARRETÍRATE, PIRETO! Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua sede vi possa rientrare a comando... 12. A 'NU PARMO DÔ CULO MIO, FOTTE CHI PO’. Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si diverta chi puó. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi arrechiate danno! 13. DICETTE 'O MIEDECO 'E NOLA: CHESTA È 'A RICETTA E CA DDIO T''A MANNA BBONA... Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi. 14. FÀ 'NU QUATTO 'E MAGGIO. Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4, da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto. 15. S'À DDA ÒGNERE L'ASSO. Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua, bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti. 16. PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO. Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuo flatus ventris. 17. L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE. Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia. 18. CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE CA LL'ASSOLVE. Letteralmente: Chi à comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato cosí grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore. 19. QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê SEMMENZELLE? Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa. 20. 'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA. Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola. 21. SENZA ‘E FESSE NUN CAMPANO 'E DERITTE. Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare. 22. 'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA. Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto. 23. DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE. Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, sia pure metaforicamente, sulle orecchie per fargliele abbassare. 24. N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA... Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri per intero nella ipotetica pentola destinata all'uso della bollitura. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri per pensiero e/o azione, cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti della ipotetica pentola in cui dovrebbe esser bollito. 25. TANTE GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO. Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente? Parlano in tanti... come si vuole che giungano ad una conclusione pratica 26. SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE... Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non potrà avvenire, nè avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi. 27. MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA! Letteralmente: Madonna mia reggi l'acqua. Id est: fa’ che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti. 28.'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ A TTUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO. Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi. 29. 'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, là invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorrono. 'a culata è appunto il bucato (che è dal ted. bukon) ed è detto culata (deverbale di colare) per indicare il momento della colatura ossia del versamento dell'acqua bollente sui panni già lavati,ma necessarii di sbiancatura, sistemanti in un grosso capace contenitore; l'acqua bollente veniva fatta colare sui panni attraverso un telo sul quale , temporibus illis, era sistemata della cenere (ricca di per sé di soda, agente sbiancante(in sostituzione di chimici detergenti)), e dei pezzi di arbusti profumati(per conferire al bucato un buon odore di pulito)…; il telo proprio per il fatto di accogliere la cenere fu détto cennerale 30.'O GALANTOMMO APPEZZENTÚTO, ADDEVÈNTA 'NU CHIAVECO. Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui. Chiaveco s.vo ed a.vo m.le = sporco, lercio e per estensione cattivo soggetto, essere spregevole; è un adattamento al maschile del s.vo f.le chiaveca/chiavica= fogna, porcheria,sozzura che è dal tardo lat. clàvica per il classico cloaca normale il passaggio cl→chj→ chi come ad es. clarum→chiaro. Brak

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