sabato 21 febbraio 2015
VARIE 15/194
1.'A SOTTO P''E CCHIANCARELLE.
Letteralmente: :(Voi)Di sotto (attenti) ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le piú o meno sottili assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo di F. Solimena,che costruito nel 1738 su commissione del marchese di Poppano Nicola Moscati un palazzo [noto poi con il nome di ‘o palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente Tommaso Atienza, détto appunto lo spagnolo , per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di Spagna] nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali LEVÀTEVE 'A SOTTO (toglietevi di sotto! ).
Chiancarelle s.vo f.le diminutivo pl. di chiancarella =pancocello, asse di legno (dal lat. planca + il suff. diminutivo ella ed epentesi di una erre eufonica; normale il passaggio in napoletano del gruppo lat. pl a chi come ad es. plus→cchiú – plangere→chiagnere – plumbeum→chiummo).
Dal s.vo lat. planca (=asse di legno) deriva anche il nap. chianca =macelleria, rivendita al minuto di carni e ciò perché anticamentela carne veniva sezionata ed esposta al publico su di un’asse di legno.
2. A 'STU NUNNO SULO 'O CÀNTERO/CÀNTARO È NICESSARIO.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla buona riuscita dell'esistenza; la sola cosa che conta è nutrirsi bene e digerire meglio. In effetti con la parola càntero - oggetto destinato ad accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la buona salute indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che le parolecàntero/càntaro non à l'esatto corrispettivo in italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in italiano) destinato ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il càntero/càntaro era destinato ad accogliere quelli solidi.
càntaro o càntero s.vo m.le =alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntàru(m) a sua volta dal greco kàntàros; rammenterò ora di non confondere le voci a margine con un’altra voce partenopea
cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
3.SPARTERSE 'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Cosí a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota , divisero in piú parti la sola tunica di cui era ricoperto il Signore.
4.ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA.
Letteralmente: essere festevole in piazza e musone in casa, cioè aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire - specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto e simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
aúrio s.vo neutro a. atteggiamento cordiale,festevole, augurale, beneaugurante; voce derivata dal lat. au(gu)riu(m) 'presagio';
chiazza s.vo f.le = piazza, ampio spazio urbano contornato da edifici nel quale confluiscono piú strade; la voce napoletana è dal lat. platea(m) 'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s 'ampio, largo'; da platea(m)→platía→chiazza con normale passaggio di pl a chi (cfr. plus→cchiú –plumbeum→chiummo etc.) e raddoppiamento espressivo della z da tia→za→zza.
tribbulo s.vo neutro = tribolo, 1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.) pruno, rovo, sterpo; 2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare l'avanzata della cavalleria
3 (fig.) ed è il caso che i occupa tormento, preoccupazione, angustia.; voce che è dal lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino' con raddoppiamento espressivo della esplosiva labiale;
casa s.vo f.le = casa, abitazione,edificio a uno o piú piani, suddiviso in vani e adibito ad abitazione; l'appartamento in cui una famiglia dimora; voce che è dal lat. casa(m) propriamente casa rustica: quella padronale era la domus.
5.AVENNO, PUTENNO, PAVANNO.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando Strana locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
6.AMMÈSURATE 'A PALLA!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; renditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te delle tue azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
7. A -APPENNERE 'A GIACCHETTA.
B - APPENNERE 'O CAZONE.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone. Si tratta in fondo di due indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma quanto diverso tra loro il significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello sub A - fa riferimento alla giacca e sta a significare che si è smesso di lavorare e ci si è pensionati, rammentando che - normalmente - specie per lavori manuali l'uomo è solito liberarsi della giacca e lavorare in maniche di camicia; per cui disfarsi del tutto della giacca significa che non si è intenzionati a rimettersi al lavoro. Diverso e di significato piú grave la locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una vedova, tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del calzone lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
8. BBONA 'E DDIO!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci assista Dio. È l'augurio che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa affinché la si possa portare a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad litteram l'augurio “A la buena de Dios” che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar delle àncore.
9. SCUNTÀ A FFIERRE 'E PUTECA.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id est: saldare un debito conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di lavoro confacente al proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati nella propria bottega.
10.PARÉ 'O CARRO 'E BATTAGLINO.
Letteralmente: sembrare il carro di Battaglino. Id est: essere simile ad un famoso carro che veniva usato a Napoli per una processione votiva della sera del sabato santo, processione promossa dalla Cappella della SS. Concezione a Montecalvario. Detta Cappella era stata fondata nel 1616 dal nobile Pompeo Battaglino; sul carro che dal nobile prese il nome, era portata in processione l'immagine della Madonna accompagnata da un gran numero di musicio e cantori.In ricordo di detto carro, ogni mezzo di locomozione che sia stipato di vocianti viaggiatori si dice che sembra il carro di Battaglino.
11. FATTÉLLA CU CCHI È MMEGLIO 'E TE E FANCE 'E SPESE.
Letteralmente: Frequenta chi è miglior di te e sopportane le spese. Il proverbio compendia la massima comportamentale secondo la quale le amicizie vanno scelte nell'ambito di persone che siano migliori di se stessi, soprattutto dal punto di vista morale... e bisogna coltivare questo tipo di amicizia anche se esso tipo comporta il doverci rimettere economicamente parlando.
12.I' FACCIO PERTOSE E TTU GAVEGLIE.
Letteralmente: io faccio buchi e tu cavicchi; id est: io faccio buchi e tu sistematicamente li turi, ossia mi remi contro. La locuzione è usata anche profferendone la sola prima parte, lasciando sottointenderne la seconda quando si voglia redarguire qualcuno che si adoperi a distruggere o vanificare l'operato di un altro e lo faccia non per ottenerne vantaggio, ma per il solo gusto di porre il bastone tra le ruote altrui.
pertose = buchi; s.vo f.le pl. metafonetico del maschile pertuso (dal t. lat. *petrusu(m)); di pertuso esiste anche il normale pl. masch. pertusi/e ma viene usato per indicare i fori presenti sui capi di abbigliamento ( vestiti e/o scarpe) o segnatamente le narici: ‘e pertuse d’’o naso; invece con il pl. f.le pertose si indica qualsivoglia altro tipo di buco;
gaveglie= cavicchi, stecchi (di legno) s.vo f.le pl. di gaveglia (dal t. lat. *cavicla per il class. clavicula).
13. 'A MUSICA GIAPPUNESE.
La musica giapponese. Cosí i napoletani - abituati a ben altre armoniche melodie - sogliono definire quelle accozzaglie di suoni e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali, ma che con la musica ànno ben poco da spartire. Quando ancora esisteva la magnifica festa di Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano incontrare gruppetti di ragazzi che producevano una dissonante musica ( che fu détta: musica giapponese) servendosi di particolari strumenti musicali quali: scetavajasse, triccabballacche, zerrizzerre e putipú.
14.TE FACCIO SENTÍ MUNTEVERGINE CU TUTT''E CASTAGNE SPEZZATE.
Letteralmente: Ti faccio sentire Montevergine con accompagnamento delle castagne frante. Espressione minacciosa con la quale si promette una violenta reazione ad azioni ritenute lesive; è costruita sul ricordo della gita fuori porta fatta il lunedí dell' angelo allorché interi quartieri solevano recarsi al santuario di Montevergine su carrozze trainate da cavalli bardati a festa. Il ritorno verso la città avveniva in una sarabanda di suoni e di canti corali portati allo strepitío anche per i fumi dei vini consumati in gran copia; il vino era consumato per accompagnare il consumo di castagne secche ed infornate che erano vendute confezionate come grani di collane di spago che ogni cavallo si portava al collo come abbellimento.
15.FÀ SCENNERE 'NA COSA DÊ CCOGLIE 'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stante la augusta provenienza.
16.CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
17 -VUJE VEDITE Ô PATATERNO!
Ad litteram: Voi guardate(ponete attenzione) al Padre Eterno!(cosa mi à comminato!) Espressione/invito che contravvenendo il 2° comandamento viene spesso usata con un moto di delusione e/o rammarico quando non addirittura di rabbia, nell'osservare e/o prender coscienza di sgraditi accadimenti che ci colgano di sorpresa e che si pensa provengano dal Cielo e se ne provi molta meraviglia, mai pensando che il celeste Padre potesse o avesse potuto chiamarci a quelle difficili prove.Rammento che in napoletano, contrariamente a quanto fanno la maggior parte degli autori partenopei, che però sono a digiuno delle regole grammaticali dell’idioma partenopeo norme che sono diverse ed autonome rispetto a quelle della lingua nazionale, cui invece essi si ispirano, il complemento oggetto se animato è sempre introdotto da una A segnacaso che fondendosi per crasi con l’articolo determinativo del complemento determina, volta a volta, ô = a+’o, â= a + ‘a, ê = a + ‘e.
18.VULÉ FOTTERE E SBATTERE 'E MMANE o anche VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA.altrove ancóra VULÉ FOTTERE E VASÀ
Ad litteram: voler coire ed applaudire o anche voler mingire ed andare in carrozza o anche ancóra voler coire e baciare; espressioni usate alternativamente per indicare la sciocca idea di chi voglia conseguire nello stesso momento due risultati antitetici e perciò non conciliabili; nella prima espressione è sottintesa la posizione c.d. del missionario nella quale le mani sono impegnate a sostenere il corpo e dunque non possono applaudire; la variante rammenta uno dei frequenti motivi di litigio tra i passeggeri ed i vetturini da nolo, i quali - in ispecie durante le corse notturne dovevano a loro malgrado, arrestare spesso la vettura per permettere ai passeggeri che lo richiedevano di provvedere ai loro bisogni fisiologici: naturalmente la faccenda, ripetendosi spesso, comportava perdite di tempo sgradite ai vetturini, sempre alenanti a principiare nuove corse; nella terza espressione si prendono in esame due comportamenti inconciliabili quali il coito(ma orale) ed il bacio.
19.VULÉ PISCIÀ TUTTE DINT'Ô RINALE oppure VULÉ PISCIÀ TUTTO DINT'Ô RINALE
Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il muro. Nell’altra espressione si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può depositare tutto l’orina nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
piscià voce verbale (infinito) = orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià;
rinale s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale.
20. VULÉ VEDÉ MUORTO A QUACCUNO
Ad litteram: voler vedere morto qualcuno id est: odiare tanto qualcuno al segno di voler assistere alla di lui morte.
21 -VULÉ VENNERE ZIZZA 'E VACCA PE TARANTIELLO
Ad litteram:voler vendere mammella di mucca per insaccato di tonno
id est: tentare di imbrogliare qualcuno in maniera palese e spudorata, come chi tentasse di cedere in vendita la vile mammella vaccina per il piú pregiato e costoso insaccato di tonno detto tarantiello perché prodotto largamente nel circondario della città di Taranto.
22.VULESSE DDIO!
Ad litteram:lo volesse Iddio! È l’utinam latino. Id est: magari!, Piacesse al Cielo che accadesse!
23.VUTÀ CÀNTARE
Ad litteram:vuotare vasi di comodo. Détto di chi insiste continuamente e fastidiosamente a partecipare agli altri i propri guai, le proprie angosce,i propri malanni che nella locuzione vengono assimilati a putescenti grossi pitali sversati non in mare ma coram populo quasi ai piedi altrui. Càntere s.vo m.le plur. di càntaro o càntero alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea
cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
24.VUTTÀ 'E MMANE
Ad litteram: buttare le mani id est: sbrigarsi, attivarsi sollecitamente e procedere con uguale sollecitudine per portare a compimento celermente un lavoro, agitando all'uopo le mani in un finalizzato moto.
25.VUTTÀ FUOCO P''E RRECCHIE
Ad litteram: gettare fuoco per le orecchie Detto di chi per essere esageratamente nervoso ed arrabbiato si dimostri eccitato se non esagitato iperbolicamente emettendo per le orecchie l'ipotetico fuoco che cova dentro di sé.
26.VUTTARSE SOTT' Â BANNERA
Ad litteram:buttarsi sotto la bandiera Detto di chi, per vile opportunismo è solito schierarsi con il piú forte, mettendosi sotto la di lui bandiera, e ciò quando ancora ferve una mischia; peggiore il caso ricordato altrove dove lo schierarsi avviene a mischia conclusa, a risultato acquisito e si balzi allora sul carro del vincitore.
27.ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
28.ZITTO E MMOSCA!
Ad litteram:silenzio assoluto! Ordine perentorio rivolto genericamente intorno, affinché tutti tacciano completamente al segno che si possa udire il volo d'una mosca.
29.ZOMPA CHI PO’, DICETTE 'O RANAVUOTTOLO
Ad litteram: Salti chi puó, disse il ranocchio; gli altri si contentino del proprio stato ed accettino la loro condizione che, a causa dell'età o per sfavorevoli congiunturali condizioni, non permette loro di raggiunger traguardi allettanti o beate evasioni; questo è il senso della locuzione in epigrafe con la dispettosa espressione posta sulla bocca di un altrettanto dispettoso ranocchio che avendo ricevuto in sorte la possibilità di saltare, si prende giuoco di chi non può farlo.
30 -ZUCÀ A DDOJE ZIZZE
Ad litteram:succhiare da due mammelle Detto di chi, ingordo, avido, insaziabile quando non prevaricante, pretende di ottenere, non si sa come, doppi insperati vantaggi o di ricavare danaro, magari estorcendolo da piú fonti .
31 -ZÚCATE 'O FRANFELLICCO
Ad litteram: súcchiati il bastoncino di zucchero; detto a mo' di soddisfatto commento della gradevole situazione in cui si trovi qualcuno che per essergli occorsi tutti favorevoli accedimenti, non gli resti che beatamente goderli gustandosi golosamente il franfellicco: gustoso bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando.
Talvolta però la locuzione è usata in senso completamente opposto, quando si voglia significare a qualcuno: ti è andata male... ora non ti resta che succhiare il franfellicco, usato - in questa valenza - eufemisticamente in luogo di una intuibilissima parte anatomica maschile; in tale seconda valenza piú spesso si adopera l'espressione: zúcate 'o limone (súcchiati il limone ) con evidente riferimento al gusto acre dell'agrume che richiama la spiacevolezza della situazione andata male.
Zúcate voce verbale = súcchiati (2° p. sg. imperativo dell’infinito zucare/à = succhiare (zucare/à etimologicamente è un denominale di sucus attraverso un *sucare) da notare che l’accento ritratto sulla prima sillaba indica che si tratta di 2° p. sg.; la 2° p. pl. sarebbe stata zucàte.
Franfellicco s.vo m.le = bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando; in senso furbesco: membro maschile(etimologicamente voce marcata per adattamento sul francese fanfreluque).La voce a margine fu usata icasticamente nel senso di bene di cui profittare, in una canzoncina di anonimo, molto popolare e databile tra la fine del 1700 ed i principi del 1800( quando ne riferí, con divertito gusto, persino il Goethe(Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – †Weimar, 22 marzo 1832) che l’udí durante il suo viaggio in Italia; nella canzoncina, con riferimento all’invasione francese, si disse: Vi’ quant’è bbello Napule, pare ‘nu franfellicco; ognuno vène, allicca, arronza e se ne va!
32.ZUMPÀ ASTECHE E LLAVATORE
Ad litteram: saltare tra lastrici solai e lavatoi ; id est: andar su e giú perdendo tempo. Detto di chi, eterno perdigiorno, dedichi il suo tempo non ad impegni lavorativi o di studio, ma lo trascorra bighellonando senza una precisa meta, ascendendo i lastrici solai(asteche pl. di asteco dal greco ast(r)akon), posizionati in vetta alle abitazioni, o frequentando i lavatoi posti in basso, nei pressi dei cortili delle suddette abitazioni.
33 -ZUMPÀ 'A LL'ASTECO Â FENESTA
Ad litteram: saltare dal lastrico solaio alla finestra. Detto di chi manchi di ogni lineare coerenza e o tenga un comportamento continuamente oscitante ed indeciso o, piú spesso, tenga un modo di discorrere, non facilmente comprensibile atteso che non segua un filo logico e coerente, ma si avventuri in circonvoluzioni ardite ed indecifrabili.
34 -ZUMPÀ COMME A N'ARILLO
Ad litteram:saltare come un grillo; detto con, non sempre velata, invidia di chi pur essendo già avanti con gli anni goda di tanta buona salute che gli consente una ipercinecità tale da poterla paragonare a quella di un grillo insetto noto per il suo continuo saltellare.
35 -ZUMPÀ 'NCOPP' Ê CCANNUCCE
Ad litteram:saltare sulle cannucce id est: vivere pericolosamente e perciò in continuo timore, come chi lo faccia muovendosi e saltando su risibili, piccole e sottili canne con il pericolo continuo di sprofondare .
36 -N’HÊ ‘A MAGNARTÉNE FURNE ‘E PANE!
Iperbolica, ironica icastica espressione che tradotta ad litteram vale: “Devi mangiarne forni di pane!” Id est: Devi mangiare (ancóra) tantissimo pane... (prima di poter ritenere di esserti affermato, prima d’essere all’altezza della situazione, prima di poter esprimere un parere su di un argomento, prima di aver dimostrato di valere qualcosa e prima di poter aspirare ad una posizione di preminenza)! L’espressione viene usata, come si evince, ironicamente ed a mo’ di ammonimento rivolta a chi arrogantemente, pur essendo alle prime armi, presuma di bruciare le tappe ritenendosi e proponendosi come esperto o navigato nei piú svariati campi dello scibile, dell’azione o -piú in generale - del vivere quotidiano!
37.FARSE ‘NTERESSE
Locuzione intraducibile ad litteram che fotografa l’amara situazione di chi per conseguire una merce o altro quid sia costretto a sborsare una somma di danaro cosí eccedente il preventivato da essere costretto ad intaccare altre somme di danaro e perderne cosí un eventuale interesse che gli fruttavano tenendole ferme in banca.
38. FARSE PASSÀ ‘A FANTASIA
Locuzione intraducibile ad litteram in quanto di duplice valenza: una positiva ed una negativa, valenze che per esser comprese necessitano di un’ ampia spiegazione, non riducibile ai tre termini della locuzione che se intesa nella sua valenza positiva sta per: concedersi un gusto spirituale o, piú spesso, materiale, raggiungere finalmente e far proprio un oggetto del desiderio lungamente agognato e bramato; in senso negativo la locuzione è usata quando ci si convice che determinati gusti a lungo covati, purtroppo non possono essere soddisfatti o non possono esser fatti propri determinati oggetti a lungo bramati e ci si impone di farsi passar di testa l’idea di raggiungere quegli oggetti o soddisfare quei gusti.
39.FÀ SCENNERE ‘O PARAVISO ‘NTERRA
Ad litteram: far scendere il paradiso in terra Becera locuzione con la quale si significa il profferire bestemmie in maniera eccezionalmente violenta e prolungata chiamando quasi sulla terra con una sineddoche tutti gli... abitanti del paradiso.
40. FARSE CHIOVERE ‘NCUOLLO
Ad litteram: lasciarsi piovere addosso; id est:: lasciarsi cogliere impreparato in situazioni nelle quali non si sono prese adeguate preacauzioni e/o contromisure e che pertanto posson solo essere foriere di pessimi o anche deleterii risultati, come chi nell’imminenza d’un temporale, si avventuri per istrada senza nemmeno munirsi d’un semplice ombrello e vada perciò certamente incontro a quanto ricordato altrove, cioè vada incontro ad un bagno fuori programma .
Brak
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