domenica 1 febbraio 2015
VARIE 15/97
Ancóra una volta è stato il caro amico A. M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di spendere qualche parola per illustrare significato e portata delle due desuete espressioni partenopee e dei tre proverbi che qui di sèguito elenco:
1) Féscene, féscene..., fronne e chiaccune!
2) ‘Nu poco ne va truvanno...
3) Bellezza e ppazzaría vanno spisso ‘ncumpagnia.
4)‘O ciuccio nun cammina si nn’abbusca.
5)Chi nun fraveca e nun se mmarita nun ‘a cunosce ‘a vita!
Chiarisco in primis che anche questa volta si tratta di due locuzioni desuete e tre proverbi che mancano tra di loro di un qualsiasi nesso vuoi logico vuoi linguistico e non so proprio cosa abbia spinto l’amico ad accostarle nella richiesta fattami. Ma tant’è; ancóra una volta evito di indagare sul perché della richiesta e mi accingo a dar la spiegazione delle desuete espressioni partenopee e dei proverbi augurandomi d’essere esauriente e soddisfare l’amico A.M. ed interessare qualcun altro dei miei ventiquattro lettori. Bando alle ciance entriamo in argomento affrontando nell’ordine locuzioni e proverbi.
1) Féscene, féscene..., fronne e chiaccune!
Ad litteram: panierini, panierini..., foglie e pampini! Va da sé che presa alla lettera la locuzione non si comprende e va chiarita nel suo significato sotteso. Dico súbito perciò che è una locuzione ironica, quando non sarcastica usata a diliggio di quanti comincino male un impegno e lo portino a termine nel peggior dei modi in maniera raffazzonata, rabberciata, inesatta, irrazionale ed imprecisa ed addirittura infruttuosa non raggiungendo in alcun modo il risultato auspicato e/o lo scopo dell’impegno assunto. Il lavoro principiato male e condotto a termine peggio, preso in considerazione nella locuzione in esame è quello di vendemmiatori alle prime armi che avventati, sconsiderati, imprudenti, sventati, incauti, leggieri, improvvidi, pur armati degli strumenti atti alla bisogna e tra di questi i cestini di vimini a fondo aguzzo (féscene) per contenere le pigne d’uva vendemmiate, li riempiono di foglie(fronne) e di tralci, pampini(chiaccune) di vite . Ça va sans dire che estensivamente la locuzione s’attaglia sarcasticamente ad ogni altro tipo di lavoro principiato male e condotto a termine peggio.
fescene s.vo f.le pl. di fescena 1 cestella, paniere per la frutta e il pane, intessuto di vimini o giunchi a fondo aguzzo
2 museruola, protezione per impedire i movimenti al bestiame; voce dal lat. fiscina(m); dalla medesima voce in forma diminutiva fiscella(m) si ricavò la voce fuscella fiscella, panierino di giunchi per fare il formaggio;
chiaccune/i s.vo m.le pl.metafonetico di chiaccone = tralcio, pampino, sarmento d’uva; etimologicamente voce regionale (attestata anche nel D.E.I.) quale accrescitivo di chiacco ( che è una lettura metatetica di cacchio= germoglio infruttifero di un albero coltivato, e spec. della vite) derivato dal basso latino cap’lum sincope di capulum = corda, fune;dal medesimo cap’lum il napoletano trasse anche chiappo = cappio.
E passiamo alla seconda locuzione:
2)‘Nu poco ne va truvanno...
Ad litteram: Un po’ ne cerca... Va da sé che se ci si ferma ai sospensivi la locuzione non si comprende e va chiarita nel suo significato sotteso, atteso che il soggetto accreditato di cercar poco d’un non identificato quid non è persona che si contenti di poco, ma è ben altro soggetto aduso a serbare in seno le proprie emozioni, è aduso a non rispondere d’acchito, a non reagire súbito salvo poi ad esternare il proprio livore il proprio rancore verso persone o cose, appena gliene si offra il destro e gli basta il piú piccolo appiglio per dare sfogo al proprio malumore covato in seno.La locuzione si attaglia dunque ai rancorosi, a gli astiosi, ai livorosi che attendono sempre l’occasione propizia per dare libero sfogo al proprio risentimento e malanimo, persone alle quali non bisogna concedere la benché minima scusa.
3) Bellezza e ppazzaría vanno spisso ‘ncumpagnia.(Spesso la follia e la bellezza sono riscontrabili nel medesimo soggetto.)
4) ‘O ciuccio nun cammina si nn’abbusca. (L’asino cammina solo se percosso.)
5) Chi nun fraveca e nun se mmarita nun ‘a cunosce ‘a vita! (Chi non mette su casa o famiglia non conosce appieno la vita con le sue difficoltà.)
Si tratta di tre proverbi d’intendimento immediato, per cui non mi ci soffermo.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A.M. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
R. Bracale Brak
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