giovedì 30 luglio 2015
VARIE 15/678
1.SE FRUSCIA PINTAURO D’’E SFUGLIATELLE JUTE ACITO. variante: SE FRUSCIA PANTUSCO D’’E SFUGLIATELLE JUTE ACITO.
Ad litteram: Si vanta (a torto) Pintauro delle (sue) sfogliatelle (che invece risultano) inacidite; nella variante, il cognome Pintauro, ( che come chiarirò fu quello del piú famoso pasticciere napoletano principale produttore, se non ideatore, di sfogliatelle (fra i piú tipici e rinomati dolci partenopei) fu sostituito con il nome di fantasia Pantusco, per non incorrere con lsa prima espressione in epigrafe, nelle ire del sig. Pintauro che si vedeva messo in ridicolo e punto sul vivo in ciò ch’egli riteneva tra le sue migliori capacità: quella di sfornare ottime sfogliatelle che normalmente erano freschissime e gustose e non certo inacidite, come si tentava di far credere. Locuzione popolarissima usata a sapido, anzi sarcastico commento delle azioni di chi, supponente ed arrogante, si glori, vantandosi a sproposito del proprio operato che – lungi dall’esser commendevole – è in realtà di segno opposto. Nella stesura della locuzione, di origine popolare si prese a riferimento dapprima il dolciere Pasquale Pintauro, un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore carmelitane del convento partenopeo detto Croce di Lucca ad imitazione del dolce détto santarosa elaborato dalle consorelle dell’omonimo monastero in Furore.Il Pintauro titolare di un’osteria aveva una sua vecchia zia monaca nel convento della Croce di Lucca e tale vecchia zia monaca gli forní, in articulo mortis, la ricetta della sfogliatella che l’oste rielaborò riconvertendo la sua osteria in pasticceria facendo cosí le sue fortune commerciali fabbricando quel dolce diventato poi famosissimo. Successivamente, forse a causa delle rimostranze di P.Pintauro che vedeva coinvolto il suo nome in una locuzione negativa, si mutò il nome di Pintauro (personaggio reale ed esistente) in quello di un inventato di Pantusco che, d’altro canto, storicamente nulla aveva a che spartire (né poteva essendo persona inesistente) con la sfogliatella. E di quest’ultima tracciamo ora brevemente una storia. Comincerò col dire che, come è intuibile, ogni dolce à una sua storia. A volte faticosamente ricostruita, in qualche caso spudoratamente inventata. La storia della sfogliatella appartiene fortunatamente alla prima categoria. L’antenata sfogliatella, dolce tipicamente partenopeo nacque (sia pure con un nome diverso) come spesso accadde per tanti dolci napoletani in un monastero: quello di Santa Rosa, sulla costiera amalfitana, fra Furore e Conca dei Marini. In quel riservato luogo ci si dedicava tantissimo alla preghiera, allo studio ed al lavoro manuale; il poco tempo libero residuo, (non potendo le monache intrattener rapporti con il mondo esterno…) veniva speso in cucina, amministrata in un regime di stretta autarchia: le monache avevano il loro orto e la loro vigna, sí da ridurre al minimo i contatti con l’esterno, ed aumentare, con la preghiera, quelli con l’Eterno. Anche il pane le religiose se lo facevano da sole, cuocendolo nel forno ogni due settimane. Il menú servito a refettorio era ovviamente uguale per tutte; soltanto le monache piú anziane potevano godere di un vitto speciale, fatto di semplici, ma nutrienti minestrine. Avvenne cosí che un giorno di tanto tempo fa (siamo nel 1600) la suora addetta alla cucina si accorse che in un tegame era avanzata un po’ di semola cotta nel latte, preparata per una vecchia suora sdentata; buttarla sarebbe stato un sacrilegio. Fu cosí che, come ispirata dal Cielo , la suora cuciniera vi cacciò dentro un paio di uova, due o tre cucchiai di ricotta, un po’ di frutta secca tritata , dello zucchero e del liquore al limone. “Potrebbe essere un ripieno”, disse fra sé e sé. Ma da metter dentro a che cosa? La fantasia non le mancava e risolse súbito il problema: preparò con uova e farina due sfoglie di una sorta di pasta frolla sagomandole in forma di conchiglia vi aggiunse strutto e vino bianco, e vi sistemò nel mezzo il ripieno. Poi,sigillate con un po’ d’uovo battuto le due sfoglie per soddisfare il suo gusto estetico,lavorò alquanto con le mani unte di strutto la conchiglia ripiena dandole la definitiva forma di un cappuccio di monaca, ed infornò il tutto. A cottura ultimata, guarní il dolce con un cordone di crema pasticciera e delle amarene candite. La Madre Superiora, a cui per prima fu ammannito il dolce, sulle prime lo annusò , e súbito dopo (non si è Madri superiore indarno o per caso!...) fiutò l’affare: con quell’invenzione benedetta (e soprattutto saporita) si poteva far del bene sia ai contadini della zona, che alle casse del convento. La clausura non veniva messa in pericolo: il dolce poteva esser messo nella classica ruota, in uscita. Sempre che, sia chiaro, i villici ci avessero messo (in entrata), qualche moneta. Al dolce venne assegnato ovviamente , il nome della Santa a cui era dedicato il convento. Come tutti i doni di Dio, la santarosa non poteva restare confinata in un sol luogo, per la gioia di pochi. Occorse del tempo, ma poi il dolce divenne noto in tutto il napoletano; in effetti la santarosa impiegò circa centocinquant’anni per percorrere i sessanta chilometri tra Amalfi e Napoli. Qui vi arrivò ai primi del 1800, per merito dell’oste Pasquale Pintauro, nipote di una delle monache del convento della Croce di Lucca le cui monache avevano preso a produrre il dolce détto sfogliatella ad imitazione del dolce détto santarosa ideato dalle consorelle del monastero di Furore. I napoletani d’antan potrebbero opporre che Pintauro fu un pasticciere, e non un oste. Eppure al tempo di cui stiamo parlando, P.Pintauro era effettivamente un oste, con bottega in via Toledo, proprio di fronte alla strada di Santa Brigida. La bottega di P.Pintauro rimase un’osteria fino al 1818, anno in cui Pasquale entrò in possesso, probabilmente come grazioso dono della sua zia monaca che gliene parlò forse in articulo mortis. Fu cosí che Pintauro da oste divenne pasticciere, e la sua osteria si convertí in un laboratorio dolciario, dove si produssero con le sfogliatelle anche altri dolci d’invenzione dello stesso Pintauro: zeppole di san Giuseppe, code d’aragoste ,babà con l’uvetta e naturalmente tutti gli altri dolci della tradizione partenopea, nati quasi tutti nei monasteri femminili napoletani e/o della provincia o copiati da altri famosi dolcieri come nel caso del diplomatico e del ministeriale . Pintauro non si limitò a diffondere la santarosa: la modificò alquanto: mantenne la doppia sfoglia di pasta frolla arricchita, ma eliminò la crema pasticciera e l’amarena, e ne mutò leggermente la forma che non fu piú di conchiglia triangolare, ma quasi rotonda sia pure con una base diritta: era nata la sfogliatella; successivamente affiancò alla sfogliatella di pasta frolla una seconda varietà che presto diventò addirittura piú famosa della consorella,cioè la cosiddetta “riccia”,fatta di pasta sfoglia e necessaria d’una particolare lavorazione sulla quale non mi dilungo.Da allora nulla è cambiato e la sfogliatella riccia mantiene inalterata la sua forma triangolare, a conchiglia, vagamente rococò. Oggi la sfogliatella si può assaggiare in tutte la pasticcerie di Napoli, con gran soddisfazione. Se si cerca l’eccellenza però,accanto alla bottega dei F.lli Attanasio al vico Ferrovia (che sull’insegna e la carta intestata scrive Napule tre ccose tene ‘e bbello: ‘o mare, ‘o Vesuvio e ‘e sfugliatelle bisogna cercare la bottega di Pintauro che è ancòra là a Toledo: à cambiato gestione, ma non à cambiato il nome e neppure l’insegna, e tanto meno la qualità. Che resta quella di quasi duecento anni or sono e da allora si continua imperterriti a sfornare saporitissime e godibilissime sfogliatelle ricce o frolle, nonché in onore della tradizione (spesso però solo su richiesta) delle tronfie santarose che però son solo di pasta sfoglia.
se fruscia = si vanta, si pavoneggia, si gloria voce verbale (3° pers. sing. ind. presente) del riflessivo frusciarse da fruscià/frusciare che con etimo dal b.latino frustiare sta per fare in pezzi, sciupare, consumare; i significati estensivi di vantarsi, gloriarsi, pavoneggiarsi del riflessivo frusciarse sono da collegarsi con un po’ di fatica in quanto la strada da percorrere è impervia, al significato primo del riflessivo che è affaccendarsi in qlc., facendo mostra del proprio impegno. Pintauro: Come abbiamo visto si tratta dell’oste, poi pasticciere (sfogliatelle,santarose, zeppole di san Giuseppe, code di aragoste ed altri dolci) Pasquale Pintauro che ebbe dapprima osteria e poi pasticceria in un piccolo antichissimo locale sito in Napoli alla via Toledo; di tale oste/dolciere mancano precise note biografiche; la tradizione vuole che fosse il nipote d’una monaca di clausura, che – come ò détto – gli forní, in punto di morte, la ricetta della santarosa da cui l’oste ricavò la sfogliatella.
Pantusco inesistente personaggio il cui nome inventato dal popolino venne usato per sostituire l’originario Pintauro che s’era adontato sentondosi ingiustamente chiamato ironicamente in causa, con la prima locuzione in esame, come produttore di dolci non freschissimi.
sfugliatelle = sfogliatelle s.vo f.le pl. di sfugliatella piccolo, gustosissimo dolce napoletano fatto di pasta sfoglia (sfogliatella riccia) o frolla (sfogliatella frolla) avvolta su sé stessa e farcita con crema di semola, uova e ricotta, canditi e spezie varie; etimologicamente è un derivato di sfoglia→sfogliata→sfogliatella.
jute= andate voce verbale (part. pass. femm.plur.) dell’infinito jí= andare dal lat. ire.
acito= aceto s.vo m.le prodotto della fermentazione del vino o di altri liquidi alcolici, usato come condimento, nella conservazione di prodotti alimentari e in farmacia; (etimo dal lat. acitu(m)); l’espressione jí acito vale inacidire, andare a male ed è detto soprattutto dei cibi che, o perché confezionati con ingredienti non freschissimi o perché mal conservati o esposti ad improprî agenti atmosferici, perdono l’originario sapore e diventano acidi, rovinandosi tanto da non esser piú commestibili; in senso estensivo e traslato l’espressione può essere usata anche nei riguardi di situazioni interpersonali che, per svariati motivi, si logorano perdendo l’originaria freschezza fino a determinare la interruzione di quei rapporti logorati.
1 BIS JIRSENE A CASCETTA(TE NE VAIE A CASCETTA!)
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone e del cocchiere di carrozze padronali: il posto piú alto, ma anche il piú scomodo e il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
2 Â CASA D' 'O FERRARO, 'O SPITO 'E LIGNAMMO...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali (per la loro supposta, vantata professionalità) ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
3 PIGLIATÉLLA BBELLA E CÓCCATE PE TTERRA.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie comporta danno e sofferenze.
4 ABBACCÀ CU CHI VENCE.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
Abbaccà= andar con [dal lat. volg. ad+vadicare→avvad(i)care→avvaccare→abbaccare]
5 QUANNO 'A CUNNIMMA È PPOCA, SE NE VA P' 'A TIELLA.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
6 A LLU FRIJERE SIENTE 'ADDORE, A LLU CAGNO,SIENTE 'O CHIANTO.
Letteralmente: al momento di friggere sentirai l'odore, al momento del cambio, piangerai. Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete un pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per le rime dicendo che il truffaldino pescivendolo al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata sarcasticamente nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non intende di esser stato ripagato d’una medesima moneta...
7 VOCA FORA CA 'O MARE È MARETTA...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere
8- METTERE LL'UOGLIO 'A COPP' Ô PERETTO.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
9 QUANNO JESCE 'A STRAZZIONA, OGNE FFESSO È PRUFESSORE...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
10 'A MONECA 'E CHIANURA:MUSCIO NUN 'O VULEVA MA TUOSTO LE FACEVA PAURA...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane.) La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...
11 HÊ VIPPETO VINO A UNA RECCHIA.
Ài bevuto vino a una orecchia - cioè vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che faccia reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi abbia agito incongruamente, come dopo di aver bevuto del vino scadente.
12 PURTA'E FIERRE A SSANT' ALOJA.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali...
13 'O PATATERNO 'NZERRA 'NA PORTA E ARAPE 'NU PURTONE.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un potoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
14 NUN TENÉ PILE 'NFACCIA E SFOTTERE 'O BARBIERE
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che, mancando degli elementi essenziali per far alcunchè, ci si erga ad ipercritico e spaccone.
15 È GGHIUTO 'O CASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
È finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo: il formaggio deve guarnire dal di sopra il piatto di pasta, non far da strame ai maccheroni!
16 À FATTO MARENNA A SSARACHIELLE.
À fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
17'O CANE MOZZECA Ô STRACCIATO.
Il cane assale chi veste dimesso - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
18 TRE SONGO 'E PUTIENTE:'O PAPA, 'O RRE E CCHI NUN TÈNE NIENTE...
Tre sono i potenti della terra:il papa, il re e chi non possiede nulla: Il papa è il capo indiscusso della comunità ecclesiale e quando parla ex cathedra è addirittura infallibile;il re è il capo indiscusso della comunità nazionale che gli presta onore ed ubbidienza; chi manca di tutto non à timore né d’esser richiesto d’alcunché, né d’essere defraudato di ciò che non à!
19 Ė GGHIUTA ‘A FESSA 'MMANO Ê CRIATURE, 'A CARTA 'E MUSICA 'MMANO Ê BARBIERE, 'A LANTERNA 'MMANO Ê CECATE...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
20 S' A' DDA JÍ ADD' 'O PATUTO, NO ADD' 'O MIEDECO.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi à patito una malattia, non dal medico - Cioè:la pratica val piú della grammatica.
21 AÚRIO SENZA CANISTO, FA' VEDÉ CA NUN L'HÊ VISTO.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre sempre accompagnare i fatti.
22 Ô PIRCHIO PARE CA 'O CULO LL'ARROBBA 'A PETTULA...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
23 CHI FATICA 'NA SARÀCA, CHI NUN FATICA, 'NA SARÀCA E MMEZA.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
24 'A MAMMA D''E FESSE È SEMPE PRENA.
LA mamma degli sciocchi è sempre incinta - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
25 DICETTE 'O PAPPICE VICINO Â NOCE: DAMME 'O TIEMPO CA TE SPERTOSO!
L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince!
26 A GHIENNERE E NNEPUTE, CHELLO CA FAJE È TUTTO PERDUTO.
A generi e nipoti quel che fai, è tutto perso - Cioè:stante la generale diffusissima irriconoscenza umana, va perduto anche il bene fatto ai parenti prossimi
27 Ô FIGLIO MUTO, 'A MAMMA 'O 'NTENNE.
Il figlio muto è compreso dalla madre - Lo si dice di due persone che abbiano un'intesa perfetta.
28 SAN LUCA NCE S'È SPASSATO...
San Luca ci si è divertito...- Lo si dice di una donna cosí bella che sembra dipinta dal pennello di San Luca, che la tradizione vuole pittore. Ma anche in senso antifrastico quando ci si imbatte in una donna decisamente brutta.
29 QUANNO SIENTE 'O LLATINO D' 'E FESSE, STA VENENNO 'A FINE D' 'O MUNNO...
Quando senti i fessi parlare in latino, s'approssima la fine del mondo. Cioè: quando gli sciocchi prendono il comando a parole e con i fatti, si preparono tempi grami.
Brak
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