martedì 15 settembre 2015

VARIE 15/638

1.SPOSA MARISSO E SSE PIGLIA A MMARESSA... POVERE ‘E FIGLIE CA VENENO APPRIESSO! Ad litteram: Sposa un misero ed impalma una sventurata...sciagurati i figli che ne discenderanno. Id est: dall’unione di due negatività non possono che derivare risultati sfavorevoli ed addirittura peggiori. La locuzione è formata servendosi due interiezioni elevate semanticamente a nomi propri di persona; in effetti marisso è un’interiezione che risultando essere l’agglutinazione dell’agg.vo (a)mar(o) con il pronome isso,di per sé vale povero lui, misero lui! come maressa è un’interiezione che risulta essere l’agglutinazione dell’agg.vo (a)mar(a) con il pronome essa, e di per sé vale povera lei, misera lei, ma nella locuzione sono icasticamente elevati a nome proprio di persona l’uno e l’altro emblemi di privazione, ristrettezza, stento. 2. ‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE Letteralmente donna Pereta fuori (affacciata) al balcone; ci troviamo dinnanzi ad una locuzione usata con divertente immagine per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di persona) è il femminile ricostruito[per indicare un peto piú duraturo e piú rumoroso] di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia, manifestazione viscerale rumorosa rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella donna becera, sguaiata, volgare e sfrontata è detta, volta volta:locena che nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed il successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena; lumera = esattamente lume a gas e lume a ggiorno =lume a petrolio atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una pereta. A margine ed aggiunta alla espressione in esame fin qui trattata, ne rammento altre tre che articolate sui termini loffe e pérete fanno parte del patrimonio popolare nell’icastico linguaggio partenopeo. E sono: 1) ‘E LLOFFE D’ ‘E MMONACHE ADDORANO ‘E ‘NCIENZO! 2) ‘E PPÉRETE D’ ‘A SIÉ ROSA SO’ TUTTE SCERUPPATE! 3) ‘E PPÉRETE D’ ‘A SIÉ BADESSA SO’ TUTTE LIMUNGELLE FRESCHE! Mi pèrito di darne la traduzione letterale chiarendo súbito che si tratta solo di un esercizio letterale atteso che le espressioni non vanno lètte ad litteram, ma nei sensi figurati che chiarirò. Ecco le traduzioni: 1) Le scorregge delle monache odorano d’incenso! 2) I péti della signora Rosa sono tutti sciroppati! 3) I péti della signora Badessa son tutti limoncini freschi! E passiamo ai significati figurati che son quelli con cui vanno intese le espressioni in esame: 1)La locuzione ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo che è da intendersi come “le mancanze, anche gravi, delle persone consacrate vanno in ogni caso perdonate” è usata ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che, subíto un danno fisico o morale o un’offesa da soggetti consacrati, vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono cristianamente offrire l’altra guancia atteso che le offese o mancanze delle persone consacrate iperbolicamente odorano d’incenso, cioè di solito non son dovute a cattiveria ma a mero errore. 2)La locuzione ‘E ppérete d’ ‘a sié Rosa so’ tutte sceruppate!” è usata ironicamente in riferimento ai comportamenti vanaglioriosi dei vanitosi, superbi, immodesti, boriosi che pur tenendo atteggiamenti non consoni, irriguardosi o immodesti fan le viste opposte al segno di voler fare apparire dolci, graditi, gradevoli, piacevoli, soavi manifestazioni che al contrario son palesemente brutte, sgradevoli, spiacevoli quando non addirittura disgustose come sono i peti. 3) Ed infine la locuzione”‘E ppérete d’ ‘a sié Badessa so’ tutte limungelle fresche!” analoga a quella sub 1) ‘E lloffe d’ ‘e monache addorano ‘e ‘ncienzo è da intendersi come “le mancanze delle persone importanti e/o dei capi vanno in ogni caso accettate come ineludibili quali fatti cui non ci si possa opporre ”. La locuzione è usata perciò ad ammonimento ed avvertenza di quelle persone che subíto un danno fisico o morale dai superiori o siano da loro vessati da soggetti consacrati vorrebbero reagire vendicandosi ed invece devono obtorto collo sopportare in silenzio atteso che è del tutto inutile contrastare avversare, osteggiare, contrariare, contestare, contraddire i capi o i superiori destinati in ogni caso ad aver la meglio sui sottoposti che devono rassegnarsi alla figurata iperbole che i peti dei superiori odorino di limoncini freschi! A margine di tutto faccio notare che nella locuzione sub 1 si fa riferimento a loffe laddove in quella sub 3 si parla di pérete e ciò accade perché, con ogni probabilità, nella coniazione delle due locuzioni si è intesi essere piú duri in quella sub 1 atteso che si parla di loffe che, come ò precisato, sono molto piú tremende delle pérete Alcune notazioni linguistiche. Di loffa e péreta ò già détto antea. addorano voce verbale (3ª pers. pl. ind. pr.) dell’infinito addurà = odorare, profumare, olezzare; etimologicamente addurà è un denominale del tardo lat. *adore(m) per il cl. odore(m); la a intesa come un residuo di ad favorí il raddoppiamento espressivo della occlusiva dentale sonora (d) per cui *adore(m) fu*addore(m) donde addurà. ‘ncienzo s.vo neutro = incenso: gommoresina che si ottiene praticando profonde incisioni nel tronco di varie specie di piante originarie dell'India, Arabia e Somalia, e che, bruciata, emana un intenso aroma; fin dall'antichità è stata usata durante le cerimonie religiose. 2 (estens.) il fumo e l'odore di quella gommaresina. etimologicamente è voce aferizzata dal lat. tardo, eccl. incĕnsu(m), propr. part. pass. neutro sost. di incendere 'accendere, infiammare'; da incĕnsu(m)→(i)ncĕnsu(m)→’ncienzo con il consueto passaggio ns→nz e dittongazione della ĕ. sceruppato = sciroppato voce verbale (part.pass.m.le agg.to)dell’infinito sceruppà = (come nel caso che ci occupa)sciroppare,conservare la frutta nello sciroppo: sciroppare le pesche | sciropparsi qualcuno, qualcosa, (fig.) sopportarli, sorbirseli pazientemente; etimologicamente il verbo sceruppà è un denominale di sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce; a margine di questa voce rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse. Ed ora, quasi al termine mi piace illustrare un’ icastica frase in uso a Napoli forgiata col verbo sceruppà; essa recita sceruppà ‘nu strunzo e vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e la cosa vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso, pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate ed invece in realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con iattanza, boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è. Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia impossibile da farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale! sié è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-gneuse→sié(gneuse)→sié. badessa e cioè: superiora in un monastero femminile: madre badessa, ma ironicamente anche donna autoritaria, che si dia arie di superiorità; etimologicamente il termine badessa è una forma aferetica per (a)-badessa che viene dal latino abbatissa voce femminilizzata di abbas/abbate(m) che trae dal caldeo e siriaco âbâ o âbbâ= padre. 3.PIGLIÀ VAVIA E METTERSE 'NGUARNASCIONA. Letteralmente: prender bava (cioè boriarsi) e porsi in guarnacca. Id est: assumere aria e contegno da arrogante; lo si dice soprattutto di coloro che, saccenti e supponenti, essendo assurti per mera sorte o casualità a piccoli posti di preminenza, si atteggiano ad altezzosi ed onniscienti,cercando di imporre agli altri (sottoposti e/o conoscenti) il loro modo di veder le cose, se non la vita, laddove in realtà poggiano la loro albagía sul nulla.Tale vacuo atteggiamento è spesso proprio di coloro che soffrono di gravi complessi di inferiorità e che nella loro vita familiare non son tenuti in nessun cale ed in alcuna considerazione (cosa che fa aumentare nel loro animo esacerbato un senso di astio nei confronti dell’umanità tutta, di talché – appena ne ànno il destro - sfogano astio e malumore sui poveri sottoposti e/o conoscenti che però, ovviamente, si guardano bene dall’accettare o addirittura dal considerare ciò che i boriosi saccenti tentano di esporre o imporre. bòria s. f. astratto = atteggiamento di superiorità, di ostentazione della propria posizione o dei propri meriti veri o piú spesso presunti, ma millantati; altezzosità; l’etimo è forse dal lat. borea(m) 'vento di tramontana', da cui 'aria (d'importanza)', ma un’altra scuola di pensiero pensa, probabilmente piú giustamente, ad un forma aggettivale (vapòrea) da un iniziale vapor=vapore;benché sia difficile decidere a quale idea aderire.., molto mi stuzzica l’idea del vapore secondo il percorso vapòrea→(va)pòrea→pòria→bòria; albagía s. f. astratto = boria, presunzione, alterigia. l’etimo è molto controverso; a parte il solito pilatesco etimo incerto (che mi dà l’orticaria...) qualcuno propone una derivazione da alba nel senso di vento dell’alba; qualche altro (ed a mio avviso forse piú esattamente) vi vede un denominale del lat. albasius sorta di abito bianco indossato dalle persone altezzose: albàsius avrebbe dato albàsia e poi albasía→albagía adottando il suffisso tonico greco ía proprio delle voci astratte e dismettendo il corrispondente suff. latino atono ia; vàvia s. f. astratto = boria, presunzione, alterigia, superbia, arroganza, tracotanza, prosopopea, spocchia; sufficienza, sussiego; la voce a margine(di pertinenza quasi esclusivamente maschile, ma talvolta anche femminile) è un derivato di vava (bava)= liquido viscoso che cola dalla bocca di taluni animali, spec. se idrofobi, o anche da quella di bambini, vecchi, o di persone che si trovino in un'anormale condizione fisica o psichica come càpita in chi viva uno stato continuo di superbia tracotante; etimologicamente la voce a margine si è formata partendo da *baba, voce onom. del linguaggio infantile voce che in napoletano, con consueta alternanza b/v (cfr. bocca→vocca – barca →varca etc.), diventa vava ed aggiungendovi il suffisso atono latino delle voci astratte ia ottenendo vàvia; si fosse adottato il suff. greco tonico si sarebbe ottenuto vavía; guarnasciona s.vo f.le=guarnaccia, elegante sopravveste medievale ampia e lunga,bordata di pelliccia portata soprattutto dagli uomini di riguardo; in realtà la voce a margine è un accrescitivo (cfr. il suff. one) formato partendo da un originario ant. provenz. guarnacha (da leggere guarnascia donde l’accrescitivo guarnasciona; guarnacha fu modellata sul lat. gaunaca(m) 'mantello di pelliccia',. 4. STA SCHIARANNO JUORNO ÂFRAVOLA Ad litteram: Sta facendo giorno ad Afragola. Id est: Ma non ti accorgi che è tardi, che sta sorgendo il sole ad Afragola? Icastica, ironica locuzione usata per canzonare, motteggiare o schernire chi ponga mano a fare qualcosa quando sia irrimediabilmente tardi e sia quasi fuori tempo massimo per decidersi ad agire. Ma perché riferirsi proprio Afragola e non ad altri comuni campani?La ragione sta nel fatto che la cittadina di Afragola è situata ad una latitudine alquanto diversa da quella di Napoli ed il sole vi sorge assai piú tardi di Napoli, essendo posta piú ad occidente rispetto al capoluogo. 5. MARE A CCHI À DDA AVÉ E VVIATO A CCHI À DDA DÀ! D’acchito quanto affermato nella locuzione appare contrario ad ogni logica corrente, giacché – nell’inteso comune – si ritiene che sia beato un creditore [cioè colui che deve avere] piuttosto che il debitore [colui che deve restituire ]. In realtà – a ben considerare, cosí come accade nella visione partenopea dell’esistenza - le cose stanno (e giustamente!) nel modo diametralmente opposto. Spieghiamoci: la locuzione recita: Male (compete) a colui che deve ricevere, (mentre è) beato colui che deve dare (qualcosa)! Id est: il creditore sta messo peggio del debitore; in effetti il debitore sta godendo d’un bene ricevuto ed anche se è oberato dall’obbligo di doverlo restituire o conferirne il corrispettivo à dalla sua il fatto di non doverlo fare súbito e/o in tempi rapidi e – quand’anche ciò fósse - à dalla sua l’augurio di buona salute che gli riserva il creditore preoccupato, in caso di infausto esito della vita del debitore, di veder volatilizzato con lui il suo credito;al contrario il meschino creditore che à elargito qualcosa sta nella condizione sfavorevole attendendo una restituzione o un pagamento che non sa se e quando avverranno; nelle more per certo gli saranno indirizzate le maledizioni del debitore che augurandosi un decesso del creditore, ritiene di liberarsi, con esso, del proprio debito per cui giustamente Mare a cchi à dda avé e vviato a cchi à dda dà!(Male (compete) a colui che deve ricevere, (mentre è) beato colui che deve dare (qualcosa))! mare forma rotacizzata osco-mediterranea di male s.vo m.le [ dal lat. malum «male fisico o morale», rifatto secondo male avverbio] In senso ampio, il contrario del bene, tutto ciò che arreca danno turbando comunque la moralità o il benessere fisico ed è perciò temuto, evitato, oggetto di riprovazione, di condanna o di pietà, ecc. viato agg.vo m.le e s.vo m.le [dal lat. beatus, propr. part. pass. di beare].1 in primis benedetto, eletto. 2. ( per estensione) contento, felice, gioioso, lieto. estasiato,appagato, sereno, soddisfatto, spensierato, tranquillo. 6.JÍ CERCANNO OVA 'E LUPO E PIETTENE 'E QUINNICE. Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose inesistenti ed introvabili quali le uova di lupo (che essendo un mammifero non genera uova) o come i pettini dei cardalana, attrezzi che non contavano mai piú di tredici denti. 7.CHI TÈNE MALI CCEREVELLE, TÈNE BBONI CCOSCE... Chi à cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o a gli sbagli conseguenti del proprio cattivo intendere. 8.METTERE 'O PPEPE 'NCULO Â ZÒCCOLA. Letteralmente:introdurre pepe nel deretano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora si navigava, capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci solcassero i mari grossi topi, che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie, poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando cosí il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa, gode ad attizzare il fuoco della discussione... 9.PURE 'E PULICE TENONO 'A TOSSE... Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere. 10.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE. Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi. 11.JAMMO, CA MO S'AIZA! Muoviamoci ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per un avviso generico sull'imminenza di una qualsiasi attività. 12.CHELLO È BBELLO 'O PRUTUSINO, VA 'A GATTA E NCE PISCIA ‘NCOPPA... Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente... La prima parte della locuzione è da intendersi chiaramente in senso antifrastico ed ironico. 13.QUANNO VIDE 'O FFUOCO Â CASA 'E LL'ATE, CURRE CU LL'ACQUA Â CASA TOJA... Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura. 14.GIORGIO SE NE VO’ JÍ E 'O VESCOVO N' 'O VO’ CACCIÀ. Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno à il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico... 15.FA MMIRIA Ô TRE 'E BBASTONE. Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio. 16.SI 'A FATICA FOSSE BBONA, 'A FACESSERO 'E PRIEVETE. Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente. Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro. 17. AVIMMO CASSATO N' ATU RIGO 'A SOTT' Ô SUNETTO. Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni di per sè non abbondanti... 18. HÊ VIPPETO VINO A UNA RECCHIA. Ài bevuto vino a una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che fa reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi à agito dopo di aver bevuto vino scadente. 19.PURTA'E FIERRE A SANT' ALOJA. Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono piú permettersi divagazioni sessuali... 20.LASSA CA VA A FFUNNO ‘O BBASTIMENTO, BBASTA CA MORENO ‘E ZZOCOLE ! Ad litteram : Lascia pure che la nave affondi, purché si sterminino i ratti. Espressione usata in riferimento a chi non si faccia scrupoli di sorta pur di raggiungere lo scopo che si è prefisso. Brak Raffaele Bracale

Nessun commento:

Posta un commento