giovedì 24 settembre 2015
VARIE 15/680
1 -CÚNTATE SEMPE ‘E SORDE, PURE QUANNO ‘E TTRUOVE.
Conta sempre il danaro, anche quando lo dovessi trovare
Id est: l’attenzione e la precisione son sempre opportune anche quando parrebbero non necessitare.
2 -CU ‘NU SÍ TE ‘MPICCE E CU ‘NU NO TE SPICCE.
Dicendo di sí puoi impicciarti, dicendo di no ti liberi.
Id est: Spesso dicendo di sí a qualcuno anche una sola volta ci si può trovar coinvolti in faccende da cui riesce poi difficile liberarsi, mentre dicendo di no non si corre simile pericolo e si resta liberi di futuri o fastidiosi coinvolgimenti.
3 - CUNZIGLIO ‘E VORPE, RAMMAGGIO ‘E GALLINE
Consiglio di volpi, danno di galline.
Id est: quando si riuniscono in consiglio i furbi, ne deriverà certamente un danno agli sciocchi; la cosa vale pure per i sottoposti quando a riunirsi sono i superiori .
rammaggio= danno s.vo m.le dal latino parlato damnajjum a sua volta derivante da damnum con il suffisso ajjo→aggio di carattere rustico di contro al classico aeus→eo come avvenuto anche per scarafaggio - scarabeo.
4 - CU ‘O CAVALLO ‘O SPRONE, CU ‘A MUGLIERA ‘O BASTONE.
Con il cavallo (occorre) lo sperone, con la moglie il bastone
Id est: sia con la bestia che con la moglie, per ottenere qualcosa, occorre usare le maniere forti.
5 - CU ‘O FURASTIERO ‘A FRUSTA E CU ‘O PAISANO ARRUSTO
Con lo straniero (occorre) la frusta, con il prossimo stanziale (occorre) l’arrosto
Id est: Bisogna esser prevenuti e scettici in ispecie con gli stranieri, mentre al contrario occorrono liberalità ed amicizia con i compaesani.
6 -CUORPO SAZZIO NUN DESIDERA NIENTE.
Chi à tutto non desidera niente
Avendolo già ottenuto; per converso:
7 - CUORPO DESIDERUSO NUN SE SAZZIA MAJE.
Corpo aduso a desiderare sempre non si sazierà mai.
Chi desidera sempre qualcosa, anche se l’ottiene non ne resta soddisfatto ed avidamente ed ingordamente vuole altro ancóra.
8 - CURONA LÒNGA, CUSCIENZIA SPORCA.
Corona lunga, coscienza sporca
Id est: chi prega molto ed a lungo à molti peccati da farsi perdonare.
9 -CUSCIENZIA E DDENARE VA SAPENNO CHI ‘E TTÈNE.
Coscienza e danaro non si sa bene chi ne abbia
è quasi impossibile venire a sapere le reali disponibilità morali e finanziarie di una persona; in genere infatti si è restii a far conoscere la propria buona situazione economica, ma anche la propria buona disposizione d’animo a far del bene.E ciò per non essere importunati con richieste di aiuti materiali o morali.Per ciò che riguarda la coscienza il proverbio poi ammonisce a non dar credito alle apparenze; chi è veramente e non apparentemente buono deve mostrarlo con le opere, non con le chiacchiere!
10 - ADD’ ‘AMICE E ADD’’E PARIENTE NUN CE ACCATTÀ E NUN CE VENNERE NIENTE
I peggiori affari si concludono con gli amici ed i parenti dai quali è consigliabile non acquistar nulla, ed ai quali è sconsigliato vendere alcunché.
11. SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI CòGLIE.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. È la locuzione invocazione che a mo’ di scongiuro viene rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da accertata perizia.
Scanza voce verbale qui 2° pers.sg. dell’imperativo,altrove anche 3° pers sg.ind. pres. dell’infinito scanzà/are= scansare, evitare con etimo da un cansare→canzare con protesi di una s intensiva; cansare→canzare collaterale di campsare= doppiare,piegare, girare intorno è voce marinaresca.
12. 'O PIEZZO CCHIÚ GRUOSSO À DDA ESSERE 'A RECCHIA.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili, iperboliche percosse tali da ridurli in pezzi di cui il piú grande avrebbe dovuto essere l'orecchio.
13. ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova.
Guallera= ernia scrotale voce femm.le derivata dall’arabo wadara.
filosce sost. neutro plurale del sing. filoscio= frittata morbida e sottile dal franc. *filoche derivato di fil.
14 ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
15 SI ME METTO A FFÀ CAPPIELLE, NÀSCENO CRIATURE SENZA CAPA.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica.
16 A – NUN FÀ PÉRETE A CCHI TÈNE CULO.
B – NUN DÀ PONIE A CCHI TÈNE MANE!
I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salva di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salva. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani.
17 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.
Letteralmente: la cattiva fortuna di Cazzetta che si dispose a mingere e perse per caduta l'organo deputato alla bisogna. Iperbolica locuzione costruita dal popolo napoletano intorno ad un fantomatico Cazzetta ritenuto cosí sfortunato da non potersi permettere le piú elementari funzioni fisiologiche senza incorrere in danni incommensurabii. La locuzione è l'amaro commento fatto da chi veda le proprie opere non produrre gli sperati risultati positivi, ma al contrario negatività non prevedibili.
18 QUANNO CHIOVONO PASSE E FICUSECCHE.
Letteralmente: quando cadono dal cielo uva passita e fichi secchi. Id est: mai. La locuzione viene usata quale risposta dispettosa a chi chiedesse quando si potrebbe verificare un accadimento ritenuto invece dalla maggioranza irrealizzabile.Poiché non è ipotizzabile una pioggia di uva passita o fichi secchi l’espressione icasticamente sottintende l’avverbio negativo mai.
19 'O CULO 'E MAL'ASSIETTO NUN TROVA MAJE ARRICIETTO.
Letteralmente: il sedere che siede malvolentieri non trova mai tregua. Per solito, con la frase in epigrafe si fa riferimento al continuo dimenarsi anche da seduti che fanno i ragazzi incapaci di porre un freno alla loro voglia di muoversi.
Assietto s.m. = assetto, seduta, sistemazione, modo di sedere;quanto all’etimo è un deverbale dal lat. volg. *assedita¯re, frequent. di sedíre 'star seduto'
arricietto sost. masch. = tregua, calma, riposo ma pure sistemazione derivato del basso lat. *ad-receptu(m)→arrecettu(m)→ arricietto.
20 FATTE 'E CAZZE TUOJE E VVIDE CHI T''E FA FÀ...
Letteramente: impicciati dei casi tuoi e procura di trovare qualcuno che ti aiuti in tal senso.Il mondo è pieno, purtroppo di gente incapace di restare nel proprio àmbito, gente che gode ad intromettersi negli affari altrui, comportandosi da saccenti e/o arroganti supponenti, dispensando perciò consigli non richiesti che, il piú delle volte, procurano ulteriori affanni, invece di lenire la situazione di coloro a cui vengon rivolti i sullodati consigli. A chi si comportasse in tal modo è buona norma rivolgere l'invito dell'epigrafe che è perentorio e non ammette repliche.
21 ESSERE A LL'ABBLATIVO.
Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere alla fine, alla conclusione e, per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine.
22 ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550 ed era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era súbito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco site nella piazza omonima in quello che in origine fu il monastero dei monaci di sant’ Anna ed oggi accoglie gli uffici della Pretura.
23 CU ‘O TIEMPO E CU ‘A PAGLIA (S’AMMATURANO ‘E NESPOLE)!
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole fuori parentesi vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o nespole coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e saporiti.
24 SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di follía o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Détta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite adiacente l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali.
25 STAMMO ALL'EVERA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non c'è piú niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente detta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera piú estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi.
26 HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Ài sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria piú cupa ed esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il Santo Graal la mitica coppa in cui il Signore istituí la santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes (Troyes, 1135 circa –† Fiandre, prima del 1190) che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non abbastanza puri.
Brak
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